Cronaca
Tumori, ok Aifa a immunoterapia in prima linea per 2...
Tumori, ok Aifa a immunoterapia in prima linea per 2 neoplasie del fegato
Secondo gli studi, durvalumab migliora la sopravvivenza in pazienti con epatocarcinoma e cancro delle vie biliari in stadio avanzato
Doppia approvazione per l'immunoterapia con durvalumab che, in prima linea, migliora la sopravvivenza nelle due forme più frequenti di tumore primitivo del fegato: il carcinoma epatocellulare, che ha origine dagli epatociti (le cellule del fegato), e il colangiocarcinoma, che deriva dalle cellule delle vie biliari (i canali che trasportano la bile dal fegato all'intestino). Lo ha reso noto AstraZeneca, oggi a Milano, nel corso di un incontro con la stampa.
L'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il via libera alla rimborsabilità di una singola dose iniziale di tremelimumab con durvalumab seguita da durvalumab in monoterapia per il trattamento di prima linea dei pazienti adulti con carcinoma epatocellulare avanzato o non resecabile. Come evidenziato nello studio Himalaya di fase 3, pubblicato su 'Annals of Oncology', a 4 anni il 25,2% dei pazienti trattati con durvalumab più tremelimumab era vivo, rispetto al 15,1% di quelli trattati con sorafenib - standard di cura al momento dell'avvio dello studio - e il rischio di morte è stato ridotto del 22%.
Aifa ha inoltre approvato la rimborsabilità di durvalumab per il trattamento di prima linea dei pazienti adulti con carcinoma delle vie biliari non resecabile o metastatico, in combinazione con la chemioterapia (gemcitabina più cisplatino). Nello studio Topaz-1 di fase 3, pubblicato sul 'New England Journal of Medicine Evidence', durvalumab più chemioterapia ha ridotto del 24% il rischio di morte rispetto alla sola chemioterapia, con una stima di pazienti ancora in vita, a 2 anni dal'inizio del trattamento, più che raddoppiata (23,6% rispetto a 11,5%).
Nel 2023 in Italia sono state stimate 12.200 nuove diagnosi di tumore del fegato, di cui il 79% è rappresentato dall'epatocarcinoma, ricorda una nota. "Sia nel mondo che in Italia è una delle principali cause di morte per tumore, particolarmente negli uomini tra i 60 e 70 anni - spiega Fabio Piscaglia, professore ordinario di Medicina interna all'università di Bologna e direttore di Medicina interna, Malattie epatobiliari e Immunoallergologiche dell'Irccs-Aou di Bologna - Nella larga maggioranza di casi, il tumore si sviluppa in pazienti affetti da malattia cronica di fegato, spesso già allo stadio di cirrosi. Tra le cause di malattia cronica di fegato ricordiamo infezioni da virus dell'epatite B e C, abuso di alcol, malattie genetiche e autoimmunitarie, ma anche la condizione in rapida crescita numerica denominata sindrome metabolica, in genere legata a sovrappeso e diabete". Cirrosi e cancro spesso insorgono silenziosamente, per questo è fondamentale "un'attenta sorveglianza con ecografia semestrale" nelle persone a rischio, cioè "con epatopatia cronica avanzata", per una diagnosi precoce. "Purtroppo - sottolinea Piscaglia - più della metà dei pazienti non riceve questa sorveglianza" e la diagnosi arriva quando la malattia è "in stadio avanzato. La miglior gestione dell'epatocarcinoma richiede il contributo di diversi specialisti, che compongono infatti i team multidisciplinari".
Come osserva Mario Scartozzi, professore ordinario di Oncologia medica, direttore Oncologia medica, università degli Studi di Cagliari, azienda ospedaliero universitaria di Cagliari, "il trattamento è complesso, perché bisogna curare il tumore senza sottovalutare il fatto che il paziente molto spesso è affetto da epatopatia cronica. La gestione di due gravi patologie concomitanti richiede terapie efficaci e tollerabili, che non peggiorino la funzionalità epatica residua". Grazie all'approvazione di Aifa "si espandono le terapie farmacologiche a disposizione dei clinici - rimarca Piscaglia - permettendo così a un maggior numero di pazienti, ad esempio anche a coloro che presentano controindicazioni ai farmaci antiangiogenetici, di ricevere terapie farmacologiche benefiche e di utilizzare un approccio innovativo. L'auspicio è di controllare il tumore a lungo termine. Con le nuove terapie, infatti, si stanno aprendo importanti prospettive grazie alla combinazione della terapia farmacologica con i trattamenti già previsti per i vari stadi di malattia".
"Per i pazienti con malattia avanzata, non candidabili alla chirurgia e alle terapie locoregionali, è fondamentale avere accesso a strumenti efficaci come l'immunoterapia - commenta Massimiliano Conforti, vice presidente EpaC - E' importante sensibilizzare anche i medici di famiglia, per attivare programmi di sorveglianza nei confronti delle persone a rischio con malattia di fegato avanzata, ma anche informare i pazienti con tumore del fegato sulle strutture di riferimento, che garantiscono una presa in carico a 360 gradi. Diagnosi precoce e percorsi di cura rapidi, all'interno di Reti epatologiche regionali, sono la chiave per guadagnare anni di vita, oltre all'innovazione costituita da terapie sempre più efficaci".
Un'altra neoplasia primitiva del fegato in cui l'immunoterapia con durvalumab ha evidenziato risultati importanti - prosegue la nota - è il tumore delle vie biliari, che fa registrare ogni anno circa 5.400 nuovi casi in Italia. "E' una patologia rara, ma in costante crescita - illustra Lorenza Rimassa, professore associato di Oncologia medica all'Humanitas University e Irccs Humanitas Research Hospital di Rozzano, Milano - La chirurgia, se effettuata nel tumore in stadio iniziale, può avere esito risolutivo. Purtroppo, solo il 25% dei pazienti è candidato all'intervento. Le difficoltà legate alla mancanza di sintomi specifici, infatti, conducono in oltre il 70% dei casi alla diagnosi in fase avanzata. Nei pazienti che non possono essere operati, il trattamento di prima scelta fino a oggi è stato rappresentato dalla chemioterapia, che contribuisce a controllare l'evoluzione del tumore, anche se con un’efficacia limitata".
"L'approvazione della rimborsabilità di durvalumab da parte di Aifa per il trattamento dei tumori delle vie biliari è una notizia molto importante - dice Paolo Leonardi, presidente Associazione pazienti italiani colangiocarcinoma (Apic) - perché allunga la vita, controllando lo sviluppo del tumore. Un secondo passo importante, dopo i primi farmaci a bersaglio che speriamo siano anch'essi resi tutti disponibili alle persone con diagnosi di colangiocarcinoma. Questi trattamenti spero si diffondano, anche se resta importante, nell'impostazione della terapia, ricorrere a strutture specializzate dove è possibile una presa in carico completa da parte di un team multidisciplinare dedicato. Le cure simultanee fanno la differenza per questi pazienti, come tenere conto anche dell'aspetto psicologico, nutrizionale, della terapia del dolore e della riabilitazione".
L'immunoterapia sta evidenziando risultati importanti anche nel tumore dello stomaco. "Nello studio Matterhorn, nel tumore gastrico o della giunzione gastro-esofagea operabile - riporta Scartozzi - l'aggiunta di durvalumab al regime chemioterapico (Flot), prima e dopo la chirurgia, ha evidenziato un aumento significativo del tasso di risposta patologica rispetto a solo Flot: 19% contro 7%, con una differenza fra i due trattamenti del 12%. E' particolarmente incoraggiante osservare la sicurezza della combinazione di durvalumab più chemioterapia, che non ha compromesso la possibilità di sottoporsi alla chirurgia. I risultati di questo studio erano molto attesi, perché nei pazienti con tumori gastrici o della giunzione gastro-esofagea sottoposti a resezione chirurgica dopo il trattamento con chemioterapia attualmente il tasso di recidiva è ancora del 50%".
"La scienza, da sempre, è il pilastro fondante della nostra strategia - dichiara Paola Morosini, Medical Affairs Head Oncology AstraZeneca - e disponiamo di una pipeline che ci pone in una posizione di leadership anche nel trattamento delle patologie oncologiche gastrointestinali. L'approvazione della rimborsabilità di durvalumab nei tumori del fegato e delle vie biliari è un risultato decisivo per la comunità scientifica e per i pazienti. In particolare, siamo di fronte alla prima approvazione di un regime immunoterapico in prima linea nel colangiocarcinoma. Continuiamo a supportare trial su durvalumab anche nell'epatocarcinoma in stadi più precoci. Ad esempio, lo studio Emerald-1 ha evidenziato il ruolo di durvalumab in combinazione con la chemioembolizzazione, quando il tumore è confinato al fegato e la funzionalità epatica non è compromessa".
Cronaca
Milano. Gentilino scuola materna ‘modello’ a...
Flash mob, petizione online per il Comune, e appelli speciali di anziane che la frequentarono negli anni '40
Banchi e sedie vuote, come non dovrebbero mai essere in una scuola, palloncini colorati per attirare l'attenzione, e cartelli, striscioni, disegni: "Vive il quartiere se vive Gentilino", "La scuola è il nostro futuro". E' partita da una piccola e colorata installazione la mobilitazione delle famiglie del quartiere Navigli di Milano per salvare la scuola dell'infanzia di via Gentilino, che rischia di chiudere. Un flash mob promosso da mamme e papà, con il sostegno della Social Street San Gottardo, Meda e Montegani e dei genitori in bicicletta del movimento Massa Marmocchi che, con il consueto accompagnamento musicale, hanno fatto tappa davanti alla scuola materna. Una processione di adulti e bambini, sulle due ruote, con gli zaini coperti da messaggi-appelli per il Comune di Milano: "Scuola Gentilino aperta". Canti e applausi, tutti fermi davanti all'ingresso, la strada affollata per una decina di minuti, qualcuno si commuove.
Per decenni lo storico istituto eletto a 'modello' di didattica dallo stesso Comune (meta di visite per condividere con gli operatori del settore educativo le buone prassi adottate) ha visto crescere generazioni di milanesi e rappresentato un punto di riferimento per coppie di giovani 'expat' e i loro bimbi nei momenti iniziali di solitudine, quando si costruisce una nuova vita lontano dagli affetti. Molti di quei bambini oggi sono i nonni di piccoli allievi che continuano ogni mattina a percorrere il vialetto che porta alla scuola materna Gentilino. "Un'oasi felice", l'hanno definita, ora a rischio. L'anno prossimo la struttura accoglierà un solo bambino, le restanti domande sono state respinte.
Motivo indicato da Palazzo Marino in una comunicazione ufficiale alle famiglie, giunta solo a graduatorie ufficializzate e in risposta a richieste di chiarimento: "L'immobile che ospita la scuola dell'infanzia di via Gentilino non è di proprietà del Comune" ma di una Onlus "e il contratto d'affitto non è rinnovabile. L'Amministrazione ha già comunicato la disponibilità all'acquisto di tale struttura", ma sull'esito dell'interlocuzione "non ci sono ancora certezze". Da qui deriverebbe la decisione di Palazzo Marino che ha sollevato la preoccupazione delle famiglie e suscitato la mobilitazione del quartiere. Un fulmine a ciel sereno, visto che si era svolto anche il regolare Open day, che ha spinto i genitori a mobilitarsi in diversi modi, e su più canali, dai social alla distribuzione dei volantini nei negozi del quartiere per chiedere ulteriore sostegno.
Ieri è partita anche una petizione sulla piattaforma 'Change.org' che in poche ore superato le mille firme, oggi la manifestazione. Mentre continuano gli attestati di solidarietà postati via social. E le testimonianze, come quella della signora Antonia, "una vecchia frequentatrice dell'asilo in via Gentilino".
Correva l'anno "1946", racconta in un video girato da Fabio Calarco, fondatore della social street e genitore di uno dei bambini della scuola. Allora "avevo 3 anni e mia madre lavorava", ripercorre Antonia, che ha poi continuato gli studi nella scuola elementare della stessa via. "E' una scuola molto antica, questa, un monumento culturale della zona. E bisogna conservarla". Storie speciali, di affetto per i piccoli allievi. Storie come quella, raccontata da alcune mamme, di nonna Marta, che tutti i giorni si affaccia alla finestra della sua casa vicino alla scuola per salutare i bimbi della materna e regalare loro qualche biscotto.
L'auspicio? "Che Gentilino rimanga così com'è e vada avanti ancora per tanti altri anni", dice Antonia nel video. L'impegno dei genitori non si conclude qui, spiegano i promotori delle iniziative. Nei prossimi giorni si continuerà a chiedere all'amministrazione comunale il massimo impegno per scongiurare la chiusura della scuola dell'infanzia, anche in occasioni più ufficiali.
Cronaca
Covid, 72enne col virus per 613 giorni: ‘eterni...
L'uomo fortemente immunocompromesso è morto, ricercatori hanno 'fotografato' evoluzione Sars-CoV-2 nel suo organismo
La più lunga infezione cronica da Sars-CoV-2 conosciuta dagli esperti? E' durata 613 giorni. Un nuovo record in ambito covid quello individuato dagli esperti del Cemm (Centro di medicina sperimentale e molecolare) dell'University Medical Center (umc) di Amsterdam. Magda Vergouwe e colleghi dell'istituto olandese hanno descritto il caso di un 72enne immunocompromesso che ha convissuto con il virus della pandemia Covid per circa 1 anni e 8 mesi.
E nel lungo tempo in cui il patogeno ha abitato il suo organismo ha avuto la possibilità di mutare molto. Tanto che gli esperti evidenziano il rischio che negli 'eterni positivi' si creino condizioni (infezioni persistenti in pazienti senza difese) che li rendono 'motore' per lo sviluppo di nuove varianti di Sars-CoV-2 potenzialmente immunoevasive. Lo studio che illustra la positività da 'Guinness dei primati' sarà presentato al Congresso Escmid Global di Barcellona (27-30 aprile).
Sebbene rare, queste particolari infezioni potrebbero portare a un aumento del numero di mutazioni nel genoma del virus, sostengono gli autori evidenziando la necessità di una maggiore consapevolezza dei rischi, una stretta sorveglianza genomica e test diagnostici precoci per i contatti sintomatici come parte della gestione clinica di questi pazienti.
La ricerca descrive l'evoluzione virale estesa osservata in questo caso che, a loro conoscenza, si qualifica per "la durata dell'infezione da Sars-CoV-2 più lunga fino ad oggi" censita, sebbene siano stati precedentemente registrati diversi casi di centinaia di giorni (l'ultimo 505). Per rendere l'idea della rilevanza del tema, viene ricordato che anche la variante Omicron si ritiene abbia avuto origine in una persona immunocompromessa.
Il 72enne protagonista dello studio non ha fatto in tempo a vincere la sua battaglia con il virus, è morto per una ricaduta della sua patologia ematologica dopo essere rimasto positivo al Sars-CoV-2 con elevata carica virale per 613 giorni. E' stato ricoverato con l'infezione nel polo di Amsterdam a febbraio 2022, e definito immunocompromesso per via di una storia di trapianto allogenico di staminali come trattamento di una sindrome da sovrapposizione mielodisplastica e mieloproliferativa. Situazione complicata da un linfoma post-trapianto per il quale ha ricevuto rituximab, farmaco che esaurisce tutte le cellule B disponibili, comprese quelle che normalmente producono gli anticorpi diretti contro Sars-CoV-2.
L'uomo aveva in precedenza già ricevuto più vaccinazioni Covid senza una risposta anticorpale misurabile al momento del ricovero in ospedale. I test hanno rilevato la presenza di un'infezione da variante Omicron BA.1.17. E il paziente ha ricevuto vari trattamenti anche con monoclonali senza ottenere una risposta clinica. Il sequenziamento del virus nella fase di follow-up ha mostrato che già 21 giorni dopo si era sviluppata una mutazione resistente all'anticorpo con cui è stato trattato il paziente. Il suo sistema immunitario nelle settimane successive si è rivelato non in grado di eliminare il virus e l'infezione prolungata e l'ampia evoluzione virale che è stata possibile nel suo organismo ha portato all'emergere di una nuova variante immunoevasiva. Fortunatamente, nella comunità non si è verificata alcuna trasmissione documentata della variante altamente mutata, quindi niente casi secondari.
L'uomo ha affrontato più ricoveri e la persistente infezione da Sars-CoV-2 lo ha costretto a periodi di isolamento prolungati durante il ricovero ospedaliero e a un maggiore utilizzo di protezioni personale, con impatto sulla sua qualità di vita, riferiscono gli esperti. Il sequenziamento completo del virus è stato eseguito su 27 campioni rinofaringei, raccolti in un arco di tempo da febbraio 2022 a settembre 2023. L'analisi ha rivelato oltre 50 mutazioni nucleotidiche rispetto alle varianti BA.1 contemporanee circolanti a livello globale. Inoltre, si sono sviluppate diverse modifiche ulteriori indicative di fuga immunitaria.
"Questo caso sottolinea il rischio legato a infezioni persistenti da Sars-CoV-2 in persone immunocompromesse", concludono gli autori puntualizzando però che "sebbene possa esserci un aumento del rischio di sviluppo di nuove varianti, non tutte" quelle che emergono in questi pazienti "si svilupperanno in una nuova variante di preoccupazione (Voc) per la comunità. I meccanismi sottostanti alla nascita di una Voc sono molto più complessi e dipendono anche da fattori nella popolazione che circonda il paziente", inclusa l'immunità.
"La durata dell'infezione da Sars-CoV-2 in questo caso descritto è estrema, ma queste sono molto più comuni negli immunocompromessi rispetto alla comunità generale. Un ulteriore lavoro del nostro team ha descritto una coorte di questi pazienti con durate dell'infezione comprese in una forbice da 1 mese a 2 anni".
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Casamonica, Cassazione: ”Clan è mafia, delitti tipici...
Le motivazioni della sentenza della Suprema Corte sul maxiprocesso, 'ostentazione forza criminale e rivendicazione status mafiosità'
I membri del clan Casamonica si muovono ‘’in forma organizzata e non individuale nella perpetrazione, da lungo tempo, di ‘delitti’’’ e ‘’per di più non di delitti qualsiasi ma di quelli caratterizzanti le associazioni mafiose più celebri e cosiddette storiche (come le usure, le estorsioni ed il traffico di sostanze stupefacenti con carattere organizzato’’). E’ quanto scrivono i giudici della seconda sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 16 gennaio hanno confermato l’accusa di mafia (416 bis) nel maxiprocesso al clan Casamonica dopo l’inchiesta dei pm della Dda di Roma. Al maxiprocesso ai Casamonica si era arrivati dopo gli arresti compiuti dai carabinieri del Comando provinciale di Roma nell’ambito dell'indagine 'Gramigna', coordinata dal procuratore aggiunto Michele Prestipino e dai sostituti procuratori Giovanni Musarò e Stefano Luciani.
I supremi giudici, con la sentenza depositata oggi, si erano espressi sui ricorsi di una trentina di imputati riconoscendo, come sollecitato dalla procura generale, anche l’aggravante dell’associazione armata per alcune posizioni di vertice per le quali è stato disposto un appello bis sul punto per rideterminare la pena. Per gli ‘ermellini’, ‘’gli stessi elementi ed altri ancora, come l'organizzazione del funerale di Vittorio Casamonica per mano di alcuni ricorrenti, più volte richiamata nelle sentenze di merito per evidenziarne la platealità nell'evocare la cultura di mafia al fine di manifestare all'esterno il prestigio criminale del gruppo e per questo simbolica, dimostrano, altresì, che i Casamonica colpiti dalle emergenze processuali, per così dire si sentissero mafiosi e volessero a tutti i costi ostentare tale qualità all'esterno, per accrescere il loro prestigio criminale e a evidenti fini rivendicativi ed intimidatori a seconda dei casi’’ si legge nelle motivazioni di quasi 200 pagine.
“Gli elementi emersi’’ dal maxi processo confermano ‘’la solidità del vincolo interno tra gli associati – sottolineano i supremi giudici - che non consentiva ripensamenti o dissociazioni’’ e ‘’l'ostentazione della forza criminale nello svolgimento dell'estesa, costante e organizzata attività illecita, nonché la rivendicazione di uno status di mafiosità riferito non ad un singolo componente ma al ‘gruppo’’’. Un ruolo importante nello smantellare il clan è venuto dai due principali e storici collaboratori di giustizia che anche per la Cassazione sono pienamente attendibili. ‘’Si tratta di un argomento che ha formato oggetto di ampia e approfondita disamina da parte di entrambi i giudici di merito, tenuto conto del fatto che le dichiarazioni dei due collaboranti hanno contribuito, anche se in maniera tutt'altro che esclusiva, a sostenere il giudizio di responsabilità a carico di molti ricorrenti – scrivono i supremi giudici - Le conclusioni cui sono pervenuti il Tribunale e la Corte di appello sono state nel senso della piena attendibilità di entrambi i collaboratori, valutazione supportata da una approfondita analisi, conforme ai noti principi di diritto in materia, volta a mettere in luce, oltre ai parametri di indagine cosiddetti intrinseci delle dichiarazioni, l'esistenza di possenti riscontri esterni, dettagliatamente ribaditi ed individualizzati in relazione alla singole posizioni processuali’’.
In Appello nel novembre 2022 la condanna più alta, a 30 anni, era andata a Domenico Casamonica, ai vertici del clan romano. In primo grado, il 20 settembre 2021, erano state comminate 44 condanne per oltre 400 anni carcere. I giudici della Cassazione con la sentenza depositata oggi hanno confermato inoltre le statuizioni di colpevolezza per i reati fine dell’associazione finalizzata allo spaccio e di quella di stampo mafioso, questi ultimi costituiti da usure, estorsioni, esercizio abusivo del credito, detenzione di armi e trasferimento fraudolento di valori. Caduta, invece, l'aggravante di aver agito nel'interesse del clan per posizioni di secondo piano. Con la sentenza dello scorso gennaio la Suprema Corte ha anche accolto il ricorso della procura generale in merito all’aggravante dell’uso delle armi. ‘’Le risultanze processuali consentono, già in questa sede e senza ulteriori accertamenti di merito, di ritenere provato che il clan Casamonica sia una associazione mafiosa armata nel senso indicato dalla norma incriminatrice dell’articolo 416-bis, quarto e quinto comma del codice penale’’ conclude la Cassazione.