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Sostenibilità

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Greenwashing, ok del Parlamento Ue alla Direttiva Green Claims: cosa prevede

La posizione sarà vincolante anche per la prossima legislatura

Greenwashing - Canva

Con la direttiva Green Claims, l’Ue fa un ulteriore passo verso un’informazione trasparente e veritiera nell’ambito delle comunicazioni sostenibili.

Il voto favorevole dell’Europarlamento alla Direttiva Green Claims (“Dichiarazioni ambientali”) contro il greenwashing è avvenuto martedì 12 marzo con un ampio margine di consenso (467 favorevoli, 65 contrari e 74 astensioni).

La nuova posizione mira a porre fine alla diffusione di dichiarazioni ecologiche fuorvianti e a promuovere pratiche di sostenibilità autentiche. Con questo voto, l’Europarlamento invia un chiaro segnale alle imprese affinché assumano un approccio più responsabile e trasparente nei confronti dei consumatori, in modo che la transizione verso un’economia verde e sostenibile non sia solo di facciata.

Cosa prevede la direttiva Green Claims

La proposta presentata un anno fa dalla Commissione Europea ha messo in luce un problema diffuso: la presenza di dichiarazioni green fuorvianti da parte di molti operatori economici.

Ecco cosa prevedono le nuove norme approvate dall’Europarlamento:

- Nessuna etichetta senza prova: sicuramente la novità più impattante del testo. Le scritte come “biodegradabile”, “meno inquinante” o “a risparmio idrico” non saranno più ammesse a meno che le aziende non possano fornire prove scientifiche e verificate da enti terzi indipendenti circa la loro veridicità. Non solo: le aziende dovranno fornire queste prove prima di poter commercializzare i propri prodotti con le relative “dichiarazioni green”;

- Tempi certi: le autorità nazionali avranno 30 giorni per valutare le dichiarazioni ambientali e le relative prove, con la possibilità di procedure semplificate per i casi più semplici;

- Limiti al “carbon neutral”: le aziende non potranno fare dichiarazioni ecologiche basate esclusivamente sugli schemi di compensazione delle emissioni di anidride carbonica. Le imprese potranno utilizzare tali schemi solo dopo aver ridotto al minimo le proprie emissioni. In particolare, i crediti di carbonio degli schemi dovranno essere certificati, come già stabilito dal Carbon Removals Certification Framework;

- Sostanze pericolose: le dichiarazioni verdi sui prodotti contenenti sostanze pericolose saranno permesse temporaneamente, ma la Commissione valuterà se debbano essere vietate del tutto.

Sotto il profilo sanzionatorio, le aziende che utilizzano dichiarazioni ambientali non verificate potrebbero essere soggette a multe fino al 4% del fatturato annuale o all’esclusione da appalti pubblici o sussidi per un anno. La direttiva Green Claims prevede che le microimprese (meno di 10 dipendenti e fatturato annuo al di sotto dei 2 milioni di euro) siano esentate dalle nuove norme, mentre le Pmi (meno di 250 dipendenti e fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro o bilancio inferiore ai 43 milioni di euro) avranno un anno in più per adeguarsi.

Quanto è diffuso il greenwashing

Come riporta economiacircolare.com, già dal 2014 almeno il 75% dei beni sul mercato conteneva dichiarazioni green. Tuttavia, secondo la Commissione Ue, nel 2020 almeno il 53,3% delle informazioni su ambiente e clima presenti in etichetta su un campione esteso di prodotti era ingannevole, il 40% completamente prive di fondamento. Tipica fattispecie di greenwashing.

Nel 2022, sono stati identificati 18 casi di greenwashing che hanno coinvolto importanti brand internazionali.

L’uso di affermazioni ambientali da parte delle aziende per promuovere un’immagine di sostenibilità che non corrisponde alla realtà è cresciuto di pari passo con la maggiore sensibilità dei consumatori verso la sostenibilità dei prodotti e servizi acquistati.

Le dichiarazioni di greenwashing più frequenti riguardano l’uso improprio di termini come “sostenibile”, “eco-friendly”, “verde”, o l’abuso di certificazioni ambientali poco chiare o ingannevoli. Queste affermazioni possono variare dalla presunta neutralità carbonica di un’azienda, all’utilizzo di materiali riciclati o biologici nei loro prodotti, fino a promesse di contributi alla riduzione dell’inquinamento o alla conservazione della biodiversità, che in realtà non trovano riscontro nelle pratiche aziendali.

La consapevolezza dei consumatori riguardo al greenwashing è in crescita, grazie all’aumento dell’attenzione mediatica e alla diffusione di informazioni tramite organizzazioni ambientaliste e piattaforme di divulgazione. Questo ha portato a una maggiore vigilanza da parte dei consumatori, che si mostrano sempre più critici e informati riguardo alle affermazioni ambientali delle aziende.

Il green hushing

La crescente consapevolezza dei consumatori può anche generare un effetto paradossale: il green hushing, quando le aziende non comunicano il proprio impegno sostenibile per paura di cadere nel…greenwashing.

Le aziende possono “optare” per il green hushing per il timore di essere criticati o accusati di greenwashing se le azioni sostenibili non sono sufficienti o coerenti con il settore di appartenenza; l’incertezza sull’efficacia e sulla misurabilità delle proprie politiche ambientali; la scarsa consapevolezza o importanza attribuita al tema della sostenibilità, considerato come un costo e non come un investimento; la volontà di mantenere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti, evitando di rivelare le proprie strategie e i propri risultati.

Eppure, il green hushing è una (non) scelta che non fa bene a nessuno: le aziende perdono l’opportunità di migliorare la reputazione e la fiducia dei consumatori, mentre le buone pratiche e i benefici che la sostenibilità può portare in termini di efficienza, risparmio, qualità e differenziazione restano celati. È innegabile, infatti, che le politiche responsabili adottati da aziende più o meno grandi, spesso diventino un modello da seguire per le altre imprese del settore, contribuendo così a creare uno standard migliore per la sostenibilità.

Competitività leale e prossimi step

Il focus della Direttiva Green Claim è, chiaramente, la protezione dei consumatori, perché mira a fornire informazioni più accurate e affidabili per permettere agli utenti di effettuare scelte consapevoli.

Il provvedimento, però, non mira solo a proteggere i consumatori da affermazioni ingannevoli, ma anche a realizzare una competizione leale tra le imprese che adottano effettivamente pratiche sostenibili.

Con l’evolversi del contesto normativo e sociale, adottare pratiche ambientali trasparenti e verificabili non solo è in linea con le richieste dell’Ue, ma potenzia anche la fiducia dei consumatori nell’autenticità delle dichiarazioni di sostenibilità.

L’iter della Direttiva Green Claim non è ancora concluso, ma il voto dello scorso 12 marzo sarà legalmente vincolante anche per la prossima legislatura. Dopo l’elezione degli eurodeputati del 6-9 giugno, i nuovi rappresentanti riprenderanno il testo da questo punto per passare al trilogo con Consiglio e Commissione, dopo che anche i rappresentanti dei governi nazionali avranno approvato la propria posizione negoziale presso il Consiglio.

Nel frattempo, il relatore della commissione Ambiente dell’europarlamento Cyrus Engerer (S&D) ha evidenziato la natura del provvedimento: “La nostra posizione – ha spiegato a margine del voto – pone fine alla proliferazione di dichiarazioni ecologiche fuorvianti che hanno ingannato i consumatori per troppo tempo. Faremo in modo che le aziende dispongano degli strumenti giusti per adottare pratiche di sostenibilità autentiche. I consumatori europei vogliono fare scelte sostenibili. Tutti coloro che offrono prodotti o servizi devono garantire che le loro dichiarazioni siano verificate scientificamente”.

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Inquinamento, stop alla plastica monouso

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Secondo un sondaggio Ipsos/WWF per l'85% delle persone andrebbe vietata

Plastica in mare - -Brian Yurasits Unsplash

Ogni anno nel mondo vengono prodotte 460 milioni di tonnellate di plastica, di cui il 60% è monouso ovvero usa e getta. Se a ciò si aggiunge che a livello globale il riciclo della plastica raggiunge solo il 9% del totale e che la plastica monouso rappresenta oltre il 70% dei rifiuti plastici che inquinano i mari e gli oceani, risulta piuttosto evidente che sia necessario un cambio di rotta netto e rapido. A cominciare dal vietare globalmente la plastica monouso. Sarà questo uno dei temi al centro del quarto negoziato sul Trattato sull'inquinamento da plastica che svolgerà dal 23 al 29 aprile in Canada, a Ottawa. Sullo stop alla plastica monouso è d'accordo anche la grande maggioranza dei cittadini. Infatti, secondo un recente sondaggio realizzato da Ipsos per il WWF, su un campione di 24 mila persone di 32 Paesi tra cui l'Italia, l'85% delle persone nel mondo ritiene che la plastica monouso debba essere vietata.

Italiani attenti al tema della plastica

A livello nazionale, gli italiani interpellati dal sondaggio di cui sopra, sostengono in particolare il divieto delle sostanze chimiche nocive utilizzate nella produzione della plastica, indicate dall'87% del campione e sui prodotti in plastica che non possono essere facilmente riciclati (84%). Dai risultati emerge anche la diffusa consapevolezza che i divieti non siano sufficienti ad arrestare l'inquinamento da plastica monouso. Infatti, la maggioranza delle persone intervistate sostiene la necessità di una rifondazione dell'attuale sistema della produzione e del riciclo della plastica in modo che siano garantiti il riciclo e il riuso sicuro. Nello specifico, l'83% degli intervistati italiani ha dichiarato necessario imporre l'obbligo per i produttori di investire in sistemi di riutilizzo della plastica, mentre il 67% è d'accordo sul garantire a tutti i Paesi accesso ai finanziamenti, alle tecnologie e alle risorse necessarie per affrontare e risolvere il tema dell'inquinamento da plastica. In tal senso, l'87% degli intervistati a livello globale (l'83% degli italiani) ritiene necessaria una riduzione dellla produzione complessiva di plastica. I risultati del recente sondaggio Ipsos confermano quanto emerso dai due precedenti report sul tema, specie sul fatto di sostenere l'emanazione di norme che siano vincolanti per poter trasformare in maniera radicale l'universo della plastica.

Il Trattato globale sull'inquinamento da plastica

Come anticipato, dal 23 al 29 aprile a Ottawa si svolgerà il nuovo summit per discutere i contenuti del Trattato globale sull'inquinamento da plastica. Un incontro particolarmente importante in quanto si tratta del penultimo appuntamento del ciclo di negoziati delle Nazioni Unite su tale tema. Se da una parte la maggioranza degli Stati è d'accordo sull'introduzione di norme globali vincolanti per tutta la catena del valore della plastica, dall'altra permane l'opposizione di una minoranza che ritiene di difendere il profitto a discapito del delicato equilibrio ambientale del Pianeta. Norme globali vincolanti, infatti, consentirebbero ai Governi e alle aziende di agire seguendo le stesse regole, incrementando allo stesso tempo la messa a punto di soluzioni innovative e mobilitando gli investimenti lungo l'intera catena del valore della plastica, in modo da distribuire più equamente gli oneri necessari per affrontare il tema dell'inquinamento da plastica.

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