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Salute e Benessere

Farmaci, studi confermano efficacia monoclonale in...

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Farmaci, studi confermano efficacia monoclonale in idrosadenite suppurativa

Ucb, alti livelli di risposta clinica con bimekizumab con miglioramento qualità di vita

Farmaci, studi confermano efficacia monoclonale in idrosadenite suppurativa

Nel trattamento di pazienti adulti con idrosadenite suppurativa da moderata a grave emergono dati positivi dalle ultime analisi post hoc degli studi di fase 3 Be Hard 1 e Be Heard 2 che valutano l'efficacia e la sicurezza di bimekizumab, un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato progettato per inibire selettivamente sia l'interleuchina 17A e 17F. "I risultati presentati all'Ehsf 2024 si basano sui dati di fase 3 comunicati finora e rafforzano la nostra convinzione che bimekizumab possa fare una differenza significativa per i pazienti. I risultati confermano alti livelli di risposta clinica ottenuti con il trattamento, l'impatto positivo sulla qualità della vita correlata alla salute riportato dai pazienti e l'importanza di un trattamento tempestivo dopo la diagnosi", dichiara Emmanuel Caeymaex, Executive Vice President, Immunology Solutions e Head di Ucb Us, commentando i dati presentati da Ucb, azienda biofarmaceutica multinazionale, alla 13esima conferenza della European Hidradenitis Suppurativa Foundation (Ehsf), tenutasi a Lione alcune settimane fa.

"Il raggiungimento dell'Ihs4-55 mostra una riduzione dei noduli infiammatori, degli ascessi e delle fistole drenanti - sottolinea Thrasyvoulos Tzellos del Dipartimento di Dermatologia, Nordland Hospital Trust di Bodø (Norvegia) - Si tratta di una nuova versione dicotomica dell'International Hidradenitis Suppurativa Severity Score System (Ihs4), che permette di includere e quantificare gli ascessi drenanti in modo validato e riflette un miglioramento di almeno il 55% del punteggio totale rispetto al basale. Con bimekizumab, le analisi hanno dimostrato che nell'arco di 48 settimane la maggior parte dei pazienti, circa 7 su 10, ha raggiunto il punteggio Ihs4-55".

L'idrosadenite suppurativa - ricorda una nota - è una malattia infiammatoria cronica, ricorrente, dolorosa e debilitante della pelle, associata a manifestazioni sistemiche. I sintomi principali sono noduli, ascessi e fistole con fuoriuscita di pus, che si riscontrano tipicamente sotto le ascelle, nell'inguine e nei glutei. Le persone affette hanno riacutizzazioni della malattia e forti dolori, che possono avere un impatto molto negativo sulla qualità della vita. La patologia si sviluppa più comunemente nella prima età adulta e colpisce circa l'1% della popolazione nella maggior parte dei Paesi presi in esame. Circa un terzo delle persone con idrosadenite suppurativa ha una storia familiare della malattia, ma anche fattori legati allo stile di vita, come il fumo e l'obesità, possono giocare un ruolo cruciale nel decorso clinico.

Il dolore, le secrezione e le cicatrici causati dall'idrosadenite suppurativa - prosegue la nota - non sono solo un problema fisico, ma determinano anche uno stigma sociale: i pazienti temono o subiscono direttamente atteggiamenti e reazioni negative da parte delle persone, nei confronti dei loro sintomi. Queste sensazioni possono portare a imbarazzo, isolamento sociale, bassa autostima e compromissione della vita sessuale, e hanno un impatto su tutti gli aspetti della vita, comprese le relazioni interpersonali, l'istruzione e il lavoro.

Bimekizumab è un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato progettato per inibire selettivamente sia l'interleuchina 17A che l'interleuchina 17F, due citochine chiave alla base dei processi infiammatori. Le indicazioni terapeutiche nell'Unione europea sono: psoriasi a placche, artrite psoriasica e spondiloartrite assiale. L'efficacia e la sicurezza di bimekizumab nell'idrosadenite suppurativa non sono state stabilite e il farmaco non è stato approvato per l'uso nell'idrosadenite suppurativa da alcuna autorità regolatoria a livello mondiale.

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Disturbi della memoria, scoperto come il cervello distingue...

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Lavoro del team di ricerca del dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Torino

Cervello e ricordi (Foto )

Una ricerca condotta da un team di ricerca del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino potrebbe fornire informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche per i disturbi della memoria. Formare ricordi di eventi simili costituisce una vera e propria sfida per il nostro cervello. "È essenziale che ogni evento venga memorizzato in maniera separata per preservarne la specificità. Tuttavia, è altrettanto importante riconoscere e ricordare gli aspetti comuni tra gli eventi. Se questo delicato processo viene compromesso, le persone rischiano di confondere un evento con un altro, perdendo così la chiarezza e la specificità dei propri ricordi". Lo ha rilevato un nuovo studio pubblicato su 'Cell Reports' che ha identificato un intricato processo cerebrale che consente di distinguere e memorizzare eventi simili in maniera separata, mantenendo al contempo le somiglianze tra di essi. La ricerca è stata condotta principalmente dalle ricercatrici Giulia Concina, Luisella Milano e Annamaria Renna coordinate dal professor Benedetto Sacchetti del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino.

I ricercatori hanno studiato l’attività cerebrale durante l'apprendimento di due eventi distinti ma con elementi in comune, scoprendo che nell'amigdala, una regione cerebrale chiave per la formazione dei ricordi, gruppi separati di neuroni si attivano per memorizzare separatamente eventi distinti. "Tuttavia, alcuni neuroni rispondono a entrambi gli eventi, aiutando a ricordarne le somiglianze. Il numero di questi neuroni comuni - sottolinea lo studio - è regolato da un particolare tipo di cellule chiamate neuroni inibitori. Bloccando queste cellule, i ricercatori hanno notato come il numero di neuroni comuni aumentasse notevolmente causando la confusione e sovrapposizione dei due eventi. Secondo i ricercatori, in conclusione, i neuroni inibitori contribuiscono quindi a mantenere distinti i ricordi di eventi simili".

La ricerca è stata condotta adottando un approccio multidisciplinare che ha integrato metodologie di analisi comportamentale, biologia molecolare, microscopia ad alta risoluzione e modulazione dell'attività cerebrale. In particolare, grazie all'utilizzo della tecnica innovativa della 'marcatura chemogenetica', i ricercatori hanno potuto visualizzare i neuroni coinvolti nella percezione sia degli aspetti distintivi di due eventi, sia delle loro caratteristiche comuni. Questa analisi ha permesso anche di individuare le cellule in grado di limitare il numero di neuroni condivisi, ovvero i neuroni inibitori. Infine, combinando le tecniche di marcatura chemogenetica e di inattivazione dell'attività neuronale, i ricercatori hanno selettivamente bloccato queste cellule, notando che ciò portava i soggetti a confondere gli eventi tra di loro.

"Questa ricerca - spiega Sacchetti - riveste un'importanza significativa poiché mette in luce l'esistenza di neuroni il cui ruolo è quello di mantenere separate le memorie di eventi distinti ma con aspetti in comune, consentendo così di conservare i ricordi di tali eventi in modo preciso e nitido. Considerando che una delle caratteristiche tipiche dei disturbi della memoria, come le demenze e il disturbo post-traumatico da stress, è la tendenza a confondere gli eventi passati, questa ricerca potrebbe fornire nuove informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche".

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Università, Gesualdo (Fism): “Nettamente contrari a...

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"D'accordo con Ordine medici e Anaao. Serve programmazione razionale, le Scuole di Medicina non possono accogliere 70mila iscritti per mancanza di spazi e risorse"

Loreto Gesualdo (Adnkronos)

"La decisione di eliminare il numero chiuso per l'iscrizione alla Facoltà di Medicina, Medicina veterinaria e Odontoiatria e protesi dentaria rappresenta una minaccia alla qualità della formazione medica e prelude un grave rischio di sovraffollamento del mercato del lavoro medico. Come l'Ordine dei medici e Anaao anche la Fism è nettamente contraria a stop al numero chiuso". Così all'Adnkronos Salute il presidente della Federazione italiana società medico-scientifiche (Fism) Loreto Gesualdo commenta l'adozione da parte della Commissione Istruzione del Senato del testo base che elimina il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina.

La Fism "ribadisce l'importanza di una programmazione razionale e basata sui reali bisogni del Servizio sanitario nazionale - spiega Gesualdo sottolineando "la necessità di una selezione accurata dei futuri medici già durante il percorso scolastico, al fine di garantire una formazione di qualità e una corretta distribuzione sul territorio". Inoltre, "occorre estendere la programmazione non solo al numero dei medici, ma anche a tutte le altre professioni sanitarie, come infermieri, fisioterapisti, dietisti e altre figure professionali - evidenzia il numero uno di Fism - essenziali per supportare i percorsi di intelligenza artificiale e l'evoluzione tecnologica nel settore della salute".

Gesualdo suggerisce di "potenziare i licei con inclinazione biomedica" per preparare "adeguatamente gli studenti interessati a intraprendere percorsi universitari" nel campo della salute. "Tuttavia - avverte - è importante ricordare che attualmente le scuole di medicina non sono in grado di accogliere un numero così elevato di studenti, con circa 70.000 iscrizioni previste, a causa della mancanza di spazi e risorse necessarie".

La programmazione delle professioni sanitarie "deve essere inclusiva e mirata a garantire un equilibrio tra domanda e offerta di competenze specialistiche, al fine di garantire un corretto sviluppo del settore e una gestione ottimale delle risorse umane nel campo della salute". La Fism "si impegna a promuovere una visione olistica della programmazione delle professioni sanitarie, che tenga conto delle nuove sfide e opportunità offerte dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale nel campo della salute" conclude.

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25 aprile, il pediatra: “Ecco come spiegarlo ai...

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"Per ogni età c'è il giusto modo di raccontarlo, a seconda della fase evolutiva"

Una mamma con bambini

25 aprile data importante per gli italiani. E, come tutti gli anni, al centro in questi giorni di dibattiti, ricordi, commemorazioni. Ma come spiegarlo ai bambini che ci chiedono chiarimenti? "Per ogni età c'è il giusto modo di raccontarlo, a seconda della fase evolutiva", spiega all'Adnkronos Salute Italo Farnetani, docente di Pediatria dell'Università Ludes-United Campus of Malta.

"Ai bambini di meno di 10 anni, per esempio - suggerisce il medico - direi semplicemente che in questo giorno è finita la guerra che veniva combattuta in Italia. Bisogna tener conto del fatto che in questa fascia di età i bambini ragionano per operazioni concrete, su ciò che vedono e che gli va spiegato nella sua concretezza. Possiamo raccontargli, quindi, che nel nostro Paese c'era una guerra come quelle che vedono in televisione e il 25 aprile se ne festeggia la fine". Dagli 11 anni in poi, soprattutto a chi frequenta le scuole superiori, prosegue Farnetani, "si può parlare con i ragazzi dei contenuti ideali, politici, legati alla Festa della liberazione". Mentre "dai 14 anni in su, cioè quando l'adolescente entra nella fase delle 'operazioni formali', il discorso può ampliarsi ai concetti di pace, guerra, libertà, dittatura, diritti umani, cioè fare un discorso formativo. In questa fase dell'adolescenza, in cui predominano i concetti di bene e male, giustizia e ingiustizia - sottolinea il pediatra - si fa strada una visione utopica della realtà. Gli adulti, considerando questa particolare fase dello sviluppo del ragionamento degli adolescenti, possono aiutare i ragazzi a fare un'analisi oggettiva di ciò che è avvenuto il 25 aprile perché possa partire da una valutazione storica, etica e politica dei fatti per farsi, autonomamente, un'idea precisa dell'origine e delle motivazioni del significato simbolico della data. Successivamente potrà esaminare i decenni successivi della storia della politica italiana".

Un'informazione che tenga conto delle fasi evolutive, conclude Farnetani, è una modalità utile a fornire "all'adolescente strumenti per capire le problematiche alla radice. In caso contrario, si rischia di proporre concetti preconfezionati o di parte che non aiutano lo sviluppo della persona".

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