Salute e Benessere
Giornata mondiale del sonno, neurologo ‘disturbi per...
Giornata mondiale del sonno, neurologo ‘disturbi per 1 italiano su 5’
Notti sempre più tormentate per gli italiani. Ad affiggerli non sono solo preoccupazioni di vita quotidiana che si insinuano nella mente al calar del sole o semplici brutti sogni, ma disturbi del sonno in crescita. "Le indagini più recenti che sono state condotte hanno dimostrato che il sonno degli italiani è un po' in peggioramento rispetto agli anni passati", fa il punto all'Adnkronos Salute Luigi Ferini Strambi, primario del Centro di medicina del sonno dell'Irccs ospedale San Raffaele di Milano e professore ordinario di Neurologia alla Facoltà di Psicologia dell'università Vita-Salute San Raffaele, mentre si avvicina la Giornata mondiale del sonno (in programma venerdì 15 marzo).
"Questo - ragiona l'esperto - probabilmente è anche in parte legato al fatto che abbiamo una maggiore attenzione nei confronti del sonno e della ricerca della diagnosi di eventuali problemi. Tanto più si cercano eventuali disturbi, tanto più si riesce a fare diagnosi, e questo porta inevitabilmente a un accrescimento della prevalenza dei vari disturbi". In ogni caso il problema delle notti bianche accomuna una quota crescente di popolazione. I numeri sono imponenti. "Se parliamo di prevalenza di quello che è il disturbo più importante, l'insonnia, sicuramente possiamo dire che in Italia i veri insonni, cioè pazienti con questo specifico disturbo, sono una popolazione intorno ai 7-8 milioni di persone. Poi i dati non sono sempre concordanti - precisa Ferini Strambi - perché spesso nella fetta di soggetti considerati insonni si mettono dentro anche persone con altri disturbi, per esempio i cosiddetti privati di sonno o persone che hanno un disturbo del ritmo circadiano. Pensiamo ad esempio ai 'gufi', che prima delle 3 o 4 del mattino non si addormentano e poi però dormirebbero fino alle 11 o mezzogiorno, ma non possono e ricadono nella condizione dei privati di sonno".
Ma nell'Italia che non riposa ci sono anche altri sottogruppi. "C'è un 2% di popolazione generale che soffre della sindrome delle gambe senza riposo, altra problematica che purtroppo spesso non viene diagnosticata in maniera corretta - evidenzia il neurologo - E per quanto riguarda le apnee notturne, parliamo di circa il 5-6% della popolazione maschile e del 3% della popolazione femminile. Se mettiamo insieme tutti questi dati è impressionante quello che salta fuori: le persone che soffrono di un qualche problema o patologia del sonno nella Penisola si può dire che rappresentino circa il 20% della popolazione generale. Una quota davvero consistente di italiani".
"Ci sono sempre più dati che dimostrano quelle che sono le conseguenze di un sonno o di breve durata o di scarsa qualità. Conseguenze non solo a livello internistico, ma anche a livello neurologico - avverte Ferini Strambi - E parallelamente si stanno consolidando le evidenze di sull'importanza del sonno anche in senso preventivo. In altre parole, curare il sonno può aiutare a prevenire tante possibili malattie, dalle più basilari, come l'ipertensione arteriosa, a quelle più complesse come il decadimento cognitivo".
E la routine del riposo ha un suo peso. I dati, continua il neurologo, "hanno dimostrato anche che, al di là della durata e della qualità del sonno, sembra essere molto importante anche il mantenimento della buona ritmicità del sonno, del ritmo sonno-veglia. Molto spesso lo vediamo nei giovani, ma non solo: succede che durante la settimana abbiamo un certo tipo di comportamento nei confronti del sonno e questo atteggiamento va poi a modificarsi in maniera sostanziale durante il fine settimana. Ecco, si è visto che questo scollamento tra settimana e weekend non giova. Uno studio condotto su oltre 60mila persone che sono state studiate sul lungo periodo - riporta l'esperto - ha dimostrato che non è tanto la qualità o la quantità del sonno, ma una disorganizzazione dal punto di vista del ritmo sonno-veglia a creare una più facile tendenza a contrarre malattie o addirittura a incrementare il rischio di mortalità".
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Disturbi della memoria, scoperto come il cervello distingue...
Lavoro del team di ricerca del dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Torino
Una ricerca condotta da un team di ricerca del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino potrebbe fornire informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche per i disturbi della memoria. Formare ricordi di eventi simili costituisce una vera e propria sfida per il nostro cervello. "È essenziale che ogni evento venga memorizzato in maniera separata per preservarne la specificità. Tuttavia, è altrettanto importante riconoscere e ricordare gli aspetti comuni tra gli eventi. Se questo delicato processo viene compromesso, le persone rischiano di confondere un evento con un altro, perdendo così la chiarezza e la specificità dei propri ricordi". Lo ha rilevato un nuovo studio pubblicato su 'Cell Reports' che ha identificato un intricato processo cerebrale che consente di distinguere e memorizzare eventi simili in maniera separata, mantenendo al contempo le somiglianze tra di essi. La ricerca è stata condotta principalmente dalle ricercatrici Giulia Concina, Luisella Milano e Annamaria Renna coordinate dal professor Benedetto Sacchetti del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino.
I ricercatori hanno studiato l’attività cerebrale durante l'apprendimento di due eventi distinti ma con elementi in comune, scoprendo che nell'amigdala, una regione cerebrale chiave per la formazione dei ricordi, gruppi separati di neuroni si attivano per memorizzare separatamente eventi distinti. "Tuttavia, alcuni neuroni rispondono a entrambi gli eventi, aiutando a ricordarne le somiglianze. Il numero di questi neuroni comuni - sottolinea lo studio - è regolato da un particolare tipo di cellule chiamate neuroni inibitori. Bloccando queste cellule, i ricercatori hanno notato come il numero di neuroni comuni aumentasse notevolmente causando la confusione e sovrapposizione dei due eventi. Secondo i ricercatori, in conclusione, i neuroni inibitori contribuiscono quindi a mantenere distinti i ricordi di eventi simili".
La ricerca è stata condotta adottando un approccio multidisciplinare che ha integrato metodologie di analisi comportamentale, biologia molecolare, microscopia ad alta risoluzione e modulazione dell'attività cerebrale. In particolare, grazie all'utilizzo della tecnica innovativa della 'marcatura chemogenetica', i ricercatori hanno potuto visualizzare i neuroni coinvolti nella percezione sia degli aspetti distintivi di due eventi, sia delle loro caratteristiche comuni. Questa analisi ha permesso anche di individuare le cellule in grado di limitare il numero di neuroni condivisi, ovvero i neuroni inibitori. Infine, combinando le tecniche di marcatura chemogenetica e di inattivazione dell'attività neuronale, i ricercatori hanno selettivamente bloccato queste cellule, notando che ciò portava i soggetti a confondere gli eventi tra di loro.
"Questa ricerca - spiega Sacchetti - riveste un'importanza significativa poiché mette in luce l'esistenza di neuroni il cui ruolo è quello di mantenere separate le memorie di eventi distinti ma con aspetti in comune, consentendo così di conservare i ricordi di tali eventi in modo preciso e nitido. Considerando che una delle caratteristiche tipiche dei disturbi della memoria, come le demenze e il disturbo post-traumatico da stress, è la tendenza a confondere gli eventi passati, questa ricerca potrebbe fornire nuove informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche".
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Università, Gesualdo (Fism): “Nettamente contrari a...
"D'accordo con Ordine medici e Anaao. Serve programmazione razionale, le Scuole di Medicina non possono accogliere 70mila iscritti per mancanza di spazi e risorse"
"La decisione di eliminare il numero chiuso per l'iscrizione alla Facoltà di Medicina, Medicina veterinaria e Odontoiatria e protesi dentaria rappresenta una minaccia alla qualità della formazione medica e prelude un grave rischio di sovraffollamento del mercato del lavoro medico. Come l'Ordine dei medici e Anaao anche la Fism è nettamente contraria a stop al numero chiuso". Così all'Adnkronos Salute il presidente della Federazione italiana società medico-scientifiche (Fism) Loreto Gesualdo commenta l'adozione da parte della Commissione Istruzione del Senato del testo base che elimina il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina.
La Fism "ribadisce l'importanza di una programmazione razionale e basata sui reali bisogni del Servizio sanitario nazionale - spiega Gesualdo sottolineando "la necessità di una selezione accurata dei futuri medici già durante il percorso scolastico, al fine di garantire una formazione di qualità e una corretta distribuzione sul territorio". Inoltre, "occorre estendere la programmazione non solo al numero dei medici, ma anche a tutte le altre professioni sanitarie, come infermieri, fisioterapisti, dietisti e altre figure professionali - evidenzia il numero uno di Fism - essenziali per supportare i percorsi di intelligenza artificiale e l'evoluzione tecnologica nel settore della salute".
Gesualdo suggerisce di "potenziare i licei con inclinazione biomedica" per preparare "adeguatamente gli studenti interessati a intraprendere percorsi universitari" nel campo della salute. "Tuttavia - avverte - è importante ricordare che attualmente le scuole di medicina non sono in grado di accogliere un numero così elevato di studenti, con circa 70.000 iscrizioni previste, a causa della mancanza di spazi e risorse necessarie".
La programmazione delle professioni sanitarie "deve essere inclusiva e mirata a garantire un equilibrio tra domanda e offerta di competenze specialistiche, al fine di garantire un corretto sviluppo del settore e una gestione ottimale delle risorse umane nel campo della salute". La Fism "si impegna a promuovere una visione olistica della programmazione delle professioni sanitarie, che tenga conto delle nuove sfide e opportunità offerte dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale nel campo della salute" conclude.
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25 aprile, il pediatra: “Ecco come spiegarlo ai...
"Per ogni età c'è il giusto modo di raccontarlo, a seconda della fase evolutiva"
25 aprile data importante per gli italiani. E, come tutti gli anni, al centro in questi giorni di dibattiti, ricordi, commemorazioni. Ma come spiegarlo ai bambini che ci chiedono chiarimenti? "Per ogni età c'è il giusto modo di raccontarlo, a seconda della fase evolutiva", spiega all'Adnkronos Salute Italo Farnetani, docente di Pediatria dell'Università Ludes-United Campus of Malta.
"Ai bambini di meno di 10 anni, per esempio - suggerisce il medico - direi semplicemente che in questo giorno è finita la guerra che veniva combattuta in Italia. Bisogna tener conto del fatto che in questa fascia di età i bambini ragionano per operazioni concrete, su ciò che vedono e che gli va spiegato nella sua concretezza. Possiamo raccontargli, quindi, che nel nostro Paese c'era una guerra come quelle che vedono in televisione e il 25 aprile se ne festeggia la fine". Dagli 11 anni in poi, soprattutto a chi frequenta le scuole superiori, prosegue Farnetani, "si può parlare con i ragazzi dei contenuti ideali, politici, legati alla Festa della liberazione". Mentre "dai 14 anni in su, cioè quando l'adolescente entra nella fase delle 'operazioni formali', il discorso può ampliarsi ai concetti di pace, guerra, libertà, dittatura, diritti umani, cioè fare un discorso formativo. In questa fase dell'adolescenza, in cui predominano i concetti di bene e male, giustizia e ingiustizia - sottolinea il pediatra - si fa strada una visione utopica della realtà. Gli adulti, considerando questa particolare fase dello sviluppo del ragionamento degli adolescenti, possono aiutare i ragazzi a fare un'analisi oggettiva di ciò che è avvenuto il 25 aprile perché possa partire da una valutazione storica, etica e politica dei fatti per farsi, autonomamente, un'idea precisa dell'origine e delle motivazioni del significato simbolico della data. Successivamente potrà esaminare i decenni successivi della storia della politica italiana".
Un'informazione che tenga conto delle fasi evolutive, conclude Farnetani, è una modalità utile a fornire "all'adolescente strumenti per capire le problematiche alla radice. In caso contrario, si rischia di proporre concetti preconfezionati o di parte che non aiutano lo sviluppo della persona".