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Ucraina, la sveglia sulla guerra e il rapporto...
Ucraina, la sveglia sulla guerra e il rapporto Meloni-Macron: gli scenari di Darnis
Il professore francese spiega la relazione tra Francia e Italia attraverso quattro leader. E mette in guardia chi pensa di fidarsi di Putin: "Se l'Ucraina perde, rischia l’Europa"
Mai come ora la relazione tra Italia e Francia passa dai rapporti tra le figure politiche dei due Paesi: Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Se tra Meloni e Macron gli animi sono più sereni di un anno fa, non si può dire lo stesso tra la leader della destra francese e la presidente del Consiglio. Le Pen, nel suo video-messaggio al summit sovranista organizzato dalla Lega a Roma, ha chiesto a Meloni, in tono di sfida, se appoggerà un eventuale secondo mandato di Ursula von der Leyen. In Europa, i tre partiti della maggioranza italiana appartengono a tre gruppi diversi, e Salvini vuole creare una distanza con Fratelli d’Italia per provare a riconquistare parte dell’elettorato euro-scettico che nel 2019 lo aveva proiettato fino al 34% dei consensi.
Gli scenari di Darnis
Per un’analisi dei rapporti tra Italia e Francia, e per capire come mai Macron si è trasformato in un “falco” anti-Putin, parlando apertamente di truppe Nato in Ucraina, l’Adnkronos ha contattato Jean-Pierre Darnis, professore e direttore del Master in Relazioni franco-italiane dell’Université Côte d'Azur.
“Innanzitutto bisogna distinguere tra il rapporto Meloni-Macron in quanto capi di governo e quello in quanto leader di due partiti che a breve si sfideranno alle elezioni europee”, esordisce Darnis. “Sul primo fronte, sebbene il Trattato del Quirinale firmato durante il governo Draghi non sia pienamente attuato – in particolare nell’organizzazione dei summit intergovernativi – il rapporto tra i due Paesi è positivo e costruttivo. L’incontro tra i due a margine del Consiglio europeo è andato molto bene, e hanno trovato un terreno comune: sostegno all’Ucraina, non cedere davanti al ricatto russo, coordinamento su determinate politiche comunitarie”.
E come leader di due partiti politici di gruppi contrapposti? “Sia Macron che Meloni stanno facendo un gioco di sponda con il Ppe, per costruire un ruolo e un peso nella futura coalizione. Oggi la premier italiana esprime un’identità che ricorda i partiti post-gollisti e non ha nessun interesse a presentarsi come una candidata di rottura in Europa. Non le serve, con il tipo di consenso che ha. Ci possono essere tatticismi ma Macron non fa campagna contro Meloni e viceversa, diversamente da quanto accadde nel 2019, quando il presidente francese metteva in guardia contro Orban e Salvini e il leghista si scagliava contro ‘L’Europa dei Macron’”, spiega Darnis all’AdnKronos.
Ora i ruoli, e i pesi, si sono ribaltati. Cinque anni fa la Lega era il partito più votato d’Europa, stavolta è Madame Le Pen a viaggiare intorno al 30% dei consensi. “Se questi sondaggi saranno confermati, sarà lei, con il suo capolista Jordan Bardella, a guidare la partita dentro al gruppo Id, Identità e democrazia. Salvini potrebbe beneficiare dall’alleanza con colei che al momento è la favorita anche per le prossime presidenziali francesi. Ma si parla del 2027, dunque uno scenario più che futuribile, su cui è inutile ricamare adesso”, aggiunge il docente.
C’è qualcos’altro di francese, oltre alle relazioni frastagliate tra questi quattro leader, che ha fatto rumore in Italia: le frasi di Macron sulla possibilità di inviare soldati francesi a sostegno di Kiev. Lui che alla vigilia dell’invasione su larga scala dell’Ucraina aveva più volte cercato di ingaggiare Putin in una de-escalation, e anche dopo l’aggressione aveva chiesto agli alleati di “non umiliare” il presidente russo, cercando a tutti i costi una exit strategy. Un atteggiamento conciliante che aveva attirato l’ira dei Paesi dell’Est Europa.
Cosa è cambiato nel frattempo? “Quella di Macron è una discontinuità positiva”, rileva Jean-Pierre Darnis nel suo colloquio con l’Adnkronos. “Tra Russia e Francia c’è un legame storico e culturale centenario. Come molti francesi fino al 2022, Macron aveva una posizione dialogante con Mosca nonostante nel 2017, in occasione della sua prima elezione a presidente, fu vittima di campagne massicce di troll russi, a favore della sfidante Le Pen. Lui si scagliò duramente contro Putin ma poi nel 2019 lo invitò nel forte di Brégançon, residenza estiva dei presidenti francesi, dunque un contesto informale e amichevole, per cercare di tenere la Federazione Russa dentro l’architettura di sicurezza europea. Ci ha provato in tutti modi, in quegli anni e anche dopo l’invasione. Ma a un certo punto ha capito di non aver raggiunto nessun risultato: il regime russo è inaffidabile, non rispetta le regole della diplomazia e il valore del negoziato, anzi li considera una debolezza da usare contro i Paesi democratici. Credo che i francesi e Macron abbiano capito la lezione: l’unica lingua che Putin capisce è quella della determinazione e della forza. Questa analisi è ormai condivisa a livello internazionale, anche tra i generali e gli esperti di difesa italiani con cui ho parlato, persino tra chi non ama Macron (e sono molti). Non si tratta di essere guerrafondai, ma di avere una posizione di forza, e di mostrare di essere determinati a usarla, se necessario”.
Ma le frasi di Macron hanno scosso l’opinione pubblica italiana, che non è pronta all’ipotesi di un conflitto tra Nato e Federazione Russa. “Capisco che il pacifismo italiano, che ha radici sia politiche che religiose, possa credere che la vittoria di Putin e la distruzione dell’Ucraina non avrebbero conseguenze per l’Europa occidentale, e che una volta conquistata Kiev, Putin si metterebbe tranquillo, senza toccare i baltici o la Moldavia. Purtroppo si tratta di una favola, peraltro smentita dalla storia recente. Putin sta testando la nostra capacità di rispondere e di far rispettare il diritto internazionale. Se lo conteniamo ora, evitiamo una crisi ancora più grave sul piano militare, economico e sociale. Chi ha a cuore il benessere e la democrazia liberale che hanno garantito decenni di pace dopo secoli di guerre, non può che schierarsi al fianco dell’Ucraina”.
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G7, appello a ‘spegnere il fuoco’ Iran- Israele...
I ministri degli Esteri al summit: "Garantire a Kiev i sistemi Patriot e Samp/T"
La comunità internazionale tira un sospiro di sollievo. L'attacco attribuito a Israele sul territorio dell'Iran c'è stato, ma nei modi in cui molte cancellerie occidentali in qualche modo auspicavano. Un raid mirato, lontano da Teheran e dai sensibili impianti nucleari, che non avrebbe fatto vittime, ma che allo stesso tempo suona come un monito agli ayatollah. La notizia è stata accolta con moderato apprezzamento a Capri, teatro della ministeriale del G7 Esteri.
Israele ha seguito la richiesta di agire con "buonsenso", ha dichiarato il 'padrone di casa', Antonio Tajani, nella conferenza stampa finale in cui più volte ha ripetuto l'appello alla "de-escalation" tra le parti. Dalla riunione sull'isola campana è emersa anche una volontà politica chiara, dietro impulso del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, che ha partecipato a una sessione dedicata, di accelerare sulla difesa aerea dell'Ucraina.
Un G7, quello che si è concluso a Capri, che "si è svolto in giornate complicate dal punto di vista internazionale - ha riconosciuto Tajani tirando le somme della riunione - ma credo che questi tre giorni di lavoro siano stati un successo perché abbiamo registrato grande unità d'intenti e una convergenza su tutte le più importanti questioni internazionali". A partire dal Medio Oriente.
Israele
Il raid israeliano sulla provincia di Isfahan ha costretto a rivedere tutta l'agenda della sessione mattutina, dominando la scena. Sulla questione Israele-Iran "ho voluto subito che ci fosse un messaggio chiaro: l'obiettivo politico del G7 si chiama de-escalation", ha scandito il titolare della Farnesina davanti ai giornalisti, evidenziando il passaggio delle conclusioni del G7 che mette in guardia Teheran dal ripetere l'attacco contro lo Stato ebraico.
"Il governo iraniano verrà considerato responsabile delle sue azioni destabilizzanti", hanno rimarcato i ministri che si sono poi detti "pronti ad adottare ulteriori sanzioni o altre misure, ora e in risposta a diverse iniziative destabilizzanti" da parte della Repubblica islamica.
Il ministro, che è stato in contatto con le ambasciate italiane a Tel Aviv e Teheran e ha rassicurato sulle condizioni degli italiani in Iran, ha sottolineato che l'aver evitato una ritorsione su larga scala sia stato "frutto anche del lavoro e dell'impegno del G7 che è servito a migliorare il clima".
L'impegno dei ministri degli Esteri del Gruppo dei Sette Grandi è "spegnere il fuoco" nella regione, ha proseguito Tajani, evidenziando l'importanza di compiere progressi sulla guerra a Gaza, la crisi all'origine di tutto: cessate il fuoco immediato, rilascio degli ostaggi, aumento degli aiuti umanitari sono le priorità elencate dal ministro degli Esteri, che ha indicato nella soluzione a due Stati l'unica possibile a lungo termine. Soluzione ovviamente che non prevede la presenza di Hamas.
Tajani ha quindi reso noto che gli Stati Uniti sono stati informati "all'ultimo minuto" da Israele. Ed il segretario di Stato, Antony Blinken, a precisa domanda ha chiarito che gli Usa "non sono stati coinvolti in nessuna operazione" di Israele contro l'Iran, non confermando se e quando Washington è stata avvisata.
"Il nostro lavoro è per la de-escalation", ha aggiunto Blinken, riconoscendo il "ruolo cruciale" dell'Italia per evitare lo scoppio di un incendio in Medio Oriente. Ruolo che Tajani ha confermato. "Non tutti i Paesi del G7 hanno un'interlocuzione diplomatica con l'Iran, daremo messaggi chiari, come ho fatto con il ministro degli Esteri poche ore prima dell'attacco (contro Israele, ndr) che ribadiscono la nostra posizione politica, il nostro impegno a favore della de-escalation", ha detto.
Ucraina
La guerra in Ucraina è stato l'altro argomento che ha dominato i colloqui tra i ministri degli Esteri del G7. Davanti al pressing di Kuleba e del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, c'è stato un impegno preciso a fare il possibile per garantire a Kiev i sistemi di difesa aerea Patriot e Samp/T. "Ogni membro del G7 sta dando un contributo straordinario alla difesa ucraina", ha tenuto a precisare il segretario di Stato americano, che ha espresso "un particolare riconoscimento alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni per la sua decisiva leadership". E a proposito del pacchetto di aiuti bloccati da mesi al Congresso, ha evidenziato che "la cosa più importante è votare. So che faranno una differenza profonda, praticamente da subito, facendo in modo che l'Ucraina abbia quello che è necessario per difendersi dall'aggressione russa".
Tajani ha ribadito a Kuleba che la necessità di raggiungere "una pace giusta e duratura è la priorità della presidenza italiana del G7". I due, ha spiegato in conferenza stampa, hanno avuto un colloquio con il ministro della Difesa, Guido Crosetto. "Faremo tutto il possibile per aiutare l'Ucraina anche dal punto di vista della protezione aerea", ha affermato, riprendendo l'impegno messo nero su bianco anche nel documento finale del G7. Nel testo, i ministri hanno espresso la loro "determinazione in particolare a rafforzare le capacità di difesa aerea dell'Ucraina per salvare vite umane e proteggere le infrastrutture critiche. Lavoreremo anche con i partner a questo scopo".
"Stiamo intensificando la nostra assistenza in materia di difesa e sicurezza all'Ucraina e stiamo aumentando le nostre capacità di produzione e consegna per assistere il Paese. Sosteniamo inoltre gli sforzi volti ad aiutare l'Ucraina a costruire una forza futura capace di autodifesa e deterrenza contro ogni aggressione", hanno aggiunto. La questione degli aiuti militari sarà sul tavolo anche del Consiglio Affari Esteri e Difesa, il cosiddetto 'jumbo', che si riunirà lunedì a Lussemburgo.
Sport
Cagliari-Juve 2-2, rimonta bianconera e Allegri si salva
I sardi avanti con 2 rigori, la Juve recupera nel secondo tempo
Il Cagliari e la Juventus pareggiano 2-2 nel match giocato oggi per la 33esima giornata della Serie A. I bianconeri allenati da Allegri, sotto 2-0 nel primo tempo per 2 rigori, recuperano nel secondo tempo. La Juve sale a 64 punti al terzo posto. Il Cagliari di Ranieri sale a 32 punti e si tiene a distanza dalla zona retrocessione.
La partita
La serata della Juve si apre con un avvio da incubo. Il Cagliari domina dal primo minuto contro avversari che non sono in campo. Passano 100 secondi e i sardi si fanno vivi con la percussione di Luvumbo, che conclude alto. Al 6', nell'area rossoblu Alcaraz viene colpito alla testa da una gomitata di Mina, che salta in maniera scomposta: il centrocampista bianconero si rialza con un taglio e perde sangue, per l'arbitro Piccinini e per il Var non è successo niente.
Il Cagliari riprende a premere e all'8' va vicino al gol con Shomurodov, che su azione da corner non inquadra la porta. Al 27' serve un miracolo di Szczesny, che di piede nega il gol a Luvumbo. Al 29' la Juve crolla. Sul colpo di testa di Dossena, Bremer tocca di mano: Piccinini con l'ausilio del Var assegna il rigore, Gaetano dal dischetto non sbaglia e firma l'1-0.
La Juve è uno sparring partner che non lascia traccia e il Cagliari concede il bis al 35'. Szczesny stende Luvumbo, altro rigore: Mina trasforma, 2-0. Segnali di Juve prima dell'intervallo con un'azione che porta al gol di Vlahovic: tutto inutile per il fuorigioco di Chiesa.
Il secondo tempo propone un copione parzialmente diverso. Il Cagliari, dopo aver speso molto nella prima frazione, deve abbassare il ritmo e la Juve, che pure continua a mostrare un gioco 'rivedibile', pare intenzionata a partecipare alla partita. Al 61', dal nulla, il gol bianconero. Vlahovic pennella di sinistro una punizione da posizione più favorevole a un destro: 2-1. La Juve avrebbe mezz'ora per raddrizzare la serata, Allegri butta nella mischia anche Milik per aumentare il peso offensivo. I bianconeri premono in maniera confusa ma efficace. All'87' il cross di Yildiz innesca l'autogol di Dossena: 2-2.
Allegri: "Nel primo tempo non abbiamo capito il match"
"Nel primo tempo non abbiamo capito assolutamente la partita" e "abbiamo sbagliato molto tecnicamente", dice Allegri a Dazn dopo la sfida. "Tutta la squadra nel primo tempo non è stata all'altezza", aggiunge Allegri spiegando che nella prima parte della gara "abbiamo perso tutti i palloni che potevamo perdere, non abbiamo capito la partita. Dovevamo attaccare la profondità. Siamo stati più bravi nel secondo tempo".
Martedì la Juve torna in campo per il ritorno della semifinale di Coppa Italia: "Abbiamo la possibilità di andare in finale" di Coppa Italia dopo la vittoria dei bianconeri all'andata contro la Lazio per 2 a 0 a Torino e quindi "bisognerà fare una grande partita". "Avevamo uno scontro diretto con il Milan per il secondo posto. Cerchiamo di fare una partita diversa a Roma contro la Lazio".
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Ucraina, Zelensky pressa la Nato: “Decidete se siamo...
Stoltenberg: "Mi aspetto annunci sull'invio di Patriot e Samp-T"
Volodymyr Zelensky in pressing sulla Nato. Il presidente ucraino, nel momento più complicato della guerra con la Russia, ha presentato una lista di richieste perentorie all'Alleanza. Kiev, in particolare, ha bisogno di sistemi di difesa aerea per contrastare gli attacchi quotidiani di Mosca.
"Putin deve essere abbattuto e i nostri cieli devono tornare ad essere sicuri. E questo dipende unicamente dalla vostra scelta. La scelta se la vita ha lo stesso valore ovunque, se voi avete lo stesso atteggiamento con tutti i partner. La scelta se siamo veramente alleati", ha detto Zelensky durante la riunione dei ministri della Difesa dalla Nato.
La lista di richieste di Zelensky alla Nato
Zelensky ha articolato le proprie richieste in 5 punti. Primo: "Abbiamo bisogno di altri sette Patriot o sistemi di difesa aerea simili, come minimo, che possono salvare vite e veramente cambiare la situazione", ha detto, sottolineando che gli alleati Nato hanno questi sistemi.
Secondo punto: Zelensky ha ricordato che "stiamo parlando da un po' di circa un milione di munizioni di artiglieria, devono essere finalmente consegnate al fronte".
Terzo tema, Zelensky ha affrontato anche la questione delle armi a lungo raggio: "E' assurdo quando i partner hanno paura della loro forza, più armi a lungo raggio sono nelle mani dei nostri soldati, più vicina è la pace", ha affermato. Il riferimento è in particolare ai missili Taurus che la Germania non intende fornire a Kiev. Con le armi tedesche, in teoria, l'Ucraina sarebbe in grado di colpire in profondità il territorio russo. Per questo, Berlino continua a dire no, rifiutando anche la proposta ucraina che prevederebbe una supervisione tedesca - senza invio di truppe - sull'impiego dei missili.
Nel quarto punto, Zelensky ha ribadito le richieste anche sul fronte dell'aviazione: "La questione non è il numero dei caccia promessi, ma il numero effettivo nei cieli". Infine, quinto e ultimo punto, la questione cruciale della velocità delle forniture: "Quest'anno non possiamo aspettare che vengano prese le decisioni - ha concluso - vi chiedo di considerare al più presto possibile le nostre richieste, per le vostre decisioni su ogni elemento".
La promessa di Stoltenberg
A rassicurare almeno parzialmente Zelensky ha provveduto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg che si attende "nuovi annunci" da parte degli alleati sulla consegna all'Ucraina di sistemi di difesa aerea, non solo missili "Patriot", ma anche "Samp-T".
"Il presidente Volodymyr Zelensky - ha detto - ha informato i ministri della Difesa della situazione sul campo di battaglia e sull'acuta necessità di avere una maggiore difesa aerea. I ministri hanno concordato di aumentare i sostegni militari, inclusi sistemi di difesa aerea. La Nato ha mappato le capacità esistenti tra gli alleati e ci sono sistemi che possono essere resi disponibili a Kiev, quindi mi aspetto nuovi annunci sulle capacità di difesa aerea per l'Ucraina. Mi compiaccio degli sforzi della Germania di consegnare un altro sistema Patriot all'Ucraina".
"In aggiunta ai Patriot - ha sottolineato - ci sono altri sistemi che possono essere consegnati, inclusi i Samp-T. Molti alleati che non hanno sistemi disponibili hanno promesso di dare sostegno finanziario all'Ucraina, perché possa acquistarli. Stiamo anche lavorando con l'industria per aumentare la produzione e per riadattare sistemi, per renderli operativi e adatti allo scopo. La Repubblica Ceca ha confermato di essersi procurata 500mila munizioni da artiglieria attraverso la loro iniziativa sulle munizioni", conclude.