Cultura
Un delizioso melone di Chardin vale 12 milioni...
Un delizioso melone di Chardin vale 12 milioni all’asta a Parigi
Il capolavoro del pittore francese, maestro delle nature morte, guiderà l'asta di "Old Masters' che Christie's organizza il 12 giugno
"Il melone tagliato" del pittore francese Jean Siméon Chardin (1699-1779), maestro delle nature morte, guiderà l'asta di "Old Masters' che Christie's organizza il 12 giugno a Parigi. Stimato 8-12 milioni di euro, il dipinto non ha vincoli o restrizioni e potrà dunque essere acquistato da collezionisti di tutto il mondo. I prezzi delle opere di Chardin si sono impennati in modo clamaroso dopo che nel 2022 il suo "Cestino di fragole di bosco" è stato venduto per 24,3 milioni di euro all'asta da Artcurial a Parigi, una natura morta su cui poi il Museo del Louvre ha esercitato la prelazione per farlo entrare nelle sue collezioni.
"Il melone tagliato" (in francese "Le melon entamé") è una delle opere più importanti dell'artista che rimane ancora in mani private ed ha fatto parte delle collezioni Marcille e Rothschild. Per Pierre Etienne, direttore internazionale di Christie's per i dipinti antichi, questo quadro è "un esempio di pura poesia pittorica, un momento sospeso nel tempo che racchiude tutta la magia di Chardin: l'equilibrio della composizione, della luce, del colore e della forma".
Il dipinto fu esposto per la prima volta al Salon annuale dell'Académie de Peintures et de Sculptures nel 1761 a Parigi, insieme al suo pendant, "Le bocal d'abricots" (ora all'Art Gallery of Ontario di Toronto) e al famoso "Cestino di fragole di bosco" acquisito nel febbraio scorso dal Louvre.
Il formato ovale, quasi circolare, di "Il melone tagliato" sottolinea la natura intima della scena vissuta dallo spettatore. Rara nell'opera dell'artista, questa forma è stata scelta da Chardin per un motivo specifico: diventa, come nel caso di questo dipinto, un'estensione della composizione. In un certo senso, "il melone tagliato" è un'ode alla rotondità. Questa forma è raramente utilizzata dall'artista e, come afferma Pierre Rosenberg è "tra le più belle". Dopo il Salon del 1761, "Il melone tagliato" è entrato a far parte di diverse raccolte prestigiose, acquisite da collezionisti che hanno svolto un ruolo essenziale nella riscoperta del pittore e nella creazione della sua eredità, o i cui nomi sono un segno di eccellenza nel campo dell'arte e del collezionismo in tutti i settori.
Il nome Marcille, se associato a un'opera di Chardin, è un marchio di altissima qualità. "Le melon entamé" è uno dei trenta dipinti di Chardin che fanno parte di questa rinomata collezione, tramandata di padre in figlio. Il collezionista "chiaroveggente" François Martial Marcille (1790-1856) fu, all'inizio del XIX secolo, la prima persona che riconobbe e riscoprì tutto il meglio del Settecento e le sue grandi opere d'arte in un'epoca in cui erano state completamente dimenticate. Chardin diventerà il suo artista. Dopo la morte di François, i figli Camille Marcille (1816-1875) ed Eudoxe Marcille (1814-1890), entrambi eccellenti collezionisti, si spartirono la collezione. Soprattutto, colsero il significato del gruppo nel suo insieme, di cui organizzarono mostre pubbliche, contribuendo così a restituire a Jean Siméon Chardin il posto che gli spetta nella storia dell'arte.
"Le melon entamé" è uno dei lotti venduti alla morte di Camille Marcille nel 1875, dove venne acquistato da Stéphane Bourgeois, mercante d'arte che agiva per conto della baronessa Nathaniel de Rothschild (1825-1899). Come Marcille, il nome Rothschild è il marchio di una dinastia di collezionisti che in ogni campo incarna la raffinatezza, l'erudizione e il gusto impeccabile.
Cultura
“Agdam delenda est”, in 150 foto di Fabrizio...
Presentato al Palazzo dell'Informazione Adnkronos il volume del direttore creativo di Artcloud Network International
"Agdam delenda est. Immagini dal Karabakh" è il titolo del libro fotografico di Fabrizio Conti che raccoglie oltre 150 scatti attraverso i quali l'autore racconta per immagini la lontana e martoriata regione del Caucaso meridionale. Una terra sconosciuta, situata nel territorio dell’Azerbaijan ai confini con l’Armenia, da sempre contesa e teatro di un lunghissimo conflitto tra i due stati. Il libro è stato presentato oggi a Roma, al Palazzo dell’Informazione AdnKronos.
Nel 2021 Fabrizio Conti, direttore creativo di Artcloud Network International, azienda italiana che opera nel settore dei Beni culturali, viene invitato dal Governo Azero a partecipare all’imponente opera di ricostruzione della regione del Karabakh, avviata appena dopo la fine del trentennale conflitto con l’Armenia. A Conti viene chiesto di concepire musei di ultimissima generazione, densi di tecnologia, per salvaguardare la memoria - e virtualmente ricostruire- ciò che era, un tempo, il Karabakh. "Agdam delenda est" - titolo che rimanda inequivocabilmente alla leggendaria e proverbiale frase 'Carthago delenda est' - raffigura e testimonia l’insensatezza dei popoli in guerra che per affermare la propria superiorità mirano ad annientare il nemico, cancellandone l’identità, la cultura, la storia. Una strategia di guerra - ancora oggi utilizzata – che trae origini dai tempi del dominio romano, quando Catone, con sole tre parole esplicitò lo scopo degli eserciti romani: cancellare definitivamente Cartagine affinché non potesse essere più abitata.
"Agdam delenda est" è un viaggio per immagini nell’anima del Karabakh. Un viaggio nel silenzio di un luogo fantasma fra le trincee abbandonate e i resti di ciò che un tempo fu un luogo abitato. Un viaggio nei ricordi della gente, alla ricerca di un passato che non c’è più. "E’ il mio viaggio, fra coprifuochi e ricoveri di fortuna, in un luogo surreale dove i cellulari funzionano a singhiozzo, l'acqua è gelida e a tavola si beve solo vodka", racconta Conti. "Agdam delenda est" - aggiunge l’autore - è la mia esperienza personale, in una terra che non conoscevo, che mi ha travolto, appassionato e arricchito. Senza questi scatti - sottolinea - non avrei potuto raccontare le emozioni provate, attraversando questo luogo, di cui è rimasto poco, ma in cui ancora ad ogni passo si respira il suo passato e una potente voglia di rinascita dimenticare. Ho voluto fermare il mio sguardo attraverso le immagini - conclude - per fissare la memoria di un luogo, di un conflitto dimenticato ma terribile e insensato come tutte le guerre".
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Musa tv n. 17 del 24 aprile 2024
Il regista e scrittore Antonio Centomani parla all’Adnkronos di ‘Il Mercante di Seta Nera’ Oscio ‘Il Santone’ torna in tv per la seconda stagione, e stavolta è una donna La fiction basata sul personaggio di Federico Palmaroli da venerdì 19 aprile su Raiplay
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Paolo Di Paolo con il ‘Romanzo senza umani’ in...
Lo scrittore nella dozzina del Premio: "un libro in cui mi chiedo se sia ancora possibile costruire un'idea di memoria condivisa"
Un ritorno che "emoziona" ma che va vissuto in modo "lucido". Paolo Di Paolo sale nuovamente sulla 'giostra' del premio Strega con 'Romanzo senza umani', libro presentato agli Amici della Domenica da Gianni Amelio. Un libro in cui lo scrittore, che ha già partecipato al più importante alloro letterario del nostro Paese nel 2013, si chiede se sia ancora possibile, nella nostra società segnata sempre di più dalla solitudine e dallo sfilacciamento dei legami, costruire un'idea di memoria condivisa.
Prima di ogni altra considerazione sul libro in gara, però, c'è l'emozione di tornare in gioco al premio Strega. Per uno scrittore, dice Di Paolo, "è come andare a Sanremo. Per me - dice all'Adnkronos - è un ritorno a distanza di undici anni. Sono stato finalista sia in dozzina sia in cinquina nel 2013 con 'Mandami tanta vita' che era ispirato alla vicenda umana e politica di Piero Gobetti. Allora avevo 30 anni. Per me erano veramente i primi passi del mio percorso di scrittore".
Una prima esperienza che, confessa, "mi ha letteralmente cambiato la vita. Lo Strega mi ha consentito di cominciare a investire concretamente sull'attività di scrittore a tempo pieno. Tornare a distanza di 11 anni, in una fase diversa del mio percorso, è per me una grande emozione. Si ha la sensazione che questo premio riesca a illuminare il libro in lizza, dando una visibilità complessiva e retroattiva al percorso che un autore ha compiuto. Credo che questo sia un vantaggio al di là di come possano andare la seconda fase del riconoscimento e la finale. Sembra blasfemo forse dirlo, ma è un po' come andare a Sanremo", ribadisce Di Paolo.
Quello del premio Strega, dunque, è un palco molto ambito. Una volta che si è ammessi al piccolo club dei fortunati scrittori che competono per la vittoria finale, il desiderio di andare il più lontano possibile si fa sempre più palpabile. Su questo punto Di Paolo non si nasconde e ammette: "Ho partecipato sperando nell'ingresso in dozzina. Sarei forse un po' ipocrita se dicessi che uno non si aspetti o non creda sia possibile fare il salto per la cinquina. Ma in ogni caso bisogna restare molto lucidi, la cinquina è già comunque una vittoria. Mentre fino a questo punto ha deciso un comitato, dalla dozzina in poi comincia una sorta di campagna elettorale. E' una dinamica che riguarda centinaia di persone, le quali fanno parte del mondo editoriale, del mondo delle librerie. A questo punto è imprevedibile quello che può accadere", sottolinea.
Il libro di Di Paolo nasce da un interrogativo contenuto già nel titolo della sua opera. Può esistere un romanzo senza 'umani'? "Il mio non è un libro che risente della pandemia. Però - racconta - guardare alla finestra un mondo che era spopolato della nostra presenza, come erano le nostre città in quei mesi, mi ha indotto a chiedermi: 'Si può scrivere un romanzo senza umani?' Devo dire che, in effetti, ho tentato di scrivere un testo 'senza umani'. Ma mi sono anche reso conto che qualunque cosa tu racconti è necessariamente ricondotto a un tuo sguardo umano, a una tua sensibilità umana. Nel momento in cui scrivi, ti accorgi di quanto la scrittura stessa sia un gesto integralmente umano. Quindi il titolo funziona come provocazione e anche come contraddizione in termini. Questo perché, il romanzo senza gli umani, è impensabile".
Mettendo in luce qualche elemento narrativo della trama del suo libro, Di Paolo racconta: "E' la storia di un uomo avviato alla mezza età, lo storico Mauro Barbi che cammina lungo il lago di Costanza. Per decenni ha studiato la piccola era glaciale, una sorta di vertiginoso crollo delle temperature nell'Europa tra il tardo Cinquecento e l'inizio del Seicento, che ha coinvolto anche il Lago di Costanza che - ricordiamolo - tocca tre Stati, Svizzera, Austria e Germania". Un evento segnato da "uno sbalzo climatico violento che ha affascinato molto lo studioso al punto che se n'è occupato a lungo, probabilmente attratto proprio da quel paesaggio spopolato e privo di umani. Che cosa può dirgli il lago di oggi del lago di quattro secoli e mezzo fa? Come storico si chiede che relazione ci sia tra il passato e il presente. Una domanda con una ricaduta potente nella sua vita. Una ricaduta che si riconnette all'interrogativo che aleggia in tutto il libro: che cosa si ricordano gli altri di noi?".
Un interrogativo, riflette Di Paolo, che "è anche il risultato di un'interrogazione radicale che attiene alla costruzione della memoria. Il nostro passato, il passato del mondo, è un'invenzione?". Per questo motivo "comincia a mandare email a gente che non sente da 15 anni, fa telefonate nel cuore della notte e fa irruzione a casa di amici che non sente da molto tempo. Cosa vuole da loro? Vorrebbe capire cosa ricordano di lui provando a organizzare una memoria sul suo conto che sia stabile e che sia condivisa per l'appunto".
Alla fine della sua ricerca, però, puntualizza Di Paolo, "si accorge che non è possibile condividere la memoria". Tanto per essere più chiari, "quello che noi ricordiamo in un modo, gli altri lo ricordano in un altro. E questa impossibilità di far coincidere le memorie lo manda in tilt. E' come se fosse messo di fronte, da storico, a una sorta di scacco matto. E' questa la molla narrativa del libro". In fondo, conclude Di Paolo "quella che descrivo è una storia di solitudine. La storia di un uomo che alza gli occhi dai suoi libri e si chiede dove siano finiti tutti e che fine abbiano fatto le persone della sua vita, quelle che sono letteralmente uscite dal tempo e quelle che ha perso di vista". (di Carlo Ro ma)