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Sostenibilità

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Sostenibilità importante per oltre 1 Pmi su 2, ma integrata solo dal 17%

Spiccano le difficoltà burocratiche ed economico-finanziarie

Piantine su monete con terreno - Canva

In Italia, più di un’azienda media o piccola su due ritiene “molto importante” il ruolo della sostenibilità all’interno dell’impresa, ma solo il 17% è riuscita ad integrarla nella sua strategia complessiva. Per le aziende italiane i principali ostacoli alla trasformazione sostenibile sono di tipo burocratico ed economico-finanziario.

I dati emergono dalla ricerca ‘Pmi italiane, policrisi e finanza sostenibile: le opportunità per le imprese’, condotta dal Forum per la Finanza Sostenibile, in collaborazione con Bva Doxa e Finlombarda con il sostegno di Bper ed Enpalc che ha coinvolto 450 tra micro, piccole e medie imprese nei settori dell’industria, dell’agroalimentare, dell’edilizia e della logistica e trasporti tra maggio e luglio 2023.

Il primo risultato interessante riguarda il ruolo attribuito dalle imprese alla sostenibilità: nel 2020 a ritenerla “molto importante” era il 27% delle aziende intervistate, oggi questa percentuale è più che raddoppiata arrivando al 56%. Se poi si considerano anche le aziende che la ritengono “abbastanza” importante, la percentuale sale addirittura al 90%.

Anche se la maggiore attenzione alle tematiche Esg è piuttosto trasversale, il settore agroalimentare è quello che più ha accelerato in questa direzione, come emerge dal grafico.

I risultati diventano meno rosei se si guarda quante piccole e medie imprese abbiano già implementato concretamente la trasformazione sostenibile.

Trasformazione a rilento

Nonostante i buoni numeri registrati nelle intenzioni, solo il 17% delle imprese intervistate dichiara di aver integrato la sostenibilità nella sua strategia complessiva, mentre un altro 54% sta già lavorando in questa direzione. Il 19% del campione è tentato da questa trasformazione ma afferma di essere ancora lontano dal realizzare questo processo, mentre il 10% non lo considera affatto una priorità.

A preoccupare non sono soltanto le percentuali ma anche le tendenze dato che i progressi registrati negli ultimi tre anni sono molto contenuti: anche nel 2020, ad aver già implementato la sostenibilità all’interno della propria strategia azienale era solo il 17% delle aziende intervistate, mentre è calato il numero delle aziende che non lo ritiene affatto una priorità.

I driver della sostenibilità

Tra le motivazioni che maggiormente spingono le attività verso un approccio sostenibile ci sono:

- Il risparmio derivante dall’efficientamento energetico e la conseguente riduzione dei consumi

(44% delle aziende intervistate);

- l’acquisizione di nuovi clienti e mercati (32%);

- il miglioramento della reputazione: (27%).

Per un quarto delle aziende, la sostenibilità è anche un canale per fidelizzare i propri dipendenti e migliorare il clima che si respira in azienda, ma solo il 12% la ritiene importante per attrarre nuovi talenti. Da sottolineare come il 22% delle Pmi ritiene che questa trasformazione sia un’opportunità per ridurre i costi derivanti dagli eventi naturali, sempre crescenti negli ultimi anni come dimostra l’aumento della spesa assicurativa da parte delle aziende.

Gli stimoli derivanti dal mercato sono un altro aspetto importante della trasformazione. Lo dimostra il fatto che il 70% delle Pmi coinvolte nell’indagine ha ricevuto delle richieste specifiche in tal senso: nel 35% dei casi dai clienti (soprattutto per le aziende attive in ambito B2B) e, a seguire, da stakeholder interni (dipendenti e management), banche, compagnie assicurative, fornitori e investitori privati e/o pubblici.

Come più volte sottolineato su queste pagine, cruciale è anche il ruolo della normativa: il 68% delle Pmi intervistate è abbastanza o molto d’accordo nel ritenere che gli obblighi legali siano un driver cruciale della sostenibilità.

Orizzonti temporali e principali attività Esg

Se, come vedremo, quello finanziario è il principale ostacolo alla trasformazione green, le aziende sono perlopiù orientate su strategie di medio e lungo periodo (7 su 10) che, secondo l’80% delle aziende intervistate, consentono di spalmare meglio i costi altrimenti eccessivi per gli interventi solo di breve termine.

Le iniziative delle imprese si consolidano soprattutto da un punto di vista ambientale (Environment) pur non tralasciando gli altri due aspetti della trasformazione Esg, ovvero quello sociale e di governance.

Le iniziative ‘ambientali’

Dall’indagine ‘Pmi italiane, policrisi e finanza sostenibile: le opportunità per le imprese’ risulta sempre più diffuso il ricorso alle fonti rinnovabili (l’85% le sta già utilizzando o ha pianificato di farlo in futuro, in aumento rispetto al 76% del 2020) e l’introduzione di misure per ridurre le emissioni di gas climalteranti (il 74% le ha già adottate o ha in programma di farlo, rispetto al 61% del 2020).

Ancora sotto il profilo ambientale, la maggiore intensità e frequenza degli eventi metereologici estremi ha spinto le aziende a introdurre misure di adattamento (il 64% delle Pmi intervistate li ha già attuati o li ha previsti, rispetto al 54% del 2020). Per quanto concerne i singoli settori, informa il report, l’industria e l’edilizia sono i più attenti al corretto smaltimento e alla riduzione dei rifiuti, mentre il focus del settore agroalimentare è la tutela della biodiversità. Il 44% delle aziende operanti nel settore industriale ha implementato strategie volte a ridurre le emissioni di gas serra, tattica pianificata anche da una percentuale significativa di imprese nei settori edilizio e logistico, rispettivamente il 42% e il 40%.

Le iniziative ‘sociali’

Passando alla seconda lettera della sigla, la ‘S’ di social, per 9 aziende su 10 il focus principale è la sicurezza sul lavoro: 9 aziende su 10 sono già intervenute in chiave di miglioramento o hanno in programma di farlo (rispettivamente, il 69% e il 21%).

A seguire, si trovano le iniziative di ascolto dedicate ai dipendenti anche se alcuni settori, industria su tutti, appaiono ancora indietro su questo tipo di misure. Oltre la metà delle aziende, 6 su 10, dichiara di attuare o di aver programmato collaborazioni con scuole e istituzioni per l’inserimento lavorativo dei giovani nonché iniziative rivolte al territorio e alla comunità. Anche in questo ambito, le certificazioni hanno un ruolo importante aziende, sia che si tratti di standard di sicurezza (per il 78% in essere o previste), sia che si tratti di iniziative dedicate all’inclusione (già attuate o programmate per 7 aziende su 10).

Le iniziative di governance

La trasformazione nella governance, invece, è l’aspetto che più procede a rilento anche a causa della forte presenza della burocrazia. Al primo posto c’è la relazione con gli stakeholder, ritenuta prioritaria dalle aziende italiane, mentre risultano meno diffusi gli interventi sull’organizzazione interna: l’adozione del modello organizzativo di gestione 231|01; la creazione di funzioni aziendali dedicate alla sostenibilità; la rendicontazione su rischi e impatti Esg (4 aziende su 10 non hanno previsto queste iniziative o le ritengono non applicabili alla propria attività).

Per quanto riguarda il contrasto alla corruzione, sono soprattutto le Pmi del settore industriale ad aver posto in essere delle iniziative (4 su 10); sono, invece, le aziende del comparto edile quelle più attive in termini di rendicontazione su rischi e impatti Esg (circa 1/3 divulga tali informazioni).

Gli ostacoli alla sostenibilità

Se tante aziende vogliono attuare la trasformazione sostenibile, quali sono gli ostacoli?

Questo grafico pubblicato all’interno del report li mostra chiaramente:

Anche andando oltre le prime due cause più frequenti, le matrici burocratica ed economico-finanziaria si ripetono nelle motivazioni che rallentano la trasformazione Esg delle aziende italiane.

Più cresce la dimensione, più l’azienda riesce a superare questi ostacoli, tanto che c’è una correlazione diretta tra dimensioni aziendali e concreta implementazione delle misure Esg:

Le buone intenzioni, dunque, ci sono ma, come conferma lo State of Climate Action 2023 a livello globale, gli sforzi globali sono insufficienti per 41 indicatori su 42. Abbattere gli ostacoli per aumentare il coinvolgimento delle Pmi è la strada da percorrere per portare la trasformazione Esg ai livelli definiti dall’Agenda 2030.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Sostenibilità

Lionello (Unisalento): “Continente europeo più...

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Il professore spiega le tendenze climatiche a margine del rapporto Copernicus

Europa sulla cartina - Canva

In Europa le temperature medie sono aumentate più che in ogni altro continente ma, pur restando allarmanti, i risultati del rapporto Copernicus sono anche la conseguenza di “tendenze intrinseche al cambiamento climatico”.

Lo spiega all’Adnkronos Piero Lionello, professore ordinario di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia presso l’Università del Salento e presidente del network MedCLIVAR (Mediterranean CLImate Variability).

“La considerazione più importante ed essenziale da fare – esordisce Lionello – è che i gas serra si distribuiscono in modo approssimativamente uniforme su scala globale. In pratica, le emissioni dell’Italia non interessano solo il territorio italiano, lo stesso dicasi per quelle europee e così via. Un andamento completamente diverso rispetto, per esempio, alle emissioni di aerosol che tendono ad avere una persistenza breve in atmosfera e quindi un effetto più regionale e più limitato alle zone di emissione”.

Per questo occorre interessarsi non solo alle decisioni di casa propria: “Questo andamento dimostra una volta per tutte come il problema del cambiamento climatico sia una questione globale”.

C’è poi un altro aspetto da considerare: “Durante una transizione, le alte latitudini tendono a scaldarsi di più delle zone tropicali. Allo stesso tempo, a livello superficiale, le masse continentali si scaldano di più delle masse oceaniche. Anche quando ci sono stati eventi caldi interglaciali in passato e le glaciazioni, il cambiamento climatico è stato molto più ampio in queste zone.

Si tratta di tendenze intrinseche al sistema climatico, quindi mi sorprenderei nel vedere il contrario in questa fase di riscaldamento che ha sicuramente una importante componente antropogenica”, spiega il professore che ha contribuito alla redazione del sesto rapporto Ipcc (Intergovermental Panel on Climate Change), pubblicato lo scorso anno.

L’Unione europea si sta muovendo nella direzione e alla velocità giusta o le resistenze di alcune parti politiche rischiano di compromettere il cammino green dell’Ue?

“Quello che si può osservare è una progressiva attenzione a livello normativo e tecnologico da parte dell'Unione Europea nei confronti del cambiamento climatico che ha portato effettivamente a una riduzione delle emissioni. Le emissioni negli ultimi venti, trenta anni nel complesso stanno diminuendo anche negli Stati Uniti”.

Si tratta di un miglioramento sufficiente in prospettiva?

“No. Infatti, nonostante l’impegno di Ue e Usa, le emissioni su scala globale stanno aumentando”. Ancora una volta, quindi, il passaggio cruciale sta nella consapevolezza che ci troviamo di fronte a una sfida comune: “La consapevolezza che il clima sia una questione globale è fondamentale. Il contrasto al cambiamento climatico – prosegue il professor Lionello – non può che passare attraverso strategie condivise a livello internazionale almeno dai principali emettitori che in questo momento sono l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Cina e l’India. Al tempo stesso però è importante essere consapevoli delle differenze tra i problemi ambientali e l’inquinamento”, sottolinea.

Dunque, se è vero che per contrastare il cambiamento climatico serve una sinergia internazionale, bisogna osservare che i singoli interventi dei Paesi sono fondamentali per i cittadini che vivono quei territori: “Da un punto di vista decisionale, è difficile che chi dà priorità al contrasto del cambiamento climatico non dia anche priorità alla lotta all’inquinamento e alla tutela degli ecosistemi. È vero che queste misure devono essere condivise a livello internazionale per contrastare l’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera. È anche vero, però, che le strategie e le decisioni anti inquinamento prese dalle istituzioni hanno effetti molto positivi sull’ambiente e sui servizi ecosistemici che riguardano i cittadini europei”.

Siccità, rischio desertificazione ed eventi atmosferici estremi: ci sono alcune zone dell’Italia a rischio nel prossimo futuro?

“Eviterei catastrofismi privi di fondamento scientifico. Sicuramente i dati testimoniano aumenti delle temperature medie importanti per gli ecosistemi e per l’ambiente in cui viviamo, ma non al punto da rendere inabitabili alcune zone d’Italia almeno nel medio termine. C’è una alterazione del ciclo idrologico, ma non tale da compromettere la sostenibilità delle risorse idriche, soprattutto se gestite in modo opportuno”.

Non ci sono e non ci saranno mai più le mezze stagioni?

“Tendiamo ad attribuire qualsiasi evento meteorologico al cambiamento climatico senza un'opportuna interfaccia scientifica. Spesso ci basiamo sui nostri ricordi, ma i nostri ricordi sono dei fallaci indicatori dei cambiamenti perché tendono a trascurare la variabilità e ricostruire dei paradigmi del nostro passato. Il fatto che questa interruzione della ciclicità delle stagioni venga concepita descritta ormai come ‘evidente’ non ha alcun riscontro nelle evidenze scientifiche”.

Delle prove scientifiche dell’alterazione non mancano, ma vanno trattate nella loro specificità: “Il riscaldamento è evidente; il cambiamento delle precipitazioni in alcuni territori è evidente; gli aumenti delle statistiche delle ondate di calore sono evidenti”, spiega il prof. Lionello, che aggiunge: “Anche l’alterazione del ciclo della stagionalità è evidente: l'inverno arriva un po’ dopo e finisce un po’ prima, l'estate comincia un po’ prima e finisce un po’ dopo. Ma non possiamo farne una deduzione scientifica perché abbiamo ancora pochissimi cicli stagionali su cui basare le nostre osservazioni”.

Il professore ci tiene però a sottolineare: “Molti effetti del cambiamento climatico sono evidenti e hanno natura antropogenica. Nel caso delle stagioni, la statistica è ancora insufficiente per dire che c'è un cambiamento definitivo del ciclo”.

Le variazioni nel Mediterraneo

A margine del rapporto sullo stato europeo del clima 2023 del Copernicus Climate Change Service e dell’Organizzazione meteorologica mondiale, l’appello del professore a valutare con rigore i fenomeni climatici è ancora più utile se si parla del Mediterraneo. La causa è scientifica: “Il Mediterraneo è una zona di transizione tra il clima subtropicale a sud, in gran parte del Nord Africa, e un clima oceanico umido o continentale-temperato a Nord”.

In cosa si traduce questa particolare condizione?

“Nel fatto che ogni piccolo spostamento di questa linea di transizione genera una variabilità. In particolare la variabilità della precipitazione è sempre stata una caratteristica della regione mediterranea, quindi della parte dell'Italia centro meridionale. Ci sono sempre stati lunghi periodi di scarse precipitazioni e lunghi periodi di intense precipitazioni.

Sicuramente stiamo alterando il clima rendendolo più caldo e meno piovoso su gran parte dell'Italia, le evidenze del riscaldamento ci sono tutte e da molti anni.

Le evidenze delle alterazioni dei regimi di precipitazione – conclude il professor Lionello – sono più sottili anche se cominciano a emergere e vanno nella direzione di una diminuzione delle precipitazioni su gran parte dell'Italia e di un aumento degli eventi estremi sul Nord Italia vanno in questa direzione”.

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Sostenibilità

Green jobs, in Italia è divario tra domanda e offerta

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Un datore di lavoro su 4 vuole assumere, ma mancano competenze

Green job - Fotolia

Le politiche e le pratiche di sostenibilità rappresentano un pilastro fondamentale per il futuro del nostro Paese, con un consenso quasi unanime tra datori di lavoro e lavoratori. Tuttavia, nonostante questa consapevolezza diffusa, emerge una disparità significativa quando si parla di green jobs in Italia.

Un recente studio condotto da Indeed rivela che, nonostante l'interesse diffuso, c'è ancora uno sbilanciamento tra la domanda e l'offerta di posizioni legate alla sostenibilità in Italia.

Il rapporto evidenzia che il 25% dei datori di lavoro prevede di aprire nuove posizioni nel settore della sostenibilità e degli ESG entro il 2024. Tuttavia, assumere personale qualificato per queste posizioni rimane una sfida significativa. Le difficoltà sono molteplici: dal budget limitato (seguito dal 28% dei datori di lavoro) alla mancanza di candidati con le giuste competenze (problema citato dal 27%).

Dall'altra parte, anche tra i lavoratori persistono incertezze riguardo alle opportunità di carriera legate alla sostenibilità. Alcuni si sentono impreparati (32%) o ritengono di non possedere le competenze necessarie (30%). Altri, invece, non riescono a visualizzare chiaramente i vantaggi di intraprendere una carriera in questo settore (20%) o temono che i salari offerti non siano adeguati (14%).

Mismatch domanda-offerta

Il panorama dell'occupazione nel settore della sostenibilità sta vivendo una crescita significativa, ma è anche caratterizzato da sfide e disallineamenti che richiedono attenzione. Secondo i recenti dati di Indeed, il numero di annunci di lavoro nel settore della sostenibilità online è quasi raddoppiato in cinque anni, evidenziando un aumento del 93% dal febbraio 2019.

Tuttavia, nonostante questa crescita, la domanda per queste posizioni è leggermente diminuita, con un calo del 7% nelle ricerche per tali ruoli nello stesso periodo. Questo può essere attribuito a percezioni di salari più bassi, barriere di reclutamento e lacune nelle competenze da parte dei cercatori di lavoro.

Un dato significativo è che il 72% dei datori di lavoro intervistati ha attualmente un dipartimento o un responsabile dedicato alla sostenibilità o alla Governance Sociale Ambientale (ESG) nella propria organizzazione e vedono nei lavori legati alla sostenibilità un'opportunità per contribuire alla transizione verde (39%), soddisfare i requisiti ESG (36%) e attrarre investitori (31%).

Tuttavia, nonostante questi benefici, esiste ancora un'ampia disparità tra la domanda e l'offerta di competenze nel settore.

Tra i lavoratori, persistono incertezze riguardo alla considerazione di carriere legate alla sostenibilità. Molti si sentono impreparati e non vedono chiaramente i vantaggi di intraprendere un percorso professionale in questo settore.

Tuttavia, non tutto è perduto. Il desiderio di migliorare la propria carriera (46%) e l'aumento di stipendio (30%) rappresentano spinte significative per coloro che sono disposti a intraprendere percorsi di reskilling. Inoltre, quasi la metà dei datori di lavoro (il 48%) ritiene che maggiori incentivi governativi per l'assunzione di personale dedicato potrebbero contribuire a risolvere le sfide attuali.

Allo stesso modo, la possibilità di contare su percorsi di formazione istituzionali (33%) potrebbe essere una risorsa preziosa per colmare il gap tra la domanda e l'offerta di competenze nel settore della sostenibilità.

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Sostenibilità

Il futuro verde e inclusivo di Avezzano

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Il progetto "Green & Social HUB" offre opportunità di lavoro e sostenibilità a giovani e comunità

Avezzano

Avezzano, un piccolo angolo d'Abruzzo in provincia dell’Aquila, si prepara a fare un grande passo verso un futuro più verde e inclusivo grazie al sostegno finanziario dell'Unione Europea. Con quasi 70 mila euro di finanziamenti destinati al progetto "Green & Social HUB", il Comune apre le porte ai giovani in cerca di lavoro, promuovendo al contempo politiche di sostenibilità e inclusione sociale.

Green & Social HUB

Il progetto, ideato in collaborazione con ALI (Autonomie Locali Italiane) e la Rete nazionale dei Comuni Sostenibili, mira a combattere le diseguaglianze sociali, specialmente nell'ambito della transizione verde e digitale. Questo obiettivo si traduce in politiche locali mirate a ridurre le disparità economiche, energetiche ed educative, aprendo nuove opportunità per i giovani NEET, coloro che non sono né occupati né inseriti in un percorso formativo.

Avezzano si distingue come una delle tre sole municipalità italiane selezionate (insieme a Bassiano, in provincia di Latina, e Crispiano, in provincia di Taranto) per l'implementazione pratica del progetto, finanziato con il Fondo sociale 2021-27 dell'UE. Il cuore del progetto è l'apertura di un "hub" dedicato, sia fisico che virtuale, che offrirà servizi di consulenza per i cittadini in povertà energetica e di informazione per le imprese e le organizzazioni locali. Dodici giovani inoccupati avranno l'opportunità di essere selezionati e preparati per lavorare presso questo hub, guadagnando competenze nel settore energetico e aprendo le porte a una possibile inclusione nel mercato del lavoro.

Il coinvolgimento di otto partner, tra cui ALI, Leganet Srl, Studio COME e Federconsumatori Lazio, testimonia l'ampiezza e l'importanza del progetto su scala nazionale.

Con la pubblicazione dell'avviso sul sito del Comune, si apre ufficialmente la finestra per la presentazione delle domande, dando ai giovani interessati l'opportunità di unirsi a questa iniziativa. Fino al 7 maggio, i futuri lavoratori dell'hub potranno rispondere all'appello, pronti a diventare attori chiave nella promozione della sostenibilità e dell'inclusione sociale nella loro comunità.

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