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Gaza, Onu approva risoluzione: ci sono aiuti ma non cessate...
Gaza, Onu approva risoluzione: ci sono aiuti ma non cessate il fuoco
Dal Consiglio di Sicurezza via libera al testo con il voto favorevole di 13 Paesi membri, Stati Uniti e Russia si astengono
Dopo giorni di negoziati, un veto posto dagli Stati Uniti e il timore di un secondo stop il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che chiede maggiori aiuti per la popolazione della Striscia di Gaza. Di fatto però non chiede un cessate il fuoco immediato. Il testo è passato con il voto favorevole di 13 Paesi membri, mentre gli Stati Uniti e la Russia si sono astenuti. E se Israele ringrazia gli Usa per aver mostrato il suo sostegno, per Hamas la risoluzione votata dal Consiglio di Sicurezza ''non è una misura sufficiente''.
Cosa c'è nella risoluzione
La risoluzione prevede ''pause e corridoi umanitari urgenti ed estesi in tutta la Striscia di Gaza per un numero sufficiente di giorni per consentire un accesso umanitario completo, rapido, sicuro e senza ostacoli''. Il testo della risoluzione presentata dagli Emirati Arabi Uniti su Gaza è stato ''ammorbidito'' per poter essere finalmente approvato. Non chiede un cessate il fuoco immediato, ma stabilisce quando e come portare maggiori aiuti a Gaza. Nel testo concordato è scritto anche quando e come creare le condizioni per porre fine o almeno sospendere i combattimenti nella Striscia di Gaza. Il punto di maggior attrito tra i Paesi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato sul ruolo di Israele nel decidere quali aiuti possono arrivare e se chiedere un cessate il fuoco, la cessazione o la sospensione delle ostilità.
L'ambasciatrice degli Emirati Lana Zaki Nusseibah ha parlato di "miracolo di Natale che tutti speravamo, per inviare un messaggio positivo alla gente di Gaza che soffre di condizioni di vita insopportabili".
Un cessate il fuoco umanitario è "l'unico modo per iniziare a soddisfare i bisogni disperati della popolazione di Gaza e porre fine al loro incubo in corso", ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite. "La risoluzione del Consiglio di Sicurezza può finalmente contribuire a raggiungere questo obiettivo, ma nell'immediato è necessario molto di più", ha affermato.
"Guardando al lungo termine, sono estremamente deluso dai commenti di alti funzionari israeliani che mettono in discussione la soluzione dei due Stati", ha proseguito, aggiungendo che ''il vero problema'' è l'offensiva di Israele che sta ''creando enormi ostacoli alla distribuzione degli aiuti umanitari all’interno di Gaza''.
Le reazioni
L'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha ringraziato gli Stati Uniti e il suo presidente Joe Biden per aver dimostrato di sostenere Israele e di ''essere al suo fianco durante i negoziati sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite'' approvata ieri. ''La decisione permette all'autorità di sicurezza di Israele di monitorare e ispezionare gli aiuti che entrano a Gaza'', ha detto Erdan, sottolineando che ''sono state mantenute le linee rosse definite''.
Con un tweet Erdan ha sottolineato che ''non dobbiamo ignorare il fatto che il Consiglio di Sicurezza nel suo insieme non ha ancora condannato il massacro del 7/10. Questa è una vergogna che rivela l’irrilevanza dell’Onu rispetto alla guerra a Gaza. Concentrarsi solo sui meccanismi di aiuto per Gaza non è necessario perché Israele consente comunque l’introduzione di aiuti su qualsiasi scala necessaria''. Secondo il diplomatico ''l'Onu avrebbe dovuto concentrarsi sulla crisi umanitaria dei rapiti e così forse avrebbe portato ad un miglioramento della situazione. I fallimenti delle Nazioni Unite negli ultimi 17 anni hanno permesso ad Hamas di scavare tunnel terroristici e produrre missili e razzi, ed è chiaro che non ci si può fidare per supervisionare gli aiuti che entrano nella Striscia''.
Un cessate il fuoco immediato, assistenza umanitaria su vasta scala e nessuno sfollamento forzato. E' quello di cui la popolazione della Striscia di Gaza ha bisogno, ha dichiarato l'ambasciatore palestinese all'Onu, Riyad Mansour, definendo il voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla risoluzione di Gaza ''un passo nella giusta direzione''. ''Ciò con cui abbiamo a che fare è un tentativo di distruzione del nostro popolo e il suo allontanamento per sempre dalla sua terra. Questo è l'obiettivo di Israele, il vero obiettivo. Nessun futuro per i palestinesi in Palestina'', ha detto Mansour.
Per Hamas invece la risoluzione votata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ''non è una misura sufficiente'' e ''non risponde alla situazione catastrofica creata dalla macchina da guerra sionista'' nella Striscia di Gaza. "Negli ultimi cinque giorni l'Amministrazione statunitense ha lavorato duramente per svuotare questa risoluzione della sua essenza", hanno affermato in una nota i miliziani di Hamas. "Emanarla con questa formula debole'', ''sfida la volontà della comunità internazionale e dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di fermare l'aggressione di Israele contro il nostro popolo palestinese indifeso", ha aggiunto.
Per gli Usa "Hamas non ha alcun interesse a una pace duratura" a Gaza. A dichiararlo, dopo l'approvazione della risoluzione su Gaza, è stata Linda Thomas-Greenfield, ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, accusando Hamas di essere "determinata a ripetere gli orrori" del 7 ottobre "ancora e ancora". Gli Stati Uniti, ha poi aggiunto, sostengono il diritto di Israele di "proteggere il suo popolo da atti di terrorismo". "Dobbiamo lavorare per un futuro in cui israeliani e palestinesi possano vivere fianco a fianco in pace, questa è l'unica via da seguire", ha affermato. Gli Stati Uniti, ha concluso, sono "delusi e sconvolti" dal fatto che la risoluzione stessa e alcuni membri del Consiglio di Sicurezza non siano riusciti a condannare il "terribile attacco terroristico".
L'ambasciatore russo all'Onu da parte sua ha condannato quella che ha definito una condotta "vergognosa, cinica e irresponsabile" da parte degli Stati Uniti per aver precedentemente posto il veto alle bozze di risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Intervenendo durante la sessione dell'esecutivo Onu, l'ambasciatore Vasily Alekseyevich Nebenzya ha accusato gli Stati Uniti di "evitare ogni responsabilità" e di "trascinare intenzionalmente il processo negoziale". Nebenzya, che ha presentato un progetto di emendamento al Consiglio prima del voto, ma se lo è visto respingere, ha parlato di una bozza 'inefficace' che consente a Israele di continuare a operare come meglio crede a Gaza.
Idf: vicino controllo operativo completo del nord di Gaza
Israele sta continuando le operazioni di terra. Il portavoce delle Idf, il contrammiraglio Daniel Hagari, in una conferenza stampa ha fatto sapere che l'esercito israeliano si sta avvicinando al completo "controllo operativo" del nord della Striscia di Gaza e sta aumentando le operazioni nella parte meridionale dell'enclave palestinese. "Le truppe dell'Idf stanno continuando le operazioni di terra a Khan Younis e allo stesso tempo si stanno preparando ad espandere l'attività ad altre aree della Striscia, con particolare attenzione al sud", ha detto Hagari. L'Idf ha inoltre reso noto che un soldato israeliano è stato ucciso da Hezbollah in un attacco lanciato dal Libano. Hamas ha rivendicato la responsabilità in una nota affermando di aver effettuato l'assalto "con armi missilistiche e artiglieria, con colpi diretti". Hezbollah ha spiegato di aver lanciato l'attacco a sostegno del popolo palestinese.
Yemen, in migliaia protestano contro coalizione anti Houthi
Intanto migliaia di manifestanti ieri sono scesi per le strade di diverse città dello Yemen tra cui Sana'a per protestare contro la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti per fronteggiare gli attacchi condotti dagli Houthi contro le navi nel Mar Nero. La manifestazione di Sana'a si è svolta con il motto ''la coalizione per proteggere le navi israeliane non ci terrorizza''. Tra gli slogan intonati dai manifestanti ''qualunque nave verrà vicina, noi la colpiremo''. Una manifestazione simile si è svolta a Saada, roccaforte Houthi nel nord dello Yemen.
Esteri
Russia, i prossimi 6 anni con Putin presidente: 5 scenari...
Le ipotesi sul destino del Paese. Lo scenario meno probabile? La rivolta democratica
La vittoria di Vladimir Putin non è mai stata in dubbio, dato il contesto in cui si sono svolte le elezioni. Ma non così il futuro della Russia nei prossimi sei anni di mandato. Il sito Politico traccia cinque scenari possibili entro il 2030, da quello meno probabile di un ampio movimento per la democrazia a quello di una lunga vita del regime. Ma anche questo viene dato solo al 45-50% di possibilità, perché la guerra in Ucraina ha portato a una situazione interna più instabile: dalla scorsa estate abbiamo assistito alla fallita rivolta del capo della Wagner, Yevgeny Perigozin, a proteste in luoghi remoti come il Bashkortostan o le sollevazioni antisemite nella repubblica russa del Daghestan, con le forze di sicurezza prese di sorpresa. Per questo, l'Occidente farebbe bene a prepararsi a diverse possibilità.
Scenario 1, la democrazia
Fiorisce la democrazia (probabilità 5-10%). Come ha dimostrato la caduta del comunismo in Europa orientale nel 1989, i regimi totalitari possono crollare rapidamente davanti a movimenti democratici. La morte di Alexei Navalny, trasformato in un martire, può creare slancio, combinato con altre proteste, come quella delle mogli dei soldati mandati a combattere in Ucraina. Ma senza Navalny la Russia perde una figura carismatica come Nelson Mandela in Sudafrica e Vaclav Havel in Cecoslovacchia, mentre la maggioranza dei russi continuano a sostenere "passivamente se non attivamente" la "disastrosa guerra" in Ucraina.
Secondo Politico, tale scenario potrebbe essere propiziato da una vittoria dell'Ucraina. In questo caso l'Occidente dovrebbe evitare troppi entusiasmi, non riporre tutte le speranze in un solo leader, sollevare le sanzioni solo in cambio di riforme. E intanto coltivare i rapporti con ex repubbliche sovietiche come Moldova e Armenia.
Scenario 2, la disintegrazione della Russia
Disintegrazione della Russia (10-15% probabilità). Di fronte ad una guerra devastante in Ucraina, con centinaia di migliaia di morti insensate al fronte, la gente potrebbe rivoltarsi in massa e rovesciare il regime. Lo stato centrale potrebbe allora disgregarsi lungo linee etniche, sprofondando nel caos e la violenza, come già successe nella guerra civile seguita al crollo dell'impero zarista. Senza dimenticare la disgregazione dell'Urss.
Dopo tutto la Russia è un conglomerato di 21 repubbliche. E la scintilla potrebbe scoppiare in Cecenia, magari con la morte del già malato leader Ramzan Khadirov, fra i Tatari, i Sakha siberiani, fra le minoranze etniche di aree remote con un alto tasso di morti in guerra, maggiore di quello dei cittadini di etnia russa.
Per ora il regime di Putin mantiene il controllo, ma per quanto poco probabile, tale scenario non può essere completamente escluso e l'Occidente dovrebbe mantenersi flessibile a riguardo, puntando anche su chi in Russia può salvaguardare l'arsenale nucleare.
Scenario 3, la sollevazione nazionalista
Sollevazione nazionalista (15-20% di probabilità). Prigozhin è stato fatto fuori, ma tutti gli ingredienti che hanno alimentato la sua fallita marcia su Mosca sono ancora presenti: frustrazione per i pasticci della guerra in Ucraina, gli uomini e i mezzi militari persi nel pantano del conflitto, l'ineguaglianza sociale che rafforza il populismo. Tuttavia, secondo Politico, è difficile trovare un altro personaggio come Prigozhin, dotato di una sua forza privata. Inoltre Putin vira sempre più verso un nazionalismo "fascista" e "sarà difficile scavalcarlo a destra". Se un leader nazionalista dovesse riuscire a sostituire Putin, l'Occidente dovrebbe rafforzare le sanzioni e i rapporti di sicurezza con i paesi vicini alla Russia, Ucraina in primis, mettendo in opera una politica di contenimento.
Scenario 4, il reset tecnocratico
Reset tecnocratico (20-25% di probabilità). Ciò potrebbe accadere con la morte di Putin. Oppure se un gruppo di alti funzionari, di fronte alle conseguenze economiche della guerra in Ucraina, o la forte crescita del numero di perdite militari, riuscisse a destituire Putin, come accadde nel 1964 con Nikita Kruscev. Il nuovo governo non sarebbe per forza democratico, ma formato da tecnocratici educati in Occidente pronti a tornare allo "status quo ante bellum".
Potrebbero essere liberati prigionieri politici, magari anche restituite all'Ucraina le aree occupate nel Donbass (ma non la Crimea). Putin per ora mantiene saldo il controllo sul governo, ma se ciò dovesse accadere l'Occidente dovrebbe essere molto prudente, ricordando le illusioni di altri "reset" del passato. Naturalmente le riforme in senso democratico andrebbero incoraggiate con il sollevamento di sanzioni, ma sempre tenendo conto che ogni miglioramento potrebbe essere solo temporaneo.
Scenario 5, lunga vita a Putin
Lunga vita a Putin (45-50% di probabilità). Al momento sembra l'ipotesi più probabile: con la morte di Navalny l'opposizione è nel caos, l'economia ha retto alle sanzioni e il peggio della guerra in Ucraina potrebbe essere alle spalle, specie se gli Stati Uniti rimarranno reticenti ad armare Kiev.
Il 72enne Putin potrebbe dunque reggere fino al 2030 e magari anche oltre. Ma anche se Putin mantiene un saldo controllo del potere, "l'economia sta chiaramente volgendo a stagnazione e inflazione crescente. Intanto in Ucraina, i passi falsi di Putin hanno portato ad uno sconvolgente numero di perdite. Ciascuno di questi fatti basterebbe a minacciare un leader, non importa quanto autoritario".
L'Occidente, conclude Politico, deve aumentare in ogni modo la pressione sul regime di Putin. Rafforzare le sanzioni, anche contro chi, come gi Emirati Arabi Uniti, aiuta Mosca ad aggirarle. Rendere più efficaci il tetto ai prezzi del petrolio e confiscare i beni congelati della Banca centrale russa. Incoraggiare sviluppi democratici e rafforzare la partnership con i paesi alla periferia russa. Ma prima di tutto bisogna essere consapevoli che, "finché Putin è al potere la guerra non provocata in Ucraina continuerà, con la minaccia di un più ampio conflitto". L'Occidente "dovrebbe usare ogni strumento possibile per costringere i russi, sia al Cremlino che nel popolo, a capire quanto loro, e noi, staremmo meglio se Putin non fosse più al potere".
Esteri
Gaza, Biden contro attacco Israele a Rafah: “Un...
Il primo ministro israeliano Netanyahu ha accettato di inviare un team a Washington per discutere sulla questione
Attaccare Rafah per Biden sarebbe "un errore" che porterebbe "più caos a Gaza". E' quanto ha detto il consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, parlando della telefonata tra Biden e Netanyahu. Il primo ministro israeliano ha accettato l'invito del presidente Usa di ospitare "un team" da Gerusalemme a Washington con cui dialogare sulla questione. "Joe Biden ha rigettato l'idea che sollevare dubbi sull'operazione a Rafah vuol dire sollevare dubbi sull'obiettivo della sconfitta di Hamas" ha riferito Sullivan. E nella telefonata, che ha avuto un tono "di colloquio di lavoro", Biden ha insistito sul fatto che ci sono "modi alternativi" per ottenere gli stessi obiettivi e questi verranno presentati alla delegazione israeliana.
"Israele deve fare di più per gli aiuti umanitari a Gaza"
"Israele ha la responsabilità di facilitare l'arrivo di aiuti a Gaza e può fare di più" ha detto ancora il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan. "E' una priorità urgente", ha aggiunto sottolineando che bisogna "inondare" di aiuti Gaza con tutti i mezzi e risolvere "le difficoltà" che si presentano "per portare gli aiuti dentro Gaza".
"Ucciso il numero tre di Hamas, Marwan Issa: lo confermiamo"
"Il numero tre di Hamas, Marwan Issa, è stato ucciso in un'operazione israeliana la scorsa settimana, il resto dei leader si nascondono, probabilmente nel profondo della rete di tunnel di Hamas, e la giustizia arriverà anche per loro" ha detto il consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca. "Israele ha compiuto progressi significativi contro Hamas: ha distrutto un numero significativo di battaglioni e ucciso migliaia di combattenti, compresi alcuni comandanti".
Ultima ora
“Re Carlo III è morto”: la fake news dilaga...
Corto circuito per una notizia senza fondamento, deve intervenire la Tass
"Re Carlo III è morto". La news arriva dalla Russia e dilaga prima di rivelarsi falsa. Ad innescare il corto circuito sulla sorte del sovrano, che ha 75 anni ed è in cura per un cancro, è il profilo Telegram di Vedomosti, una delle testate finanziarie più attendibili. Lo 'scoop' inventato fa rumore, in un momento in cui la famiglia reale è alle prese con le condizioni 'misteriosi' della principessa Kate.
Vedomosti accende la miccia con un post in cui la foto di Carlo in alta uniforme è abbinata a una didascalia inequivocabile: "Il re britannico Carlo III è morto". La notizia si diffonde, rilanciata di canale in canale, compreso il megafono Readovka, un profilo pro-Cremlino e pro-Putin con oltre 2,3 milioni di iscritti.
E pazienza se nel frattempo non arriva nessun annuncio da Buckingham Palace e se la Bbc non diffonde news sul decesso del sovrano. Readovka tira dritto è pubblica un'immagine relativa ad un "annuncio fatto dalle comunicazioni reali. Il re è deceduto in maniera improvvisa ieri pomeriggio". La comunicazione ricorda quella 'vera' che ha annunciato al mondo la scomparsa della regina Elisabetta: insomma, un fake attendibile, almeno per l'utenza russa. La notizia arriva in Ucraina, quindi in Tagikistan. I primi dubbi si insinuano, in Russia il sito di Gazeta.ru nota - con un pizzico di sospetto - che "non si dice nulla sui media britannici e con ogni probabilità l'informazione è falsa". Tocca all'agenzia Tass, dopo qualche ora, fermare la giostra di bugie: "Re Carlo III continua a occuparsi dei suoi affari ufficiali e partecipare a impegni privati".