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Washington Post: “Da Usa nuovo invio bombe e caccia a...

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Washington Post: “Da Usa nuovo invio bombe e caccia a Israele”

L'ok senza un annuncio pubblico

(Afp)

Nonostante l'opposizione pubblica di Washington all'annunciata operazione israeliana a Rafah che minaccia la vita di centinaia di migliaia di civili palestinesi, in questi giorni l'amministrazione Biden ha autorizzato, senza nessun annuncio pubblico, trasferimento di miliardi di dollari in bombe e caccia a Israele. Lo rivela il Washington Post che cita fonti del Pentagono e del dipartimento di Stato che specificano che il nuovo pacchetto comprende oltre 1800 MK84, bombe da 900 kg, e 500 MK82, bombe di oltre 200 kg.

Le bombe più potenti - in grado di distruggere interi isolati e per questo mai usate dagli eserciti occidentali in zone densamente popolate, come Gaza, per il rischio di vittime civili - sono state usate in modo intensivo a Gaza, secondo diverse fonti, in particolare nel bombardamento del campo profughi di Jabalya, che ha provocato oltre 100 vittime e che l'Onu ha definito "un attacco sproporzionato che potrebbe essere un crimine di guerra. Dall'inizio della guerra, dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, sono stati 33mila i palestinesi uccisi a Gaza.

La scorsa settimana il dipartimento di Stato ha autorizzato anche il trasferimento di 25 F-35A per un valore di 2,5 milioni. Sia per i caccia che per le bombe era stata data già l'autorizzazione del Congresso, quindi l'amministrazione non ha dovuto notificare nulla a Capitol Hill. Le rivelazioni del Post mostrano come, nonostante le divergenze e le tensioni, acuite la scorsa settimana dopo che gli Stati Uniti per la prima volta non hanno imposto il veto ad una risoluzione per il cessate il fuoco, l'amministrazione Biden considera le forniture militari Israele off limits.

"Noi abbiamo continuato a sostenere il diritto di Israele e difendere, condizionare gli aiuti militari non rientra nella nostra politica", affermano dalla Casa Bianca. Non mancano opposizioni interne a questa politica, come quella di Josh Paul, l'ex funzionario del dipartimento di Stato preposto al trasferimento di armi che ha lasciato l'incarico per protestare per Gaza. Per lui l'invio di armi è "una rinuncia alla responsabilità morale e un assalto allo stato di diritto, sia a livello interno che internazionale" e "rende tutti, dai funzionari dell'amministrazione ai produttori delle armi e i contribuenti americani, complici dei crimini di guerra di Israele".

Cresce la critica alla linea di Biden anche tra democratici, non solo tra la sinistra ma anche tra alleati del presidente Biden, che ritengono che il governo americano abbia la responsabilità di bloccare le armi in assenza di un impegno israeliano a limitare le vittime civili e allentare le restrizioni all'ingresso di aiuti umanitari nella Striscia, che ormai è in un situazione alimentare catastrofica.

E chiedono quindi maggiore trasparenza nell'invio delle armi e avanzano dubbi sul fatto che utilizzare commesse già approvate sia un modo per evitare la notifica al Congresso, e quindi la pubblicità delle forniture ad Israele. Senza contare i timori per un impatto negativo a livello elettorale del sostegno all'operazione israeliana che, secondo un sondaggio recente Gallup, la maggioranza degli americani, il 55 disapprova.

"L'amministrazione Biden deve fare pressioni in modo effettivo e, secondo me, deve ricevere degli impegni fondamentali prima di dare l'ok all'invio di altre bombe per Gaza", ha dichiarato il senatore Chris Von Hollen. "Dobbiamo sostenere quello che diciamo con quello che facciamo", ha poi aggiunto con quella che suona una critica all'amministrazione che a parole afferma che Rafah è la "linea rossa" da non superare e poi nei fatti fornisce le armi per portarla a termine.

La notizia del via libera all'invio delle bombe arriva anche quando si aspetta ancora l'arrivo a Washington della team di consiglieri di Benjamin Netanyahu per ascoltare le proposte Usa per limitare una nuova carneficina a Rafah, dove sono rifugiati 1,2 milioni di palestinesi costretti a fuggire dalle loro case dai bombardamenti israeliani.

La missione era attesa nei giorni scorsi, ma il premier israeliano l'ha annullata come gesto di protesta contro il voto Usa all'Onu. Ora i media americani dicono che la missione è attesa per lunedì prossimo. Netanyahu non aveva però bloccato la visita a Washington del ministro della Difesa, Yoav Gallant, e bisogna sottolineare che le nuove autorizzazioni di invio di armi in Israele sono arrivate dopo i suoi colloqui con gli esponenti dell'amministrazione Biden.

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Ucraina, Crosetto: “Italia ha fornito tutto quello...

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"Noi veniamo da 40 anni con l'idea che la difesa fosse qualcosa di cui non avevamo bisogno"

Guido Crosetto

"Noi domani avremo una incontro, una call, a cui presumo ci sarà lo stesso Zelensky, per fare il punto" sugli aiuti all'Ucraina. "Mi pare che l'Europa e l'Italia in particolare abbiano fornito in questo periodo tutto quello che riuscivano a dare". Lo ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto, intervenendo all'incontro promosso da PwC Italia in collaborazione con il gruppo editoriale Gedi, dal titolo 'Il ruolo della ricerca militare nello sviluppo economico italiano'.

"Il problema - ha spiegato - è che noi veniamo da 40 anni con l'idea che la difesa fosse qualcosa di cui non avevamo bisogno, che le scorte e gli investimenti per la difesa non servissero, per cui non abbiamo magazzini pieni con cui possiamo aiutare. Quello che potevamo dare fino ad adesso l'Italia lo ha dato quasi integralmente. La parte che non ha ancora dato la darà prossimamente", ha detto il ministro.

"Sono talmente arrabbiato che dico una cosa pubblicamente: l'Italia ha ordinato alcuni sistemi di difesa aerea Samp-T due anni fa, l'industria che ha la commessa mi dice che li consegnerà tra tre anni. Un ordine di Samp-T per la difesa italiana fatto due anni fa, l'industria mi dice che lo consegna tra tre anni", ha proseguito.

"Voi pensate che uno possa fare il ministro della difesa o difendere un Paese con questi tempi? Non riesco a capire come sia possibile metterci tre anni per costruire una qualunque cosa, anche la più complessa che esiste al mondo", ha osservato Crosetto, spiegando che il problema è che "noi abbiamo un'industria che si era tarata su una capacità produttiva in cui lo Stato fa l'appalto, dà i soldi, quando li dà si inizia a costruire e poi quando si riesce, si consegna. Invece viviamo tempi in cui avremmo bisogno delle cose subito". Il problema - ha riferito il ministro - "non è solo italiano, ma europeo. Lo ha anche il ministro francese, con cui stiamo facendo una battaglia a due".

A differenza di quanto accade in Europa, "in Russia, in Cina e in Iran alzano il telefono e l'azienda che prima faceva frigoriferi" viene convertita per la produzione della difesa. "Noi invece ci confrontiamo con regole costruite in tempi di pace e in tempi normali in tempi che non sono di pace e non sono normali".

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India al voto, Armellini: “Grande democrazia? Con...

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L'ex ambasciatore a Nuova Delhi: "Il Paese è cresciuto, ma stretta autoritaria sempre più opprimente"

(AFP)

L'India resta un grande Paese, ma non è detto che resterà una grande democrazia. Alla vigilia della prima tornata elettorale nel gigante asiatico - dove da domani al primo giugno poco meno di un miliardo di elettori andrà a votare in 28 Stati federali e otto territori - l'ex ambasciatore italiano a Nuova Delhi, Antonio Armellini, parla con l'Adnkronos dell'India di Narendra Modi, che si avvia al suo terzo mandato, dopo dieci anni già al governo.

Con il leader del Bjp "l'India è molto cambiata, è cresciuta economicamente, è migliorata al suo interno, il programma di investimenti sulle infrastrutture ha portato risultati ed il sistema finanziario è stato ammodernato", riconosce Armellini. Che tra i 'meriti' cita "la presa sull'elettorato, che si è ampliato e non è più solo quello tradizionale del Bjp", il partito dei commercianti e degli imprenditori.

Parallelamente, osserva l'ex ambasciatore, "la stretta autoritaria del governo Modi è diventata sempre più opprimente, figlia di un controllo e di un meccanismo del consenso molto sofisticati", mentre l'opposizione divisa e frammentata "è in difficoltà nel trasmettere un qualche tipo di messaggio che possa essere recepito dagli elettori".

L'India cresce "ma crescono anche le diseguaglianze", sottolinea ancora Armellini, mentre si avvia a diventare "una democrazia autoritaria sempre più lontana dal modello che ne aveva fatto un unicum nel continente asiatico, una grande democrazia liberale, figlia del pensiero politico del 19mo secolo, che aveva avuto anche Giuseppe Mazzini tra gli ispiratori della lotta per l'indipendenza". "L'India laica, tollerante, multietnica, rispettosa dello stato di diritto non è l'India di Modi, fortemente identitaria - ragiona l'ex ambasciatore - L'India è un grande Paese, ma che resti una grande democrazia è un punto interrogativo".

Quanto alla politica estera di Nuova Delhi, che "ha una percezione di sé come grande potenza sullo stesso piano di Stati Uniti e Cina, il punto da cui partire è che l'India non ha alleanze, ma relazioni, è partner di molti, ma nel proprio interesse". Che è quello di "grande potenza autonomia con due punti di riferimento imprescindibili: il contrasto con la Cina e il conflitto con il Pakistan", spiega Armellini. E chi, "come a tratti cercano di fare gli Stati Uniti, pensa di poterla legare in una vera e propria alleanza, rischia di restare fortemente deluso".

Infine l'ex ambasciatore si dice convinto che Nuova Delhi abbia "una maggiore capacità di attrazione per diventare il punto di riferimento del Sud globale", in particolare rispetto a Pechino, che agli altri Paesi "richiede di schierarsi", laddove l'India ha un approccio meno identitario.

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G7, Tajani: “Tutti insieme dobbiamo dare messaggio di...

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Le parole del ministro degli Esteri al summit di Capri

"Tutti insieme credo che dobbiamo dare un messaggio di pace". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nel corso del G7 Esteri a Capri.

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