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Economia

L’ombra del greenwashing sui Bilanci di sostenibilità: il...

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L’ombra del greenwashing sui Bilanci di sostenibilità: il 94% degli investitori non si fida (e fugge)

I Bilanci di sostenibilità possono essere un’arma a doppio taglio, se gli stakeholders non si fidano e chiedono maggiore trasparenza e coerenza

Fattori ESG

I Bilanci di sostenibilità possono essere un’arma a doppio taglio. Nati negli ultimi 20 anni per far conoscere l’impegno delle aziende su temi di grande importanza quali ambiente, sociale e governance aziendale, stanno per cadere sempre più sotto la scure del sospetto: quello di essere in realtà greenwashing. In altre parole, di mentire sulle reali attività aziendali in questi ambiti ormai fondamentali per stakeholders e opinione pubblica.

Addirittura il 94% degli investitori, infatti, non si fida dei Bilanci di sostenibilità, secondo il rapporto Global Investor Survey stilato da PwC circa i possibili impatti, su fiducia e reputazione, di una comunicazione poco trasparente rispetto ai criteri e alle attività svolte in ambito ESG. E pensano che siano operazioni di greenwashing, termine con cui si fa riferimento a un ecologismo di facciata, che si verifica quando imprese, ma anche organizzazioni o istituzioni politiche, fanno passare un’immagine di sé ingannevolmente positiva per quanto riguarda il proprio impegno ambientale, nascondendo tutt’altra realtà, quella di un impatto negativo delle proprie attività.

Nel 2023 ‘fuga’ dagli investimenti sostenibili

Più di 3 investitori su 4 (76%) vorrebbero quindi una migliore rendicontazione dei costi reali sostenuti dalle aziende per rispettare gli impegni di sostenibilità, prima di valutare un investimento.

Il sospetto di essere sostanzialmente in cattiva fede ovviamente nuoce alla fiducia e alla reputazione di un’organizzazione, e arriva ad avere impatti diretti sul mondo finanziario. Non a caso, segnala il New York Times, in Usa il 2023 è stato l’anno peggiore per gli investimenti nei fondi sostenibili (-13 miliardi di dollari), e le chiusure (16) dei fondi EG sostenibili hanno superato le aperture (7). Stesso trend nel mercato europeo, secondo il report Esma Trv Risk Monitor pubblicato lo scorso gennaio.

Un bel problema per le imprese, che vedono quello che dovrebbe essere uno strumento importante per comunicare i propri valori e le proprie iniziative, quindi in definitiva per farsi in qualche modo ‘pubblicità’, trasformarsi in un boomerang che le carica dell’onere della prova. In pratica, chi compra dall’azienda, che siano azioni, fondi o prodotti, parte dall’idea che quell’azienda non sia stata trasparente, che abbia ingigantito il proprio impegno, o addirittura che abbia mentito. E spetta all’azienda cercare di dissipare i dubbi.

Cos’è il Bilancio di sostenibilità

La redazione del Bilancio di sostenibilità è stata introdotta nel 2001 dall'Unione Europea su base volontaria. Infatti, per anni ha costituito un vantaggio e un vanto per le aziende che ne pubblicavano uno ma ancora oggi è un elemento competitivo. In Italia, è diventato obbligatorio dal 2017 per alcune tipologie di aziende e da gennaio 2024 per tutte le aziende con più di 250 dipendenti, un fatturato oltre i 50 milioni di euro e un bilancio annuo di almeno 43 milioni di euro.

Un allargamento delle maglie che toccherà 50mila aziende in Europa e in Italia 6mila piccole e medie imprese rispetto alle 300 precedentemente obbligate.

Anche se si chiama ‘bilancio’, quello di sostenibilità non ha carattere finanziario, ma contiene le attività, i risultati e i valori su cui l’impresa (o un ente) agisce e si riconosce, che hanno un impatto positivo in tre dimensioni: economica, ambientale e sociale (ESG). Il tutto quasi sempre in un’ottica di medio e lungo periodo e in modo integrato, perché i tre fattori ESG, anche se rendicontati in modo separato, si intrecciano l’uno con l’altro.

 

Secondo l’Unione europea, nello specifico, il Bilancio di sostenibilità è “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”.

L’obiettivo di questo tipo di report è proprio quello di comunicare dettagliatamente i propri valori e il proprio impegno nell’ampio ambito della CSR (Corporate Social Responsability) a tutti gli interessati, che possono andare dai fornitori agli azionisti, dai cittadini agli investitori, dai clienti ai media.

La redazione del Bilancio di sostenibilità può portare molti vantaggi, tra cui una migliore organizzazione dei processi interni, un risparmio sui costi, il coinvolgimento dei dipendenti, una maggiore attrattività verso i talenti, una visibilità e una reputazione più positiva sul mercato.

Come redigere un Bilancio di sostenibilità credibile

Ma cosa accade se questi bilanci vengono giudicati ‘falsi’ proprio da chi è interessato? Succede che gli investitori fuggono dall’investimento e i consumatori non comprano i prodotti e i servizi dell’azienda. Entrambe, eventualità da scongiurare.

In aiuto degli imprenditori viene un decalogo stilato da ARB S.B.P.A., società benefit per azioni impegnata nella creazione di progetti ad alto valore scientifico, seguendo il quale si può minimizzare il rischio di essere accusati di greenwashing. Ovviamente, se alla base non si sta effettivamente facendo greenwashing.

E tenendo sempre bene a mente le linee guida e gli standard di rendicontazione, soprattutto i più diffusi, quelli predisposti da Global Reporting Initiative (GRI).

Ecco i 10 consigli:

1. Mappatura rischi e opportunità: è utile partire innanzitutto da un check up professionale dei possibili rischi e dei focus più importanti e delicati del report che si vuole redigere.

2. ‘Data are the King’: ogni affermazione deve poggiare su dati solidi, basati su un approccio scientifico di evidenza, misurabili con riferimenti e strumenti oggettivi riconosciuti.

3. No all’improvvisazione: la stesura di un Bilancio di sostenibilità vuole i suoi tempi, minimo 4-6 mesi, e non può essere affrontata con superficialità, scarsa attenzione o fretta.

4. No alle omissioni: se un obiettivo previsto l’anno precedente non è stato raggiunto, non va nascosto. È meglio essere trasparenti, altrimenti è molto probabile che la ‘dimenticanza’ venga comunque scoperta, e a quel punto è più complicato dare spiegazioni. E la reputazione aziendale ne risente.

5. Stakeholder on board: è essenziale coinvolgere gli interessati sulle tematiche chiave, con modalità diversificate e non standardizzate. No quindi a questionari asettici, non personalizzati, uguali per tutti.

6. Sì alle infografiche: sicuramente è importante aiutare il Bilancio di sostenibilità con immagini belle e di impatto, ma ancora più importante è usare quelle utili alla lettura e alla comprensione, da parte di tutti, dei dati tecnici.

7. Andare oltre la presentazione aziendale: il Report di sostenibilità è un vero e proprio strumento di gestione organizzativa ed economica, che evidenzia rischi e potenzialità dell’impresa oltre a essere un potente strumento di marketing.

8. Rispettare la regolamentazione europea: la nuova direttiva CSRD ha rivisto il tema della redazione dei Bilanci di sostenibilità, richiedendo ancora più impegno, trasparenza e dettaglio.

9. Il mercato vuole i Report di sostenibilità: anche se non c’è un obbligo di legge per tutte le aziende, non redigere questo tipo di documento può comunque far valutare negativamente l’impresa.

10. Learning by doing: il Bilancio di sostenibilità è un lavoro di gruppo che implica uno sviluppo della cultura aziendale stessa.

Si tratta di tante azioni, e complesse, che costringono le aziende a fronteggiare nuove sfide: di maggiore chiarezza e coerenza, soprattutto. Ma anche ad impegnarsi davvero, in ambito ambientale e sociale. Tutto questo richiederà fatica e visione strategica, ma chi alla fine potrebbe beneficiarne sono le aziende stesse oltre al Pianeta, all’economia e alle persone coinvolte.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Economia

Patto di stabilità, via libera Ue alla riforma ma...

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Astensioni e voti contrari dai partiti di maggioranza e opposizione. Gentiloni ironizza: "Abbiamo unito la politica italiana"

Europarlamento - Afp

Per un giorno “abbiamo unito la politica italiana”. Il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni usa l’ironia dopo i voti, nella plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo, sui tre testi che compongono la riforma del patto di stabilità, frutto di un lunghissimo negoziato tra gli Stati membri concluso solo poco prima del Natale 2023, a una manciata di giorni dal rientro in vigore del ‘vecchio’ patto di stabilità, sospeso nel marzo 2020 a causa della pandemia di Covid-19. Come il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che per l’Italia ha negoziato il compromesso vedendosela con il liberale tedesco Christian Lindner, in picchiata nei sondaggi e quindi bisognoso di modifiche ‘dure’ a una riforma largamente impopolare nell’elettorato tedesco, anche Gentiloni si ritrova schierato, da solo, su una posizione diversa da quella del suo partito. Anche il Pd, oltre a tutti i partiti della maggioranza di centrodestra (Lega, Fratelli d’Italia e anche Forza Italia), ha deciso di astenersi sulla riforma del patto di stabilità.

La posizione italiana

Contro la riforma si sono schierati nettamente il M5S e Fabio Massimo Castaldo di Azione, che ritiene le nuove regole “insostenibili” per il nostro Paese. I Dem, osserva Gentiloni, si sono astenuti per “motivi di politica interna”. L’avvicinarsi delle elezioni europee ha probabilmente avuto un ruolo nelle decisioni delle maggiori forze politiche di astenersi sul dossier probabilmente più importante della legislatura, insieme a Next Generation Eu, dato che condizionerà la politica di bilancio dei governi italiani per molti anni a venire. A favore della riforma, tra gli italiani, hanno votato solo Lara Comi di Forza Italia, Herbert Dorfmann dell'Svp per il Ppe e, per Renew, Marco Zullo e Sandro Gozi, che però è stato eletto in Francia.

Il capodelegazione di Forza Italia Fulvio Martusciello, che pure non ha partecipato al voto, dice che nella prossima legislatura il patto di stabilità “verrà cambiato con una nuova maggioranza”. Potrebbe rivelarsi una sfida complessa, con una AfD più forte di ora nell’Emiciclo, niente affatto propensa a ‘rilassare’ le regole fiscali. Intanto il responsabile Economia del gruppo Ppe, il bavarese Markus Ferber, ha accolto con freddezza la decisione dei colleghi italiani di astenersi, dicendo all’Adnkronos di non vedere “ragioni” per una decisione del genere, dato che le regole sono più favorevoli all’Italia rispetto a quelle attuali.

Lo stesso Gentiloni ha sottolineato che le regole di bilancio nuove sono più favorevoli di quelle del patto di stabilità ‘vecchio’. E ha osservato che bisogna “sempre ricordare” che il paragone va fatto con le regole attuali, che sono quelle del patto di stabilità, e non con l’assenza di regole garantita dal 2020 in poi dall’attivazione della clausola di salvaguardia. Perché in un’Unione monetaria norme comuni sulle politiche di bilancio sono comunque necessarie.

Nella maggioranza, si sono astenuti anche Fratelli d’Italia, con l’Ecr che nel voto sul braccio preventivo del patto si è spaccata in tre tronconi. Uno, con i polacchi del Pis e anche gli spagnoli di Vox, ha votato a favore del patto; un altro, con gli olandesi, ha votato contro, probabilmente ritenendolo troppo morbido; gli italiani, invece, si sono astenuti. Per Nicola Procaccini e Carlo Fidanza, “sebbene il testo sia stato migliorato rispetto alla proposta iniziale grazie al lavoro del Governo italiano”, presenta “ancora alcuni punti critici fortemente voluti dai cosiddetti Paesi frugali, come la salvaguardia di sostenibilità del debito che comporterà meno flessibilità di quella attesa, nei prossimi anni".

Simile la posizione della Lega, partito che esprime il ministro dell’Economia, che ha votato a favore del compromesso in Consiglio a dicembre: la delegazione a Strasburgo parla di una “serie di provvedimenti che, sebbene migliorati rispetto alla proposta iniziale grazie al lavoro e all’impegno del ministro Giancarlo Giorgetti, rappresentano un compromesso che purtroppo presenta ancora elementi critici”.

Per il Pd, ci pensa il capodelegazione Brando Benifei a sintetizzare i motivi dell’astensione: “Il patto negoziato, voluto e validato dalla Meloni non ci convince e non lo votiamo, ma evidentemente non convince nemmeno loro”. Molto critici i Cinquestelle, che hanno votato decisamente contro la riforma: per la capodelegazione Tiziana Beghin, il governo Meloni, che ha negoziato i testi in Consiglio, “svende l’Italia ai falchi dell’austerità” e le nuove regole costeranno al nostro Paese correzioni nell’ordine di 12-13 mld di euro l’anno. Per Gentiloni, oggi “forse il patto di stabilità è un po’ più intelligente”.

Le nuove regole

La riforma proposta della Commissione è stata modificata dagli Stati nel Consiglio per volontà soprattutto della Germania, che ha ottenuto l’inserimento di salvaguardie orizzontali su debito e deficit che complicano parecchio un quadro che, con la riforma, si intendeva semplificare.

Ma per l’Italia, conti alla mano, le nuove regole dovrebbero risultare meno punitive di quelle precedenti. Se questo basterà ad effettuare gli investimenti necessari alla transizione verde e digitale e a migliorare lo stato in cui versa la difesa europea davanti al rinato imperialismo russo, si vedrà. Per il copresidente dei Verdi/Ale Philippe Lamberts, le regole del patto di stabilità, pur riviste, sono “mortifere”, non fanno altro che “preparare la nostra impotenza” e costeranno al Belgio un aggiustamento nell’ordine di 5 miliardi di euro all’anno. Comunque sia, ormai le nuove norme sono approvate. Manca solo il via libera del Consiglio: dovrebbero passare come punto senza discussione nel Coreper uno di venerdì prossimo ed essere approvate definitivamente nel Consiglio Agrifish del 29 aprile, sempre senza discussione. Dopodiché saranno legge.

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Economia

Roberto Napoletano nuovo direttore de ‘Il...

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Guiderà la testata dal prossimo 4 maggio

Roberto Napoletano - Fotogramma

A decorrere dal prossimo 4 maggio, Roberto Napoletano sarà il direttore del quotidiano Il Mattino. Lo rende noto il gruppo Caltagirone Editore.

Napoletano, nato a La Spezia nel 1961, ha iniziato la propria carriera giornalistica ne Il Mattino nel 1984. Nel corso della sua carriera ha ricoperto il ruolo di direttore de Il Messaggero dal 2006 al 2011 e successivamente de Il Sole24ore. Dal 2019 è direttore de il Quotidiano del Sud.

Francesco de Core, che ha diretto con merito il quotidiano dal maggio 2022, assumerà l’incarico di vice direttore.

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Economia

Confindustria-Deloitte, investimenti e convergenza...

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Energia, ambiente e clima priorità

Confindustria-Deloitte, investimenti e convergenza politiche per accelerare transizione economie G7

Più investimenti, più collaborazione tra pubblico e privato e più convergenza tra politiche industriali dei Paesi B7 per realizzare una transizione verde capace di coniugare sostenibilità e competitività. Queste le priorità per il G7 individuate nel B7 Flash, la nota di Confindustria e Deloitte elaborata in occasione dell’evento B7 “G7 Industry Stakeholders Conference” in programma a Torino il 28 aprile e della riunione Ministeriale G7 su “Energia, ambiente e clima” in agenda il 28, 29 e 30 aprile nel capoluogo piemontese.

"La conferenza di Torino rappresenta un’opportunità unica per discutere e delineare strategie efficaci per affrontare uno dei temi più rilevanti del nostro tempo: trasformare la transizione ecologica in una grande opportunità di innovazione e sviluppo competitivo. In questo contesto, il coinvolgimento della comunità imprenditoriale del G7 offre una piattaforma preziosa per collaborare con i Ministri alla luce delle complesse sfide poste dagli obiettivi di sostenibilità. E’ fondamentale creare delle sinergie tra pubblico e privato, promuovendo un approccio alla transizione basato sulla neutralità tecnologica e sullo stimolo agli investimenti nell’economia circolare, capaci di coniugare tutela ambientale, sicurezza degli approvvigionamenti e competitività. Grazie al contributo dei partecipanti, miriamo a promuovere percorsi e obiettivi condivisi di politica industriale in linea con gli obiettivi della Cop 28", sottolinea Katia Da Ros, Vice Presidente per Ambiente, Sostenibilità e Cultura, Confindustria.

"La transizione energetica in atto, guidata dall’innovazione tecnologica e dall’uso efficiente e sostenibile delle risorse, sta incidendo in modo profondo sulla produzione e sulla distribuzione dell’energia, ma anche sull’attività delle imprese, sui trasporti, sul commercio e, nei fatti, sui nostri stili di vita. La Cop28 ha sottolineato l'esigenza di un'azione immediata per contrastare i cambiamenti climatici e, al contempo, la necessità di un’iniziativa globale e coordinata per sostenere il cambiamento. Siamo di fronte a sfide che non esito a definire epocali: sicurezza e indipendenza energetica, sostenibilità ambientale, innovazione tecnologica, competitività economica, cooperazione internazionale. I Paesi del G7 sono in una posizione privilegiata per guidare il cambiamento. Una leadership politica a livello G7, coesa e lungimirante, è indispensabile per accelerare la transizione e per garantire un avvenire sano ed economicamente prospero alle generazioni future", sottolinea Fabio Pompei, Ceo di Deloitte Italia.

"Transizione energetica e decarbonizzazione sono processi necessari e irreversibili. Parliamo di un cammino che ci vede direttamente coinvolti e che, grazie a tecnologie, competenze e strumenti a nostra disposizione, possiamo percorrere fino in fondo. Per rispondere alle sfide cogenti mettiamo a disposizione le nostre soluzioni di efficientamento energetico, produzione locale di energia rinnovabile e un consolidato know-how di esperienza nel settore. Siamo orgogliosi di partecipare a un momento di confronto significativo e urgente, insieme alle istituzioni e ai più importanti stakeholder di riferimento del settore per imprimere una forte e collettiva accelerazione al percorso verso il Net Zero entro il 2050", commenta Emanuela Trentin, Ceo di Siram Veolia.

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