

Cronaca
Lockdown non vaccinati, Povia: “Ricatto illogico, anche vaccinati vanno in terapia intensiva”
“Un lockdown per soli non vaccinati come in Austria? E’ illogico e antiscientifico, dal momento che vaccinato o non, ti contagi lo stesso, contagi gli altri e finisci pure in terapia intensiva. Vedi Padova per esempio”. Così Giuseppe Povia all’Adnkronos commenta l’ipotesi anche in Italia di un lockdown per soli non vaccinati, come attuato dal governo austriaco nel tentativo di combattere la pandemia. Il riferimento dell’artista è al caso di Padova, dove si è scatenato un cluster di anziani tutti vaccinati in seguito ai festeggiamenti di una coppia per le nozze d’oro, quattro dei quali finiti in terapia intensiva.
“È un altro ricatto per costringere la gente a farsi questo ‘spikerman’ (il vaccino, ndr) che non è manco gratuito perché nell’Euro, tutto è debito che ricadrà futuro sui cittadini”, prosegue Povia, intercettato mentre sta per salire sul palco di una manifestazione no green pass a Savona. Totalmente contrario dunque all’eventualità il 48enne cantautore milanese. “Non la chiamo neanche dittatura. Viviamo in una tintocrazia schizofrenica”, conclude secco.
Cronaca
Cancro del polmone a piccole cellule, nuova terapia efficace negli over 65

Dati studio fase III Lagoon su molecola lurbinectedina presentati al Congresso Asco di Chicago

Una panoramica di studi sul tumore del polmone a piccole cellule (Sclc) in terapia con lurbinectedina è stata al centro delle presentazioni dell’azienda farmaceutica spagnola PharmaMar al Congresso di oncologia Asco (Società americana di oncologia medica), che si è appena concluso a Chicago. Di particolare interesse il trial internazionale Lagoon e un’indagine su pazienti over65. La lurbinectedina – riferisce una nota – è un inibitore della trascrizione oncogenica, attiva nei tumori dipendenti dalla trascrizione. Uno studio basket di fase II in pazienti con carcinoma polmonare a piccole cellule trattati con la molecola in seconda linea ha mostrato un tasso di risposta globale del 35,2% e una durata mediana della risposta di 5,3 mesi, con risposte durature (43,0% ≥ 6 mesi).
Sulla base di questi risultati – prosegue l’azienda – lurbinectedina ha già ottenuto l’approvazione accelerata da parte della Fda statunitense e in altri Paesi, tra cui la Svizzera. Per l’approvazione definitiva si attendono le risposte del trial Lagoon, studio di fase III che coinvolge 705 pazienti e circa 20 Centri italiani, con la valutazione di due bracci sperimentali (lurbinectedina da sola o con irinotecan) rispetto alla Investigator’s Choice (topotecan o irinotecan) come braccio di controllo in pazienti con recidive. Gli altri Centri di ricerca coinvolti vanno dall’Institut Gustave Roussy in Francia all’Hospital universitario 12 De Octubre di Madrid, dal Chuv University Hospital di Losanna all’Università di Manchester al Dana-Farber Cancer Institute di Boston.
I principali criteri di inclusione sono: età uguale o maggiore di 18 anni; diagnosi confermata di Sclc; una precedente linea di chemioterapia contenente platino con/senza anti-PD-(L)1 e con un periodo senza trattamento uguale o superiore al mese. I pazienti con metastasi al sistema nervoso centrale possono partecipare se pretrattati e radiologicamente stabili da almeno 4 settimane. Un Comitato indipendente per il monitoraggio dei dati supervisiona la conduzione dello studio. I risultati finali, se positivi – dettaglia la nota – porteranno all’approvazione definitiva negli Usa così da poter essere presentati anche all’Agenzia regolatoria del farmaco europea Ema.
Lo studio sugli ‘over 65’, invece, parte dal presupposto che il tumore del polmone a piccole cellule recidivo è una malattia difficile da trattare e un numero considerevole di pazienti è anziano con fragilità associata e numerose comorbilità. Questa analisi in particolare confronta lo studio che ha portato all’approvazione accelerata da parte della Fda di lurbinectedina ogni 3 settimane come terapia di seconda linea nel Sclc metastatico e lo studio Atlantis, che ha valutato la combinazione di lurbinectedina/doxorubicina come trattamento di seconda linea per Sclc rispetto a un braccio di controllo di topotecan/Cav.
Il risultato è che nei pazienti anziani – conclude la nota – la lurbinectedina sembra essere superiore allo standard di cura in termini di efficacia (maggiore tasso di risposta e maggiore durata della risposta e sopravvivenza globale) e di sicurezza (meno eventi avversi ematologici associati), il che ne rafforza il ruolo come opzione terapeutica in pazienti over65 con la recidiva Sclc.
Cronaca
Telemarketing selvaggio, Garante privacy confisca banche dati call center

Colpito il 'sottobosco' con sanzioni per le società coinvolte

Nuova azione del Garante privacy contro il telemarketing selvaggio. Confiscate per la prima volta banche dati di call center e colpito il ‘sottobosco’ con sanzioni per le società coinvolte. Da questa mattina vasta operazione finalizzata a notificare alcuni provvedimenti adottati dal Garante e, soprattutto, a confiscare le banche dati in uso ad alcune società che svolgevano attività illecite nel campo del telemarketing illegale, condotta dai finanzieri del Nucleo speciale tutela privacy e frodi tecnologiche di Roma, in collaborazione con i militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Verona.
Le società coinvolte nella vicenda sono state sanzionate (Mas Srls per 200.000 euro, Mas Srl 500.000 euro, Sesta Impresa Srl 300.000 euro, Arnia società cooperativa per 800.000 euro), e due di esse sono state colpite dal provvedimento di confisca che sottrae loro la base di dati utilizzata per effettuare le attività illecite. L’operazione si è svolta simultaneamente presso le sedi delle società interessate (nel veronese e in Toscana) e costituisce la prima occasione in cui il Garante dispone la confisca delle banche dati dei potenziali clienti.
L’utilizzo dello strumento della confisca è il segno di un ulteriore innalzamento della strategia di contrasto da parte dell’Autorità, che, da un lato, sta collaborando attivamente con gli operatori virtuosi del settore per la definitiva approvazione di un codice di condotta, ma, dall’altro, non riduce la propria attività di controllo e repressione del telemarketing illegale.
L’attività, scaturita da una segnalazione della Compagnia della Guardia di Finanza di Soave (Vr), ha permesso di individuare le quattro società interessate, oggetto di successivi accertamenti svolti dal Garante con il Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche. Le medesime sono state ritenute responsabili di una serie di attività in aperta violazione della normativa in materia di protezione dei dati personali. In particolare, quelle veronesi (Mas srl; Mas srls), mediante acquisizione di apposite liste illegalmente prodotte, contattavano decine di migliaia di soggetti, senza che questi avessero mai rilasciato il necessario consenso per il trattamento dei propri dati a fini di marketing, proponendo offerte commerciali di diverse compagnie energetiche, giungendo anche a proporre, dopo poco tempo, passaggi inversi fra queste, al fine di accrescere le proprie provvigioni.
I contratti così realizzati venivano poi girati alle due società toscane per l’indebito inserimento nel database delle compagnie, il tutto senza alcun formale incarico e in base a un sistema di distribuzione delle responsabilità in ambito privacy fittizio, meramente formalistico e con gravissime carenze nell’adozione di efficaci misure di sicurezza per la protezione dei propri sistemi.
Attività che, in sintesi, costituiscono una delle varie forme del c.d. “sottobosco”, più volte indicato dal Garante quale causa dell’odierna espansione del telemarketing illegale: un fenomeno che si alimenta con affidamenti ed attività al di fuori delle norme, ma anche per un insufficiente controllo da parte delle grandi aziende committenti. L’odierna operazione, frutto di un partenariato regolato dal protocollo d’intesa tra il Garante per la protezione dei dati personali e la Guardia di Finanza, si inserisce nel quadro del potenziamento delle linee di presidio della legalità, a tutela di tutti i cittadini, in un segmento tanto importante quanto delicato.
Cronaca
Patrizia Reggiani Gucci, dopo il raggiro in due patteggiano

A entrambi sono state concesse attenuanti per il comportamento processuale. Cinque a processo
Il gip di Milano Guido Salvini ha ratificato due patteggiamenti per l’avvocato Daniele Pizzi (due anni, pena sospesa), ex amministratore di sostegno di Patrizia Reggiani, ex vedova Gucci, per le accuse di peculato, circonvenzione di incapace e corruzione, e a 10 mesi e 20 giorni, pena sospesa, per Maria Angela Stimoli per il reato di circonvenzione di incapace. A entrambi sono state concesse attenuanti per il comportamento processuale e, in particolare, si sottolinea come Pizzi abbia anche risarcito il danno.
Secondo le indagini della Guardia di finanza di Milano gli otto indagati della vicenda (i due patteggiamenti sono il primo verdetto di questa storia), a vario titolo e con diversi ruoli, avrebbero sfruttato la condizione di salute di Silvana Barbieri (mamma della Reggiani, morta nel 2019) e delle difficoltà psicologiche della figlia Patrizia Reggiani, per distrarre a loro favore l’ingente patrimonio derivante dall’eredità della Barbieri, poi finito alla Reggiani. Per gli altri cinque imputati, tra cui Maurizio Giani avvocato ed esecutore testamentario, i pm hanno chiesto il processo. L’udienza preliminare sarà celebrata davanti al gup Anna Magelli.
Cronaca
Eredità Agnelli, tribunale Torino sospende decisione

Stop alla causa promossa da Margherita Agnelli contro i figli John, Lapo e Ginevra Elkann in attesa della definizione sulle cause pendenti in Svizzera

Il Tribunale di Torino ha accolto la richiesta avanzata dai legali dei fratelli John, Lapo e Ginevra Elkann e sospeso la causa successoria promossa contro di loro dalla madre, Margherita Agnelli, sull’eredità di famiglia. La sospensione è stata decisa in attesa che si formi il giudicato sulle cause svizzere pendenti a Ginevra e a Thun.
Dinanzi alle autorità svizzere sono, infatti, pendenti cause ove si discute circa la validità degli accordi del 2004 (in forza dei quali Margherita aveva transatto ogni questione relativa alla successione paterna e rinunciato, con atto notarile, a ogni pretesa successoria circa la successione paterna), nonché un’ulteriore causa ove si discute della validità dei testamenti di Marella Caracciolo Agnelli.
Secondo quanto si è appreso, la decisione del tribunale di Torino sarebbe stata assunta poiché i giudici subalpini riterrebbero che le sentenze svizzere potranno essere riconosciute ed avere ingresso in Italia anche nel caso in cui confermassero la validità del patto successorio stipulato con la madre da Margherita.
Per il tribunale torinese, infatti, l’ammissibilità di patti successori consentiti dalla legge estera, nel caso specifico la legge svizzera, non contrasterebbe con l’ordine pubblico italiano. Pertanto, il tribunale ha deciso lo stop all’azione legale promossa da Margherita accogliendo la proposta dei fratelli Elkann, difesi dagli avvocati Eugenio Barcellona e Carlo Re dello studio Pedersoli.
Cronaca
Farmaci, Ucb: nuovi dati bimekizumab in artrite psoriasica e spondiloartrite assiale

Presentati all’Eular 2023 risultati di 3 studi a lungo termine su anticorpo monoclonale

Nuovi dati su efficacia e sicurezza a lungo termine (52 settimane) di bimekizumab nell’artrite psoriasica e nella spondiloartrite assiale sono stati presentati all’Eular 2023, il Congresso europeo di Reumatologia che si è tenuto nei giorni scorsi a Milano. Si tratta – spiega in una nota Ucb, azienda biofarmaceutica multinazionale – dei risultati di tre studi di fase 3 – Be Complete, con il suo studio di estensione a lungo termine, Be Mobile 1 e BE Mobile 2 – che valutano l’efficacia e il profilo di sicurezza di bimekizumab, un inibitore dell’IL-17A e dell’IL-17F, in adulti affetti rispettivamente da artrite psoriasica attiva (PsA), spondiloartrite assiale attiva non radiografica (nr-axSpA) e spondilite anchilosante (SA) attiva, nota anche come axSpA radiografica.
Bimekizumab è un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato progettato per inibire selettivamente sia l’interleuchina 17A (Il-17A), che l’interleuchina 17F (Il-17F), due citochine chiave alla base dei processi infiammatori. Nell’agosto 2021 è stato approvato per la prima volta nell’Unione Europea (Ue/Eea) e in Gran Bretagna, per il trattamento della psoriasi a placche da moderata a grave negli adulti candidati alla terapia sistemica: non è ancora stato approvato da nessuna autorità regolatoria mondiale per le indicazioni sopracitate.
“L’artrite psoriasica e la spondiloartrite assiale – afferma Emmanuel Caeymaex, Executive Vice President, Immunology e U.S. Solutions di Ucb – sono malattie infiammatorie croniche e progressive che richiedono una gestione a lungo termine. I nuovi dati a lungo termine di bimekizumab presentati all’Eular 2023 hanno mostrato risposte cliniche sostenute fino ad un anno in diverse manifestazioni della malattia e popolazioni di pazienti. Questi risultati – aggiunge – rafforzano la nostra fiducia in bimekizumab come potenziale nuovo futuro trattamento per i pazienti affetti da artrite psoriasica e spondiloartrite assiale”.
In particolare, nei pazienti con artrite psoriasica attiva con precedente risposta inadeguata agli inibitori del fattore di necrosi tumorale (Tnfi-Ir) – spiega la nota – i risultati chiave a 52 settimane dello studio di estensione in aperto Be Complete (Be Vital) si sono basati sui dati a 16 settimane dello studio Be Complete e su quelli a 52 settimane dello studio Be Optimal. “I dati a lungo termine di Be Complete – spiega Iain McInnes, dell’Università di Glasgow, College of Medicinal Veterinary and Life Sciences – hanno dimostrato che oltre 6 pazienti su 10 trattati (65,9%) in modo continuativo con bimekizumab hanno ottenuto una completa clearance cutanea (Pasi 100) e che quasi 1 su 2 (47,2%) presentava un’attività minima di malattia (Mda) alla 52esima settimana. Questi risultati – continua – integrano quelli precedentemente riportati a 52 settimane dallo studio Be Optimal ed evidenziano la risposta costante e duratura osservata con bimekizumab sia nei pazienti con artrite psoriasica naïve ai biologici, che in quelli con esperienza con gli inibitori del Tnf”.
Nell’arco di 52 settimane – dettaglia la nota – il 62,6% dei pazienti trattati con bimekizumab ha avuto almeno un evento avverso causato dal trattamento (Teae – Treatment emergent adverse events) e il 5,9% ha riportato un Teae grave. Infezioni da Candida sono state riportate dal 6,4% dei pazienti trattati. Tutti i casi sono stati riferiti come lievi o moderati e nessuno riportato come sistemico.
Sulla spondiloartrite assiale attiva (axSpA) sono stati presentati i risultati a 52 settimane degli studi di Fase 3 – Be Mobile 1 e Be Mobile 2 – che hanno valutato l’effetto di bimekizumab sulle lesioni infiammatorie delle articolazioni sacroiliache e della colonna vertebrale, misurate oggettivamente con la risonanza magnetica (Mri) e sulle principali manifestazioni periferiche. I dati – informa Ucb – si basano sui risultati a 16 e 52 settimane di Be Mobile 1 e Be Mobile 2 annunciati in precedenza.
“Il trattamento con bimekizumab rispetto al placebo – ricorda Xenofon Baraliakos, professore di medicina interna e reumatologia alla Ruhr-University di Bochum – ha ridotto l’infiammazione della colonna vertebrale e delle articolazioni sacroiliache rilevata dalla risonanza magnetica. Nei due studi, circa un paziente su due con infiammazione alla risonanza magnetica al basale ha ottenuto una remissione alla 16esima settimana, mantenuta fino alla 52a settimana”.
Per quanto riguarda l’infiammazione della colonna vertebrale, in Be Mobile 1, il 40 %dei pazienti con infiammazione al basale che hanno ricevuto bimekizumab in modo continuativo e il 27,3% di coloro che sono passati dal placebo a bimekizumab alla settimana 16 hanno raggiunto la remissione (Berlin Spine≤2); in Be Mobile 2, il 76,7% dei trattati in modo continuo e il 62,5% di chi è passato dal placebo al farmaco alla settimana 16 hanno raggiunto la remissione. Inoltre, la risoluzione dell’entesite (Entesite della Spondilite Anchilosante di Maastricht=0) alla settimana 52 si è registrata, in Be Mobile 1, nel 54,3% dei pazienti trattati in modo continuativo e nel 44,6% di coloro che sono passati da placebo al farmaco alla settimana 16; in Be Mobiule 2, le percentuali sono diventate rispettivamente del 50,8% e 46,3%. Infine, la risoluzione dell’artrite periferica (Swollen Joint Count=0) si è avuta, alla settimana 52 , in Be Mobile 1, nel 62% dei trattati continuativamente e nel 65,1% di quelli trattati dalla settimana 16; in Be Mobile 2, i valori sono risultati 72,7% e 81,8% .
In questo pool di dati, con esposizione totale a bimekizumab di 2.034,4 anni-paziente, il 15,3% dei soggetti ha avuto una storia di uveite. Tutti i Teae da uveite riportati – conclude la nota – erano di grado lieve o moderato e un evento ha portato all’interruzione del trattamento.
Cronaca
Caos procure, giudici Perugia: ”Palamara ha agito fuori da poteri sue funzioni”


“Appare corretto ritenere che Luca Palamara, operando come mediatore presso terzi, abbia agito sì spendendo l’influenza derivante dalla sua posizione e dal suo ruolo (o meglio, dai vari importanti ruoli ricoperti nel periodo di riferimento), ma comunque al di fuori dell’esercizio dei poteri tipici inerenti alle specifiche funzioni di volta in volta esercitate”. E’ quanto scrivono i giudici del Tribunale di Perugia nelle motivazioni della sentenza con cui il 30 maggio scorso hanno accolto la richiesta di patteggiamento a un anno per l’ex magistrato Luca Palamara. L’accusa iniziale di corruzione è stata riqualificata poi dalla procura di Perugia, con il procuratore capo Raffaele Cantone e i pm Gemma Miliani e Mario Formisano, in traffico di influenze illecite.
“Da quanto si evince dal compendio probatorio in atti, l’attività di mediazione svolta da Luca Palamara è stata certamente finalizzata ad inquinare la funzione dei terzi pubblici agenti – sottolineano i giudici – con cui egli aveva rapporti (o comunque era in grado di allacciarli senza difficoltà), compromettendone l’uso del potere discrezionale. L’attività di mediazione illecita ascrivibile all’odierno imputato è consistita, sempre alla luce delle emergenze processuali, nel promettere di acquisire, anche tramite soggetti terzi a lui legati da rapporti professionali o di amicizia, informazioni anche riservate sui procedimenti in corso ed in particolare, su quelli pendenti presso la Procura della Repubblica di Messina e di Roma che coinvolgevano Centofanti, Amara e Calafiore; nonché nel promettere di influenzare anche per il tramite di rapporti con altri consiglieri del Consiglio Superiore della Magistratura, le nomine e gli incarichi da parte del Consiglio medesimo e le decisioni del predetto organo”.
Luca Palamara “in forza sia del suo ruolo di Sostituto Procuratore della Repubblica presso un ufficio rilevante come quello romano, sia per le cariche associative nel tempo ricoperte, sia infine per aver fatto parte del Consiglio Superiore della Magistratura – scrivono i giudici – era uomo dalle molteplici conoscenze, in grado di muoversi agevolmente sia all’interno degli ambienti giudiziari che di quelli politici. Il suo ruolo nell’ambito dell’Anm e del Csm lo aveva reso inoltre influente nei confronti dei colleghi (sia quelli appartenenti alla sua stessa corrente, sia esponenti di altri gruppi, con i quali intratteneva comunque rapporti cordiali e spesso amichevoli) e quindi in grado di procurarsi, essendo ritenuto persona affidabile, anche notizie riservate su procedimenti in corso”.
“Come si evince dalle intercettazioni, molti erano i magistrati, anche di altri uffici e/o sedi giudiziarie, che si rivolgevano a Luca Palamara per avere anticipazioni sulle future determinazioni consiliari o per chiedergli di ‘caldeggiare’ domande avanzate per uffici direttivi o semi-direttivi. Egli era una fonte sicura di consigli, tranquillizzava e rassicurava gli interlocutori, anche grazie ad un modo di porsi certamente empatico ed accattivante. Aveva, così facendo, costruito intorno a sé una ‘rete’ di relazioni interne alla magistratura, che andava a saldarsi con quella delle relazioni esterne, anch’esse coltivate assiduamente nel corso degli anni, coinvolgente politici, imprenditori, nonché personaggi del mondo dell’informazione e perfino dello spettacolo. Un siffatto personaggio – sottolineano i giudici – era ‘prezioso’ per l’amico Centofanti proprio per le caratteristiche sopra evidenziate. Era per lui ‘quello su cui contare’ per districarsi in situazioni che coinvolgevano (lui stesso o soggetti a lui vicini) gli ambienti giudiziari, romani e non”.
“Ovviamente, Luca Palamara non era, in ogni caso, in grado di assicurare il risultato sperato, così come la sua spendita di influenza non era sempre finalizzata a scopi illeciti. Tuttavia – si legge nella sentenza – resta indubbio che il carattere illecito delle condotte in punto di fatto contestate all’imputato Palamara (e comprovate, nella loro materialità, dal compendio delle acquisizioni processuali) risiede, a prescindere dal risultato sperato o ottenuto, dal fatto che un pubblico ufficiale abbia ‘venduto’ la propria influenza presso altri pubblici agenti. E’ dunque la stessa mediazione a costituire un atto contrario ai doveri di ufficio, integrando così appieno il disvalore penale tutelato dalla norma incriminatrice”.
Cronaca
Caso Orlandi, memoria avv. Sgrò: “Commissione arenata al Senato, clima è cambiato”

Il legale della famiglia di Emanuela: "Pietro non voleva offendere Wojtyła, parole strumentalizzate"

“Il 23 marzo scorso la Camera ha votato all’unanimità la proposta di legge per l’istituzione di una Commissione bicamerale di inchiesta sulle scomparse di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori. All’unanimità”. Lo afferma il legale della famiglia Orlandi, Laura Sgrò, in una memoria consegnata alla I Commissione al Senato che oggi ha svolto, in Ufficio di presidenza, delle audizioni informali nell’ambito della discussione sull’istituzione della Commissione parlamentare di inchiesta sui casi Orlandi-Gregori sottolineando che “sono passati due mesi e mezzo da quel voto e la proposta di legge sembra essersi arenata al Senato. Prima gli emendamenti, che vorrebbero ridurre la durata della Commissione, adesso queste audizioni. Il clima evidentemente è cambiato”.
“E tante cose, intanto, abbiamo letto sulla stampa. Prima fra tutte – probabilmente la questione principale, se non l’unica – le presunte accuse di Pietro Orlandi al Papa Santo. Accuse che non ci sono state – osserva l’avvocato Sgrò – Pietro Orlandi non ha mai inteso offendere la memoria di Giovanni Paolo II. Lo aveva anche scritto nella sua memoria consegnata al promotore di giustizia vaticano, glielo ha detto quando è stato ascoltato l’11 aprile scorso e lo ha sempre ripetuto a chiunque glielo chiedesse. Si è reso disponibile, mio tramite, immediatamente a chiarire al promotore di giustizia qualunque fraintendimento a seguito delle polemiche che hanno fatto il giro del mondo”.
“Abbiamo tutti udito le parole di Papa Francesco al Regina Coeli che difendeva la memoria di Giovanni Paolo II. E tutti gli abbiamo dato ragione – ha osservato l’avvocato – Anche Pietro Orlandi ha riferito che bene faceva il Santo Padre a difendere il Papa Santo. Non era stato lui, infatti, ad accusare Giovanni Paolo II, ma un audio di un sodale della banda della Magliana, audio che Pietro Orlandi aveva consegnato al promotore di giustizia nel corso del suo interrogatorio e che insieme avevano ascoltato”.
“L’audio, orribile, ingiurioso non solo nei confronti di Giovanni Paolo II, ma anche di una ragazzina di appena quindici anni, vilipesa, oltraggiata, descritta come la peggiore delle donne, non è interessato quasi a nessuno; una mezza frase di Pietro Orlandi, invece – sottolinea l’avvocato – è stata manipolata, strumentalizzata, cucita in mezzo a tanti discorsi in cui il suo nome non era mai stato fatto ed è diventata il capo di imputazione da cui ha dovuto difendere sé stesso e anche la sua battaglia alla ricerca della sorella. Nessuna spiegazione, nessuna precisazione è bastata. Pietro Orlandi è finito sul banco degli imputati”.
“Ci si è dimenticati di Emanuela e sono fiorite le polemiche, le strumentalizzazioni. Tante cose sono state dette, qualcuno, si mormora, abbia persino festeggiato per l’affossamento della commissione di inchiesta, e altrettante ne sono state scritte – prosegue l’avvocato – Troppe”.
“E’ possibile che il Parlamento di un Paese laico cambi vedute a causa di una singola affermazione, peraltro assai strumentalizzata, di un solo familiare di una scomparsa? Appena una dichiarazione fuori posto in quaranta penosi anni vissuti cercando un amato congiunto? Un congiunto, poi, la cui sparizione è da addebitarsi, suo malgrado, di volta in volta, al terrorismo, alla criminalità organizzata, alla pedofilia o addirittura a riti satanici? Una sola uscita basterebbe, quindi, a fermare la volontà dei partiti politici dopo che si erano espressi all’unanimità alla Camera a favore della istituzione della Commissione d’inchiesta? No. Non può bastare”, osserva ancora Sgro’.
Cronaca
Caso Orlandi, promotore Vaticano: “Commissione ora sarebbe intromissione”

Diddi al Senato: "Pernicioso per genuinità indagini aprirne una terza". Lo Voi: "Perplesso". Pietro Orlandi: "Parole Diddi non mi sono piaciute"

“In questo momento delle indagini, aprire una terza indagine, che segue logiche, diverse sarebbe una intromissione e pernicioso per la genuinità di ciò che stiamo conducendo”. Lo ha detto Alessandro Diddi, promotore di Giustizia del Vaticano, sentito davanti all’Ufficio di presidenza della I Commissione del Senato nell’ambito della discussione per l’istituzione di una Commissione di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, riferendo la sua opinione sull’istituzione di tale organismo parlamentare.
“Noi abbiamo tutto l’interesse a contribuire, ove possibile, alla ricerca della verità. In questi anni sono stati scritti e sono state dette tante cose. Il mandato che ho ricevuto è quello di dare ampia e totale incondizionata assistenza all’autorità giudiziaria italiana”, ha ribadito Diddi.
Scettico anche il procuratore di Roma Francesco Lo Voi che davanti all’Ufficio di presidenza della I Commissione del Senato ribadendo che l’isituzione della Commissione “non può che essere una scelta del Parlamento” ha lanciato un “appello sincero affinché si possa ottenere il massimo della garanzia consentito per evitare di offrire palcoscenici”.
Rispetto all’istituzione della Commissione, Lo Voi ha espresso una possibile preoccupazione e “imbarazzo” che potrebbe nascere dalla “possibilità di offrire palcoscenici a qualcuno che probabilmente già in passato ne ha fatto uso”. Per questo ha detto di confidare “davvero sulla cautela”.
Cronaca
Vendita di navi militari alla Colombia, per D’Alema ruolo di “mediatore informale”

Otto le persone indagate dalla Procura di Napoli. Con l'ex premier, anche l’ex amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo

Sono 8 le persone indagate dalla Procura di Napoli per la presunta intermediazione per la vendita alla Colombia di navi, sommergibili e aerei militari prodotti da Fincantieri e Leonardo. Oltre all’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema e all’ex ad di Leonardo Alessandro Profumo, sono indagati i due broker pugliesi Francesco Amato, 39 anni, ed Emanuele Caruso, 44 anni, l’ex responsabile della Divisione Navi militari di Fincantieri Giuseppe Giordo, 58 anni, il commercialista Gherardo Gardo, 52 anni, Giancarlo Mazzotta, 53 anni, e Umberto Claudio Bonavita, 50 anni.
Secondo la Procura partenopea, si legge nel decreto di perquisizione eseguito oggi dalla Digos, Francesco Amato ed Emanuele Caruso “operavano quali consulenti per la cooperazione internazionale del Ministero degli Esteri della Colombia” e, “tramite Giancarlo Mazzotta, riuscivano ad avere contatti con Massimo D’Alema, il quale per il curriculum di incarichi anche di rilievo internazionale rivestiti nel tempo (ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli Esteri), si poneva quale mediatore informale nei rapporti con i vertici delle società italiane, ossia Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo e Giuseppe Giordo quale direttore generale della Divisione Navi Militari di Fincantieri”.
L’operazione, si legge ancora nel decreto di perquisizione, “era volta a favorire ed ottenere da parte delle autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le forniture e il cui complessivo valore economico ammontava a oltre 4 miliardi di euro”. Per ottenere ciò, secondo i pm napoletani, Amato e Caruso “offrivano e comunque promettevano ad altre persone, che svolgevano funzioni e attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio presso le autorità politiche, amministrative e militari della Colombia, il corrispettivo illecito della somma di 40 milioni di euro, corrispondenti al 50% della complessiva provvigione di 80 milioni di euro prevista quale ‘success fee’, determinata nella misura del 2% del complessivo valore di 4 miliardi di euro delle due commesse in gioco e da corrispondersi in modo occulto”.
La somma complessiva di 80 milioni di euro “era in concreto da ripartirsi tra la ‘parte colombiana’ e la ‘parte italiana’ attraverso il ricorso allo studio legale associato americano Robert Allen Law, con sede in Miami (segnalato ed introdotto dal D’Alema quale agent e formale intermediario commerciale presso Fincantieri e Leonardo) rappresentato in Italia e per la specifica trattativa da Umberto Bonavita e Gherardo Gardo”.
Lo studio legale si sarebbe adoperato “per la predisposizione e la sottoscrizione della contrattualistica simulatoria e formalmente giustificativa della transazione finanziaria e dei veicoli societari, bancari e finanziari in concreto predisposti per il transito, la ripartizione e la finale distribuzione della somma, a cui non faceva infine seguito la formalizzazione dei contratti per l’intervenuta interruzione delle trattative a causa della mancata intesa sulla ulteriore distribuzione della predetta somma tra le singole persone fisiche costituenti la ‘parte italiana’ e la ‘parte colombiana'”.
Cronaca
Navi e aerei alla Colombia, D’Alema e Profumo indagati: eseguite perquisizioni

Secondo l'ipotesi della Procura di Napoli, l'ex premier si sarebbe adoperato per mettere in contatto due broker pugliesi con Leonardo e Fincantieri. Otto in tutto gli indagati

Massimo D’Alema e Alessandro Profumo sono tra le 8 persone indagate dalla Procura di Napoli per la presunta intermediazione per la vendita alla Colombia di navi, sommergibili e aerei militari prodotti da Fincantieri e Leonardo. Oltre all’ex presidente del Consiglio e all’ex ad di Leonardo, sono indagati i due broker pugliesi Francesco Amato, 39 anni, ed Emanuele Caruso, 44 anni, l’ex responsabile della Divisione Navi militari di Fincantieri Giuseppe Giordo, 58 anni, il commercialista Gherardo Gardo, 52 anni, Giancarlo Mazzotta, 53 anni, e Umberto Claudio Bonavita, 50 anni. Secondo l’ipotesi della Procura partenopea, l’ex premier si sarebbe adoperato per mettere in contatto due broker pugliesi (già precedentemente iscritti nel registro degli indagati) con Leonardo e Fincantieri.
Nell’ambito delle indaginiè stato eseguito dalla Digos di Napoli un decreto di perquisizione nelle abitazioni e negli uffici di Massimo D’Alema e di Profumo. Perquisizioni sono state eseguite anche nei confronti di Gianluca Giordo. Nel decreto di perquisizione si legge che Francesco Amato ed Emanuele Caruso “operavano quali consulenti per la cooperazione internazionale del Ministero degli Esteri della Colombia” e, “tramite Giancarlo Mazzotta, riuscivano ad avere contatti con Massimo D’Alema, il quale per il curriculum di incarichi anche di rilievo internazionale rivestiti nel tempo (ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli Esteri), si poneva quale mediatore informale nei rapporti con i vertici delle società italiane, ossia Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo e Giuseppe Giordo quale direttore generale della Divisione Navi Militari di Fincantieri”.
Ammonta a oltre 4 miliardi di euro il valore economico delle forniture sulle quali si sono concentrate le indagini della Procura di Napoli. Gli indagati, si legge nel decreto, si sarebbero “a vario titolo adoperati quali promotori dell’iniziativa economica commerciale di vendita al Governo della Colombia di prodotti delle aziende italiane a partecipazione pubblica Leonardo (in particolare aerei M 346) e Fincantieri (in particolare corvette, piccoli sommergibili e allestimento cantieri navali), al fine di favorire ed ottenere da parte delle Autorità colombiane, la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le descritte forniture ed il cui complessivo valore economico ammontava a oltre quattro miliardi di euro”.
Per ottenere ciò, secondo i pm napoletani, Amato e Caruso “offrivano e comunque promettevano ad altre persone, che svolgevano funzioni e attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio presso le autorità politiche, amministrative e militari della Colombia, il corrispettivo illecito della somma di 40 milioni di euro, corrispondenti al 50% della complessiva provvigione di 80 milioni di euro prevista quale ‘success fee’, determinata nella misura del 2% del complessivo valore di 4 miliardi di euro delle due commesse in gioco e da corrispondersi in modo occulto”.
La somma complessiva di 80 milioni di euro “era in concreto da ripartirsi tra la ‘parte colombiana’ e la ‘parte italiana’ attraverso il ricorso allo studio legale associato americano Robert Allen Law, con sede in Miami (segnalato ed introdotto dal D’Alema quale agent e formale intermediario commerciale presso Fincantieri e Leonardo) rappresentato in Italia e per la specifica trattativa da Umberto Bonavita e Gherardo Gardo”.
Lo studio legale si sarebbe adoperato “per la predisposizione e la sottoscrizione della contrattualistica simulatoria e formalmente giustificativa della transazione finanziaria e dei veicoli societari, bancari e finanziari in concreto predisposti per il transito, la ripartizione e la finale distribuzione della somma, a cui non faceva infine seguito la formalizzazione dei contratti per l’intervenuta interruzione delle trattative a causa della mancata intesa sulla ulteriore distribuzione della predetta somma tra le singole persone fisiche costituenti la ‘parte italiana’ e la ‘parte colombiana'”.
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