

Salute e Benessere
Malattie rare, la voglia di scuola di Carola e Roberta e il diritto alla felicità
Stavolta la campanella d’inizio del nuovo anno scolastico è suonata anche per Carola, 17 anni, di Fiumicino. Era da tempo lontana dai suoi compagni, dalla sua quotidianità di adolescente. A rubargliela, di crisi in crisi, la rarissima malattia di Lafora, un’alterazione genetica che fa sì che si accumulino zuccheri in particolare a livello cerebrale, in assenza delle proteine che dovrebbero sintetizzarli, coinvolte nel metabolismo del glicogeno. “Carola vuole guarire, sta lottando con tutta se stessa, aspetta la cura, va a scuola anche se per lei è frustrante”, racconta la mamma, Simona Fochetti. A Milano, mamma Maria e papà Fortunato dovranno comunicare a Roberta, 6 anni, che “mercoledì, di nuovo, non potrà andare a scuola, e lei si arrabbierà di brutto”, spiega con un sorriso un po’ amaro il papà. “Ogni venerdì ci arriva il programma settimanale e, quando non c’è l’infermiera, Roberta”, affetta da displasia campomelica acampomelica, una variante di una malattia già rara, “non può andare a frequentare le lezioni, con tutto quel che ne consegue”.
C’è un filo sottile che unisce Carola e Roberta, da un punto all’altro dell’Italia: la voglia di vivere la propria età, di andare a scuola, di costruirsi un futuro. Le storie sono state raccolte dall’Adnkronos Salute. Del resto, sottolinea la mamma di Carola, “il diritto alla vita non è il diritto alla vecchiaia. E’ diritto ad un po’ di felicità”. Con questo pensiero, per la propria ragazza, i genitori di Carola hanno tentato di percorrere una via, un tentativo di terapia. A sbloccare questa possibilità è stato l’intervento della Regione Lazio ad aprile 2022. La 17enne sta ora ricevendo una terapia enzimatica sostitutiva in uso per un’altra patologia, la malattia di Pompe. Il farmaco si chiama Myozime*, di Sanofi.
Lei, riferisce oggi la mamma, “prosegue le infusioni, ma ancora nessuno ha fatto controlli, sembra che le cose debbano andare così. Noi genitori di malati rari passiamo le nostre giornate a cercare di capire come migliorare, anche di poco, la qualità della vita dei nostri ragazzi, ma non abbiamo la possibilità di confrontarci con i medici se non quando la situazione clinica peggiora. Carola vuole guarire – ripete – va a scuola, è consapevole delle difficoltà che incontra, delle lezioni che non capisce, delle gite che non può fare, ma è una sofferenza che deve affrontare perché fa parte del suo percorso di crescita. La scuola ci sta aiutando molto, sono tutti molto presenti e lavorano per rendere il percorso di Carola a sua misura. La classe e gli insegnanti fanno esperienza di questa malattia, condividono il nostro percorso e ci allontanano dalla solitudine. Credo sia stato un bel traguardo raggiunto”, ammette Simona, che è convinta di una cosa: “Credo che la barriera più grande da superare ancora oggi sia la solitudine”.
La solitudine dei malati rari. “Al di là della difficoltà della ricerca scientifica di trovare fondi – riflette Simona – le famiglie rimangono abbandonate nell’attesa. Sto imparando, però, che non posso aspettare una cura che salvi Carola, che nella disperazione in cui è caduto tutto il mio cuore devo avere la forza di darle giornate felici. Questo è oltre le mie forze. Ci serve qualcuno che ci aiuti a rendere questo possibile”.
Quando pensa alla Lafora, Simona usa parole molto dure: “Questa malattia, come credo anche altre simili, posso paragonarla alla figura del ‘dissennatore’ di Harry Potter, all’angelo della morte, o qualcosa di simile. Si presenta alla tua porta e ti annuncia che è venuta a prendere tua figlia, non ora, non subito. Ne succhierà la vita giorno dopo giorno, poco alla volta, e lo farà davanti ai tuoi occhi. Inizialmente è terrore e disperazione, poi come accade ai carcerati con i propri carcerieri diventa l’unica cosa reale della tua vita. Ma io sono spettatore, e vorrei avere le parole per sostenere e spiegare a Carola tutto questo”. Spiegarle anche che ha un diritto alla felicità e starle accanto per vederlo realizzato, per quanto possibile.
Sicuramente, interviene Fortunato Nicoletti, papà di Roberta, “siamo a un punto migliore per le malattie rare. Manca però ancora tutto l’approccio sociosanitario, sociale. Oggi viene considerata la malattia e questo preclude tutta una serie di esperienze di relazione, scuola, socialità che non vengono considerate come facenti parte della persona. La malattia rara non presuppone una cura specifica nel 90% dei casi, quindi bisogna agire sulla sintomatologia, ma poi c’è tutto il contesto. Per i ragazzi parliamo della scuola, dove non c’è presa in carico e cura sociosanitaria e sociale. Succede dappertutto”.
“Fatta la Rete sulle malattie rare (anche se servono i decreti attuativi per una piena applicazione del Testo unico sulle malattie rare), la prima cosa che manca al momento è proprio questa”, incalza Nicoletti. “Anche vedendo la legge, spicca il fatto che è molto incentrata sulla ricerca, e va benissimo. Come va bene che si parli di comunicazione, di centri di riferimento, e così via. Ma manca una parte assistenziale. Lo stesso Pnrr”, Piano nazionale di ripresa e resilienza, “ha due missioni diverse per la parte sanitaria e sociale. Se non integriamo questi aspetti non andiamo da nessuna parte”.
Roberta e Carola, con le loro storie, insegnano quanto sia importante la scuola. “Si parla sempre di lavoro e di vita indipendente – ragiona Nicoletti – Ma se non partiamo dal contesto scolastico, al lavoro non ci arriveremo mai. E’ importante lo screening neonatale” per partire subito con terapie e assistenza, ed “è importante la scuola per poi scegliere cosa fare della tua vita. Se manca tutto questo alla fine parliamo del nulla”.
Nicoletti spera nella ‘massa critica’ che possono fare le famiglie con malati rari. Il papà di Roberta è vicepresidente dell’associazione Nessuno è Escluso Odv ed è parte dell’Alleanza malattie rare. “Non tutte le patologie sono uguali, ma poi alla base le storie sono quelle di presa in carico. C’è chi ha bisogno dell’infermiere, c’è chi ha bisogno di non sentirsi abbandonato. Queste malattie sono talmente rare che c’è il rischio che ci si autoisoli. Alla fine però i bisogni sono comuni e non dobbiamo sentirci soli. Anche noi famiglie dovremmo cominciare a ragionare in maniera diversa, non personale”, ma in una logica di squadra. “E’ vero – conclude – anche le terapie hanno tempi lunghissimi” per queste malattie, “ed è giusto e cruciale che la ricerca vada avanti. Ma le famiglie” nella vita di tutti i giorni “non devono sentirsi isolate”.
Remuzzi: “Le novita’ del Testo unico non restino sulla carta”
“Per il problema delle malattie rare in Italia si va progressivamente raggiungendo un buon livello di organizzazione e consapevolezza. Qualcosa di organico, in altre parole”. Il Testo unico “introduce importanti novità”. Cosa non va ancora? “Intanto che, se sulla carta sembra che ci sia tutto quello che serve, sull’attuazione dei vari provvedimenti legislativi annunciati siamo ancora indietro. Molti dei punti previsti non sono ancora stati implementati, per altri attendiamo una definizione con decreti attuativi già da diversi anni”. A tirare le somme, alla vigilia del Rare Disease Day, è Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri Irccs, a cui fa capo il Centro Aldo e Cele Daccò, che è la sede del Coordinamento della Rete regionale lombarda per le malattie rare.
“In teoria – spiega l’esperto all’Adnkronos Salute – una novità molto bella e importante è la previsione del credito d’imposta, pari al 65% delle spese sostenute per l’avvio e la realizzazione di progetti di ricerca” sulle malattie rare, “fino a un massimo di 200mila euro per ciascun beneficiario”. E “sempre in teoria”, è prevista “l’estensione degli interventi di sostegno previsti da un decreto del Miur del 2016 alle imprese che intendono svolgere studi finalizzati alla scoperta, registrazione e produzione di farmaci orfani o altri trattamenti innovativi”. Questo, però, fa notare Remuzzi, “non è ancora stato attuato”.
“Abbiamo – prosegue – un’organizzazione che sta diventando molto capillare, coinvolge tutte le Regioni, coinvolge l’Istituto superiore di sanità (Iss), però ci sono ancora dei problemi. Per esempio, sono 20 anni che parliamo di un registro nazionale presso l’Iss, ma oggi un vero registro non c’è ancora. Sono molto più completi certi registri regionali come quelli di Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna. E’ un peccato perché presso l’Istituto dovrebbe esserci un registro che riassume in un modo puntuale la situazione di tutte le regioni d’Italia e l’Istituto dovrebbe poter conoscere in qualunque momento quali, quanti e dove sono i malati di malattie rare in Italia, intervenire dove ci sono difficoltà, vedere dove è importante avviare progetti di ricerca e di assistenza e attraverso il registro poter governare il sistema”. Un altro elemento citato da Remuzzi è l’informazione per i pazienti con malattie rare: è prevista sulla carta l’adozione di strumenti adeguati, e anche qui “non c’è stata ancora piena attuazione”. E “poi – evidenzia – ci sono delle cose che hanno a che fare in generale con i mali del nostro servizio sanitario nazionale, che sta diventando sempre più un servizio sanitario nazionale per chi se lo può permettere”.
Questo, ammonisce il direttore del ‘Mario Negri’, “non è coerente con i principi della Costituzione, che prevede che chiunque abbia la possibilità di essere curato, in particolare gli indigenti. Non è così quasi mai: il Servizio sanitario nazionale, che è sulla carta una cosa straordinaria, ha delle grandi differenze regionali nella sua implementazione. Inoltre, c’è una prevalenza del privato che ormai si sta diffondendo dappertutto e che è molto preoccupante. Pensate soltanto ai medici a gettone, assunti da cooperative private per far fronte alle carenze della medicina d’urgenza, ma anche di altri settori. Medici di cui non conosciamo le competenze e che guadagnano in pochi turni di guardia quello che guadagna un medico assunto regolarmente da un ospedale in un mese. A questo dilagare del privato speriamo di poter mettere rimedio, perché sennò succederà da noi quello che è già successo negli Stati Uniti, proprio mentre Oltreoceano stanno invece cercando di tornare indietro”.
Ora, ragiona lo scienziato italiano, “io mi illudevo che le malattie rare, con tutta questa legislazione, con i network europei, con tutta questa attenzione, fossero al di fuori da questo fenomeno”. “Personalmente – riflette Remuzzi – penso che il fatto che un malato debba pagare per essere curato, dopo aver contribuito comunque attraverso la tassa sulla salute, sia molto triste. Finora siamo stati fortunati a non dover vivere con la preoccupazione dei soldi quando siamo malati, cosa che succede nella maggior parte dei Paesi del mondo. Però – fa notare – sempre più spesso perfino negli ospedali pubblici, dove le attese per un esame sono sempre molto lunghe, la stessa prestazione da parte degli stessi medici la si può fare nel giro di pochi giorni se uno paga. Che questo succeda spesso anche per le malattie rare è intollerabile, a mio avviso. Il mercato in sanità non funziona. Il pubblico deve tendere a ridurlo, il fatturato, attraverso la prevenzione: l’esatto contrario di libera scelta e mercato”.
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Lupus, Iaccarino (UniPd): “Biologici riducono danni organi e articolazioni”

Al MiCo di Milano in corso il Congresso Eular

“Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia reumatica autoimmune, ciò vuol dire che il sistema immunitario agisce non solo contro gli agenti esterni, come batteri e virus, ma anche contro organi e apparati dello stesso organismo. Può quindi attaccare qualsiasi organo e apparato, e quelli più frequentemente colpiti sono le articolazioni, la cute e i reni. Il paziente con il lupus rischia di vedere compromessa la funzionalità di alcuni organi, oltre che la qualità della vita. In alcuni casi più gravi è messa a rischio anche la sopravvivenza stessa del paziente”. Lo ha ricordato Luca Iaccarino, professore associato di Reumatologia all’università di Padova, a margine del Congresso Eular (European Congress of Rheumatology) 2023, in svolgimento al MiCo di Milano dal 31 maggio al 3 giugno, facendo il punto sulle cure per il Les.
La terapia che si è rivelata vantaggiosa in termini di percentuale di pazienti che raggiungono una risposta e nei migliori dei casi la remissione è quella basata sui farmaci biologici, come belimumab, impiegata nei pazienti con lupus da circa dieci anni: “In alcuni soggetti, la terapia con farmaci biologici, come belimumab – ha spiegato Iaccarino – ha garantito la riduzione dell’accumulo di danno, cioè la compromissione della funzionalità degli organi, delle articolazioni, del rene. Traggono beneficio dalla terapia con farmaci biologici anche gli aspetti dermatologici, come le cicatrici cutanee. Questi farmaci hanno sicuramente aiutato a migliorare la qualità della vita di questi pazienti”.
A dimostrare l’efficacia della terapia con farmaci biologici nella riduzione del danno d’organo sono i risultati dello studio italiano ‘BeRLiSS: belimumab in real life setting study’, coordinato proprio dal centro di Padova e che ha coinvolto quasi 500 pazienti con lupus eritematoso sistemico, trattati con belimumab e seguiti dai 24 centri specializzati presenti sul territorio nazionale: “Questo studio non solo ha confermato i dati che avevamo potuto vedere nei trial randomizzati controllati – ha concluso il professore – ma ha anche dimostrato la capacità di questo farmaco di ridurre le riacutizzazioni della malattia e l’accumulo di danno in questi pazienti”.
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Rafforzare la memoria dormendo, studio sulla stimolazione cerebrale profonda

Una nuova ricerca condotta dagli scienziati della Ucla fornisce la prima prova fisiologica dall'interno del cervello umano

Il cosiddetto ‘sonno ristoratore’ non è una definizione vuota, ma ha una base scientifica. E’ noto per esempio che dormire gioca un ruolo cruciale nel rafforzare la memoria, ma gli scienziati stanno ancora cercando di decodificare come questo processo si svolge nel cervello durante la notte. Una nuova ricerca condotta dagli scienziati della Ucla (University of California Los Angeles) Health e della Tel Aviv University fornisce la prima prova fisiologica dall’interno del cervello umano a sostegno della teoria scientifica dominante su come avviene il consolidamento della memoria. Ma c’è di più: gli scienziati hanno scoperto anche che la stimolazione cerebrale profonda mirata durante una fase cruciale del ciclo del sonno sembra migliorare questo processo.
Lo studio, pubblicato su ‘Nature Neuroscience’, potrebbe offrire dunque nuovi indizi sul possibile ruolo di una Deep-brain stimulation: questa, applicata durante il sonno, potrebbe un giorno aiutare i pazienti con disturbi della memoria come il morbo di Alzheimer, suggerisce il coautore del lavoro, il professore di Neurochirurgia Itzhak Fried. Questo risultato è stato ottenuto con un nuovo sistema ‘a circuito chiuso’ che ha emesso impulsi elettrici in una regione del cervello sincronizzati con precisione all’attività cerebrale registrata da un’altra regione.
Il cervello, secondo la teoria dominante, converte le nuove informazioni in ricordi a lungo termine durante lo ‘shuteye’, quando si dorme. C’è un dialogo notturno tra l’ippocampo – hub della memoria del cervello – e la corteccia cerebrale, che è associata a funzioni cerebrali superiori come il ragionamento e la pianificazione. E questo dialogo si verifica durante una fase di sonno profondo, quando le onde cerebrali sono particolarmente lente e i neuroni nelle regioni del cervello si alternano tra l’attivazione rapida in sincronia e il silenzio. Il lavoro del team fornisce la “prima grande prova fino al livello dei singoli neuroni che esiste davvero questo meccanismo di interazione tra il centro della memoria e l’intera corteccia”, spiega Fried, direttore della Chirurgia dell’epilessia alla Ucla Health. “Ha un valore scientifico sia in termini di comprensione di come funziona la memoria negli esseri umani sia di utilizzo di tale conoscenza per potenziare davvero la memoria”.
La teoria del consolidamento della memoria è stata testata dagli autori dello studio alla Ucla Health, tramite gli elettrodi nel cervello di 18 pazienti con epilessia. Gli elettrodi erano stati impiantati sui pazienti per aiutare a identificare la fonte delle loro convulsioni durante le degenze ospedaliere che in genere durano circa 10 giorni. In quell’occasione è stata portata avanti anche questa analisi. Lo studio è stato condotto su due notti e due mattine. Poco prima di andare a dormire, ai partecipanti sono state mostrate coppie di foto di animali e 25 celebrità, tra cui star facilmente identificabili come Marilyn Monroe e Jack Nicholson. I pazienti sono stati testati immediatamente sulla capacità di ricordare quale celebrità era abbinata a quale animale, e lo stesso test è stato ripetuto poi al mattino, dopo una notte di sonno indisturbato.
In un’altra notte sono stati mostrati 25 nuovi abbinamenti di animali e celebrità prima di andare a dormire. Questa volta, però, i pazienti hanno ricevuto una stimolazione elettrica mirata durante la notte e la loro capacità di ricordare gli accoppiamenti è stata testata al mattino. Per fornire questa stimolazione elettrica, i ricercatori hanno creato un sistema a circuito chiuso in tempo reale: il sistema ‘ascoltava’ i segnali elettrici del cervello e, quando i pazienti cadevano nel periodo di sonno profondo associato al consolidamento della memoria, emetteva delicati impulsi elettrici istruendo i neuroni che si attivano rapidamente a ‘giocare’ in sincronia. Come un direttore d’orchestra, è l’immagine usata da Fried. Risultato: ogni persona testata ha ottenuto risultati migliori nei test di memoria dopo una notte di sonno con stimolazione elettrica, rispetto a una notte di sonno indisturbato. I marcatori elettrofisiologici chiave hanno inoltre indicato che le informazioni fluivano tra l’ippocampo e tutta la corteccia, fornendo prove fisiche a sostegno del consolidamento della memoria.
“Abbiamo scoperto di aver sostanzialmente migliorato questa autostrada attraverso la quale le informazioni fluiscono verso luoghi di archiviazione più permanenti nel cervello”, ha detto Fried, che nel 2021, con uno studio pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, aveva dimostrato per la prima volta che la stimolazione elettrica può rafforzare la memoria. Recentemente lo scienziato ha ricevuto fondi Nih (dei National Institutes of Health) per 7 milioni di dollari per studiare se l’intelligenza artificiale può aiutare in determinate attività. Se con questo studio è stata dimostrata la possibilità di migliorare la memoria in generale, “la prossima sfida è scoprire se abbiamo la capacità di modulare ricordi specifici”.
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L’olio d’oliva previene il cancro al seno? Studio italiano indaga

Monini al fianco di Fondazione Veronesi, ricercatrice Neuromed analizzerà i dati di oltre 11mila donne

Può il consumo regolare di olio di oliva aiutare a prevenire il cancro al seno, il tumore più diffuso in Italia con oltre 55mila casi l’anno, prima causa di morte oncologica nelle donne? Proverà a rispondere a questa domanda Emilia Ruggiero, ricercatrice dell’Istituto neurologico mediterraneo Neuromed di Pozzilli (Isernia), con uno studio finanziato da Monini per il 2023 attraverso un bando pubblico promosso da Fondazione Umberto Veronesi. Monini conferma così, per il terzo anno consecutivo, l’impegno a sostenere la Fondazione per contribuire a far luce sulle proprietà di uno dei pilastri della dieta mediterranea.
“Per decenni i Paesi del Mediterraneo hanno avuto una minore incidenza di tumore al seno a livello mondiale e questo ha fatto ipotizzare che le abitudini alimentari potessero spiegare almeno in parte questi dati”, spiega Ruggiero, fra le premiate durante la cerimonia di consegna dei grant 2023 di Fondazione Veronesi e del sesto ‘Fondazione Umberto Veronesi Award’, ieri all’università Statale di Milano. “L’adesione a una dieta mediterranea nel suo complesso è in grado di ridurre il rischio di tumore al seno – sottolinea la scienziata – ma il ruolo dei suoi componenti chiave, come appunto l’olio di oliva, è stato poco esplorato. Il progetto punta proprio a capire se l’olio di oliva, e in particolare la sua componente di grassi monoinsaturi, possa avere un ruolo nella prevenzione primaria del tumore al seno, nell’ambito di un’alimentazione di tipo mediterraneo”.
Lo studio – descrive una nota – utilizzerà il database del progetto epidemiologico ‘Moli-sani’, che dal 2005 ha coinvolto circa 25mila cittadini residenti in Molise per conoscere i fattori ambientali e genetici alla base delle malattie cardiovascolari e dei tumori, trasformando un’intera regione italiana in un maxi laboratorio scientifico a cielo aperto. In questo caso verranno utilizzati i dati di oltre 11mila donne per le quali sono state raccolte dettagliate informazioni alimentari. I risultati potranno fornire nuove evidenze sul ruolo dell’olio d’oliva per la salute e rappresentare un riferimento per definire future strategie di prevenzione.
“Siamo davvero orgogliosi di poter offrire il nostro contributo a favore della ricerca scientifica italiana e ancora di più di sostenere uno studio che può avere un impatto concreto sulla vita di moltissime persone”, dichiara Maria Flora Monini, alla guida dell’azienda di famiglia insieme al fratello Zefferino.
“Come azienda – precisa – non ci siamo mai limitati a produrre e vendere il nostro prodotto: abbiamo sempre cercato di conoscerlo, valorizzarlo e promuoverlo al meglio, anche attraverso l’educazione e la cultura. Dal 2020, attraverso il nostro piano di sostenibilità ‘A Hand for the Future’, abbiamo inoltre intrapreso un percorso decennale a sostegno della ricerca, perché non può esserci alcun futuro senza il progresso della conoscenza”.
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Cancro al cervello, italiani svelano alterazione genetica chiave


La ricerca italiana svela un’alterazione genetica chiave all’origine delle forme più aggressive di glioblastoma, tumore maligno del cervello, aprendo nuove prospettive di diagnosi e cure mirate. La scoperta è pubblicata su ‘Esmo Open’, rivista della Società europea di oncologia medica, e porta la firma dello Iov – Istituto oncologico veneto Irccs. Lo studio, sostenuto da Fondazione Celeghin e Associazione Ometto e condotto in collaborazione con le Neurochirurgie dell’azienda – università di Padova e delle università di Ferrara e Firenze, è coordinato per la parte clinica da Giuseppe Lombardi dell’Unità operativa complessa di Oncologia 1 dello Iov, e per la parte di ricerca oncologica da Anita De Rossi del Dipartimento universitario Discog, afferente all’Uoc Iov di Immunologia e Diagnostica molecolare oncologica.
Il lavoro ha preso in esame 273 pazienti seguiti dall’Istituto oncologico veneto e affetti da glioblastoma, “il tumore cerebrale più frequente e aggressivo nell’adulto”, spiegano Lombardi e Rossi. “Siamo riusciti a individuare in una specifica variante del gene Tert”, importante nel controllo della replicazione cellulare nei tumori, “un marcatore prognostico di una forma di glioblastoma a più rapida progressione. Riuscire a mettere in luce l’impatto del gene Tert sulla prognosi e sulle interazioni molecolari che sono alla base della crescita tumorale e delle risposte ai trattamenti oncologici – sottolineano i due autori – apre nuovi scenari in ambito diagnostico e nell’utilizzo di trattamenti più personalizzati. Lo Iov si conferma così centro di riferimento internazionale per la cura dei pazienti neuro-oncologici, con la possibilità di nuove prospettive grazie anche a innovativi trattamenti sperimentali”.
Questa scoperta apre infatti “nuove strade, permettendo di indirizzare a una migliore individuazione dei pazienti, un miglior arruolamento nei trial clinici e una prognosi più accurata”, si legge in una nota dell’Istituto.
“Questo studio – commenta Vincenzo Bronte, direttore scientifico dello Iov – esemplifica le opportunità uniche presenti nell’Istituto oncologico veneto per la ricerca traslazionale. Infatti nasce da un interesse storico e continuato nel tempo per il ruolo del gene Tert nella genesi delle neoplasie, e si coniuga alla possibilità di definire dei sottogruppi di pazienti con glioblastoma con prognosi diversa. Lo studio offrirà nuove prospettive per indagare i circuiti molecolari alla base delle forme più aggressive di questo tumore, caratterizzato da una progressione estremamente rapida”.
Sempre sul glioblastoma – si legge nella nota – sono in corso allo Iov vari protocolli sperimentali tra i quali ‘Regoma 2’, il primo studio al mondo che valuta il regorafenib in associazione alla terapia standard per il trattamento di questo tumore raro particolarmente aggressivo, con incidenza di 6 casi ogni 100mila persone, negli ultimi anni in continuo aumento. La sperimentazione, promossa dall’Istituto oncologico veneto, rappresenta anche il primo studio no-profit a livello italiano che valuta la somministrazione del farmaco nel tumore cerebrale, senza aspettare che la malattia vada in recidiva.
Salute e Benessere
Schillaci: “Il Ssn non è sull’orlo del fallimento, ripartiamo dal capitale umano”

“Oggi più che mai va rilanciato il Servizio sanitario nazionale e su questo nei primi mesi di governo abbiamo dato dei segnali in maniera pragmatica. Mi dispiace molto quando vedo dipinto il Ssn sull’orlo del fallimento, non è così: ha la forza di avere un capitale umano con professionisti che sono i migliori del mondo e partendo da loro potremmo fare molto”. Lo ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci, nel suo intervento oggi a Roma al ministero per la conferenza stampa di presentazione degli ‘Help desk della prevenzione’, che verranno attivati durante il mese di giugno per celebrare la Festa della Repubblica da 5 società medico-scientifiche italiane: Urologia (Siu), Audiologia e foniatria (Siaf), Parodontologia e implantologia (Sidp), Endocrinologia (Sie), Medicina del lavoro (Siml).
Coronavirus
Salute, Pregliasco: “Enterovirus killer? ‘Rischio generale basso ma sorvegliare”

“Il rischio complessivo di sanità pubblica per questo enterovirus lo vedo molto limitato, così come precisa anche l’Organizzazione mondiale della sanità, pur nella gravità dei casi descritti e nella necessità di fare attenzione e di sorvegliare”. Lo sottolinea all’Adnkronos Salute Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università Statale di Milano, dopo l’alert lanciato dall’Oms a seguito di 9 casi di sepsi neonatale, con 7 morti, registrati in Francia e associati a un tipo enterovirus detto E-11, e in particolare a un lignaggio ricombinante in precedenza non rilevato nel Paese d’Oltralpe.
L’esperto invita a cogliere “anche l’aspetto positivo” di avvisi come questo, così come quello diffuso dall’Oms nelle scorse settimane e relativo a un rialzo di miocarditi gravi (2 decessi su 15 casi) nei lattanti in Uk, sempre associate a degli enterovirus. La faccia buona della medaglia è proprio il monitoraggio di questi nemici invisibili, un approccio “che per certi versi – osserva Pregliasco – è anche un po’ figlio della lezione appresa con Covid: una riorganizzazione e un potenziamento dei sistemi di sorveglianza epidemiologica, di individuazione e di segnalazione di situazioni anomale, in un’ottica proattiva” di guardia alta e preparazione.
Salute e Benessere
Un nanosensore per migliorare diagnosi tumore tiroide, studio Cnr


Sviluppato un sensore in fibra che potrebbe facilitare la diagnosi della patologia e l’individuazione delle terapie più appropriate a partire dalla rilevazione della presenza di tireoglobulina nel liquido di lavaggio dell’agoaspirato. l risultati sono frutto di uno studio nato dalla collaborazione fra tre istituti del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli – l’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia ‘Gaetano Salvatore’ (Cnr-Ieos), l’Istituto di scienze e tecnologie chimiche ‘Giulio Natta’ (Cnr-Scitec) e l’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti ‘Eduardo Caianiello’ (Cnr-Isasi) – il Dipartimento di ingegneria dell’università degli Studi del Sannio e il Dipartimento di medicina clinica e chirurgia dell’università di Napoli Federico II.
Il dispositivo – descritto in un articolo pubblicato su ‘Biosensors and Bioelectronics’ – riesce a identificare e misurare la presenza di una particolare proteina, la tireoglobulina, nel liquido di lavaggio dell’agoaspirato. La valutazione della presenza di tale proteina nel liquido di lavaggio di agoaspirati ottenuti da linfonodi ‘sospettati’ di metastasi è a oggi uno dei metodi che permette con certezza la diagnosi di estensione extratiroidea del tessuto tumorale. Pertanto l’esito di questo esame è particolarmente importante sia nell’approccio chirurgico iniziale, sia per il successivo follow-up dei pazienti. La tireoglobulina è infatti una proteina presente, in condizioni normali, esclusivamente nella tiroide. La sua identificazione nei linfonodi è, invece, indicativa della presenza di metastasi.
A oggi – dettaglia una nota del Cnr – la localizzazione di tale proteina richiede l’impiego di sofisticati metodi di dosaggio basati su apparecchiature che sfruttano specifici anticorpi, con tempi di rilevazione non immediati e non facilmente applicabili in sala operatoria in caso di dubbi diagnostici. Per questo motivo, è spesso il chirurgo a dover valutare, in base alla propria esperienza, l’estensione dell’intervento da effettuare senza potersi avvalere di alcun supporto strumentale. La novità ottenuta dal gruppo di ricerca consiste nell’aver sviluppato un nuovo sensore in fibra, basato sull’analisi della luce diffusa, che permette l’identificazione, in tempo reale e con elevata sensibilità, della tireoglobulina nel liquido di lavaggio dell’agoaspirato dei linfonodi tiroidei.
“Consentire il rilevamento sensibile e selettivo della tireoglobulina umana nel fluido di lavaggio dell’ago aspirato immediatamente prima dell’intervento chirurgico, o direttamente in sala operatoria, sarebbe della massima importanza per ottimizzare e personalizzare i trattamenti dei pazienti con una procedura minimamente invasiva e senza ulteriori rischi”, spiega Paolo Macchia del Dipartimento di medicina clinica e chirurgia della Federico II di Napoli.
Il biosensore sviluppato – prosegue la nota – sfrutta la diffusione di radiazione laser e consente l’identificazione della tireoglobulina grazie all’analisi del colore della luce che essa riflette (diffusione Raman). Il risultato è di particolare rilievo anche perché la proteina da identificare è presente in quantità minime nel campione, insieme a tante altre molecole e sostanze che potrebbero mascherarne la presenza.
Il biosensore può essere realizzato sia su chip sia su fibra, e quindi potrebbe essere utilizzato anche direttamente all’interno dell’ago durante il prelievo del campione. Se i risultati saranno validati in studi preclinici e clinici – spiega il Cnr – il biosensore potrebbe essere utilizzato per lo screening, la diagnosi, la selezione della terapia e il monitoraggio della progressione del cancro della tiroide e delle eventuali recidive. Inoltre in futuro la tecnica potrebbe essere estesa all’identificazione di metastasi anche da altri tipi di tumori. Il risultato è reso possibile grazie al sostegno del ministero dell’Università e della Ricerca (Mur), di Fondazione Airc per la ricerca sul cancro e delle infrastrutture campane Ciro e Cnos.
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Malattie rare, Ucb conferma il suo impegno con iniziative speciali in programma nel mese di giugno

Eventi specifici per patologie neurologiche, immunologiche e mitocondriali

E’ ricco di iniziative dedicate ad alcune malattie rare e ultra rare il mese di giugno per Ucb Pharma. In calendario l’azienda biofarmaceutica belga ha una serie di eventi per patologie neurologiche (forme di epilessia come la sindrome di Dravet, la sindrome di Lennox-Gastaud e la Cdkl5), immunologiche (miastenia gravis) e mitocondiali (TK2d, una patologia ultra rara), per le quali ha sviluppato terapie innovative, cambiando la storia della malattia e migliorando la vita dei pazienti e delle loro famiglie.
Per la sindrome di Dravet, la cui Giornata mondiale si celebra il 23 giugno – informa Ucb in una nota – è in programma una lettura all’interno del 46° Congresso nazionale della Lega italiana contro l’epilessia (Lice), a Napoli dal 7 al 9 giugno. Questo raro tipo di epilessia inizia nell’infanzia ed è caratterizzato da convulsioni difficilmente trattabili con farmaci anti-crisi, disturbi cognitivi, comportamentali e motori, che persistono fino all’età adulta. Per questa grave patologia Ucb ha sviluppato un farmaco presente da circa un anno sul mercato italiano.
“Ridurre la frequenza delle crisi – spiega Simona Borroni, presidente dell’associazione Gruppo famiglie Dravet Onlus – è il primo importante passo nel trattamento dei bambini affetti da sindrome di Dravet, indipendentemente dall’età. Chi è affetto da questa patologia non risponde uniformemente alle terapie disponibili. La maggior parte dei pazienti è sottoposta a importanti politerapie farmacologiche che comportano effetti collaterali, e che non consentono il controllo delle crisi epilettiche. Per questo motivo vediamo con grande interesse ogni nuova terapia che possa offrire un valore aggiunto e rappresentare un passo avanti per migliorare il controllo delle crisi, abbattendo i limiti che pongono per lo svolgimento di una vita sociale piena. Per il futuro ci auguriamo che la ricerca conduca maggiori studi anche sui pazienti adulti, per consentire a questa parte della popolazione di beneficiare delle nuove terapie secondo dei dosaggi adeguati”. Sottolinea Isabella Brambilla, presidente Dravet Italia Onlus: “Le nuove opzioni terapeutiche offrono sicuramente nuovi concreti benefici nel controllo delle crisi epilettiche, tuttavia non per tutti i pazienti. Per questo motivo il Registro di patologia Residras (dravet-registry.com), con regolari follow-up annuali, permetterà di aggiungere evidenze di efficacia nei pazienti e di analizzare le combinazioni terapeutiche più efficaci. Monitorerà inoltre la sicurezza e l’efficacia a lungo termine, nonché eventuali altri benefici in termini comportamentali e psico-intellettivi”.
Ucb – prosegue la nota – ha recentemente ottenuto l’approvazione Ue per un farmaco indicato nella sindrome di Lennox-Gastaud, una grave encefalopatia epilettica dell’infanzia, caratterizzata da diverse tipologie di crisi resistenti ai farmaci. E’ inoltre in corso a livello europeo l’iter approvativo per un’altra forma rara di epilessia, la Cdkl5, che si manifesta durante le prime settimane di vita con crisi epilettiche farmacoresistenti, e nelle fasi successive con assenza di linguaggio e una disabilità motoria e cognitiva grave.
Ancora, per la miastenia gravis, la cui Giornata mondiale si celebra il 2 giugno, nel corso del 23esimo Congresso nazionale dell’Associazione italiana miologia (Aim), a Padova (8-10 giugno), si terranno alcuni simposi e letture dedicati alla patologia. Il 22 giugno, inoltre, Uniamo-Federazione italiana malattie rare organizzerà un evento dedicato, anche grazie al supporto di Ucb. La miastenia gravis – ricorda l’azienda – è una malattia autoimmune rara, cronica, fluttuante, caratterizzata da alterazioni morfologiche e funzionali responsabili del disturbo della trasmissione neuromuscolare a livello della giunzione neuromuscolare. Si manifesta con ptosi palpebrale (caduta delle palpebre), visione doppia, difficoltà a deglutire, masticare, parlare, respirare. Per questa patologia sono stati recentemente pubblicati su ‘The Lancet Neurology’ due studi di fase 3 condotti da Ucb: MycarinG e Raise.
Infine, nell’area molto eterogenea delle malattie mitocondriali l’azienda ha in fase avanzata lo sviluppo di un trattamento contro il deficit da Tk2, patologia in cui c’è deficit di timidina chinasi 2. I mitocondri non sono in grado di fornire l’energia necessaria alle cellule: da qui la grave debolezza muscolare e una serie di sintomi che possono coinvolgere la respirazione, la deambulazione, la deglutizione, fino alla perdita di queste capacità.
“Alla base del nostro impegno nelle malattie rare – afferma Federico Chinni, amministratore delegato di Ucb Pharma Italia – c’è la consapevolezza che molte di queste, spesso, sono patologie orfane, di interesse limitato per ricercatori e medici, per le quali non è disponibile una terapia. Scegliere di intraprendere questo percorso per Ucb ha significato impegnarsi con coraggio e responsabilità, per fare la differenza nella vita dei pazienti con patologie ancora poco conosciute e non idoneamente trattate. Il nostro obiettivo è quello di trasformare la vita di ogni singola persona con una malattia rara, sviluppando farmaci innovativi, migliorando la diagnostica ed esplorando nuovi approcci al trattamento”.
A tale proposito, continua l’Ad, “Ucb punta a realizzare programmi di ricerca orientati alla personalizzazione delle terapie attraverso l’identificazione delle caratteristiche genetiche, per rispondere alle esigenze specifiche dei singoli pazienti. Utilizzando nuove tecnologie sanitarie digitali, stiamo contribuendo a rimodellare il panorama di cosa significhi convivere con una malattia rara. Chi vive con una malattia rara sa che questa richiede una gestione spesso complessa e impegnativa per tutta la vita, soprattutto quando si tratta di bambini. Per questo l’azienda lavora a stretto contatto con tutti gli attori del sistema salute, per creare collaborazioni e partnership con comunità di esperti, associazioni di pazienti e medici, perché la voce dei malati sia sempre più presente, permettendo di trovare soluzioni ‘disegnate’ sulle loro necessità”.
Salute e Benessere
Lea non garantiti in 7 regioni, monitoraggio 2021


Livelli essenziali di assistenza non garantiti pienamente in 7 regioni: Provincia autonoma di Bolzano, Molise, Campania, Sicilia, Sardegna e soprattutto Valle d’Aosta e Calabria. E’ quanto emerge dal monitoraggio del ministero della Salute relativo al 2021. “La lettura dei risultati dell’anno 2021 per le tre macro-aree di assistenza (prevenzione, distrettuale, ospedaliera) evidenzia – si legge – ancora diverse criticità attribuibili, in parte, all’evento pandemico”.
Complessivamente, evidenzia il report, Piemonte, Lombardia, Provincia autonoma di Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Puglia e Basilicata raggiungono un punteggio superiore alla sufficienza (60) in tutte le macro-aree. Ottengono un punteggio inferiore, invece, in una macro-area Provincia autonoma di Bolzano (Prevenzione), Molise (Ospedaliera), Campania (Distrettuale) e Sicilia (Prevenzione); in due macro-aree la Sardegna (Distrettuale e Ospedaliera); in tutte le macro-aree Valle d’Aosta e Calabria.
In estrema sintesi, nel ‘capitolo’ Prevenzione, le coperture vaccinali in età pediatrica nel 2021 non raggiungono, a livello nazionale, il valore soglia fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità, pari al 95%; nello specifico, la copertura vaccinale nei bambini a 24 mesi per ciclo base contro polio, difterite, tetano, epatite B, pertosse e Hib aggiunge la soglia in 8 regioni, mentre la copertura contro morbillo, parotite e rosolia supera il 95% in 6 regioni. Per oltre la metà delle regioni decresce, rispetto al 2020, l’indicatore sintetico sugli stili di vita – si legge nel report – denotando una riduzione dei comportamenti a rischio per la salute. Gli indicatori sui controlli degli animali e degli alimenti registrano, mediamente, un miglioramento rispetto al periodo 2019-2020. Anche gli indicatori di screening migliorano, in media, rispetto al 2020.
Nell’area Distrettuale, la quota di prestazioni garantite entro i tempi diminuisce, rispetto all’anno precedente, in 11 regioni; continua la diminuzione del consumo di antibiotici. L’assistenza domiciliare integrata registra un generale aumento, ma presenta una situazione di variabilità tra regioni. Stessa situazione di variabilità si registra per la quota di anziani in trattamento residenziale con un aumento, in alcuni casi lieve, rispetto al 2020 in 13 regioni. Il numero di deceduti per tumori, assistiti dalla rete di cure palliative rimane stabile, ma solo 5 regioni sono sopra la soglia di sufficienza.
Sul fronte dell’assistenza ospedaliera, nel 2021 si assiste a un aumento del tasso di ospedalizzazione rispetto al 2020, pur non raggiungendo i livelli pre-pandemici. Si rileva anche un miglioramento della proporzione di interventi per tumore maligno della mammella in reparti con più di 135 parti. Il rapporto fra ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza e quelli non a rischio di inappropriatezza sembra stabile. Ad esempio, la percentuale di pazienti con più di 65 anni con diagnosi di frattura del collo del femore operati entro 2 giorni in regime ordinario è complessivamente stabile, con 9 regioni che registrano però un peggioramento rispetto al 2020. Nel 2021, la proporzione di tagli cesarei primari in strutture con meno di mille parti appare sostanzialmente stabile rispetto al 2020, mentre nelle strutture con più di mille parti si assiste a un miglioramento, in alcuni casi lieve, in 11 regioni.
Salute e Benessere
Tumori, esperti: “Con Rete screening polmonare possiamo salvare 5mila vite l’anno”

Oltre 15 mila volontari provenienti da tutte le regioni d’Italia già registrati nel database nazionale

Oltre 15 mila volontari provenienti da tutte le regioni d’Italia già registrati nel database nazionale, la metà di questi (oltre 7.000) è risultata eleggibile e 4.560 hanno già eseguito la Tac, mentre gli altri la faranno entro l’estate. È il primo bilancio a distanza di un anno dall’avvio dal Risp, Rete italiana screening polmonare (www.programmarisp.it) primo programma nazionale gratuito avviato un anno fa, sostenuto dal ministero della Salute e promosso dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano con la partecipazione di 18 centri in tutta Italia. Lo screening prevede il coinvolgimento gratuito di 10mila fumatori fra i 55 e i 75 anni, forti fumatori attuali oppure da meno di 15 anni, con l’offerta gratuita di tomografia computerizzata a basso dosaggio e un percorso di disassuefazione dal fumo con utilizzo del farmaco citisina. Obiettivi, salvare oltre 5mila vite ogni anno e standardizzare lo screening per la diagnosi precoce del tumore al polmone.
Nel 2022 – si legge in una nota – sono state stimate circa 43.900 nuove diagnosi di tumore al polmone, di cui 14.600 tra le donne. Questa è, ad oggi, la seconda neoplasia più frequente negli uomini e la terza nelle donne. L’obiettivo è quello di stimolare le Istituzioni a inserire questa tipologia di screening per la diagnosi precoce nei Livelli essenziali di assistenza. Tac spirale a basso dosaggio con supporto dell’intelligenza artificiale – prosegue la nota – è l’arma strategica nella diagnosi del tumore del polmone, ma anche per la prevenzione di patologie del sistema cardiovascolare e respiratorio.
“L’obiettivo – spiega Ugo Pastorino, direttore della Struttura complessa di Chirurgia toracica e coordinatore del programma Risp – è quello di dimostrare che è possibile ridurre la mortalità del tumore al polmone nei forti fumatori ad alto rischio grazie allo screening con Tomografia computerizzata a basso dosaggio per una diagnosi precoce e con un percorso di disassuefazione dal fumo che comprenda anche la somministrazione del farmaco citisina. E se i dati che otterremo ci confermeranno le nostre ipotesi, il prossimo step sarà quello di stimolare le Istituzioni a inserire questo approccio nei Livelli essenziali di assistenza, rendendo quindi rimborsabili con il Ssn sia la Tac a basso dosaggio sia i farmaci antifumo a scopo preventivo per coloro che sono ad alto rischio”.
Secondo gli ultimi dati Passi (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia) e Passi d’Argento, in Italia il 24% dei 18-69enni fuma e di questi, il 22% consuma più di un pacchetto di sigarette al giorno. “Il nostro Istituto è da sempre in prima linea nella lotta contro il fumo, e da anni siamo impegnati a promuovere programmi mirati a incentivare e sostenere i fumatori in percorsi di disassuefazione dalla sigaretta – spiega Marco Votta, presidente Int – Abbiamo inoltre istituito una campagna antifumo permanente per rendere l’ospedale smoke-free, anche con l’aiuto di immagini molto significative presenti in tutta la struttura, dall’ingresso all’atrio e nei corridoi”.
Nell’ambito del programma Ris, l’Int Milano si è fatto promotore della distribuzione della citisina
ai Centri aderenti al progetto – dettaglia la nota – Questo farmaco, fino ad ora disponibile solo in formulazione galenica, da oggi è in compresse preparate ad hoc, al momento solo per la somministrazione ai partecipanti allo studio. La citisina è un farmaco antifumo dai molti vantaggi, come ha dimostrato anche uno studio condotto da Int insieme all’Istituto Mario Negri di Milano e all’Università di Parma. “È un principio attivo ben tollerato, pressoché privo di effetti collaterali e che a differenza della nicotina non crea dipendenza – sostiene Roberto Boffi, responsabile della Pneumologia e del Centro antifumo dell’Int – Ha uno schema posologico che prevede una terapia di 40 giorni, con lo stop fumo previsto tra l’ottavo e il 14.esimo giorno, suddivisa in più assunzioni giornaliere a causa dell’emivita breve del principio attivo. Questo suo limite però può essere anche la sua carta vincente perché sostituisce la ritualità della sigaretta”.
Il Programma Risp prevede l’esecuzione della Tac spirale toracica a basse dosi di esposizione, in linea con i risultati degli ultimi studi condotti in Usa, Europa e Italia. Tutti ne hanno dimostrato l’efficacia nella diagnosi precoce del carcinoma polmonare. “Analizziamo i risultati della Tac con il supporto dell’Intelligenza artificiale che ci permette di ridurre i falsi positivi e, di conseguenza, interventi chirurgici per patologie benigne – evidenzia Nicola Sverzellati, direttore Uo Scienze radiologiche Aou di Parma e professore ordinario nel Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università degli Studi di Parma – Utilizziamo inoltre apparecchiature di ultima generazione che presentano un’elevata rapidità di esecuzione e, aspetto ancora più importante, l’esposizione a una dose minima di radiazioni, senza compromissione della qualità delle immagini”.
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