Salute e Benessere
Malattie rare, indagine: fa sport 40% persone con Sma e...
Malattie rare, indagine: fa sport 40% persone con Sma e distrofie muscolari
Fontana (Nemo): "Risultati permettono di tracciare nuovi percorsi di cura"
Lo sport è un valore riconosciuto in modo unanime ma, di fatto, lo praticano circa 4 su 10 degli intervistati nell'indagine qualitativa 'Ada informa: lo sport e le malattie neuromuscolari'. La ricerca - presentata in occasione dell'undicesima Giornata internazionale dello sport per lo sviluppo e la pace, che si celebra domani 6 aprile - nasce nell'ambito del progetto educativo 'La SMAgliante Ada', con l'obiettivo di approfondire la conoscenza e l'impatto della pratica sportiva adattiva (lo sport accessibile a chi vive con una disabilità) sulla vita quotidiana, sulla salute e sul benessere psico-fisico di bambini, ragazzi e adulti con atrofia muscolare spinale (Sma) e distrofie muscolari.
"In questa giornata in cui si celebra lo sport come potente strumento per rafforzare i legami sociali, la solidarietà, la pace e il rispetto, la voce di chi pratica uno sport adattivo è preziosa per costruire conoscenza su un tema ancora poco esplorato dal punto di vista scientifico - afferma Alberto Fontana, presidente dei Centri clinici Nemo - I dati di questa indagine, infatti, non solo ci permettono di promuovere l'impatto positivo che la pratica sportiva adattiva ha sulla qualità di vita di chi vive una malattia neuromuscolare, a pochi mesi dal riconoscimento costituzionale dello sport, ma ci consente di comprenderne le opportunità di sviluppo per imparare a tracciare nuovi significati del concetto di cura".
Promossa da Nemolab, con il patrocinio di Centri clinici Nemo, Associazione famiglie Sma Aps Ets, Uildm (Unione italiana lotta distrofia muscolare), Fipps (Federazione italiana oaralimpica powerchair sport) e Comitato italiano paralimpico, con il contributo non condizionante di Roche Italia - si legge in una nota - l'indagine ha coinvolto 67 giovani adulti tra i 18 e i 40 anni e 50 genitori di bambini e ragazzi tra i 6 e i 18 anni, per un totale di 117 intervistati, distribuiti uniformemente per età e genere, la cui patologia necessita, per la maggior parte dei rispondenti, l'uso della carrozzina e l'aderenza ad un programma di riabilitazione presso un centro specializzato. Anche se chi pratica sport è il 34% dei bambini/ragazzi e quasi il 42% degli adulti intervistati, percentuali lontane da quelle della popolazione generale, il dato è un segno concreto dell'impegno delle associazioni dei pazienti in questo ambito, in quasi cinquant'anni di storia.
E' il nuoto lo sport più praticato dal campione, soprattutto in età evolutiva, seguito dagli sport di squadra, con la lunga tradizione del powerchair hockey e l'affacciarsi, negli ultimi anni, del powerchair football, soprattutto per le giovani generazioni. "Lo sport è una scintilla, un attivatore di energia - osserva Marco Rasconi, presidente nazionale Uildm - E' strumento prezioso di inclusione senza perdere l'aspetto di competizione. Ed è proprio questo equilibrio che va protetto e mantenuto anche nello sport adattivo. Per un giovane con disabilità, lo sport diventa un obiettivo fisso. Cominciare a fare sport rende tutte le altre attività più raggiungibili, perché di fronte al 'non posso fare' legato a una diagnosi, subentra il pensiero del 'posso fare tutto'". Infatti, i dati confermano che praticare sport ha un forte impatto positivo sulla qualità di vita percepita (62% dei genitori e 75% degli adulti) in termini di benefici fisici come: una migliore percezione delle proprie capacità e del proprio benessere fisico (70%); un maggiore senso di autocontrollo mentale del proprio corpo e delle proprie abilità fisiche (55%), e un aumento del senso di operosità e di voglia di fare (80%degli adulti, 68% dei genitori).
"La scelta di iniziare un sport adattivo è dettata prima di tutto da un interesse personale - sottolinea Elena Carraro, medico fisiatra, referente area riabilitativa Centro clinico Nemo Milano e co-curatrice dell'indagine - Tuttavia è interessante notare come, nonostante gli intervistati frequentino un centro di riferimento per il trattamento riabilitativo, il 52% dei genitori e il 34% degli adulti riferisca di non aver ricevuto alcuna indicazione dal personale sanitario riguardo la possibilità di intraprendere attività sportive, con le eventuali controindicazioni o benefici. Per questo è importante continuare a indagare anche dal punto di vista clinico e scientifico la relazione tra sport adattivo e salute, con scale di valutazione funzionali mirate, imparando nel tempo a valorizzare nella storia di malattia anche i benefici ed i vantaggi che lo sport può portare al loro benessere psico-fisico e alla qualità di vita".
Sul piano psicologico, emotivo e relazionale, "giocare in squadra - aggiunge Silvia Bolognini, psicologa di Nemolab e co-curatrice dell'indagine - è un potente veicolo per formare nuove amicizie, consolidare legami sociali e sperimentare il senso di appartenenza ad un gruppo, indipendentemente dall'età, come ha evidenziato quasi il 40% dei genitori e circa 66% degli adulti". Non solo, gli intervistati riferiscono anche: una percezione di maggiore autoefficacia nell'utilizzare strategie per gestire la vita quotidiana (55% genitori e 53% adulti); un miglioramento dell'autostima, con una maggiore consapevolezza delle proprie abilità e sicurezza (70% dei genitori e 78% degli adulti); un aumento della determinazione nel perseguire gli obiettivi (75% dei genitori e 84% degli adulti), del senso di autorealizzazione personale e delle proprie aspirazioni con un miglioramento dell'umore (60% dei genitori e 66% degli adulti).
"Attraverso l'attività sportiva adattiva, i nostri bambini e ragazzi hanno la possibilità di mettersi alla prova in un campo da gioco e di vivere un'esperienza come i loro pari - rimarca Anita Pallara, presidente di Famiglie Sma - E' vero, si fanno i conti anche con i propri limiti, ma si imparano nuove skills per superarli e questo è fondamentale soprattutto per i bambini in fase di crescita e con una disabilità motoria come la Sma. La pratica sportiva, inoltre, aiuta a conoscere e a gestire il proprio corpo al di fuori delle attività ordinarie alle quali i nostri bambini sono abituati, come la fisioterapia e la riabilitazione, a rafforzare il legame con i genitori, stimolare nuove amicizie e creare legami di fiducia con persone al di fuori della propria cerchia familiare, come ad esempio con l'allenatore".
Gli ostacoli che impediscono la pratica sportiva adattiva sono, in particolare, barriere fisiche e strutturali, come la difficoltà di identificare un centro di riferimento accessibile a sport adatti alla propria patologia (87,8% dei genitori e 86,6% degli adulti), la fatica di organizzare e gestire i trasporti, la scarsa sostenibilità economica e la percezione di poca inclusività delle attività sportive proposte (50% degli intervistati). "L'inclusione è il traguardo di un lungo progetto - commenta Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico - Questa indagine ci racconta di come lo sport possa migliorare sensibilmente la qualità della vita di persone con disabilità gravi e gravissime e favorire percorsi di socialità e di integrazione. Con lo sport è possibile superare i propri limiti e contribuire alla costruzione di una società più giusta, più equa, più solidale". I benefici della pratica sportiva "sono testimoniati dalla partecipazione e dalla resilienza dei tanti atleti, familiari, volontari, tecnici, tifosi - rimarca Andra Piccillo, presidente federale Fipps - Ma indagini come questa sono occasioni fondamentali per raccogliere dati ed evidenze statisticamente tangibili sui benefici e impatti che le discipline sportive che promuoviamo hanno sulla qualità della vita delle persone che le praticano e che le vivono, come vi invitiamo a sbirciare, in occasione della Giornata internazionale dedicata al powerchair hockey di domenica 7 aprile", sui social con #ipchday.
"Più che di diversità, a me piace parlare di unicità: siamo tutti diversi e per questo unici - conclude Amelia Parente, Rare Condition Government Affairs & Transformation Enabling Head Roche Italia - Lo sport è uno dei linguaggi universali capaci di compiere una operazione fondamentale per la coesione sociale: riconoscere l'unicità e il talento di ciascuno mentre si fonde con quello degli altri. E' per questo che siamo orgogliosi di aver fatto parte del progetto educativo 'La SMAgliante Ada', che mette al centro la salute mentale, quella fisica e la diversità e inclusione come la vogliamo intendere: unicità di ciascuno e unità tra tutti".
Salute e Benessere
Disturbi della memoria, scoperto come il cervello distingue...
Lavoro del team di ricerca del dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Torino
Una ricerca condotta da un team di ricerca del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino potrebbe fornire informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche per i disturbi della memoria. Formare ricordi di eventi simili costituisce una vera e propria sfida per il nostro cervello. "È essenziale che ogni evento venga memorizzato in maniera separata per preservarne la specificità. Tuttavia, è altrettanto importante riconoscere e ricordare gli aspetti comuni tra gli eventi. Se questo delicato processo viene compromesso, le persone rischiano di confondere un evento con un altro, perdendo così la chiarezza e la specificità dei propri ricordi". Lo ha rilevato un nuovo studio pubblicato su 'Cell Reports' che ha identificato un intricato processo cerebrale che consente di distinguere e memorizzare eventi simili in maniera separata, mantenendo al contempo le somiglianze tra di essi. La ricerca è stata condotta principalmente dalle ricercatrici Giulia Concina, Luisella Milano e Annamaria Renna coordinate dal professor Benedetto Sacchetti del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino.
I ricercatori hanno studiato l’attività cerebrale durante l'apprendimento di due eventi distinti ma con elementi in comune, scoprendo che nell'amigdala, una regione cerebrale chiave per la formazione dei ricordi, gruppi separati di neuroni si attivano per memorizzare separatamente eventi distinti. "Tuttavia, alcuni neuroni rispondono a entrambi gli eventi, aiutando a ricordarne le somiglianze. Il numero di questi neuroni comuni - sottolinea lo studio - è regolato da un particolare tipo di cellule chiamate neuroni inibitori. Bloccando queste cellule, i ricercatori hanno notato come il numero di neuroni comuni aumentasse notevolmente causando la confusione e sovrapposizione dei due eventi. Secondo i ricercatori, in conclusione, i neuroni inibitori contribuiscono quindi a mantenere distinti i ricordi di eventi simili".
La ricerca è stata condotta adottando un approccio multidisciplinare che ha integrato metodologie di analisi comportamentale, biologia molecolare, microscopia ad alta risoluzione e modulazione dell'attività cerebrale. In particolare, grazie all'utilizzo della tecnica innovativa della 'marcatura chemogenetica', i ricercatori hanno potuto visualizzare i neuroni coinvolti nella percezione sia degli aspetti distintivi di due eventi, sia delle loro caratteristiche comuni. Questa analisi ha permesso anche di individuare le cellule in grado di limitare il numero di neuroni condivisi, ovvero i neuroni inibitori. Infine, combinando le tecniche di marcatura chemogenetica e di inattivazione dell'attività neuronale, i ricercatori hanno selettivamente bloccato queste cellule, notando che ciò portava i soggetti a confondere gli eventi tra di loro.
"Questa ricerca - spiega Sacchetti - riveste un'importanza significativa poiché mette in luce l'esistenza di neuroni il cui ruolo è quello di mantenere separate le memorie di eventi distinti ma con aspetti in comune, consentendo così di conservare i ricordi di tali eventi in modo preciso e nitido. Considerando che una delle caratteristiche tipiche dei disturbi della memoria, come le demenze e il disturbo post-traumatico da stress, è la tendenza a confondere gli eventi passati, questa ricerca potrebbe fornire nuove informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche".
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Università, Gesualdo (Fism): “Nettamente contrari a...
"D'accordo con Ordine medici e Anaao. Serve programmazione razionale, le Scuole di Medicina non possono accogliere 70mila iscritti per mancanza di spazi e risorse"
"La decisione di eliminare il numero chiuso per l'iscrizione alla Facoltà di Medicina, Medicina veterinaria e Odontoiatria e protesi dentaria rappresenta una minaccia alla qualità della formazione medica e prelude un grave rischio di sovraffollamento del mercato del lavoro medico. Come l'Ordine dei medici e Anaao anche la Fism è nettamente contraria a stop al numero chiuso". Così all'Adnkronos Salute il presidente della Federazione italiana società medico-scientifiche (Fism) Loreto Gesualdo commenta l'adozione da parte della Commissione Istruzione del Senato del testo base che elimina il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina.
La Fism "ribadisce l'importanza di una programmazione razionale e basata sui reali bisogni del Servizio sanitario nazionale - spiega Gesualdo sottolineando "la necessità di una selezione accurata dei futuri medici già durante il percorso scolastico, al fine di garantire una formazione di qualità e una corretta distribuzione sul territorio". Inoltre, "occorre estendere la programmazione non solo al numero dei medici, ma anche a tutte le altre professioni sanitarie, come infermieri, fisioterapisti, dietisti e altre figure professionali - evidenzia il numero uno di Fism - essenziali per supportare i percorsi di intelligenza artificiale e l'evoluzione tecnologica nel settore della salute".
Gesualdo suggerisce di "potenziare i licei con inclinazione biomedica" per preparare "adeguatamente gli studenti interessati a intraprendere percorsi universitari" nel campo della salute. "Tuttavia - avverte - è importante ricordare che attualmente le scuole di medicina non sono in grado di accogliere un numero così elevato di studenti, con circa 70.000 iscrizioni previste, a causa della mancanza di spazi e risorse necessarie".
La programmazione delle professioni sanitarie "deve essere inclusiva e mirata a garantire un equilibrio tra domanda e offerta di competenze specialistiche, al fine di garantire un corretto sviluppo del settore e una gestione ottimale delle risorse umane nel campo della salute". La Fism "si impegna a promuovere una visione olistica della programmazione delle professioni sanitarie, che tenga conto delle nuove sfide e opportunità offerte dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale nel campo della salute" conclude.
Salute e Benessere
25 aprile, il pediatra: “Ecco come spiegarlo ai...
"Per ogni età c'è il giusto modo di raccontarlo, a seconda della fase evolutiva"
25 aprile data importante per gli italiani. E, come tutti gli anni, al centro in questi giorni di dibattiti, ricordi, commemorazioni. Ma come spiegarlo ai bambini che ci chiedono chiarimenti? "Per ogni età c'è il giusto modo di raccontarlo, a seconda della fase evolutiva", spiega all'Adnkronos Salute Italo Farnetani, docente di Pediatria dell'Università Ludes-United Campus of Malta.
"Ai bambini di meno di 10 anni, per esempio - suggerisce il medico - direi semplicemente che in questo giorno è finita la guerra che veniva combattuta in Italia. Bisogna tener conto del fatto che in questa fascia di età i bambini ragionano per operazioni concrete, su ciò che vedono e che gli va spiegato nella sua concretezza. Possiamo raccontargli, quindi, che nel nostro Paese c'era una guerra come quelle che vedono in televisione e il 25 aprile se ne festeggia la fine". Dagli 11 anni in poi, soprattutto a chi frequenta le scuole superiori, prosegue Farnetani, "si può parlare con i ragazzi dei contenuti ideali, politici, legati alla Festa della liberazione". Mentre "dai 14 anni in su, cioè quando l'adolescente entra nella fase delle 'operazioni formali', il discorso può ampliarsi ai concetti di pace, guerra, libertà, dittatura, diritti umani, cioè fare un discorso formativo. In questa fase dell'adolescenza, in cui predominano i concetti di bene e male, giustizia e ingiustizia - sottolinea il pediatra - si fa strada una visione utopica della realtà. Gli adulti, considerando questa particolare fase dello sviluppo del ragionamento degli adolescenti, possono aiutare i ragazzi a fare un'analisi oggettiva di ciò che è avvenuto il 25 aprile perché possa partire da una valutazione storica, etica e politica dei fatti per farsi, autonomamente, un'idea precisa dell'origine e delle motivazioni del significato simbolico della data. Successivamente potrà esaminare i decenni successivi della storia della politica italiana".
Un'informazione che tenga conto delle fasi evolutive, conclude Farnetani, è una modalità utile a fornire "all'adolescente strumenti per capire le problematiche alla radice. In caso contrario, si rischia di proporre concetti preconfezionati o di parte che non aiutano lo sviluppo della persona".