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Iran, attacco droni contro fabbrica munizioni a Isfahan

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Un attacco di droni ha provocato un’esplosione in una fabbrica di munizioni a Isfahan, nel centro dell’Iran. Un comunicato della Difesa iraniana, citato dall’agenzia Irna, afferma che l’attacco “non ha avuto successo”, con uno dei droni abbattuto dalla contraerea e altri due esplosi grazie a “trappole” predisposte a difesa dell’impianto. Il comunicato aggiunge che vi sono stati “danni minori” al tetto della fabbrica e che nessuno è rimasto ferito. Sui media iraniani è stato diffuso un video dell’esplosione, dove si sente un forte boato.  

Le autorità iraniane non hanno al momento accusato nessuno dell’attacco, malgrado in passato sia stato puntato il dito contro Israele. Nel frattempo un importante incendio si è sviluppato in una raffineria di petrolio nella città settentrionale di Tabriz, ma non vi sono per ora indicazioni di un collegamento fra i due fatti.  

L’attacco dei droni avviene in un momento di forte tensione in Iran, dove sono in corso da mesi proteste popolari contro il regime. Nel frattempo i negoziati sul rinnovo dell’accordo sul nucleare sono ad un punto morto e Teheran viene accusata di fornire alla Russia droni usati negli attacchi in Ucraina.  

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Russia, pubblicati in Italia gli scritti di Il’in: il filosofo ‘nella testa’ di Putin

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Sono stati da poco pubblicati in Italia scritti del filosofo russo Ivan Il’in che ha influenzato Vladimir Putin come testimoniato, fra l’altro, dalla traslazione delle spoglie nel 2005 dalla Svizzera al cimitero Donskoi di Mosca, con una cerimonia voluta dal Presidente russo pochi mesi prima del rimpatrio, dagli Stati Uniti, degli archivi del pensatore grazie al finanziamento dell’oligarca Viktor Vekselberg.  

“Sulla Russia” (Aspis) a cura di Olga Strada, autrice, a lungo artefice di scambi culturali fra Italia e Russia ed ex direttrice dell’Istituto di cultura italiano a Mosca, raccoglie i due testi “Sulla Russia. Tre discorsi”, del 1934, e “Cosa riserverà al mondo lo smembramento della Russia”, del 1950, del filosofo russo riscoperto, come altri pensatori emigrati dopo la Rivoluzione, solo negli anni Ottanta del Novecento, testi che individuano, come traccia per garantire uno stato forte in Russia, il riconoscimento della spiritualità insita nella storia del Paese.  

Nel gennaio del 2014 Putin, pochi mesi prima di imbarcarsi nell’avventura della Crimea e del Donbass, regalò ai governatori delle regioni della Federazione, ai funzionari del Cremlino e ai dirigenti di Russia unita opere di filosofi fra cui “Le nostre missioni” di Il’in (gli altri due sono Nicolas Berdiaev e Vladimir Soloviev). Ma nel 2009, l’allora Premier aveva deposto fiori sulla tomba di Il’in al cui pensiero era stato introdotto dal regista Nikita Mikhalkov. La prima citazione, che ruota intorno al concetto di ‘idea russa’ basata su nazione e spiritualismo, risale al discorso del Presidente di fronte alle camere riunite nell’aprile del 2005, 

“Numerose sono le citazioni degli scritti di Il’in alle quali il Presidente russo ha fatto ricorso in occasione degli interventi pubblici di maggiore spicco, tra questi quello pronunciato il 30 settembre del 2022, data in cui è stata ratificata l’annessione nel corpo della Federazione russa di quattro territori ucraini: Donetsk, Luhansk e le regioni di Kherson e Zaporizhzhia”, scrive Strada nella prefazione in cui ricorda che “esattamente cento anni prima, il 29 settembre del 1922, Il’in abbandonava per sempre la sua patria insieme a un folto gruppo di esponenti dell’Intelligenzia”, a bordo di uno dei cosiddetti “piroscafi dei filosofi” organizzati a Lenin per allontanare dal Paese gli scomodi oppositori.  

Il’in nasce a Mosca nel 1883, in una famiglia aristocratica. A Hegel dedica la sua tesi di dottorato. In questi anni aderisce ai movimenti social rivoluzionari, ideali che abbandonerà dopo la Rivoluzione d’Ottobre e l’esilio a Berlino, schierandosi su valori monarchici e conservatori, ponendo al centro della sua analisi speculativa l’esperienza dello spirito, intesa come nucleo essenziale della vita dell’uomo.  

Si schiera quindi con i ‘Bianchi’ che combattono i bolscevichi, iscrivendo il movimento come valore intrinseco dell’etnia russa. Sostiene che l’uso della forza non sia in contrasto all’etica cristiana laddove ci si oppone al male. Valuterà positivamente il fascismo e Mussolini e teorizzerà il “fascismo russo” incentrato sulla lotta ‘bianca’ contro i bolscevichi che ha in seguito preso forma, dirà appunto, in altri Paesi europei come l’Italia. “E, come spesso avviene nelle attività umane, è successo che una delle forme del movimento bianco (quella appunto nazionale italiana) che ha conseguito in loco un serio successo, ha messo in ombra le altre forme preziose e necessarie e ha dato il suo nome a tutto il movimento nella sua totalità”, scrisse.  

“In questo modo Il’in è stato recentemente inserito nella lista nera dei cosiddetti guru del Presidente Putin, ovviamente con una forte valenza negativa e insistendo in particolare sulla sua vicinanza al fascismo. In realtà le cose non stanno esattamente così”, scrive Aldo Ferrari, storico e politologo all’Ispi e a Cà Foscari, in un intervento a chiusura del libro da cui emerge come siano altri gli elementi del pensiero di Il’in ad aver influenzato Putin. Basta citare il brano contenuto nel saggio breve “Quali conseguenze potrebbero derivare dallo smembramento della Russia”: La Russia “è una unità geografica, le cui parti sono legate da un reciproco nesso economico. Questo organismo è un’unità spirituale, linguistica e culturale che grazie a un reciproco nutrimento spirituale ha legato storicamente il popolo russo con i suoi fratelli minori nazionali: si tratta di una unità statale e strategica che ha dimostrato al mondo la sua volontà e la sua capacità di autodifesa, vero e proprio baluardo della pace e dell’equilibrio euroasiatico e quindi universale. Il suo smembramento sarebbe un azzardo politico senza precedenti nella storia, le cui conseguenze disastrose colpirebbero l’umanità per un lungo periodo di tempo”.  

Il filosofo si opporrà poi, in Germania, dopo un iniziale sostegno, al regime nazista. Per questo sarà arrestato più volte, prima di riuscire a fuggire, nel 1938, in Svizzera dove morì nel 1954, dopo aver denunciato gli “errori” del fascismo nel distaccarsi dal cristianesimo.  

 

 

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Russia, oppositrice di Putin in ospedale: “E’ stata avvelenata”

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La dissidente politica russa Elvira Vikhareva è stata avvelenata con sali di metalli pesanti. Lo riferisce il sito indipendente Meduza, citando test di laboratorio a cui Vikhareva è stata sottoposta dopo aver iniziato a manifestare sintomi. Secondo il sito, nel sangue di Vikhareva è stato trovato bicromato di potassio, una sostanza altamente tossica e cancerogena. L’avvelenamento risale a diversi mesi fa. 

La politica, esponente dell’opposizione a Vladimir Putin, ha dichiarato ai giornalisti di aver notato per la prima volta i sintomi alla fine di novembre e all’inizio di dicembre e poi di nuovo all’inizio di febbraio. I sintomi includevano forti dolori allo stomaco, aumento della frequenza cardiaca, intorpidimento delle estremità, spasmi muscolari, svenimenti e perdita di capelli. 

Il sito ha evidenziato che Vikhareva non ha mostrato il suo volto nelle interviste in live streaming negli ultimi mesi. Secondo quanto riferito, ciò è stato dovuto al fatto che gli effetti dell’avvelenamento hanno avuto un impatto notevole sul suo aspetto. Nel 2022, Vikhareva voleva candidarsi al consiglio comunale nel suo distretto di Mosca, ma un tribunale glielo ha impedito, adducendo irregolarità nei suoi documenti di registrazione. 

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Francia, presidente Comites: “Le istituzioni sembrano scollate dal Paese”

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Quello che sta accadendo in Francia per la riforma delle pensioni è un “effetto collaterale” di una politica che “sembra non prestare ascolto ad alcune aree del Paese”, alle loro esigenze sociali. Il risultato è un Paese nel caos, dove c’è uno “scollamento tra le istituzioni e la società”. Lo afferma in un’intervista all’Adnkronos il presidente del Comites di Parigi, Oleg Sisi, nel giorno in cui, a causa degli scioperi su vasta scala annunciati, è stata annullata la visita in Francia di re Carlo e all’indomani di proteste sfociate in incidenti che hanno provocato centinaia di arresti e di poliziotti contusi in tutto il Paese. 

Proteste, spiega Sisi riferendosi alla rivolta dei ‘gilet gialli’ del 2019, a cui la comunità italiana residente in Francia è già “allenata” e a cui una parte più politicamente impegnata non è indifferente. “Ci sono circoli politici italiani e legati al mondo dei sindacati che condividono, se non in tutto, in parte le ragioni della protesta. Alcuni hanno partecipato e contribuito con la loro presenza al movimento”. 

“Per gli italiani che abitano nella circoscrizione di Parigi non ci sono ripercussioni dirette (dagli incidenti, ndr) ad eccezione di quelle che sono le prospettive della riforma pensionistica – prosegue – Nel nostro Paese si va in pensione a 67 anni, gli italiani di nuova immigrazione in Francia sono purtroppo abituati a questo tipo di dinamica”. 

Secondo Sisi, la rabbia vista nelle strade delle principali città francesi nasce da un “malumore” diffuso, in particolare al di fuori delle grandi metropoli, ma anche dalla “disillusione” di una parte di elettori che ha votato quei “movimenti che avrebbero dovuto creare una nuova stagione politica di rilancio e benessere”. 

Al contrario “sembra quasi che nella riforma delle pensioni si voglia far forza sulla capacità di rassegnazione della popolazione”. Sisi definisce poi il ricorso all’articolo della Costituzione 49.3, che annulla il dibattito parlamentare, “una forma di imbavagliamento”, mentre una riforma pensionistica “non può prescindere dall’ascolto di tutte le parti in causa. Non aver incontrato i sindacati credo che sia un gesto politico che denota una chiara postura istituzionale”. 

Il presidente del Comites ribadisce come il governo e la figura di Macron vivano un periodo di “profonda crisi”. Ma è tutta la politica in generale a pagare in questa fase. “Un recente sondaggio del centro di ricerca di Science Po ha confermato un aumento del 30% della sfiducia popolare nei confronti della politica – conclude – Chi ne esce ammaccato non è solo il governo, ma l’intero sistema delle istituzioni che sembra non tenere conto della rivolta”. 

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Tunisia, direttrice Corriere di Tunisi: “Paese è in difficoltà ma non crollerà”

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“Il Paese è in difficoltà, non c’è dubbio, ma non credo che si lasci crollare la Tunisia”. Lo afferma in un’intervista all’Adnkronos Silvia Finzi, professoressa ordinaria presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Tunisi, mentre in Italia cresce l’allarme per la situazione nel Paese nordafricano, sempre più in crisi economica e sempre più punto di partenza di migranti irregolari.  

Di “evitare il tracollo economico”, ha parlato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, mentre durante il suo intervento al Consiglio Europeo, la premier Meloni ha ammonito dal rischio che arrivino “900mila” persone. Intanto resta in bilico il prestito alla Tunisia del Fondo monetario internazionale, ritenuto da molti osservatori fondamentale in questa fase per evitare il collasso. 

“Mi sembra importante che la Tunisia riceva degli aiuti, ma non sono gratuiti. Bisogna vedere se questi aiuti, che sono da rimborsare, possano bastare per sollevare l’economia e che cosa si chiede in cambio”, spiega Finzi, che è anche direttrice del Corriere di Tunisi, giornale nato dopo l’indipendenza del Paese nordafricano, avvenuta nel 1956, ed unica testata italiana nel mondo arabo. 

Finzi evidenzia quindi le difficoltà economiche che sta incontrando una parte della popolazione. “Lo Stato contribuisce a calmierare i prezzi dei generi di prima necessità come il pane e lo zucchero. Se fossero tolte queste agevolazioni per questi cittadini ci sarebbero rischi sociali importanti”, prosegue, evidenziando come la Tunisia, Paese che “storicamente” ha relazioni con l’Europa e che “culturalmente è il più europeo” tra quelli della sponda sud del Mediterraneo, va aiutata “da tutti i punti di vista, non solo per contrastare il fenomeno migratorio” e “in una maniera che non serva soltanto gli interessi europei, ma anche tunisini”. 

Poi, sempre a proposito del fenomeno migratorio, la professoressa ritiene che “l’interesse per la Tunisia non può essere soltanto il frutto dell’emergenza in Italia”, precisando di credere che “il discorso sia da fare in maniera più condivisa e meno legata alla paura del momento” e nell’ottica di non considerare il Paese una barriera alla migrazione illegale. 

Finzi invita quindi a valutare l’emergenza migratoria nel suo complesso, a comprendere perché i migranti arrivino in Tunisia “da tutte le parti dell’Africa” e a “interrogarsi veramente sulla situazione libica e a non far finta che questo problema non esista: c’è problema di guerra permanente e questa gente si sposta verso i porti che credono sicuri, come lo è ora la Tunisia”. Se non si comprendono le “ragioni drammatiche di chi arriva a mettere a rischio la propria vita perché sente minacciata la sua sopravvivenza e si cerca di tamponare soltanto, questo problema non si risolverà”, conclude. 

 

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Mark Zuckerberg di nuovo padre, è nata la figlia Aurelia

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Mark Zuckerberg di nuovo papà. Con un post su Facebook, il numero 1 di Meta annuncia che la moglie Priscilla Chan ha dato alla luce Aurora, la terza figlia della coppia. “Benvenuta al mondo, sei una piccola benedizione” scrive postando una sua foto con lei e quella della moglie. Un post che ha raccolto in poche ore oltre mezzo milione di ‘Like’ e migliaia di commenti di congratulazioni.  

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Israele, i neocon del Queens dietro la riforma della giustizia

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Lavorava da anni alla controversa riforma della giustizia che ha poi consegnato chiavi in mano al governo del Premier Benjamin Natanyahu il think tank di Gerusalemme Kohelet Policy Forum. Fondato nel 2012 dall’israeliano con doppia cittadinanza americana Moshe Koppel, computer scientist e studente del Talmud, emigrato da New York a Israele nel 1980 ora residente nell’insediamento di Efrat, preoccupato “per la libertà in Israele”. A finanziare il progetto, un altro americano: il multimiliardario Arthur Dantchik, come ha scoperto Haaretz. Sia Koppel che Dantchik, il cui patrimonio è valutato in 7,2 miliardi di dollari, sono originari del Queens, il più grande dei cinque distretti di New York. Entrambi amano operare lontano dai riflettori.  

La riforma è stata quindi messa a punto negli anni dal conservatore, libertario e di ispirazione religiosa Kohelet Policy Forum e mai discussa a livello politico prima. Neanche il Likud ne aveva mai parlato al suo interno, come ha ammesso l’esponente del partito, Keti Shitrit, in una recente intervista. “Non siamo stati noi a prepararla, è stato il Kohelet (che in ebraico significa Ecclesiaste, ndr)” che da tempo fornisce la destra israeliana di idee e progetti ed è stato pubblicamente ringraziato dall’ex segretario di Stato Mike Pompeo per il suo sostegno nello spostamento della posizione americana sugli insediamenti.  

“Le tattiche dell’istituto sono importate da Capitol Hill”, ha spiegato una fonte citata dal Washington Post, per cui fra i programmi del think tank vi sono incontri con parlamentari conservatori americani non più da considerare come incoerenti con il diritto internazionale. 

In questo momento “si sta spaccando il delicato equilibrio fra la Israele mainstream e gli ultra ortodossi che prima accettavano di dipendere da una società liberale e prospera con un apparato militare forte. La nuova generazione di politici religiosi crede che la Israele laica violi il Shabbat o non è attenta alla modestia delle donne, che questo ostacoli l’arrivo del Messia, cercano quindi di riscrivere la vita degli israeliani”, ha commentato Yofi Tirosh, vice rettrice di giurisprudenza all’Università di Tel Aviv. 

Il deputato ed ex colono in Cisgiordania Simcha Rothman, Presidente della Commissione della Knesset che segue la riforma, ha assunto il ricercatore di Kohelet Shimon Nataf, come consigliere giuridico. Altri dipendenti del think tank hanno iniziato a partecipare ai negoziati sulla riforma fra esponenti della coalizione e dell’opposizione ospitati nella residenza del Presidente.  

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Russia, aperto procedimento penale contro condirettore Centro diritti umani Memorial

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Il condirettore del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial Oleg Orlov è stato incriminato per discredito reiterato delle forze militari in un procedimento penale che rischia di concludersi con una condanna a più anni di carcere. E’ quanto è emerso in seguito alle perquisizioni e agli interrogatori, martedì scorso, di diversi esponenti dell’organizzazione a cui lo scorso anno è stato assegnato il Premio Nobel per la pace.  

Al termine delle perquisizioni e degli interrogatori in relazione all’accusa di riabilitazione del nazismo, un caso aperto a inizio marzo incentrato su tre nomi di collaboratori dei nazisti inseriti per errore in un database delle vittime delle repressioni di più di tre milioni di nomi, Orlov era stato rilasciato insieme agli esponenti dell’organizzazione coinvolti nell’operazione, Aleksandra Polivanova, Galina Iordanskaja, Irina Ostrovskaja, Aleksandr Gurjanov, e Jan Racinskij che risultano coinvolti nella causa come testimoni. La madre di Aleksandra Polivanova, Alena Kozlova e lo storico Nikita Petrov, che non era a Mosca l’altro giorno, non sono stati interrogati. La perquisizione dell’appartamento di Petrov si è svolta in presenza della moglie. 

L’accusa di discredito reiterato dell’esercito russo rivolta a Orlov è basata su un post Facebook del novembre 2022 in cui Orlov, più volte fermato per le sue proteste individuali contro la guerra a Mosca, faceva riferimento a un suo precedente articolo “Volevano il fascismo in Russia e l’hanno ottenuto”. “Il paese che trent’anni fa aveva preso le distanze dal totalitarismo comunista è ripiombato in un altro totalitarismo, quello ormai fascista”, aveva scritto nell’articolo pubblicato sul blog Mediapart. Orlov è stato fra i fondatori di Memorial alla fine degli anni Ottanta ed è uno dei volti più autorevoli della difesa dei diritti umani in Russia.  

 

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Nordcorea testa drone sottomarino: “Può creare tsunami radioattivo”

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La Corea del Nord ha confermato oggi di aver testato “un’arma nucleare strategica sottomarina” di fronte alle coste di Riwon, nella provincia meridionale di Hamgyong, un’arma progettata “per infiltrarsi nelle acque operative e creare uno tsunami radioattivo di grandi dimensioni”. Il drone sottomarino, che è stato testato martedì, ha sganciato una testata che ha navigato ad una profondità tra gli 80 ed i 150 metri nelle acque del mar del Giappone, per 59 ore e 12 minuti, secondo il comunicato dell’agenzia Kcna.  

“Dopo aver organizzato e condotto un’esercitazione tattica combinata che simulava un contrattacco nucleare, la Commissione militare centrale del Partito dei lavoratori ha comandato esercitazioni dal 21 al 23 marzo, che sono servite come dimostrazione della capacità di attacco militare per avvisare il nemico dell’effettiva potenza nucleare e verificare l’affidabilità delle forze di autodifesa nucleare”, rende noto ancora Pyongyang. 

La Corea del Nord accusa Stati Uniti e Corea del Sud di star esercitandosi “all’occupazione della Nord” durante le manovre militari congiunte chiamate “Scudo di Libertà”. Di fronte a queste manovre Pyongyang afferma di dover “urgentemente preparare tutte le strutture delle sue forze armate per una guerra e rafforzare le sue capacità nucleari, sia come qualità che come quantità”. 

Infine si afferma che il leader Kim Jong Un ha supervisionato il test con “grande soddisfazione” esprimendo l’intenzione di spingere sia Washington che Seul alla “disperazione per la loro scelta di fare questa dimostrazione militare di alto livello”.  

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TikTok, Cina si opporrà “fermamente” alla vendita forzata dell’app

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“Se la notizia è vera, la Cina si opporrà fermamente”. Così una portavoce del ministero del Commercio cinese esprime l’opposizione di Pechino alle richieste che arrivano dall’amministrazione Biden della vendita di TikTok per evitare che la app di proprietà di una società cinese vada incontro ad un bando. Secondo la portavoce Shu Jueting questo “danneggerebbe in modo grave” la fiducia degli investitori globali negli Stati Uniti. 

Inoltre ha sottolineato che ogni eventuale accordo dovrebbe avere l’approvazione del governo cinese. “La vendita o il disinvestimento di TikTok comporta un’esportazione di tecnologia e le procedure devono essere realizzate in accordo con le leggi e i regolamenti cinesi – ha detto – il governo cinese prenderà una decisione in accordo con la legge”. Il governo cinese, che secondo alcuni preferirebbe vedere TikTok bandita piuttosto che cedere il suo algoritmo, avrebbe quindi potere di veto su un’eventuale vendita.  

Le dichiarazioni arrivano dopo che ieri il Ceo di TikTok, Shou Chew, ha testimoniato di fronte al Congresso, mentre crescono le preoccupazioni per i legami tra la app e Pechino. E al termine dell’audizione, durata oltre 5 ore, molto congressisti hanno espresso scetticismo sulle dichiarate intenzioni della società di proteggere i dati degli utenti americani.  

Per Pechino “l’amministrazione Usa non ha fornito nessuna prova del fatto che TikTok sia una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti”, ha spiegato ancora la portavoce del ministero degli Esteri cinese, smentendo le accuse che la società che gestisce la app sia tenuta a consegnare i dati personali dei suoi utenti alle autorità cinesi.  

Nessuna società o individuo sono stati mai costretti a consegnare dati o informazioni su altri Paesi, ha ribadito la portavoce in risposta alle accuse emerse durante l’audizione al Congresso di ieri. 

 

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Ucraina-Russia, la strategia Wagner aiuta Kiev: lo scenario

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(Adnkronos) –
La Wagner via dall’Ucraina? Yevgeny Prigozhin, il fondatore del gruppo mercenario, starebbe preparando un ridimensionamento delle operazioni del suo esercito privato nella guerra in Ucraina, accanto alla Russia, a causa della carenza di uomini e munizioni. Lo ha riferito l’agenzia Bloomberg, citando fonti a conoscenza della questione che hanno preferito mantenere l’anonimato. La Wagner è impegnata in particolare nell’area di Bakhmut, la città del Donbass diventata da settimane il fulcro del conflitto. 

Visto come una minaccia crescente dall’establishment politico russo, Prigozhin – il cui gruppo sarebbe stato escluso dal reclutamento nelle carceri e privato dei rifornimenti militari – starebbe pianificando di spostare nuovamente l’attenzione sull’Africa vista anche le difficoltà incontrate nel Donbass. Nonostante mesi di assalti e pesanti perdite, le truppe della Wagner ancora non sono riuscite a prendere Bakhmut, il loro principale obiettivo da settimane. Prigozhin recentemente ha chiesto più volte rifornimenti da Mosca: “Senza armi e munizioni verremo accerchiati”, ha detto, rivendicando contemporaneamente i successi ottenuti nell’offensiva su Bakhmut. 

Le fonti suggeriscono che i massimi comandanti russi siano riusciti a insinuare dubbi nel presidente Vladimir Putin sull’abilità militare della Wagner, che aveva ottenuto dal Cremlino il permesso di reclutare prigionieri con la promessa di un rilascio anticipato se fossero sopravvissuti a sei mesi sul campo di battaglia. Sebbene non vi sia alcuna indicazione che Prigozhin ridistribuirà le truppe in Africa, le fonti hanno indicato che le operazioni in quest’area riceveranno probabilmente maggiore attenzione in futuro.  

 

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