Dalla Sicilia a un rebranding nato a 15 anni, la svolta nel 2020, il lavoro solitario e l’idea di un merchandising: “Non cerco discussioni, voglio strappare sorrisi. La costanza vale più di qualsiasi CTA”.

Cefalù, mare e sarcasmo. Da qui – anzi, da un nickname preso in prestito dalla “legge della sfortuna” – nasce una delle pagine italiane più riconoscibili per tono e linguaggio: Sticazzi.eu. Dietro c’è Vittoria Marsiglia, classe indefinita e piglio netto, che si definisce “una ragazza semplice, sulle sue, un po’ nerd anche musicalmente”.
L’ironia è la chiave d’accesso: “Salta fuori appena apro bocca”, dice. Si è diplomata in architettura, ha provato per un periodo la strada della giurisprudenza (“poi ho mollato a causa del Covid”), e prima della pagina non aveva esperienze lavorative: “Ero una quindicenne quando è nata”, ricorda. Oggi lavora da sola su un format diventato abitudine quotidiana per centinaia di migliaia di persone: frasi secche, taglienti, che funzionano come specchi brevi di quello che proviamo ma non sempre diciamo.
“Murphy” addosso
L’alias nasce da un’auto‑investitura: Murphy, come la legge che trasforma ogni possibilità in un inciampo. “A volte mi sembra di vivere dentro una telenovela – sorride – quindi direi che mi si addice.” Palermo nel DNA, Cefalù come base: “Un paese stupendo, sul mare, che meriterebbe più fama.” Dentro questa geografia identitaria c’è già tutto quello che servirà per la pagina: autoironia, sguardo laterale, la velocità di una punchline.
Le origini: “L’hai mai fatto?” e il rebranding
Ottobre 2016: Vittoria si è appena trasferita al Nord, a Busto Arsizio. “Stringo amicizia con una ragazza che aveva una pagina molto nota, Vismara Martina. Fu lei a mettermi in testa l’idea di crearne una.” Con la cugina Miriam, “coinquilina e complice”, apre “L’hai mai fatto?” e inizia a crescere. Poi la frizione: “Le cose non andavano più bene e optammo per un rebranding.” Nasce Sticazzi.eu. Negli anni, il progetto diventa one‑woman show: “Da diversi anni gestisco tutto da sola.”

Perché “Sticazzi”? “Perché rappresenta l’autoironia e il sarcasmo. È l’idea di fregartene di tutto e fare ciò che vuoi.” E quel “.eu”? “Semplice: Sticazzi era già preso.”
La svolta del 2020: cinque frasi al giorno
C’è un momento in cui le cose cambiano di colpo. “Nel 2020 ho deciso di riprendere in mano le redini. Pubblicavamo poco, la pagina non cresceva. Ho iniziato a pubblicare cinque frasi al giorno. Complice anche il Covid, con le persone molto più sui social, la pagina ha cominciato a crescere a vista d’occhio. Lì è cambiato tutto.”
La regola, da allora, è il ritmo. Nessun feticcio per gli strumenti: “Ho provato con le programmazioni automatiche ma all’algoritmo non piace; meglio pubblicare in autonomia.” E niente calendario rigido o cartelle di bozze: il lavoro di Vittoria, paradossalmente, passa da un mestiere di ascolto. “Molti post nascono da fatti di vita vissuta, da quello che sento dire in giro, da pagine inglesi. È difficile buttare giù cinque frasi ex novo ogni giorno: lo spunto è utile. Con gli anni ho sviluppato l’abilità di capire cosa può funzionare.”
“Frasi stronze ogni giorno”: i paletti, non la posa
La formula “Frasi stronze ogni giorno” è lì da anni: una promessa che più che spavalderia suona come format. La cura è nei paletti. Alcuni arrivano dalla piattaforma – “temi che vengono rimossi automaticamente perché fraintendibili come autolesionismo o violenza” – altri sono suoi. “Non tratto la politica, anche se ho idee chiarissime, e evito il black humor. Voglio che le persone ridano con spensieratezza, non cerco discussioni o stress.”
L’idea non è provocare: è sintetizzare. E in questa essenzialità sta forse la chiave del successo. Vittoria non insegue l’attualità salvo rare eccezioni (“solo se è un tema importante che mi preme molto”), e preferisce frasi semplici e simpatiche “per evitare situazioni sgradevoli”.
“I CTA non servono a nulla: conta la costanza”
Se c’è un dogma che Vittoria sfata senza giri di parole è quello dei call to action. “Nel mio campo non servono a nulla. La differenza la fa la costanza e la volontà. Se vuoi raggiungere un obiettivo, mettiti in testa di essere costante e crea contenuti che piacciono, quanti più riesci a farne: allora vedrai la differenza.”
Con le metriche è sobria: “Guardo poco le analitiche. Controllo spesso le visualizzazioni dei post per capire se un contenuto è andato virale e ogni tanto il totale mensile di visualizzazioni o iscrizioni: vedere grandi numeri mi motiva e mi rende orgogliosa.”
Community e moderazione: quando l’ironia viene fraintesa
Nelle sezioni commenti la temperatura sale facilmente. “Alcune persone non colgono l’ironia e prendono tutto sul personale. Per fortuna c’è quasi sempre qualcun altro che interviene e spiega che si tratta di ironia: mi solleva.”

Sugli insulti e i commenti sgradevoli la linea è secca: “Li elimino.” Nessuna postura da sheriff, nessuna guerra ai troll, solo manutenzione. L’obiettivo resta il tono: “Cerco di pubblicare frasi semplici e simpatiche”, ripete, quasi a ricordare a sé stessa la rotta.
Un lavoro solitario (per scelta)
C’è una parola che molti creator usano come scudo: team. Non è il caso di Vittoria. “Lavoro da sola. Non è un peso, è facile da gestire e non credo affiderei a qualcun altro il tipo di contenuti da pubblicare: non tutti hanno l’occhio adatto a individuare ciò che è in tema.” Qui la scelta è artistica prima che organizzativa: controllo del tono, coerenza del brand, responsabilità piena.
Il business: “Un cartellone in una strada trafficata”
Sul capitolo sponsorizzazioni, la metafora è efficace: “Immagina un cartellone pubblicitario in mezzo a una strada trafficata. Ecco, io possiedo quel cartellone.” È lì che sfilano i partner. Nessuna illusione sul Paese della cuccagna: “Instagram non paga i creators e le sponsorizzazioni sono l’unico introito che possiamo generare. Non è un mondo ricco per le quote‑page, come pensano in molti: c’è ancora tanta disinformazione.”
La bussola è la coerenza: “Evito ciò che può interferire con l’ideale della pagina e contenuti troppo espliciti.” Il dominio? “Ho pensato di prenderlo per creare qualcosa di inerente ai miei temi, ma non credo valga la candela.” Il progetto che la stuzzica da tempo è un altro: merchandising. “Me lo chiedono spesso, secondo me potrebbe piacere.”

Il nome‑brand e i suoi limiti
Quel nome – Sticazzi – è insieme brand e bandiera. A volte pesa: “Mi ha creato problemi per alcune limitazioni di Instagram.” Ma cambiarlo sarebbe “impossibile”: “È il simbolo della pagina, riassume ciò che rappresento. Cambiarlo significherebbe perdere identità.”
Gli errori (che aiutano)
“Ne commetto spesso – ammette – sia sul tema trattato sia come sviste.” Eppure, nel laboratorio dei social, anche gli inciampi fanno metrica: “Le sviste di battitura portano commenti, e spingono il post.” Una delle ragioni per cui la politica resta fuori: “Dagli errori si impara, anche per questo evito temi divisivi.”
Chi la segue: tante donne, molte città
La platea è ampia: dai 20 ai 60 anni (e oltre). “Mi seguono molte più donne che uomini: 80% contro 20%. Mi piace vedere chi apprezza quello che pubblico.” Geografia prevedibile: “Un po’ ovunque in Italia, soprattutto nelle grandi città, com’è ovvio: Roma, Milano.”
L’orizzonte: un milione e una firma personale
Vittoria non nasconde gli obiettivi. “Vorrei creare una linea di abbigliamento – un merchandising – e spero che funzioni.” E poi il numero tondo: “Arrivare a un milione. Nell’ultimo periodo mi sono un po’ lasciata andare, ma ho ripreso con più sostanza e spero l’anno prossimo di raggiungere questa tappa. Poi si vedrà.” C’è anche un desiderio parallelo: “Ottenere un seguito discreto come Murphy. È più complicato, ma ci provo.”
Le frasi che non pubblica (e quelle che curano)
Ci sono parole che sente sue, ma che non finiscono in pagina: “Molte citazioni, soprattutto di canzoni, non sarebbero in tema. Se dovessi pescare, sceglierei qualcosa di De André o Guccini.”

Il complimento migliore arriva dal basso: “Le persone che mi ringraziano per aver strappato un sorriso in una giornata triste. Mi fa capire che, anche se pubblico frasi stupide, per qualcuno possono essere importanti: non cambieranno il mondo, ma far sorridere è una delle cose più belle che si possano fare.” E poi quelle parole arrivate all’inizio della svolta: “Forse anche grazie a quelle la pagina è dove è oggi.”
“Tre consigli?” No. “Leggete tra le righe”
Quando le chiediamo i tre consigli per far durare una quote‑page, scarta la liturgia. “In quello che ho detto c’è più di tre consigli. Chi sa leggere tra le righe saprà trarne vantaggio.” Poi concede la sintesi‑mantra: “Credi in te stesso, nella tua idea. Non ti arrendere: la costanza porta sempre risultati.”
Il ritratto, in controluce
Nelle risposte di Vittoria si legge un metodo che non suona come lezioncina, ma come pratica quotidiana:
- Identità chiara: un brand name estremo che non si piega al politically correct, ma si autolimita per restare pop e non diventare rissa.
- Ritmo e costanza: la vera leva di crescita non sono i trucchetti, ma la disciplina (cinque frasi al giorno).
- Ascolto: lo spunto è ovunque – vita vissuta, frasi captate per strada, lingua inglese – e il filtro è la sensibilità di chi cura.
- Sovranità editoriale: un lavoro solitario per scelta, per tenere il tono unico e riconoscibile.
- Business sobrio: le sponsorizzazioni come cartellone “in strada trafficata”; coerenza come filtro; merch come sviluppo naturale.
- Comunità che si auto‑modera: il pubblico spiega l’ironia agli scettici; la moderazione interviene solo contro l’aggressività.
Dal 2016 a oggi, Sticazzi.eu resta una palestra di linguaggio breve. Non moralismo, non cinismo fine a sé stesso: sintesi. La pagina funziona perché dice veloce quello che molti pensano. Il segreto, più che nelle frasi “stronze”, è nel loro dosaggio: cinque, tutti i giorni, con la cura di chi sa quando fermarsi un millimetro prima del troppo.

C’è un paradosso tenero in questa storia: chi si firma Sticazzi porta in pagina un antidoto allo stress, una promessa di leggerezza – non superficialità – in un’epoca di opinioni urlate. La forza, qui, non è nel mandare al diavolo il mondo, ma nel dargli un sopracciglio alzato al momento giusto. È un mestiere di misura.
E come spesso accade, è anche un mestiere di solitudini: una ragazza di Cefalù, un telefono, cinque righe ben calibrate, tutti i giorni. Il resto lo fa la community: i grazie sussurrati, i sorrisi in giornate storte, quel “continua così” che a un certo punto – 2020, cinque frasi, la crescita – diventa traiettoria. Vittoria lo riconosce con una semplicità che è già stile: “Ho ripreso e ho ricominciato a crederci.”
