Esteri
Eruzione vulcano in Islanda, lo scrittore Pagani:...
Eruzione vulcano in Islanda, lo scrittore Pagani: ”Tragedia scampata, escluso caos voli come nel 2010”
''Quattromila sfollati da Grindavík, ma nessun pericolo imminente per la popolazione''
E' ''un cielo rosso sangue'' quello che Roberto Luigi Pagani vede dal balcone della sua casa di Reykjavik, venti chilometri in linea d'aria dall'eruzione del vulcano sulla penisola di Reykjanes, nel sud est dell'Islanda. Un misto di ''ansia ed emozione'' quello che racconta di provare il medievalista, tanto innamorato dell'Islanda da decidere di trasferircisi nel 2014 per ''studiarla e raccontarla''. Ad Adnkronos ora racconta di una tragedia scampata, perché ''proprio ieri le autorità stavano valutando di far rientrare gli abitanti di Grindavík, importante centro ittico che era stato completamente evacuato da settimane''. Un villaggio di pescatori ora distrutto dalle scosse di terremoto e dall'attività eruttiva, con ''quattromila sfollati che hanno perso la casa'', ma sono tutti illesi.
Scrittore e autore della travel guide 'Iceland' per il National Geographic spiega che ''non c'è un pericolo immediato per la popolazione della capitale'' e nemmeno rischia di ripetersi il caos voli causato nell'aprile del 2010 dall'eruzione del vulcano islandese Eyjafjöll. A ridosso delle vacanze natalizie, quindi, ''il traffico aereo non dovrebbe essere impattato perché l'eruzione è avvenuta sotto un terreno lavico e non sotto il ghiaccio''. Quindi anche se ''il vulcano si trova vicino all'aeroporto internazionale'' la differenza fondamentale, indica, è che ''allora si trattava di un'eruzione di tipo esplosivo sotto una calotta glaciale'' e ''l'interazione tra ghiaccio e magma crea esplosioni di cenere che è pericolosa per gli aerei'', mentre questa volta ''è un'eruzione di tipo effusivo e non c'è ghiaccio o acqua a contatto con questa lava, quindi la lava sgorga senza produrre cenere''. Per cui ''gli aerei sorvolano il vulcano tranquillamente e atterrano, partono.. magari ci saranno ritardi perché la situazione va monitorata, ma non è un pericolo per i voli''.
Quello che potrà accadere, nel caso di una ''eruzione prolungata nel tempo e con emissioni significative è che venga invasa la strada che collega la capitale all'aeroporto''. Pagani spiega che ''nelle scorse settimane sono state valutate delle opzioni'' per rispondere a questa eventualità, tra cui ''affittare delle pompe dagli Stati Uniti per poter creare dei muri di lava che facciano deviare il corso in modo da risparmiare la strada''. Quindi ''ci sono diverse strategie, ma non è possibile prepararsi in anticipo con piani d'azione perché le variabili sono talmente tante da rendere impossibile prevedere le casistiche e inutile fare piani''. Certo è, hanno spiegato i geologi, ''l'eruzione attuale è molto potente, con una quantità di lava superiore come emissione al secondo rispetto alle eruzioni degli scorsi tre anni''. Per quelle si parlava di eruzioni ''turistiche perché non esplosive e non pericolose''.
Questa volta è diverso, ''ieri sera alla televisione hanno ripetuto duecento volte alla popolazione di non avvicinarsi perché si era già creata una coda spaventosa di curiosi e hanno dovuto chiudere la strada dall'aeroporto'', spiega Pagani. Ma ''la situazione non è stabile per cui può rivelarsi pericolosa''. Originario di Cremona e già professore a contratto presso l'Háskóli Íslands, Pagani descrive il ''fatalismo ottimista degli islandesi'', che attendono di vedere l'evoluzione dell'eruzione, e delle autorità che ''non hanno un piano d'azione perché il vulcano non si può prevedere''. Prima dell'eruzione del vulcano, che si trova a ''soli due chilometri dal centro termale geotermico Blue Lagoon, c'è stata una corsa contro il tempo, il tentativo di completare gli sbarramenti per arginare un'eventuale colata lavica'', ma i piani sono andati all'aria, ''non è facile prepararsi in anticipo''.
Esteri
Russia, 2mila mercenari dal Nepal in guerra:...
Spinti a combattere dalla povertà, ora cercano disperatamente di tornare
Circa 2mila nepalesi sono stati reclutati dalla Russia per combattere nella guerra in Ucraina. Alcuni di loro, spinti dalla povertà e dalla promessa di stipendi da favola per i loro standard, hanno denunciato di aver subito un trattamento pessimo al fronte e ora cercano disperatamente di tornare a casa. Ganesh, 35 anni, è uno dei pochi ad esserci riuscito.
In un'intervista a Sky News ha dichiarato di aver combattuto quattro mesi e mezzo nel Donetsk e ha sostenuto che i nepalesi venissero "trattati come cani". Nel periodo al fronte, ha detto da Kathmandu, "siamo stati attaccati dai droni ed è stato terrificante".
L'uomo, che si dice sollevato ma traumatizzato dalla sua esperienza in prima linea, ha raccontato che all'inizio è stato portato nel centro di addestramento Avangard, un'accademia militare fuori Mosca, dove è rimasto per due settimane. Ganesh aveva già un'esperienza di 10 anni nell'esercito indiano, ma molti altri al suo fianco erano giovani e inesperti. Alcuni non avevano mai impugnato un'arma prima.
Finito l'addestramento, ha proseguito, c'è stato un cambiamento netto nel modo in cui venivano trattati i mercenari stranieri, che sono stati improvvisamente gettati nel conflitto. "Durante le prime due settimane di addestramento, la vita andava bene - ha affermato - Ma una volta mandati in Ucraina, non avevamo abbastanza cibo e siamo stati picchiati dai russi. È stato davvero brutto".
Il destino dei mercenari
Secondo Ganesh, i nepalesi erano considerati carne da cannone. "I soldati russi erano dietro di noi. In prima linea c'erano i mercenari", ha aggiunto, descrivendo come al fronte ci fossero criminali russi, nepalesi e indiani davanti all'esercito. Il mercenario ha visto tre nepalesi uccisi sul campo di battaglia, ma ha sentito parlare di molte altre vittime.
Ganesh ha quindi spiegato come è finito a combattere in Ucraina, dicendo che faceva fatica a trovare lavoro e quando è andato da un agente per un posto in Lussemburgo, quello gli ha suggerito di andare invece in Russia perché era "piena di opportunità".
Ganesh ha quindi dovuto chiedere un prestito e pagarsi un milione di rupie nepalesi (quasi 7mila euro) per viaggiare fino a Mosca via Dubai con un visto turistico. Lo stipendio medio mensile nepalese equivale a meno di 175 euro. Ma l'agente gli aveva promesso che ne avrebbe potuti guadagnare quasi 2mila se si fosse unito alla campagna del Cremlino. Una volta in Russia ha dovuto pagare un altro agente quasi mille euro solo per essere portato al campo di addestramento.
Sky precisa che la cifra di 2mila nepalesi reclutati dall'esercito russo si basa sulle testimonianze dei soldati di ritorno, nonché sui dati dell'immigrazione russa. Molti nepalesi hanno riferito di aver ricevuto visti per studenti o turisti per raggiungere la Russia e il governo di Kathmandu è stato costretto a intervenire dato che per i cittadini del Paese himalayano è illegale combattere per gli eserciti stranieri.
A gennaio il governo ha vietato ai suoi cittadini di recarsi in Russia o Ucraina per lavoro e ha chiesto a Mosca di rimpatriare tutti i nepalesi reclutati. Inoltre ha dichiarato 'guerra' agli agenti che favoriscono il reclutamento e l'ingresso in Russia, con la polizia che ha già arrestato 22 sospetti.
Esteri
Israele-Gaza, Cina in campo per mediare: incontro con Hamas
In missione un inviato di Pechino che ha visto Haniyeh
La Cina di Xi Jinping vuole farsi sempre più avanti come mediatore di pace. E' diventata sempre più esplicita nella sua opposizione alla guerra a Gaza. E ha anche sfruttato il conflitto come piattaforma per manifestare la sua solidarietà con il mondo arabo e il Sud Globale, sempre pronta a mostrarsi in opposizione agli Stati Uniti. Anche se non è chiaro quanto spazio abbia il gigante asiatico per giocare un ruolo forte nella regione. La Cnn legge così l'incontro di domenica scorsa in Qatar tra un diplomatico cinese e il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh.
L'incontro dell'inviato di Pechino con un leader di Hamas
E' la prima volta dall'inizio del conflitto a Gaza, che Pechino conferma un faccia a faccia di questo genere. Protagonista con il leader politico di Hamas, è stato Wang Kejian, diplomatico cinese che era già stato in Israele e in Cisgiordania, la prima missione del genere di un inviato di Pechino di cui si ha notizia dall'attacco del 7 ottobre in Israele e dall'inizio delle operazioni militari israeliane nell'enclave palestinese.
Haniyeh e Wang, ex ambasciatore in Libano, "hanno avuto uno scambio di vedute sul conflitto a Gaza e altre questioni", si è limitato a rendere noto stamani il ministero degli Esteri di Pechino. Presente all'incontro l'ambasciatore cinese in Qatar, Cao Xiaolin, evidenzia la Cnn sottolineando come Hamas affermi di aver avuto un incontro con Cao il mese scorso. Del faccia a faccia con Wang il gruppo ha fatto sapere che Haniyeh ha espresso apprezzamento per "il ruolo della Cina al Consiglio di Sicurezza, in seno alle Nazioni Unite e alla Corte internazionale di giustizia".
Haniyeh ha insistito sulla "necessità di fermare rapidamente l'aggressione e i massacri", sulla richiesta di ritiro delle forze israeliane da Gaza, ribandendo la volontà di "raggiungere gli obiettivi politici e le aspirazioni per la creazione di uno stato palestinese indipendente".
La strategia della Cina
Wang, evidenzia la Cnn, si trova nella regione almeno dal 10 marzo, quando ha incontrato interlocutori in Egitto, prima di spostarsi in Cisgiordania, poi in Israele e in Qatar. Un tour che non era stato annunciato da Pechino, che dopo l'attacco del 7 ottobre in Israele non aveva citato né condannato Hamas e che da allora ha denunciato il conflitto e sostenuto a gran voce la necessità di un cessate il fuoco immediato e di concretizzare la soluzione dei due stati.
In Cisgiordania, nei giorni scorsi, Wang ha incontrato il ministro degli Esteri dell'Autorità palestinese, Riyad al-Maliki. Pechino insiste sulla soluzione dei due Stati, una politica ripetuta da Pechino che però, come osserva la Cnn, non è chiaro quante possibilità abbia di giocare un ruolo forte a sostegno di uno stato palestinese indipendente e che critica Israele per le condizioni dei palestinesi mentre viene a sua volta messa sotto accusa per gli abusi dei diritti umani ai danni delle minoranze, in particolare nel Xinjiang (accuse sempre respinte dal gigante asiatico).
In Israele Wang ha visto funzionari del ministero degli Esteri, insistendo - sempre secondo i resoconti ufficiali degli incontri arrivati da Pechino - sulla priorità di un "cessate il fuoco completo, della fine della guerra, della garanzia di aiuti umanitari e protezione per i civili".
Dal 7 ottobre i funzionari cinesi, ricorda la Cnn, avevano avuto altri contatti con interlocutori israeliani e palestinesi, anche quando a novembre Pechino ha ospitato delegazioni di Arabia Saudita, Giordania, Egitto, Autorità nazionale palestinese e Indonesia. Ma, sebbene prima di Wang il Dragone avesse 'spedito' nella regione l'inviato speciale per il Medio Oriente Zhai Jun, non erano mai state confermate ufficialmente tappe nei Territori palestinesi o in Israele. Neanche quando a inizio anno era stato in Egitto per colloqui il capo della diplomazia cinese, Wang Yi.
Esteri
Raffinerie in fiamme, Kiev minaccia l’impero petrolifero...
Si sono moltiplicati nelle ultime settimane gli attacchi ucraini a depositi di carburante e raffinerie di petrolio russe. I blitz con droni hanno innescato una guerra del petrolio con ripercussioni sull’economia di Mosca.