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Sostenibilità

“Transizione green può costare 1/3 della produttività delle...

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“Transizione green può costare 1/3 della produttività delle imprese”, l’allarme della Bce

Una lotta per la sopravvivenza: la produttività delle imprese può superare i livelli attuali, ma solo sul lungo periodo

Sede della Bce - Canva

La transizione energetica può costare circa 1/3 la produttività delle imprese più inquinanti nei prossimi 5 anni. Solo nel lungo periodo, la produttività tornerebbe a crescere, superando persino quella attuale.

Questo è il rapporto in chiaroscuro della Bce poche settimane dopo che la Commissione europea ha svelato i suoi nuovi target di riduzione delle emissioni al 2040: dovranno essere il 90% in meno rispetto ai valori di riferimento del 1990, prima di arrivare all’azzeramento entro il 2050.

L’obiettivo, ampiamente dichiarato, è far diventare l’Europa il primo continente climaticamente neutro al mondo, anche se il nuovo target è contenuto in una comunicazione di orientamento e non in un vero e proprio provvedimento normativo.

Dopo le elezioni di giugno, si vedrà se questo obiettivo sarà messo nero su bianco dal nuovo esecutivo. Intanto, la strada verso la transizione green dell’Ue è tracciata da tempo con il Green Deal europeo, di cui la Bce ha approfondito le conseguenze, lanciando qualche allarme sulla produttività delle imprese europee. Come sempre, la sfida è trovare un equilibrio tra la sostenibilità ambientale e la produttività, la redditività delle imprese.

Un equilibrio complesso e spesso analizzato attraverso la dialettica partitica e le relative prese di posizione. Il report redatto dagli esperti dell’Eurotower è l’opportunità per approfondire il tema dalla posizione super partes e istituzionale della Bce.

Quanto costa la transizione green

Sulla base delle stime realizzate dallo studio, si prevede che una stretta “green” decisa e rigorosa abbatterà di circa 1/3 le performance economiche delle aziende comunitarie più inquinanti nei prossimi 5 anni. “La transizione verde – si legge nel report – può stimolare l’aumento della produttività, ma ci vorrà tempo”.

A destare preoccupazione nel breve-medio termine è l’aumento dei costi di produzione determinato principalmente da due fattori:

- le nuove imposte sulle emissioni di CO2;

- le tensioni geopolitiche in atto in Ucraina e in Medio Oriente

Gli esperti dell’Eurotower muovono le proprie considerazioni dai dati raccolti in sei tra le più grandi economie nell’area della moneta unica: Italia, Germania, Francia, Spagna, Portogallo e Belgio. Per simulare quali possano essere le ricadute economiche della transizione energetica, si sono considerati le conseguenze di pandemia e caro-energia.

Gli autori del report, però, evidenziano che in quei casi, gli effetti negativi sono stati contenuti grazie a “generosi e rapidi interventi a livello nazionale ed europeo” che hanno sostenuto famiglie e imprese senza produrre effetti distorsivi sull’economia. Una soluzione che, per natura, non può essere strutturale, al contrario della transizione green.

Da qui il monito degli economisti dell’Eurotower che però specificano: “i costi della transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2 saranno sempre inferiori rispetto a quelli dell’inazione”. Come dimostrato da diversi studi, infatti, non investire nella transizione aumenterebbe esponenzialmente i rischi delle aziende e dei cittadini connessi ai disastri ambientali. Secondo le stime, ad esempio, le alluvioni dello scorso anno hanno generato danni per oltre 200.000 dollari a testa per gli emiliani colpiti, con una particolare vulnerabilità degli imprenditori che, in poche ore, hanno visto spazzare via la loro attività, la loro fonte di guadagno.

Uno scenario sempre più concreto, da cui l’assicurazione obbligatoria contro i disastri naturali in capo alle imprese, da stipulare entro il 2024.

Imprese italiane le più esposte

In pratica, dunque, la sfida sarà uscire indenni dalla prima fase della transizione. Una lotta per la sopravvivenza in cui rischiano soprattutto le imprese italiane e tedesche. Solo un mese fa, infatti, l’Eurotower aveva spiegato che le imprese nostrane e quelle della Germania sono “ le più vulnerabili ” tra i principali Paesi dell’eurozona.

Diversi i rischi che minacciano il tessuto imprenditoriale dei due Paesi:

- la stretta monetaria;

- le turbolenze nel commercio globale;

- le tensioni geopolitiche.

A rischio, ha spiegato la Bce, il 9% delle imprese italiane, con una esposizione maggiore nel settore industriale, dove le dichiarazioni di fallimento che superano i livelli pre-pandemia. Situazioni su cui pesa anche la crisi demografica.

Le imprese a rischio mostrano una tendenza a investire meno rispetto alle imprese sane, e si registrano aumenti nei crediti deteriorati per le aziende in difficoltà.

I diversi impatti della politica green

Gli economisti di Eurotower spiegano che l’impatto economico cambierà in base alle misure. Le politiche ambientali e la produttività aziendale sono strettamente intrecciate, ma l'impatto delle diverse misure può variare significativamente nel tempo.

Ad esempio, si prevede che le politiche di sostegno pubblico alla ricerca e allo sviluppo "green" possano far calare la produttività in fase di transizione, per stimolare la crescita in un secondo momento.

La possibile contrazione della produttività a seguito della transizione energetica, segue diversi canali:

- soprattutto nella prima fase, molte aziende possono avere difficoltà nel reagire a crisi di mercato, per via dell’adattamento alle nuove materie prime, ai nuovi strumenti e ai nuovi meccanismi di produzione (minore elasticità delle imprese);

- le nuove tecnologie verdi possono essere meno efficienti di quelle esistenti;

- gli investimenti nelle tecnologie verdi potrebbero escludere altri investimenti volti a migliorare la produttività;

Tuttavia, secondo il documento, a impattare di più sulle imprese europee saranno gli strumenti “non di mercato”, le norme che si basano sul principio del “chi inquina paga” come la nuova imposta sul carbonio alla frontiera (Cbam) e il sistema di scambio delle quote di emissione (Ets). Queste politiche, spiega ancora la Bce nel suo report, possono avere effetti negativi ridotti ma persistenti sulla produttività delle imprese, soprattutto nei settori industriali ad alta intensità di carbonio.

La tecnologia al servizio delle imprese

Un ruolo chiave nella resilienza delle imprese può essere giocato dall’evoluzione tecnologica che deve andare di pari passo con quella energetica. Da Francoforte spiegano che l’impatto negativo sulla produttività delle aziende “potrebbe essere compensato a lungo termine dall’adozione di nuove tecnologie più ecologiche e digitali”. Sullo sfondo, l’Intelligenza artificiale che può diventare un prezioso alleato delle imprese per evitare di fallire, prima, e per riprendere a macinare, poi.

Non solo: l’Ia può dare un’accelerazione decisa alla transizione green che assume sempre di più le sembianze di una corsa contro il tempo. Entrambi gli ambiti, Esg e Ia, assumono significato grazie ai dati.

L'Esg, che sta per Environmental, Social e Governance, rappresenta infatti un metodo di valutazione delle performance aziendali che si basa su criteri mirati a misurare l'impatto delle operazioni su vari aspetti legati alla sostenibilità ambientale, alla responsabilità sociale e alla governance aziendale.

Questi criteri includono anche l'analisi dei rischi aziendali, degli investimenti e delle operazioni, offrendo una visione approfondita sul rispetto delle normative ambientali, sul coinvolgimento dei dipendenti, sull'etica aziendale e sulla capacità di interagire con gli stakeholder che contribuiscono alla creazione di valore.

Sempre di più l’Ue (con la direttiva Csrd in primis) richiede alle imprese un quadro sempre più completo e dettagliato dell'impatto ambientale e sociale delle aziende europee. Valutazioni che sono ormai fondamentali anche per la valutazione finanziaria dell’azienda come dimostra il fatto che le aziende con migliori prestazioni Esg rendono anche (molto) meglio in borsa.

L’Ia permette di misurare in maniera estremamente rapida e precisa parametri come le emissioni di gas serra, i consumi energetici, la gestione dei rifiuti e l'impatto della catena di approvvigionamento. In questo modo, le imprese possono risparmiare in termini di risorse economiche e umane, che altrimenti sarebbero allocate nella valutazione di questi indici.

Una tecnologia tutt’altro che priva di rischi (ne abbiamo parlato qui con l’avv. Guido Scorza), ma che può aiutare le aziende anche a massimizzare l'efficienza e minimizzare gli sprechi in fase di produzione, non solo di analisi.

Questa tecnologia consente di efficientare gli sforzi e le risorse utilizzate anche grazie ad una capacità predittiva esponenzialmente maggiore rispetto a quella umana. In pratica, l’Intelligenza artificiale ‘calcola’ la soluzione più efficiente per l’impresa senza che quest’ultima utilizzi tempo e risorse per trovare la soluzione migliore. In ultima istanza, l’Ia può permettere alle aziende di sviluppare modelli di apprendimento automatico che aiutano a comprendere e monitorare i rischi Esg, così come a identificare le aree di business in cui è possibile apportare miglioramenti significativi e, quindi, aumentare la produttività.

Le nuove tecnologie cui fa riferimento la Bce nel report, possono aiutare le aziende italiane e non a sopravvivere nella prima fase della transizione green, prima che la produttività torni a cavalcare.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Sostenibilità

Sostenibilità in ascesa, si accende l’interesse degli...

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Politiche di investimento sostenibile, tendenze, motivazioni e prospettive future

Investimenti sostenibili - Fotolia

L'attenzione verso la sostenibilità da parte di enti previdenziali, fondazioni di origine bancaria e del comparto assicurativo è in costante crescita. Lo conferma la sesta indagine condotta dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, in collaborazione con Asvis (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) e Febaf (Federazione Banche Assicurazioni e Finanza), intitolata 'Esg e Sri: Le Politiche di Investimento Sostenibile degli Investitori Istituzionali Italiani'.

Esg e Sri, fondamentali principi di investimento sostenibile

Gli Esg (Environmental, Social and Governance) e il Sri (Socially Responsible Investment) rappresentano i pilastri fondamentali nell'ambito degli investimenti sostenibili. Gli Esg si concentrano sulla valutazione dei fattori ambientali, sociali e di governance di un'azienda o di un'entità, valutando il suo impatto sull'ambiente, sulla società e sulle pratiche di gestione aziendale. D'altra parte, il Sri si riferisce a strategie di investimento che tengono conto dei valori sociali ed etici, oltre a considerazioni finanziarie.

Insieme, questi principi guidano gli investitori istituzionali nel prendere decisioni di investimento più consapevoli, mirando a ottenere rendimenti finanziari sostenibili e ad impattare positivamente sulle comunità e sull'ambiente. Integrare tali criteri nelle politiche di investimento non solo promuove la sostenibilità a lungo termine, ma può anche generare rendimenti finanziari più stabili e mitigare i rischi nel portafoglio degli investitori.

Adozione delle politiche di investimento sostenibile

L'adozione di politiche di investimento sostenibile è diventata una tendenza sempre più diffusa tra gli enti previdenziali, le fondazioni di origine bancaria e le compagnie assicurative in Italia. Dei partecipanti alla survey, il 53% ha dichiarato di aver già implementato tali politiche. È interessante notare che anche tra coloro che ancora non hanno adottato formalmente la finanza Sri, il 75% ha discusso questo argomento in vista di possibili sviluppi futuri. Nel 2024, hanno partecipato alla survey 128 enti, rispetto ai 123 dell'anno precedente, confermando un crescente interesse verso la sostenibilità nel settore finanziario italiano.

Dopo una leggera battuta d'arresto registrata l'anno scorso, si registra un aumento sia in valore assoluto sia in valore percentuale del numero di investitori istituzionali che adottano politiche di investimento sostenibile. Questo è un segnale incoraggiante, evidenziato anche dalla crescente percentuale di enti virtuosi rispetto al campione intervistato. Tuttavia, rimangono delle sfide da affrontare, come la percentuale di enti che, pur discutendo di sostenibilità in consiglio di amministrazione, decidono di non approcciare la finanza Sri.

Applicazione delle politiche Esg

Un altro dato degno di nota è l'incremento nell'applicazione delle politiche Esg, con il 44% degli enti che preferisce investire una quota compresa tra il 75% e il 100% del proprio patrimonio secondo questi criteri. Tuttavia, si osserva un aumento a discapito delle classi intermedie di investitori 'sostenibili e responsabili', il che suggerisce la necessità di un equilibrio nell'allocazione dei fondi secondo i principi Esg.

Tendenze e motivazioni nell'adozione della finanza SRI

Le tendenze e le motivazioni che guidano verso la finanza SRI riflettono una combinazione di obiettivi etici e pragmatici. La volontà di contribuire allo sviluppo sostenibile emerge come il principale motore di questa scelta, con l'82% dei rispondenti che cita questo obiettivo come la loro motivazione primaria. Tuttavia, non vanno trascurati anche motivi di natura più tecnica, come la mitigazione dei rischi nel portafoglio, citata dal 67% dei partecipanti.

Al terzo posto, ma comunque rilevante, troviamo il miglioramento della reputazione dell'ente, con il 49% delle preferenze. Questo dato rappresenta il valore più alto registrato in tutti gli anni di indagine condotti finora. Altri motivi includono la ricerca di migliori rendimenti finanziari (20%) e la pressione del regolatore (18%).

Tuttavia, nonostante l'interesse e le motivazioni, ci sono delle sfide da affrontare. La difficile misurabilità degli impatti e delle performance è citata dal 62% degli intervistati come la principale barriera all'implementazione di una politica di investimento sostenibile. Anche la mancanza di una definizione univoca di sostenibilità (53%) e la percezione di una normativa di settore poco chiara e confusionaria (48%) contribuiscono a complicare il panorama.

Inoltre, nonostante gli sforzi, solo un esiguo 8% dei rispondenti rileva benefici effettivi in termini di rendimenti finanziari dalle proprie politiche di investimento sostenibile. Al contrario, il 63% sperimenta una mitigazione del rischio complessivo nel portafoglio. Questi risultati suggeriscono che, sebbene vi sia una crescente sensibilità verso la finanza SRI nel mercato istituzionale, vi è ancora un divario significativo tra le aspettative teoriche e gli impatti pratici. Tale divario potrebbe essere influenzato da fattori esterni, come l'instabilità dei mercati finanziari e l'incertezza normativa.

Strategie e tendenze nelle politiche di investimento sostenibile

L'indagine fornisce un'analisi dettagliata sulle strategie e le modalità con cui vengono implementate le politiche di investimento sostenibile, evidenziando le preferenze e le sfide che gli investitori affrontano in questo ambito.

Le esclusioni continuano a detenere la posizione di leadership come strategia più utilizzata per il sesto anno consecutivo, con il 66% dei partecipanti che le adotta. Seguono gli investimenti tematici (34%) e il best in class (32%), che hanno scalzato dal podio le convenzioni internazionali (31%) e l'impact investing (29%). Tuttavia, l'engagement rimane ancora in coda alle preferenze, sebbene cresca dal 24% al 28% in questa edizione. Questo potrebbe suggerire che alcuni investitori ritengono questa strategia più complessa da attuare.

Le esclusioni si concentrano principalmente su prodotti legati al mercato delle armi (89%), seguite da pornografia (59%) e gioco d'azzardo (56%). La parità di genere, sebbene ancora bassa, registra un aumento dal 8% al 11% rispetto all'anno precedente.

Per quanto riguarda le convenzioni internazionali, Unpri rimane al primo posto (64%), seguito dal Global Compact dell'ONU (56%). Per quanto riguarda il best in class, l'attenzione verso la tutela dell'ambiente prevale, con una forte enfasi sulla riduzione delle emissioni (69%).

È interessante notare che, nonostante l'ambiente sia il fattore dominante, la componente sociale e la governance hanno anche un peso significativo, rispettivamente al 31,4% e al 30,7% delle preferenze. Gli investimenti tematici riflettono questa tendenza, con una predilezione per i temi ambientali ma con investimenti significativi anche in settori come la Silver Economy e le Residenze Sanitarie Assistite (RSA).

Per quanto riguarda le tendenze future, il 66% degli investitori afferma di voler aumentare la propria esposizione agli strumenti sostenibili. Le esclusioni rimangono la strategia più allettante, seguite da best in class e investimenti tematici. Settori come le energie rinnovabili, la salute e le infrastrutture sanitarie attraggono particolare interesse per il loro potenziale di crescita sostenibile. Tuttavia, la diversificazione rimane importante, con molte menzioni di settori come le scienze della vita e l'agroalimentare tra le preferenze degli investitori.

Prospettive future e impatto della normativa

Le prospettive della finanza sostenibile sono influenzate in gran parte dalla normativa di settore, che assume un ruolo sempre più rilevante nell'ambito degli investimenti responsabili. La survey dedica quindi una serie di domande specifiche al regolamento Sfdr e ai nuovi modelli Rts che i gestori/collocatori di fondi dovranno adottare nelle comunicazioni.

Attualmente, la maggior parte dei partecipanti (67%) valuta gli effetti di Sfdr come limitati, ma riconosce il potenziale per aumentare l'interesse verso l'acquisto diretto di fondi Esg. Tuttavia, molti enti sono ancora in fase di studio e analisi del quadro legislativo, il che si riflette nel numero di fondi che non rispondono né all'articolo 8 né all'articolo 9.

C'è una crescente consapevolezza della complessità delle nuove procedure e normative, con oltre il 60% dei partecipanti che dichiara di non avere conoscenze sufficienti sugli Rts. Questo porta molti enti a manifestare l'intenzione di avviare percorsi di formazione interna, sebbene solo una minoranza disponga attualmente di figure o team dedicati agli investimenti Esg.

La collaborazione con advisor finanziari specializzati sugli aspetti di sostenibilità è sempre più diffusa, con il 42% dei partecipanti che si avvale di un advisor Esg. Tra i gestori/collocatori di fondi, alcune società emergono come particolarmente attente alle tematiche Esg, evidenziando un'attenzione crescente verso la sostenibilità anche nel panorama nazionale e internazionale.

Nonostante le recenti performance degli investimenti sostenibili possano non essere particolarmente brillanti a causa di un contesto congiunturale sfavorevole, l'economia italiana sta sempre più puntando verso la sostenibilità. Ciò riflette non solo una maggiore sensibilità dei singoli cittadini, soprattutto dei più giovani, ma anche una consapevolezza crescente nell'ambito degli investimenti istituzionali.

La sostenibilità non è più una moda, ma una componente essenziale degli investimenti, in linea con la sensibilità crescente dei cittadini. Nonostante le attuali performance non brillanti, la finanza sostenibile è destinata a consolidarsi come modello predominante nelle allocazioni future.

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Sostenibilità

Agricoltura, nasce sistema Agreed: droni e satelliti per...

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Progetto nato per realizzare un sistema integrato di sorveglianza, tracciabilità, previsione e gestione malattie che colpiscono produzioni ortofrutticole dell’Italia meridionale

Agricoltura, nasce sistema Agreed: droni e satelliti per prevenire malattie ortofrutta

Una piattaforma tecnologica che raccoglie i dati inviati da droni, satelliti, radar e sensori di campo per prevenire le malattie che minacciano le produzioni ortofrutticole evitando crisi produttive e conseguenti danni economici alla filiera dell’agricoltura e agli operatori di settore. Nasce così Agreed, AGRiculture, Green & Digital, il nuovo sistema europeo d’avanguardia realizzato dall’italiana Corvallis (Gruppo Tinexta), azienda cyber tra i principali fornitori di servizi It nel settore finanziario italiano, in collaborazione con la sede italiana del Ciheam-Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Méditerranéennes, Politecnico di Bari, Hort@, Cini, Università degli Studi di Enna "Kore", Cmcc (Centro Europeo Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) e Infobiotech. (Video)

Il progetto si propone di utilizzare diverse tecnologie per realizzare un sistema integrato di sorveglianza, tracciabilità, previsione e gestione a basso impatto ambientale delle più gravi malattie che colpiscono le principali produzioni ortofrutticole dell’Italia meridionale, come l’olivo, la vite, gli agrumi e il pomodoro. L’esigenza degli operatori agricoli è quella di individuare e prevedere l'insorgere di fitopatologie – come funghi, virus, batteri e altri organismi – che compromettono i raccolti di frutta e verdura.

Agreed è il sistema più avanzato in Europa per la raccolta di informazioni affidabili in tempo reale sulla presenza e diffusione delle patologie delle piante. Grazie alla collaborazione tra ricercatori, tecnici e agricoltori, il progetto offre vantaggi tangibili per il settore agricolo, tra cui la prevenzione e l'individuazione precoce di focolai d'infezione, la fornitura di informazioni affidabili sulle colture e la gestione sostenibile delle risorse in campo agricolo, supportando l'attuazione di misure di contenimento e di controllo, anche attraverso interventi fitosanitari precisi ed eco-compatibili.

Grazie a una piattaforma multisorgente IoT (Internet of Things), il sistema Agreed raccoglie e analizza flussi continui di dati provenienti da una varietà di fonti, tra cui immagini satellitari, scansioni infrarosse e termiche acquisite da droni, radar, sensori di campo e modelli climatici previsionali. Questi dati vengono continuamente analizzati ed elaborati per individuare e mappare focolai d'infezione, consentendo l'attuazione di interventi fitosanitari di precisione e sostenibili.

"Per proteggere l’agricoltura nello scenario globale, non è più sufficiente la sola esperienza umana – commenta Andrea Monti, Direttore Generale di Tinexta Cyber, il polo della cybersicurezza di cui fa parte Corvallis – per questo la tecnologia è la più valida alleata delle imprese del settore agroalimentare che devono sempre più tutelarsi a fronte dell’insorgenza di nuove patologie fitosanitarie, prima che siano epidemie non più governabili. Il settore agricolo si sta orientando in modo deciso verso l’Agritech per superare grazie alle tecnologie quel gap in innovazione registrato invece da altri settori produttivi. L’agricoltura di precisione e le soluzioni di frontiera come Agreed rappresentano un nuovo standard nella gestione preventiva delle problematiche fitosanitarie, dimostrando il potenziale delle tecnologie avanzate nel garantire la sicurezza e la qualità delle produzioni agricole, nel rispetto dell'ambiente e delle esigenze del settore agricolo contemporaneo".

"Agreed rappresenta un balzo in avanti nella sorveglianza fitosanitaria grazie a una serie di innovazioni tecnologiche che non solo favoriscono un intervento precoce, ma promuovono pratiche agricole sostenibili e rispettose dell’ambiente. Il team del Ciheam Bari, in qualità di responsabile scientifico del Progetto Agreed, ha sviluppato, in particolare, l’algoritmo per l'analisi delle immagini satellitari del programma europeo Copernicus, che consente di tracciare i 'mutamenti" causati da Xylella fastidiosa negli uliveti" ha aggiunto Maurizio Raeli, direttore del Ciheam Bari. Gli agricoltori e gli operatori del settore agricolo possono accedere alla piattaforma informatica dedicata Agreed ricevendo segnalazioni puntuali e supporto nella gestione delle minacce fitopatologiche. Tutte le informazioni relative agli interventi colturali e fitosanitari praticati dagli agricoltori sono registrati sul portale di Agreed tramite sistema blockchain. Maggiori informazioni su Agreed sono disponibili sul sito https://corvallis.it/open-lab/progetti/.

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Sostenibilità

Abbandono di vetro in strada, lo fa 1 italiano su 4: i dati

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Il fenomeno dell’abbandono di vetro in strada è stato oggetto di una ricerca del birrificio Ichnusa-AstraRicerche: ecco cosa è emerso

Bottiglie di vetro - Canva

Dichiara di farlo almeno un italiano su quattro, ma più di sei su 10 provano indignazione. Questo è il quadro emerso da una ricerca del birrificio Ichnusa, commissionata ad AstraRicerche, per fotografare opinioni e contraddizioni sul territorio nazionale, in merito all’abbandono delle bottiglie di vetro in strada. L’occasione è una campagna di sensibilizzazione dell’azienda volta ad arginare il fenomeno a partire dai comportamenti individuali.

Se sei su 10 si indignano, tre su 10 provano tristezza e due su 10 si sentono impotenti difronte al fenomeno. Ma scopriamo insieme cosa è emerso dalla ricerca.

L’abbandono di vetro in strada

Il fenomeno, nel nostro Paese, sembra avere due volti differenti. Da una parte, sei italiani su 10 ritengono che la raccolta del vetro venga fatta in alta percentuale, con cura e qualità. Dall’altra parte, uno su due (53%) percepisce come diffuso l'abbandono di rifiuti e materiali di vetro come le bottiglie in strada o negli spazi pubblici nella zona in cui vive, fenomeno che, per due italiani su tre (67%) è una priorità grave o importante.

L'indagine restituisce anche una percezione dell’identikit dei “colpevoli”. Per circa due italiani su tre, a sporcare sono per lo più i giovani 18-34 anni, principalmente uomini (anche se per il 28% non c'è gender gap in questa mancanza di rispetto), residenti in zona o nel territorio circostante.

Quali le cause? Le prime quattro cause che emergono con forza dal report sono:

  1. La mancanza di senso civico,
  2. Il poco rispetto per il decoro urbano
  3. Il disinteresse per le conseguenze ambientali
  4. La leggerezza delle sanzioni per un atto che ritengono spesso impunito

Dura condanna per chi sporca. Ma la situazione cambia quando si chiede se è mai capitato di aver gettato una bottiglia in terra. Dalla ricerca, infatti, si scopre che lo ha fatto circa uno italiano su quattro (meno di uno su cinque in Sardegna). Uno su 10 ha confessato di aver commesso il fatto una o più volte solo nell'ultimo anno. Ma si affretta ad attribuirne la causa sempre a motivi esterni: lo ha fatto in prossimità del negozio/locale dove avevano acquistato la bottiglia. E c'è anche chi (circa il 20%) afferma candidamente di averla lasciata dove capitava per nessun motivo in particolare.

Una questione di responsabilità

L’abbandono di vetro in strada non contribuisce al riciclo e a un corretto smaltimento. Il sentiment emerso dalla ricerca, però, è che c’è chi è pronto a prendersi la propria responsabilità. Sono 6 su 10 gli italiani che affermando che se vedono una bottiglia abbandonata la raccolgono anche se non è la loro e cercano un cestino dove buttarla. Poco meno del 4% chiamerebbe il comune o l’azienda municipale della raccolta dei rifiuti.

Per otto italiani su 10 le campagne di informazione sull'impatto del vetro abbandonato sono tra le azioni più efficaci per ridurre l'abbandono di vetro nell'ambiente. Ben vengano quindi iniziative di informazione e sensibilizzazione come quella che Ichnusa si appresta a lanciare in Sardegna in vista dell'estate: positivo o molto positivo per quasi nove italiani su 10 il giudizio verso la campagna di comunicazione 'Il nostro impegno', che esorta i consumatori a smaltire correttamente le bottiglie di vetro e a non abbandonarle, unita ad azioni di pulizia dei dipendenti del birrificio con Legambiente.

Il caso Sardegna

La Regione Sardegna, sull’abbandono del vetro in strada, ha una sensibilità maggiore. Sembra, infatti, che i cittadini sardi, vivendo in un territorio dagli ecosistemi unici e fragili, risentano particolarmente del fenomeno e lo vivano come più impattante per la biodiversità. Complice è anche un turismo stagionale di massa, fenomeno noto come ‘Overtourism’ che colpisce diverse zone italiano nel periodo estivo, dove il consumo di bevande rinfrescanti in vetro, alcoliche o meno, è tendenzialmente maggiore. Tra i motivi giudicati fondamentali per cui non bisognerebbe mai abbandonare il vetro nell'ambiente, il rispetto che si deve alla propria terra (48% in Italia e 56% in Sardegna), il fatto che è un danno per le generazioni future (43% in Italia, 48 sull'Isola), deturpa il paesaggio (51% per i sardi, 41% nel resto del paese) e peggiora immagine e reputazione del territorio, dove la Sardegna supera di 12 punti percentuali (52% a 40%) la media nazionale.

La campagna di sensibilizzazione, quindi, prenderà piede proprio dall’isola, dove il fenomeno assume un’importanza maggiore. Infatti, per il 74% dei sardi si tratta di un problema 'grave e importante', contro il 58% della media nazionale. Al pari dei comportamenti che possono provocare incendi o spreco idrico. Cosa differenzia la Sardegna dal resto d'Italia? I sardi sono più propensi a ripulire: il 68% di loro raccoglie le bottiglie abbandonate, contro una media italiana del 62%. Tuttavia, l'abbandono del vetro rimane un problema significativo in Sardegna, soprattutto durante l'estate. Per il 53% dei sardi, infatti, il fenomeno aumenta in maniera considerevole nei mesi estivi, con un ulteriore 19% che lo considera un problema grave per l'isola in questo periodo.

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Aprirà al pubblico all’Aurum di Pescara dal 30 maggio al 1° giugno 2024 L’arte di Stefano Bessoni protagonista a Cartoons...