

Cultura
Matres Matutae di Capua: il simbolo sacro della fertilità e della vita
Il 9 settembre 1943, la città di Capua fu duramente colpita da un attacco aereo che causò gravi danni e la distruzione di numerosi edifici storici. Tra questi, uno dei più importanti era il Museo Campano di Palazzo Antignano, il cui valore fu riconosciuto da Amedeo Maiuri, che lo definì “il più rappresentativo della civiltà italica della Campania”. Nonostante la devastazione, tutte le collezioni del museo furono fortunatamente salvate grazie alla grande cura e all’impegno del suo direttore Luigi Garofano Venosta. Tra i tesori del museo, particolarmente preziose erano le Matres Matutae, sculture in tufo raffiguranti donne sedute con in grembo uno o più bambini in fasce, considerate uno dei simboli più forti dell’intero museo.
Questi manufatti sono stati oggetto di numerosi studi e ricerche a causa della loro straordinaria bellezza e della loro grande importanza storica e artistica. Le Matres Matutae sono considerate un esempio eccezionale di arte italica e rappresentano un’importante testimonianza della vita quotidiana e della cultura delle antiche popolazioni che abitavano la Campania. Grazie al coraggio e alla dedizione del direttore Venosta, questi tesori sono stati preservati e possono ancora oggi essere ammirati e studiati, costituendo un patrimonio inestimabile per la cultura e la storia dell’Italia.
Le Matres Matutae non sono solo una testimonianza della vita quotidiana e della cultura della Campania antica, ma rappresentano anche l’eredità di un culto molto antico con radici nel bacino mediterraneo. Questo è dimostrato dalle gemme sottratte alla distruzione e all’oblio che testimoniano l’importanza di questi oggetti, anche in altre regioni del mondo antico. Scoperte oltre due secoli fa, le Madri di tufo sono state considerate una prova del culto antichissimo celebrato dalle grandi civiltà del passato.
Le Matres Matutae di Capua, in particolare, rappresentavano l’offerta propiziatoria e il simbolo di gratitudine per la concessione del sommo bene della fecondità, testimoniando l’importanza attribuita alla fertilità dalle antiche popolazioni italiche. Grazie alla dedizione del direttore Venosta, queste opere d’arte hanno potuto sopravvivere al tragico evento del bombardamento aereo del 9 settembre 1943 e, ancora oggi, costituiscono una testimonianza unica della storia antica della Campania e dell’intera Italia.
Le Madri di tufo furono ritrovate intorno ai resti di una grande ara, il templum dedicato alla Grande Madre, la Dea Italica preromana risalente al matriarcato. Questo dimostra l’importanza del culto della Dea Madre nella Campania antica e nella mitologia italica. Infatti, il culto della Dea Madre fu un’antica divinità italica dell’aurora e della nascita, che nella mitologia greca si identifica con Leucotea e in quella romana viene identificata con Cerere, dea della crescita, con riferimento alla fertilità non solo della donna ma anche della terra.
A Capua, la capitale della feconda Campania Felix, sorse un tempio dedicato alla Dea Madre, la cui figura imperiale e maestosa della Mater Matuta (o propizia) era chiamata anche Grande Madre o Dea Bianca. Nell’antica Roma, la Dea era onorata con una festa chiamata i Matralia, che veniva celebrata l’11 giugno. Questo testimonia l’importanza del culto della Dea Madre nell’antica Roma e la sua influenza sulla cultura e la religione della Campania e dell’intera Italia. Le Matres Matutae di Capua, quindi, non sono solo una testimonianza artistica, ma rappresentano anche l’importanza storica e culturale di un culto antico che ha influenzato la vita e la cultura delle antiche popolazioni italiche.
Nel 1930, Amedeo Maiuri, uno dei maggiori archeologi italiani del XX secolo, richiamò l’attenzione degli studiosi di tutto il mondo sulle sculture ritrovate a Capua, tra cui le preziose Matres Matutae. Questi manufatti rappresentano una testimonianza unica di scultura pre-imperiale in Campania e una memoria di pietra che ha attraversato i secoli, raccontando la storia di un culto antichissimo celebrato in molte civiltà e popolazioni del mondo, risalente alle antichissime società matriarcali.
Questi simulacri votivi raffiguranti donne sedute, rivestite da una tunica o un lungo mantello e che reggono in braccio e sul grembo uno o più bambini in fasce, rappresentano l’offerta propiziatoria e il simbolo di gratitudine per la concessione del sommo bene della fecondità. Le Matres Matutae di Capua, quindi, non solo sono un importante patrimonio artistico, ma rappresentano anche un’importante testimonianza storica e culturale dell’antica civiltà italica e della sua religione. Grazie alla loro eccezionale bellezza e importanza storica, le Matres Matutae di Capua sono diventate oggetto di studi e ricerche di numerosi archeologi e studiosi di tutto il mondo.
Le Matres Matutae di Capua sono un patrimonio culturale di inestimabile valore, che ci consente di comprendere meglio le antiche civiltà che hanno popolato il nostro territorio e di rivivere la storia di una società matriarcale in cui la figura femminile era sacra e venerata. Queste sculture, infatti, non sono solo opere d’arte, ma sono anche una testimonianza della nostra storia e della nostra identità collettiva.
Grazie alle Matres Matutae di Capua, possiamo fare un viaggio nel tempo e rivivere le antiche tradizioni e credenze delle popolazioni italiche che hanno abitato la Campania. Queste sculture ci offrono uno sguardo unico sulla vita quotidiana e sulla cultura dell’antica Campania, in cui il culto della Dea Madre e della fertilità rivestiva un ruolo centrale. La loro bellezza, ma anche la loro grande importanza storica e culturale, le rende un tesoro che dobbiamo preservare e proteggere per le future generazioni, in modo da garantire che la nostra storia e la nostra identità collettiva siano tramandate nel tempo.
Le Matres Matutae di Capua sono state oggetto di numerosi studi e ricerche che hanno permesso di ricostruire il culto della Dea Madre e di comprendere meglio il significato simbolico di queste sculture votive. Grazie a queste ricerche, abbiamo appreso che le Matres Matutae di Capua rappresentavano la fertilità, la maternità e la vita, simboli universali che hanno attraversato i secoli e le culture.
Oggi, le Matres Matutae di Capua sono conservate come il più prezioso dei tesori nel Museo di Capua, dove possono essere ammirate dai visitatori che desiderano scoprire la storia e la cultura del nostro territorio. Queste sculture votive rappresentano un patrimonio culturale che va preservato e valorizzato, perché ci permette di comprendere meglio la nostra identità e la nostra storia.
Il Museo di Capua ha il compito di proteggere e promuovere questo patrimonio culturale unico, offrendo ai visitatori l’opportunità di conoscere da vicino la bellezza e l’importanza storica e culturale delle Matres Matutae di Capua. Grazie alla conservazione e alla valorizzazione di questi tesori, possiamo mantenere viva la memoria delle antiche civiltà che hanno popolato la Campania e tramandare alle future generazioni la conoscenza e l’apprezzamento di questo patrimonio unico e prezioso.
Le Matres Matutae di Capua sono un simbolo della nostra identità collettiva e un patrimonio culturale che ci appartiene e che dobbiamo proteggere e promuovere con orgoglio. In conclusione, le Matres Matutae di Capua rappresentano un simbolo potente della nostra memoria storica e della nostra identità collettiva. Grazie a queste sculture votive, possiamo rivivere la storia di una società antica in cui la figura femminile era venerata e sacra, e comprendere il significato simbolico di una delle rappresentazioni più potenti e suggestive della maternità e della fertilità.
Le Matres Matutae di Capua ci offrono uno sguardo unico sulla vita quotidiana e sulla cultura dell’antica Campania, in cui il culto della Dea Madre e della fertilità rivestiva un ruolo centrale. Grazie a queste sculture, possiamo comprendere meglio le antiche credenze e tradizioni delle popolazioni italiche e rivivere la storia di una società matriarcale in cui la figura femminile era sacra e venerata. Le Matres Matutae di Capua sono un tesoro di inestimabile valore che dobbiamo preservare e proteggere, perché ci permette di conoscere meglio la nostra identità collettiva e di tramandare alle future generazioni la memoria di un’epoca lontana e affascinante della nostra storia.
Per farlo, è fondamentale sostenere iniziative culturali ed educative che promuovano la conoscenza e la valorizzazione di questo straordinario patrimonio artistico e storico. Occorre investire in programmi di ricerca, esposizioni temporanee e permanenti, e attività didattiche che coinvolgano scuole e università, così da favorire la diffusione di queste preziose testimonianze del passato.
Inoltre, è essenziale promuovere la collaborazione tra istituzioni culturali, locali e internazionali, per garantire un approccio multidisciplinare nello studio e nella conservazione delle Matres Matutae di Capua. L’interscambio di conoscenze e competenze tra esperti di diverse aree, come archeologia, storia dell’arte, antropologia e religione, può contribuire a una comprensione più profonda e completa di queste sculture votive e del loro contesto storico e culturale.
La tutela e la promozione delle Matres Matutae di Capua rappresentano una responsabilità condivisa tra istituzioni, esperti, e cittadini. Ognuno di noi può contribuire, nel proprio ambito, a mantenere viva la memoria di queste opere d’arte e a tramandarne il valore alle generazioni future. Visitarne i luoghi di conservazione, partecipare a eventi culturali che le riguardano, diffonderne la conoscenza e il valore, sono tutte azioni che possono contribuire a mantenere viva l’eredità delle Matres Matutae di Capua e a promuovere l’orgoglio e l’appartenenza a una storia e a una cultura comuni.
In definitiva, le Matres Matutae di Capua rappresentano un’eredità preziosa e inestimabile che deve essere valorizzata e tramandata, come esempio di una società in cui la figura femminile, la maternità e la fertilità erano sacre e venerabili. Questo patrimonio culturale e storico ci aiuta a comprendere le radici della nostra identità e a riconoscere l’importanza del rispetto e della valorizzazione delle diverse tradizioni e culture che hanno plasmato la nostra storia.
Cultura
Al Prado inaugurata la mostra di Guido Reni

(Adnkronos) – “La mostra di Guido Reni al Prado è motivo di orgoglio per tutti gli italiani. È un’esposizione che celebra giustamente il grande pittore bolognese, tra le massime espressioni del classicismo del Seicento, grazie anche ai prestiti di opere da diversi musei italiani. La collaborazione fra il sistema museale italiano e il museo Prado è un esempio virtuoso di circolazione europea delle opere. In contemporanea a Napoli, a Capodimonte, si può ammirare la Madonna del Pesce di Raffaello, prestata proprio dal museo spagnolo”. Lo ha detto il ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, in occasione dell’inaugurazione questa sera al Prado, insieme all’omologo spagnolo, Miquel Iceta, della mostra ‘Guido Reni’, che, da domani al prossimo 9 luglio, vedrà esposte nel museo madrileno 96 opere, di cui 73 realizzate da Reni stesso, raccolte espressamente per l’occasione.
In mattinata si è svolto un incontro tra i due ministri, che hanno messo a punto progetti comuni di scambio culturale tra le due Nazioni. Al centro del bilaterale anche le attività di contrasto al traffico illecito del patrimonio culturale, le possibili collaborazioni in ambito cinematografico nonché il programma culturale della prossima presidenza spagnola dell’Ue.
Cultura
Libri: in uscita ‘L’ultima ombra d’estate’ di Mario Mattia, geofisico catanese dell’Ingv

‘L’ultima ombra d’estate’ edito da Piemme è il romanzo d’esordio di Mario Mattia, geofisico presso l’Osservatorio Etneo dell’Ingv di Catania. Un giallo insolito, dove si intreccia la storia personale del protagonista, il giovane Marco, con uno spaccato della Sicilia degli anni ’70 dello scorso secolo, periodo in cui iniziò in grande stile il ‘sacco’ urbanistico delle città siciliane. In una intervista all’AdnKronos l’autore, a pochi giorni dal lancio nelle librerie e nei siti online, il prossimo 28 marzo, a precisa domanda su come si ‘passa’ dallo studio di vulcani e terremoti alla scrittura di un giallo, risponde che “non c’è tutta questa differenza che potrebbe sembrare. Nella scrittura, come nella ricerca scientifica, serve una buona dose di creatività ed il rispetto di alcune regole di massima. E in entrambi i casi serve molta pazienza e una buona capacità di osservazione!”.
“Nel mio romanzo – risponde l’autore parlando della trama del suo libro- c’è un palcoscenico naturale che è la città di Licata e le sue spiagge e ci sono alcuni personaggi chiave che raccontano una storia fatta di rabbia e passione giovanile, di come la borghesia siciliana in un certo periodo si sia fatta attrarre dai facili guadagni che derivavano dallo sfruttamento urbanistico e di come, a volte, le scelte personali trascinano chi ci sta intorno in una spirale drammatica. Ma parla anche della meraviglia della scoperta dell’amore da parte di due ragazzi e della possibilità che è data a tutti di rimediare, col tempo, ai nostri errori”. Non sembrerebbe il solito giallo siciliano. “Non lo so – risponde Mario Mattia- Non mi sono posto il problema. La storia ruota intorno all’omicidio di un piccolo proprietario terriero ed alla facilità con cui la responsabilità di questo assassinio venga scaricata su un bracciante povero e ignorante. A partire da questo episodio – ricorda l’autore- il giovane Marco inizierà una indagine privata basata solo sulla sua certezza, che definirei ‘politica’ che si tratta di un abuso e su elementi fragilissimi”.
“Questa indagine – prosegue Mattia- scatenerà un domino di eventi che però sfuggiranno al suo controllo e lo porteranno a fare scelte drammatiche. In questo senso è anche un romanzo di formazione, non solo un giallo”. Alla domanda se il ‘vulcanologo- scrittore’ dovesse indicare un modello di riferimento per la sua scrittura, Mattia sottolinea che “parlare di modelli potrebbe far sembrare che in qualche modo ci si paragoni ad essi. E non è, nel mio caso, nemmeno ipotizzabile. Nel mio romanzo ci sono ampie citazioni di ‘A ciascuno il suo’ di Leonardo Sciascia. Lui e il suo approccio razionale alla realtà siciliana – conclude- sono stati una guida, per me, e non solo in campo letterario”.
(di Francesco Bianco)
Cultura
Mostre: ‘FermoImmagine’, al via la personale di Vittorio Campana

Inaugura oggi ‘FermoImmagine: sintesi di un istante’, mostra personale dell’artista romano Vittorio Campana che resterà aperta al pubblico presso Avangardysta bunker creativo fino al 2 aprile. Venti le opere fotografiche esposte, suddivise in tre sale, che tramite l’utilizzo della luce puntano a suscitare emozioni e raccontare storie: Cogliere l’attimo (Sala 1), Livorno: una terrazza sul mare (Sala 2), Dal classico al moderno (Sala 3).
Linee, luci, ombre: tre elementi che caratterizzano gli scatti dell’autore il cui percorso artistico è contrassegnato dalla ricerca di linee essenziali, dalla fotografia di architettura alla natura, dando vita a immagini forti e rigorose. Via ogni elemento ‘disturbante’ per la composizione: restano le linee decise dei rami e le silhouette degli alberi, riflessi e ombre create dall’architettura delle città, colori spesso azzerati dal bianco e nero, luce e buio che scolpiscono le strade. Nascono così le opere fotografiche denominate ‘Trasparenze’ il cui processo consiste in più scatti, una volta scelto il migliore viene elaborato al computer e stampato su lastra di plexiglas, successivamente montata con elementi distanziatori ad un pannello bianco, tutto supportato dalla corretta illuminazione in grado di restituire, a chi osserva l’opera, una diversa prospettiva.
“Il mio intento -spiega l’artista- è creare nello spettatore la sorpresa nel percepire che l’immagine sul pannello di forex non è un’altra fotografia o un disegno, ma solamente un’ombra che svanisce spegnendo la luce”. Nella prima sala, ‘Cogliere l’attimo’, sette scatti che rappresentano il passaggio in cui Campana introduce delle presenze umane in transito. Destinazione ignota, per questo Campana ‘coglie l’attimo’ e l’ignoto. “I personaggi sono presenze frettolose e secondarie che in realtà non lasciano traccia nella fotografia, sono lì solo per far capire che la vita scorre velocemente. Quindi la staticità dell’architettura è in contrapposizione allo scorrere del tempo”, dice l’artista. Focus sulle scale che rappresentano passaggi, attimi, ogni gradino è una transizione, un cambiamento, un movimento.
Nella sala due (Livorno: una terrazza sul mare) protagonista è la città ligure con la serie di scatti della Terrazza Mascagni, con il suo pavimento a scacchiera bianca e nera fronte mare, uno dei luoghi più famosi e suggestivi della città. La serie è esposta a colori. Nella terza e ultima sala spazio a musei e luoghi di condivisione. Scatti che invitano lo spettatore a riflettere e a scoprire i luoghi di conservazione, valorizzazione e di cultura tra i più rappresentativi di Roma: Palazzo Barberini, il Maxxi, la Centrale Montemartini e l’Auditorium Parco della Musica.
Cultura
Il direttore degli Uffizi Eike Schmidt apre a Hong Kong il Museum Summit

L’evento museologico più grande al mondo – il Museum Summit – è stato aperto stamani a Hong Kong dal direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt. Nella sua prima edizione post-pandemica, tenuta in contemporanea alla fiera Art Basel Hong Kong, la kermesse è stato organizzato dal Ministero del Tempo Libero, della Cultura e dello Sport della Regione di Amministrazione Speciale Hong Kong della Repubblica Popolare Cinese in collaborazione con Le Gallerie degli Uffizi. Partecipano all’evento 2.000 tra direttori e curatori di musei da tutto il mondo in presenza, più oltre 6,3 milioni di ulteriori individui (prevalentemente dai paesi asiatici) registrati online attraverso la piattaforma Ifeng.
Presenti delegazioni da oltre 30 paesi, tra cui l’Arabia Saudita, Australia, Austria, Brunei, Cambodia, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, Inghilterra, Italia, Kazakistan, Laos, Malaysia, Maldive, Nepal, Pakistan, Singapore, Sri Lanka, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Thailandia, Vietnam.
La delegazione italiana presente a Hong Kong, guidata dal Console Generale della Repubblica Italiana a Hong Kong e Macao Carmela Ficarra, include anche Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica Barberini e Corsini di Roma, Silvia Barlacchi in rappresentanza del Dipartimento per l’Educazione delle Gallerie degli Uffizi e Antonio Godoli, curatore emerito del patrimonio architettonico degli Uffizi e del Corridoio Vasariano e consigliere per i nuovi allestimenti, che sono tra i 30 conferenzieri che parlano in questi due giorni.
Cultura
Lo scrittore Ian McEwan in visita agli Uffizi

Lo scrittore britannico Ian McEwan ha visitato oggi pomeriggio la Galleria degli Uffizi. Il romanziere vincitore del Booker Prize, a Firenze per presentare il suo ultimo libro “Lezioni” (Einaudi) nell’ambito di un evento de ‘La Città dei lettori’, in compagnia della moglie Annalena McAfee ha trascorso circa due ore e mezzo nel celebre museo, dove non era mai stato fino ad oggi: “E’ la mia prima volta”. In particolare, Mc Ewan ha apprezzato i dipinti di Botticelli, soprattutto il piccolo Sant’Agostino nella sala della Venere, la sala delle Carte Geografiche e i capolavori di Leonardo da Vinci.
Cultura
Intervista ad Omar Hassan

(Adnkronos) –
Che sensazioni ti trasmette Palermo? Se guardi la mappa…Palermo è in linea d’aria in mezzo tra Milano e l’Egitto…
Palermo mi dà un’energia pazzesca, anche perché io amo il mare. Subendo il trauma del cemento e dell’asfalto delle periferie milanesi, amo, a maggior ragione, il mare. A Palermo si percepisce una dimensione di attraversamento di tante culture. Si percepisce dall’architettura, si percepisce dall’accoglienza della gente. Palermo, ed in generale la Sicilia, sono territori che amo in Italia.
A Milano occorre fare un po’ di strada per passare dal centro alla periferia. A Palermo quartieri come l’Albergheria, i Danisinni, Ballarò, si raggiungono a piedi da Palazzo Reale, sono confinanti col centro storico, cuore pulsante e turistico della città. È un tutt’uno. Il concetto di periferia è in qualche modo stravolto…
Credo che Palermo sia quasi unica, nel senso che le grandi città tendono a isolare il centro dalla periferia il più possibile. Quando trovi, invece, una realtà, dove vicino al centro, si sviluppano anche quartieri non proprio facili, sei di fronte al primo vero segno di integrazione. In questo caso, proprio con questa configurazione la città prova a ricomporsi e a rivalutarsi. Tutto viene ricompreso in un articolato, complesso e interessante significato della città, nulla viene rimbalzato fuori. Tutto assume una configurazione, che nel suo complesso, diviene più potente. Adesso in Italia viviamo un po’ la realtà della “banlieue” parigina, che a Parigi trovi da 20 anni ed adesso inizia ad esserci anche da noi. Spero di scoprire ancora meglio Palermo, non vedo l’ora di viverci un po’, di conoscere queste realtà così vicine e interessanti.
Punctum a Palazzo Reale di Palermo: che mostra vuole essere?
“Punctum” a Palazzo Reale vuole essere lo sguardo dell’arte in cammino. L’ulteriore nutrimento di quell’energia che rende l’artista come “la vita stessa”. Pollock diceva “essere un artista è la vita stessa: è vivere voglio dire”.
Punctum è anche ulteriore tassello che si aggiunge al mio cammino di artista. Ogni mostra ed ogni luogo dove viene realizzata una mia mostra, contribuisce a farmi sentire artista del mondo. Contribuisce, contemporaneamente, a farmi sentire cittadino nel nostro mondo. Le suggestioni storico–artistiche e culturali di Palazzo Reale, di un laboratorio ben riuscito della storia, connotato da un incontro tra culture, visioni spirituali e linguaggio artistico, aggiunge un ulteriore impulso artistico in me che si concretizza nella realizzazione di opere site-specific per l’allestimento nelle Sale Duca di Montalto di Palazzo Reale: Autoritratto, ∞ Lights, Pax, Triloquio, No Filter, la Nona IX e la Mappa di Palermo.
La mostra nasce da un dialogo intenso con la Fondazione Federico II. Sono stato attratto dal metodo di lavoro di questa Fondazione, del loro modo di intendere le mostre, come un pungolo, una leva di riflessione. Il loro NO alle mostre pre-confezionate è stato per me uno stimolo importante. Con loro ho visitato Palazzo Reale di Palermo, cogliendone il dispiegamento di energie che la storia ci ha donato, che merita anche quella vivificazione continua attraverso mostre di arte contemporanea. Il Palazzo Reale ha saputo guardare avanti, grazie ad una visione forte della Fondazione Federico II. Connettersi con quella energia, con quella luce e con la sua dimensione complessa è stato esaltante. Punctum a Palazzo Reale è anche una celebrazione della donna reale. Figura per me sacra che nella nostra contemporaneità, purtroppo, sta subendo atrocità indicibili in alcune parti del mondo.
Con tutta la Fondazione Federico II abbiamo deciso di celebrare la figura femminile, accostandola ai miei gesti pittorici e attraverso una mostra fortissima. Punctum è la valorizzazione del singolo, perché ognuno di noi è fondamentale per creare un insieme sereno e armonioso. Punctum è quell’energia vitale dell’artista che rende unica ogni opera d’arte.
Da dove nasce l’idea dei mosaici di “tappini” della serie Caps? Quanti sono i tappini che compongono l’opera nella mappa di Palermo?
Sono anni che sto realizzando la mappatura di tutte le città che mi ospitano, dove realizzo le mostre, con i tappini delle bombolette spray. Queste mappe sono composte da 8.000 /10.000 tappini dipinti a mano, ad uno ad uno, cosa che serve proprio a dare valore al singolo. Se fossimo tutti eticamente corretti nel proprio spazio e aperti al dialogo, nel nostro insieme saremmo un’armonia serena e meravigliosa. In ogni caso l’insieme non assorbe mai il significato di ciascuno e tutti non possiamo che essere posti in relazione. La mappa di Palermo è composta da ottomilanovecentoventotto tappini.
Cultura
Reali, al via riprese serie tv dedicata a regina Maxima d’Olanda

Sarà l’attrice di origine argentina Delfina Chaves, 27 anni, ad incarnare in una nuova serie tv l’attuale sovrana olandese, sua maestà la regina Maxima dei Paesi Bassi, principessa di Orange -Nassau, nata Zorreguieta Cerruti, anche lei nativa di Buenos Aires, moglie di re William-Alexander (interpretato dakll’attore Martijin Lakemeier), incoronata il 30 aprile 2013 dopo l’abdicazione della regina Beatrice. La serie è tratta dalla biografia intitolata ‘Maxima Zorreguieta. Motherland’ scritta da Marcia Luyten, le riprese, che si svolgeranno tra gli Stati Uniti, Spagna, Argentina, Belgio e naturalmente nei Paesi Bassi, cominceranno il prossimo giugno e la serie sarà programmata a partire dal 2024.
Una fiaba da immortalare quella della giovane Maxima, figlia di Jorge Horacio Zorreguita Stefanini, ministro dell’Agricoltura durante il regime militare di Jorge Rafael Videla, e della seconda moglie Maria del Carmen Cerruti, con sangue italiano nelle vene, due fratelli (Juan e Martin) e una sorella (Ines), morta suicida nel 2018. Studi in Argentina alla Northlands School e laurea in economia all’Universidad Catolica Argentina, una carriera come top manager all’interno di importati società finanziarie, sempre divisa tra l’Argentina e gli Stati Uniti. Nulla lasciava presagire che Maxima Zorreguieta Cerruti sarebbe stata incoronata, un giorno, regina d’Olanda. Galeotta fu la Feria de Abril di Siviglia dove Maxima e William- Alexander si incontrano grazie ad amici comuni. Una relazione nascosta per molto tempo persino ai genitori del futuro marito. Il fidanzamento ufficiale e l’annuncio del matrimonio non furono senza polemiche.
Il Paese non avrebbe mai accettato una futura regina, il cui padre si sospettava fosse coinvolto nella ‘guerra sporca’ della dittatura argentina. Ferma la posizione del futuro sposo. Non avrebbe lasciato la sua Maxima, ma l’Olanda se fosse stato necessario, non dimentico di quanto era accaduto ai genitori (il padre, Claus van Amsberg, diplomatico tedesco era stato membro della Gioventù hitleriana e della Wehrmacht nazista, non gradito agli Orange-Nassau e al Paese). Dopo ampio dibattito, e non senza numerose polemiche, l’approvazione alle nozze fu concessa dal Parlamento olandese (lei in abito firmato Valentino e preziosa tiara tempestata di diamanti proveniente dallo scrigno della regina Beatrice) ma i genitori di Maxima, non graditi, non parteciperanno alle nozze reali e la giovane principessa dovette prendere le distanze, pubblicamente, in tv dal padre e dalla sua famiglia.
Ma la futura regina d’Olanda impara a farsi amare dal suo nuovo Paese e lo conquista giorno dopo giorno. Al momento è solo una principessa, con un doppio passaporto argentino e olandese, donna elegante (adora i colori vitaminici e i cappelli dalle larghe falde), carismatica, intelligente, dal sorriso contagioso, empatica, si impegna a difesa e a sostegno delle donne con iniziative legate all’inclusione, alla possibilità di poter accedere al microcredito a forme di finanziamenti bancari. E viaggia nel mondo accanto all’augusto consorte visitando le antiche colonie e i protettorati olandesi. Ovunque l’accoglienza à entusiasta. E i sondaggi volano.
Sembra che l’attuale regina d’Olanda, madre di tre figlie, le principesse Amalia, Alexia e Ariane, sia considerata uno dei più accreditati ambasciatori del Paese nel mondo. In una recente intervista a Rtl Nieuws l’attore Martijin Lakemeier ha confessato: “E’ un onore e una grande sfida portare in tv e raccontare la grande storia d’amore tra Maxima e Willem- Alexander, negli anni in cui entrambi si sono follemente innamorati l’uno dell’altro”. Ancora un assit a favore di Maxima Orange-Nassau. La serie tv ha come obiettivo di far conoscere al Paese gli anni del’infanzia e degli studi in Argentina. Un ritorno al passato per cementare il presente, guardando già al futuro, alla prossima sovrana, la giovane Catharina-Amalia Beatrix Carmen Victoria di Orange-Nassau. Ha solo 20 anni, ma già perfettamente investita del suo ruolo.
Cultura
Uffizi, visita del portiere della Nazionale e della Fiorentina Salvatore Sirigu

Il portiere della Nazionale Azzurra e della Fiorentina Salvatore Sirigu in visita alla Galleria degli Uffizi. Sirigu, che si è trattenuto alcune ore tra i tesori del celebre museo vasariano, è stato accolto al suo arrivo dal direttore Eike Schmidt, che gli ha illustrato i capolavori del Botticelli e la Sala delle Carte Geografiche, recentemente riaperta; prima di salutarsi, i due si sono concessi un selfie davanti alla Primavera.
Cultura
Mostre, a Roma ‘Beginning’ con le foto di AngelinaEmme

Artista autodidatta, pittrice, fotografa, scenografa, AngelinaEmme, alla sua prima personale, propone una serie di lavori autobiografici in ‘Beginning’, la mostra curata da Alessandra Maria Sette negli spazi della Libreria Eli a viale Somalia, 50, a Roma fino al 26 marzo.
Immerse in contesti neo pop, ambienti ricostruiti nello studio che l’artista definisce scenografie, queste fotografie sono racconti di vita. Al centro dell’immagine c’è sempre lei, autrice e protagonista che non teme di esporsi e mostrarsi con il suo carico emotivo. Molti i riferimenti presenti in questi lavori, dai tableaux vivants di ottocentesca memoria che Luigi Ontani ha riportato all’attenzione del pubblico sin dagli anni ’80, alle fotografie barocche e surreali di David LaChapelle, ai lavori di Guy Bourdin, uno dei più celebri e apprezzati fotografi di moda e pubblicità del XX secolo.
E ancora Tim Walker, anche lui fotografo di moda, ed Helmut Newton, l’artista che più di ogni altro ha ritratto e celebrato la figura femminile. Senza dimenticare le atmosfere della Pop Art. A questi, AngelinaEmme unisce l’immersione nel mondo contemporaneo, un tempo caratterizzato dalla sovraesposizione, immagini che vivono tra milioni di altre immagini e che per emergere devono assumere caratteristiche distintive, colori chimici e acidi, costruzione formale impeccabile, definizione maniacale dei dettagli, fino al gesto di rottura che spezza l’armonia e crea la sorpresa, l’inquietudine, lo stupore. Ci troviamo di fronte a una performance estremamente sofisticata nella quale l’artista stessa si trasforma in opera d’arte e mostra al pubblico il suo percorso di formazione e di conquistata identità. Il lavoro sul corpo, che AngelinaEmme compie con l’attenzione di un chirurgo e l’abilità di un miniaturista mettendo se stessa al centro di tutti i lavori, testimonia che il primo tratto del viaggioverso la consapevolezza dell’essere artista è stato compiuto
E’ un corpo sociale che guarda dentro se stesso e si proietta nel mondo esterno alla ricerca della propria identità. Si costruiscono nuovi orizzonti, nuovi immaginari postmoderni che indicano il futuro dell’immagine ma che sono già prepotentemente in atto. Lo stage non è più solo lo spazio circoscritto dello studio, è il mondo nella sua totalità perché tutti siamo immersi in questo chimico e acido villaggio globale ultra pop. In questi lavori troviamo un nuovo modello narrativo che passa attraverso la costruzione dell’immagine, ma anche attraverso i molti riferimenti alla cultura contemporanea, lo studio dei colori e il loro contrasto, la narrazione, il teatro, la moda, la pubblicità, il selfie patinato pronto per essere postato. Gli ambienti sono costruiti nel laboratorio chimico dello studio cromatico, con un’accentuata illuminazione artificiosa che si posa su oggetti fortemente simbolici. Alle pareti di questi interni sono esposti i dipinti realizzati dalla stessa artista, come una sorta di citazione di se stessa che enfatizza ancor più il contesto.
Cultura
Alle Terme Stabiane di Pompei affiora pavimento a mosaico di una casa più antica

Alle Terme Stabiane affiora il pavimento a mosaico del salone di una casa più antica, abbandonata e trasformata dopo il terremoto del 62 d.C. in complesso termale. La scoperta è avvenuta nell’ambito del progetto di ricerca e relativa campagna di scavi presso le Terme Stabiane affidati dal Parco archeologico di Pompei alla Freie Universität Berlin, con la collaborazione dell’Università di Napoli L’Orientale. Pompei è un costante laboratorio di studio e ricerca, che continua a rivelare elementi nuovi sulla storia urbanistica e sociale della città antica. La scoperta “è una prova di quanto c’è ancora da scoprire nella parte già scavata di Pompei – dichiara il direttore Gabriel Zuchtriegel – Le terme Stabiane furono scavate negli anni ’50 dell’800 ma solo adesso viene alla luce tutta la complessa storia dell’isolato nei secoli prima dell’ultima fase di vita della città. Grazie alle nuove ricerche dell’università di Berlino e dell’Orientale di Napoli, oggi si può cominciare a riscrivere la storia dell’isolato, inserendone un ulteriore capitolo, quello di una sontuosa domus con mosaici eccezionali e ambienti spaziosi, che occupava la parte occidentale dell’area delle terme fino a pochi decenni prima dell’eruzione nel 79 d.C. Anche la Pompei che pensavamo di conoscere già, è una scoperta che continua”. Le indagini in corso, avviate a marzo, hanno lo scopo di chiarire alcuni aspetti relativi sia alle fasi cronologiche e all’organizzazione planimetrica del settore della palestra delle terme, già oggetto di indagini in passato, sia di completare lo studio della planimetria della casa preesistente, trasformata dopo il terremoto del 62 d.C. Saggi di scavo sono stati condotti nell’area occidentale dell’attuale complesso termale e precisamente in tre tabernae poste lungo il vicolo del Lupanare, nel corridoio di servizio alle spalle della natatio (piscina) e dei ninfei delle terme, nella palestra e presso l’originario ingresso del settore maschile delle terme su via dell’Abbondanza, chiuso dopo il terremoto.
Il pavimento mosaicato è stato dunque individuato nell’area delle tabernae, al di sotto del livello pavimentale rivenuto dopo l’eruzione a circa mezzo metro di profondità. Il pavimento era a mosaico bianco bordato da una fascia nera con un emblema centrale, policromo. L’emblema infatti presenta un motivo geometrico a cubi prospettici, realizzati con tessere nere, bianche e verdi, bordato da una doppia fascia rossa e nera. Il motivo decorativo è ben noto per le pavimentazioni in opus sectile della cella del tempio di Apollo, del tablino della casa del Fauno o di un’esedra della casa di Trittolemo, casi in cui il motivo è esteso su quasi tutta la superficie pavimentale. Nella casa delle terme stabiane, invece, il motivo è realizzato solo nel piccolo riquadro centrale, a mosaico, come avviene in altri contesti, sempre in sectile, romani, tipo la casa dei Grifi sul Palatino. Le nuove indagini hanno permesso di comprendere al meglio la planimetria dell’edificio, risalente ai decenni centrali del I sec. a.C., che si sviluppava per una superficie di circa 900 mq, ed era composto da ingresso, un grande atrio circondato da cubicola (stanze da letto), tablino (studiolo), affiancato dal salone di recente scoperto, ed infine peristilio (giardino colonnato), caratterizzato da un ampio portico con ricca pavimentazione in mosaico policromo.
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