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Emergenza Haiti, Unicef: vita di 1 bimbo su 2 dipende da aiuti umanitari

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(Adnkronos) – Con l’aumento della violenza armata ad Haiti, si prevede che almeno 2,6 milioni di bambini avranno bisogno di assistenza salvavita immediata nel 2023. Lo comunica l’Unicef in occasione della prima missione sul campo di Garry Conille come direttore regionale Unicef per l’America Latina e i Caraibi. Negli ultimi 2 anni, il numero di bambini haitiani che hanno bisogno di aiuti umanitari è aumentato di mezzo milione mentre l’incremento della violenza armata e l’epidemia di colera, uniti a insicurezza alimentare e aumento dell’inflazione hanno ristretto l’accesso a servizi essenziali sanitari, nutrizionali, idrici, igienici e scolastici per milioni di bambini e le loro famiglie. 

 

La crisi attuale ad Haiti sta colpendo il diritto dei bambini alla protezione e all’istruzione. La maggior parte delle scuole ad Haiti sono state chiuse per 7 mesi lo scorso anno e hanno iniziato gradualmente a riaprire da ottobre 2022. La violenza ha un peso significativo sulle vite dei bambini soprattutto a Greater Port au Prince, dove si stima che 1,2 milioni di bambini sono a rischio a causa della violenza. L’epidemia di colera ha un peso significativo e sproporzionato sui bambini, i bambini sotto i 10 anni rappresentano 1 caso su 3 tra quelli confermati. A Cité Soleil, un quartiere della capitale Port au Prince, fino a 8.000 bambini sotto i 5 anni rischieranno di morire per malnutrizione acuta o colera e se non si interviene urgentemente per contenere queste minacce. 

 

L’accesso limitato ad acqua potabile sta ulteriormente acuendo l’epidemia di colera, con 6 fonti di acqua su 10 danneggiate che necessitano ancora di essere ripristinate. Durante la missione, Garry Conille ha preso parte alla distribuzione di materiali scolastici in una scuola nuovamente ricostruita dopo il terremoto del 2021 e ha interagito con studenti e insegnanti. Ha anche incontrato altri operatori umanitari per verificare i bisogni e identificare strade per migliorare la risposta. Insieme ai partner sul campo e al Governo di Haiti, l’Unicef ha ampliato la risposta umanitaria nonostante l’ambiente estremamente insicuro. I team dell’Unicef sul campo stanno concretamente tentando di entrare nelle aree controllate dalle gang e distribuire assistenza salvavita alle famiglie più vulnerabili. 

Lo scorso anno, si legge in un comunicato, l’Unicef ha supportato le autorità di Haiti nel fornire servizi di base ai bambini e alle loro famiglie, che comprendevano: servizi idrici, igienici, scolastici, sanitari, nutrizionali, di protezione dell’infanzia e sociale: oltre 646.000 persone hanno avuto accesso a una quantità di acqua sicura sufficiente per bere e per le esigenze domestiche; oltre 323.000 bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 5 anni sono stati sottoposti a visite per malnutrizione acuta e oltre 12.600 bambini con malnutrizione acuta grave sono stati ricoverati per essere curati. 

 

Quasi 480.000 bambini e donne hanno ricevuto servizi sanitari essenziali in strutture sostenute dall’Unicef; circa 170.000 bambini di età inferiore a un anno sono stati vaccinati contro il morbillo; più di 132.000 bambini hanno ricevuto materiale didattico; circa 68.000 donne, ragazze e ragazzi hanno avuto accesso a interventi di prevenzione e risposta ai rischi di violenza di genere; sono stati sostenuti 25 centri di educazione; più di 1.200 famiglie vulnerabili con bambini in età scolare hanno ricevuto trasferimenti di denaro. 

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Ucraina-Russia, la strategia Wagner aiuta Kiev: lo scenario

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(Adnkronos) –
La Wagner via dall’Ucraina? Yevgeny Prigozhin, il fondatore del gruppo mercenario, starebbe preparando un ridimensionamento delle operazioni del suo esercito privato nella guerra in Ucraina, accanto alla Russia, a causa della carenza di uomini e munizioni. Lo ha riferito l’agenzia Bloomberg, citando fonti a conoscenza della questione che hanno preferito mantenere l’anonimato. La Wagner è impegnata in particolare nell’area di Bakhmut, la città del Donbass diventata da settimane il fulcro del conflitto. 

Visto come una minaccia crescente dall’establishment politico russo, Prigozhin – il cui gruppo sarebbe stato escluso dal reclutamento nelle carceri e privato dei rifornimenti militari – starebbe pianificando di spostare nuovamente l’attenzione sull’Africa vista anche le difficoltà incontrate nel Donbass. Nonostante mesi di assalti e pesanti perdite, le truppe della Wagner ancora non sono riuscite a prendere Bakhmut, il loro principale obiettivo da settimane. Prigozhin recentemente ha chiesto più volte rifornimenti da Mosca: “Senza armi e munizioni verremo accerchiati”, ha detto, rivendicando contemporaneamente i successi ottenuti nell’offensiva su Bakhmut. 

Le fonti suggeriscono che i massimi comandanti russi siano riusciti a insinuare dubbi nel presidente Vladimir Putin sull’abilità militare della Wagner, che aveva ottenuto dal Cremlino il permesso di reclutare prigionieri con la promessa di un rilascio anticipato se fossero sopravvissuti a sei mesi sul campo di battaglia. Sebbene non vi sia alcuna indicazione che Prigozhin ridistribuirà le truppe in Africa, le fonti hanno indicato che le operazioni in quest’area riceveranno probabilmente maggiore attenzione in futuro.  

 

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Nordcorea, la figlia di Kim al lancio del missile con giacca di lusso

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(Adnkronos) – Cosa indossare al lancio di un missile balistico intercontinentale? Domanda assurda per la maggior parte dei teenager. Lo è meno se si rivolge a Kim Ju Ae, figlia e possibile erede del leader nordcoreano Kim Jong Un, ‘sorpresa’ con una giacca di Dior a uno degli ultimi test missilistici. La ragazzina, che si pensa abbia 10 o 11 anni, la scorsa settimana è stata fotografata dai media statali nordcoreani mentre assisteva con il padre al lancio dell’Hwasong-17, in grado di raggiungere gli Stati Uniti. Un avvertimento ai “nemici”, hanno commentato i media di Pyongyang a proposito del test. 

L’emittente sudcoreana Chosun, notando le cuciture, ha evidenziato come la giacca trapuntata nera indossata nella fredda Pyongyang da Kim Ju Ae sembrasse esattamente quella venduta in questo periodo dalla casa di moda francese. Non è possibile accertare se la giacca sia vera o un’imitazione, ma in entrambi i casi si tratterebbe di una scelta imbarazzante in una nazione poverissima che, secondo recenti rapporti, è sull’orlo della carestia. Sul sito del marchio francese, infatti, il capo è venduto a più di 2.500 euro. 

Anche la madre di Kim Ju Ae, la first lady Ri Sol Ju, è nota per la sua passione per la moda e il lusso. Diverse foto l’hanno immortalata con borse che sembrano esattamente quelle prodotte da marchi come Chanel e Dior. Un’immagine che contrasta con l’ideologia socialista della Corea del Nord e che, se fosse confermata l’autenticità dei capi, rappresenterebbe una violazione del regime di sanzioni delle Nazioni Unite. 

“Le persone tendono a pensare che la moda in Corea del Nord sia sciatta e antiquata, ma l’élite del Paese è aggiornata con le nuove tendenze in fatto di stile – ha affermato Jeong Eun-lee, ricercatore presso il Korea Institute for National Unification di Seul – Condividono foto di look alla moda tramite smartphone e fanno acquisti nelle boutique di Pyongyang”. 

Lo stile di vita della famiglia Kim è in netto contrasto con il peggioramento della sicurezza alimentare che colpisce la gente comune in Corea del Nord a causa dei disastri naturali e del prolungato blocco delle frontiere a causa della pandemia. Il programma agricolo ha ripetutamente fallito nel fornire cibo a sufficienza per i 26 milioni di abitanti. Recentemente sono emerse segnalazioni di morti per fame in alcune aree della Corea del Nord, secondo il ministero dell’Unificazione della Corea del Sud. 

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Ucraina, principe William a sorpresa in Polonia incontra militari Gb

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(Adnkronos) – Visita a sorpresa in Polonia del principe William, che si è recato nelle le basi militari di Rzeszow, vicino al confine con l’Ucraina, per “ringraziare personalmente le truppe britanniche e polacche che lavorano in stretta e cruciale collaborazione” per contrastate l’aggressione russa. Tenuta segreta per motivi di sicurezza fino a quando il principe del Galles non ha lasciato la base, la missione è stata la più vicina al terreno di guerra di un membro della famiglia reale britannica. 

Il principe William, come riporta Sky News, ha incontrato il ministro della Difesa polacco Mariusz Blaszczak e le truppe della Forza di difesa territoriale polacca per conoscere il sostegno che stanno fornendo e lodare la loro “passione” e “determinazione a difendere le nostre libertà condivise”. Il principe ha anche espresso apprezzamento per la risposta umanitaria della Polonia, dicendo che “avete aperto i vostri cuori tanto quanto le vostre case”. William ha poi incontrato i soldati britannici e ascoltato le loro esperienze. 

Atterrato a Varsavia, l’erede al trono britannico ha detto che ”è fantastico tornare in Polonia”, dove era stato in visita con la moglie nel 2017. E ha aggiunto che ”le nostre nazioni hanno forti legami. Attraverso la nostra cooperazione a sostegno del popolo ucraino e della sua libertà, che sono anche libertà nostre e vostre, questi legami vengono ulteriormente rafforzati”. 

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Rossi: “Una guerra russo-polacca forse non ci sarà, ma intanto Varsavia si prepara”

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(Adnkronos) – Davvero la Polonia si prepara a combattere direttamente, non solo tramite forniture di armi e volontari, le forze russe? Risponde, parlandone con l’Adnkronos, l’esperto di geopolitica David Rossi. Partendo dalle parole di sabato scorso dell’ambasciatore polacco a Parigi Jan Emeryk Rościszewski, secondo cui, se l’Ucraina non riuscisse più a difendere la sua indipendenza, Varsavia finirebbe per entrare nel conflitto, l’esperto di geopolitica si dice “non stupito” dalle affermazioni del diplomatico, successivamente confermate anche dal ministero degli Esteri, previa precisazione “che non vi è stato alcun annuncio di un coinvolgimento immediato della Polonia nel conflitto, ma solo un avvertimento delle conseguenze che una sconfitta dell’Ucraina potrebbe avere”…  

Precisazione dovuta, ammette Rossi, ma che in realtà non è che “una conferma piena dell’affermazione di Rościszewski. E la cosa neanche stupisce, dal momento che l’ex presidente ed ex premier russo Dmitry Medvedev pochi giorni prima aveva sottolineato l’importanza di allontanare il più possibile i confini dei paesi ostili dalla Russia, ‘fossero anche i confini della Polonia'”.  

“Per capire quello che sta succedendo occorre fare una premessa – spiega Rossi – La Polonia, con i Baltici, la Svezia, la Finlandia e il Regno Unito, è uno dei Paesi europei che si sono sentiti più minacciati dalla Russia nei 23 anni del regime di Vladimir Putin… e non senza motivo! Omicidi mirati di personaggi scomodi sul loro territorio, simulazione di attacchi nucleari durante esercitazioni militari, aperte minacce da parte di esponenti politici e commentatori russi, atti di sabotaggio all’economia e alla sicurezza del Paese, ‘addomesticazione’ di funzionari pubblici dei paesi limitrofi: in questi Stati il Cremlino ha dato dovizia di ragioni per non vedersi concedere alcuna fiducia né tolleranza. Per Varsavia, come per Tallinn e Stoccolma, l’appeasement è un lusso che si può permettere chi sa che alla peggio sarà l’ultima preda del coccodrillo e magari quando verrà il suo turno la belva sarà sazia”.  

“In un simile scenario – prosegue l’esperto – la leadership polacca ha inteso concedersi ben altri lussi. Intanto, nel 2023 spenderà il 4 per cento del suo Pil per la difesa: per capire di quale cifra enorme si tratta basti dire che è il doppio della spesa media degli altri Paesi della Nato e la più grande spesa pro capite per la difesa nell’Alleanza, ma anche che l’Italia nella migliore delle ipotesi arriverà al 2 per cento entro il 2028. Già prima della guerra in Ucraina, la Polonia, consapevole della minaccia russa, aveva iniziato a rinnovare le forze armate, fino ad allora farcite di obsolete attrezzature di epoca sovietica”.  

“Gli obiettivi a questo punto sono ambiziosi – sottolinea Rossi – Secondo il ministro della Difesa Mariusz Błaszczak, Varsavia intende avere il secondo esercito più forte della Nato, dotandolo di armi moderne, prodotte secondo gli standard della del Patto Atlantico, provenienti dagli Stati Uniti, dalla Corea del Sud e dall’industria bellica polacca. Questo per il fatto che – ha spiegato il ministro – la difesa della Polonia non può dipendere da altri Paesi: ‘La Nato può essere l’alleanza più forte della storia, ma nessuno si prenderà cura della sicurezza della nostra patria per noi…questa alleanza è stata costruita sul principio che ogni Paese membro si prende cura della propria sicurezza’. A questo scopo, per Varsavia è di fondamentale importanza creare un esercito che sia abbastanza forte da dissuadere qualsiasi potenziale aggressore dal decidere di attaccare”.  

“I numeri sono più impressionanti delle parole: mille carri armati sudcoreani K2 e duecentocinquanta tank di ultima generazione dagli Usa faranno di quella polacca la più grande forza di carri armati d’Europa. Per non dire dell’artiglieria: seicento obici semoventi da 155 mm K9, diciotto lanciatori Himars con novemila razzi e quasi trecento sistemi lanciarazzi multipli K239 Chunmoo dalla Corea del Sud – elenca Rossi – Aggiungiamo a tutto questo ben di Dio oltre mille veicoli da combattimento di fanteria Borsuk di fabbricazione polacca per il trasporto delle truppe e, per la copertura dei cieli, un centinaio di elicotteri Apache AH-64E made in USA e quasi cinquanta aerei da combattimento FA-50 coreani. Ma perché la Polonia si affretta a creare questa forza armata impressionante? L’esercito russo non sembra in grado di conquistare l’Ucraina, men che meno la Polonia: dal momento che ogni giorno tra Donbass e Mar Nero Mosca ‘spende’ un migliaio di vite degli uomini mobilitati a settembre e riesce a guadagnare pochi chilometri alla settimana quando va bene, i problemi sono altri”.  

Secondo l’esperto di geopolitica, “il fatto è che nessuno ha la più pallida idea di quanto durerà la guerra, anche perché pare ovvio che i russi permetteranno al Cremlino di ‘prelevare’ ancora una volta alcune centinaia di migliaia di riservisti, quando anche quelli del 2022 saranno stati ‘spesi’. Le forze armate sono, in molte regioni dell’immenso paese, l’unico ascensore sociale: il servizio militare permette di togliere dalle strade e dalle famiglie disoccupati, parassiti e bocche improduttive. Quindi, genera una piccola entrata, ma soprattutto riduce le spese familiari: per questo, sarà tollerato finché non porterà via – per la bulimia delle forze armate – molti giovani istruiti e lavoratori qualificati dalle grandi città dell’ovest con madri e mogli più protettive. Questo ‘prelevamento’ di riservisti avverrà a prescindere dal risultato della controffensiva ucraina prevista tra la primavera e l’estate: a meno di un esito catastrofico, Mosca consoliderà le nuove posizioni e preparerà un altro inverno di guerra di logoramento”.  

“La Polonia, che condivide un confine con la regione russa di Kaliningrad e con la Bielorussia ridotta a un protettorato di Mosca – conclude Rossi – non intende stare a guardare, anche perché una cosa sarebbe combattere contro le forze del Cremlino in Ucraina, un’altra sul proprio territorio. Dato che questa guerra ci ha abituato a rompere i tabù, non pare impossibile che nel 2024 o nel 2025 le forze polacche vengano schierate direttamente in territorio ucraino, per evitare che il logoramento di uomini e morale ucraini porti i russi a una vittoria anche molto parziale. Non era già successo durante la guerra civile spagnola che sovietici, nazifascisti e democrazie si combattessero direttamente, senza per questo provocare nell’immediato un conflitto internazionale? La stessa cosa è successa tra la Cina popolare e gli Stati uniti durante la guerra di Corea. Insomma, la Polonia vuol tenersi pronta anche a uno scenario che oggi appare estremo, come in fondo lo era quello di un’invasione russa dell’Ucraina prima del 24 febbraio di un anno fa”.  

(di Cristiano Camera) 

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Guerra Ucraina, Cina ha venduto droni a Russia: le prove del Nyt

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(Adnkronos) – La Cina, nell’anno successivo all’invasione dell’Ucraina e all’inizio della guerra, ha venduto droni e loro componenti alla Russia per più di 12 milioni di dollari. Lo rivela un’inchiesta del New York Times basata sull’analisi dei dati doganali ufficiali russi forniti da una società terza. 

Secondo il quotidiano, la Cina ha fornito alla Russia un mix di prodotti della Dji, società tecnologica cinese leader nella realizzazione di droni, e di una serie di aziende più piccole, spesso tramite piccoli intermediari ed esportatori. 

Le vendite ufficiali, secondo il Nyt, sono probabilmente solo una parte di un flusso più ampio di tecnologie attraverso canali non ufficiali che arriva in Russia attraverso nazioni ‘amiche’ come Kazakistan, Pakistan e Bielorussia. Il secondo marchio più venduto di droni, dopo Dji, è stato Autel, un produttore cinese con filiali negli Stati Uniti, in Germania e Italia. Sono stati venduti quasi 2 milioni di dollari di droni di questo marchio, con l’ultima spedizione risalente al mese scorso. 

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Esperta diritto Usa: “caso Ny debole, Trump rischia di più con altre inchieste’

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(Adnkronos) – Con l’eventuale incriminazione di Donald Trump a New York per il caso Stormy Daniels si entrerebbe “in terra incognita”. Così Pamela Harris, docente di diritto pubblico americano e diritto comparato alla John Cabot University di Roma, commenta con l’Adnkronos la “prima incriminazione di un ex presidente”, senza quindi precedenti o procedure note, che potrebbe arrivare “in futuro prossimo” dal procuratore di Manhattan, Alvin Bragg, per quello che, sulla carta, appare come “il più debole dal punto di vista giuridico” tra i casi giudiziari in cui continua ad essere coinvolto Trump mentre porta avanti la nuova campagna presidenziale.  

“Secondo me è molto difficile, se non impossibile, provare che Donald Trump abbia pagato Micheal Cohen con l’intenzione di commettere un reato”, spiega infatti Harris, riferendosi alla vicenda dei 130mila dollari pagati nel 2016 dall’avvocato alla porno star Stormy Daniels per comprare il suo silenzio sulla relazione avuta con il tycoon nel 2006. Quei soldi furono restituiti a Cohen da Trump e segnati sui registri contabili come spese legali, cosa che costituisce “una falsificazione di documenti che può portare all’incarcerazione” soltanto se legata all’intenzione di commettere un reato.  

Invece “sono rilevanti le altre possibilità di incriminazioni” che rischia l’ex presidente, e di nuovo candidato alla Casa Bianca, in particolare quella in Georgia con l’inchiesta “per le violazioni della legge elettorale”, per lui “molto più pesante” perché, ricorda Harris, c’e’ la registrazione della sua telefonata al funzionario responsabile delle elezioni in cui gli chiede di “trovargli oltre 11mila voti”.  

Poi ci sono le inchieste federali, i possibili sviluppi sul 6 gennaio, dopo che la commissione del Congresso ha raccomandato l’incriminazione di Trump per incitamento, e l’inchiesta sulle carte segrete che l’ex presidente ha trattenuto a Mar a Lago.  

Sembra invece che la prima incriminazione arriverà proprio dal caso, che appare più debole, di New York: “il fatto che il procuratore sia negli Usa una posizione elettiva, politica, può aiutare a capire perché il procuratore può andare avanti con un’incriminazione non così forte, molto rischiosa”, spiega ancora la docente della John Cabot, sottolineando che in ogni caso Bragg diventerà “il procuratore che ha incriminato il primo ex presidente della storia”.  

Riguardo poi a come potrà svolgersi la cosa, per Harris non c’e’ “nessun motivo per pensare che Trump si meriti un trattamento diverso” da qualsiasi incriminato che viene arrestato, sottoposto al prelievo delle impronte e le foto segnaletiche, prima del rilascio su cauzione Ovviamente aggiunge “ragioni sicurezza e riservatezza verranno assicurate, anche visto il modo in cui insiste nel fomentare manifestazioni e minacce di violenza”.  

Tutto questo, incriminazione ed arresto, non impedirà a Trump di “proseguire la sua campagna elettorale, anche se non si può prevedere se questo potrà essere di sostegno” alla sua candidatura, “mi sembra difficile che possa attrarre nuove sostenitori alla sua causa anche se nel breve periodo potrebbe generare ancora più rabbia”, continua Harris sottolineando che questo potrebbe essere vantaggioso per le primarie.  

Il discorso potrebbe essere diverso per le elezioni generali anche se “purtroppo la nostra soglia di offesa e sgomento è molto più alta” dopo il primo mandato di Trump. “E’ difficile immaginare che uno incriminato possa vincere nelle elezioni generali – conclude Harris – ha sempre un livello di approvazione piuttosto basso il 35% , è così polarizzante e ha alienato così tanti repubblicani: le incriminazioni da una parte eccitano la base, ma dall’altra parte vedere il candidato sotto processo non ispira fiducia”.  

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Kazakistan, ambasciatore a Roma: “Con governo Meloni relazioni si espandono”

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(Adnkronos) – “Il nostro Paese ha collaborato con successo con l’Italia sotto il governo di Mario Draghi e continua a espandere le relazioni sotto il governo di Giorgia Meloni”. Lo afferma l’ambasciatore kazako in Italia, Yerbolat Sembayev, in un’intervista all’Adnkronos nella quale sottolinea come l’Italia sia il primo partner commerciale del Kazakistan in Europa e il terzo nel mondo dopo Russia e Cina, con una quota di oltre l’11,1% del fatturato totale del commercio estero del Kazakistan nel 2022 (9,5% nel 2021).  

“L’anno scorso abbiamo festeggiato i 30 anni di relazioni diplomatiche. In questo periodo, le relazioni tra i nostri Paesi hanno raggiunto un livello molto alto, sia dal punto di vista politico che economico. I nostri Paesi collaborano con successo anche nell’ambito di strutture multilaterali”, prosegue Sembayev, rimarcando i settori di cooperazione tra Italia e Kazakistan, a partire dall’energia. 

“Oltre il 90% del fatturato commerciale tra i nostri Paesi è rappresentato dall’esportazione di petrolio kazako, e il nostro obiettivo principale per i prossimi anni è quello di diversificare l’export del Kazakistan verso l’Italia e promuovere lo sviluppo commerciale delle aziende italiane nei settori dell’agricoltura, dell’ingegneria, del turismo, dell’industria leggera e manifatturiera”, spiega il diplomatico, evidenziando che “oltre 250 aziende a partecipazione italiana operano con successo in Kazakistan e dal giugno 2022 la compagnia italiana Neos ha aperto collegamenti aerei permanenti tra Milano e Almaty”.  

L’ambasciatore commenta poi l’invio nei mesi scorsi in Germania del primo carico di 20mila tonnellate di petrolio kazako, con un secondo carico “previsto nel prossimo futuro”. Per quanto riguarda le alternative al petrolio russo verso l’Europa, “in futuro, a determinate condizioni tecniche, il Kazakistan potrebbe utilizzare il suo potenziale di idrocarburi per stabilizzare la situazione sui mercati mondiali ed europei. Il nostro Paese potrebbe diventare un ‘mercato cuscinetto’ tra Est e Ovest, Sud e Nord”, dichiara. 

Sembayev parla poi della guerra in Ucraina, nel giorno in cui al Cremlino si tengono colloqui ufficiali tra il presidente russo, Vladimir Putin, ed il leader cinese, Xi Jinping. “Il Kazakistan è uno Stato amante della pace, che ha volontariamente rinunciato a suo tempo al proprio arsenale nucleare e che persegue con decisione la risoluzione pacifica delle questioni controverse nelle relazioni internazionali – precisa – Il nostro Paese è favorevole a una risoluzione quanto più rapida possibile del conflitto russo-ucraino attraverso i negoziati e la diplomazia”. 

“La Russia e l’Ucraina sono paesi storicamente amici del Kazakistan. Il nostro presidente Kassym-Jomart Tokayev è in costante contatto con i capi di entrambi gli Stati, esortandoli a sedersi al tavolo dei negoziati e a trovare un modo pacifico e diplomatico per risolvere la controversia”, aggiunge. 

L’intervista è anche l’occasione per fare il punto sul processo di democratizzazione del Kazakistan, dove il 19 marzo si sono tenute le elezioni per il rinnovo del Majilis, la Camera bassa del Parlamento, e dei Maslikhat, terzo appuntamento elettorale dopo il referendum costituzionale di giugno e le presidenziali di novembre. 

Le elezioni di domenica scorsa sono state vinte dal partito Amanat (53,90% dei voti), mentre sono riusciti a superare la soglia del 5% per entrare in Parlamento il Partito patriottico democratico popolare Auyl (10,9%), Respublica (8,6%), Ak Zhol (8,4%), il Partito popolare del Kazakistan (6,8%) e il Partito nazionale socialdemocratico (5,2%). 

“Oggi il Kazakistan sta attraversando una fase di riforme politiche ed economiche senza precedenti. Il programma di riforme politiche proposto da Tokayev apre una nuova fase di sviluppo e pone le basi per la creazione di un ‘Kazakistan nuovo e giusto’. Queste riforme mirano alla modernizzazione e alla coerente democratizzazione del nostro Paese”, dice l’ambasciatore. 

“Il popolo kazako percepisce positivamente le trasformazioni in atto nel Paese”, prosegue Sembayev, ricordando come lo scorso 5 giugno, in occasione del referendum nazionale, siano passati a larga maggioranza (oltre il 77% di sì) i progetti di modifica della Costituzione. “Ciò indica che la stragrande maggioranza della popolazione kazaka sostiene l’attuale corso delle riforme”. 

Dal discorso alla nazione in cui Tokayev propose “un programma di riforme politiche radicali”, pronunciato nel marzo 2022 sulla scia dei tumulti popolari sedati anche con l’intervento dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva a guida russa, “sono state create le condizioni per una reale competizione tra i partiti – conclude l’ambasciatore – Tutte queste trasformazioni testimoniano che il Kazakistan è entrato in una nuova era del suo sviluppo. Oggi non sono molti i Paesi al mondo che stanno intraprendendo una trasformazione così massiccia”. 

 

 

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Russia-Usa, ancora tensione nei cieli

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(Adnkronos) – Ancora tensioni nei cieli tra Russia e Stati Uniti. Mosca ha reso noto di aver inviato un cacciabombardiere Su-35 nella regione del Mar Baltico in seguito al rilevamento di due bombardieri strategici americani B-52H in grado di trasportare bombe nucleari. I sistemi russi hanno individuato i due velivoli che volavano in direzione del confine con la Federazione russa, ha riferito l’agenzia di stampa russa Interfax. 

“I bersagli sono stati identificati come bombardieri strategici B-52H dell’aeronautica statunitense – ha dichiarato il Centro di controllo della difesa nazionale russa – Un caccia Su-35 delle Forze di difesa aerea del distretto militare occidentale è decollato per identificare e prevenire le violazioni del confine della Federazione russa. Dopo il ritiro degli aerei militari stranieri dal confine, il caccia è tornato alla sua base. La missione del caccia russo è stata condotta nel rigoroso rispetto delle regole internazionali sull’uso dello spazio aereo. La violazione del confine non è consentita”. 

Nei giorni scorsi un drone americano in volo sul Mar Nero, dopo essere stato intercettato da due jet russi, era precipitato dando il via a uno scambio di accuse tra Washington e Mosca, con il primo contatto diretto tra le due superpotenze dopo il primo anno di guerra in Ucraina. Il drone MQ-9 americano sarebbe precipitato dopo la collisione con un jet Su-27 russo, secondo la versione a stelle e strisce. Ma la Russia ha negato ogni responsabilità e parla di incidente: il drone è caduto da solo dopo una manovra errata. 

Gli Stati Uniti ricostruiscono l’episodio, durato 30-40 minuti, con le informazioni diffuse da Casa Bianca e Pentagono. Il drone, secondo il generale James Hecker, “stava conducendo operazioni di routine nello spazio aereo internazionale quando è stato intercettato e colpito da un aereo russo”, appunto un Su-27 che ha “provocato un incidente e la completa perdita dell’MQ-9”. Gli Usa hanno deciso di abbattere il drone in acque internazionali. 

Il jet, dice il portavoce del Pentagono Pat Ryder, ”probabilmente è stato danneggiato”. ”A causa dei danni, abbiamo dovuto farlo precipitare nel Mar Nero”, aggiunge il portavoce del Pentagono, spiegando che il drone non riusciva più a volare. Il drone MQ-9 Reaper, aggiunge, stava conducendo “operazioni di routine nello spazio aereo internazionale”. 

Il generale Hecker ricostruisce le tappe dello scontro: “Alle 7.03 del mattino, uno dei” due “jet russi Su-27” presenti nell’area “ha colpito l’elica dell’MQ-9, costringendo le forze degli Stati Uniti ad abbattere l’MQ-9 in acque internazionali. Diverse volte, prima della collisione, i Su-27 hanno rilasciato carburante volando davanti all’MQ-9 in modo imprudente, non consono e non professionale. Questo incidente dimostra una carenza di competenza oltre a” un comportamento “pericoloso e non professionale”, le parole di Hecker. 

La Casa Bianca si esprime attraverso John Kirby, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale: “Se il messaggio è che” i russi “vogliono dissuaderci dal volare e operare nello spazio aereo internazionale, sopra il Mar Nero, allora quel messaggio fallirà, perché ciò non accadrà”. Perché “continueremo a volare e a operare nello spazio aereo internazionale su acque internazionali”. Kirby, quindi, aggiunge che “il Mar Nero non appartiene ad alcuna nazione. E continueremo a fare ciò che dobbiamo fare per i nostri interessi di sicurezza nazionale in quella parte del mondo”. Gli Usa valutano se diffondere almeno in parte le immagini dell’episodio. Intanto, lavorano per recuperare i resti del velivolo ed evitare che la tecnologia a stelle e strisce, con eventuali dati raccolti, finisca nelle mani sbagliate. “Senza scendere nei dettagli, posso dire che abbiamo intrapreso i passi” necessari, dice Kirby. “E’ una proprietà degli Usa, non vogliamo che qualcun altro ci metta le mani sopra”. 

A Washington, viene convocato l’ambasciatore Anatoly Antonov, chiamato a fornire spiegazioni dopo la prima risposta del ministero della Difesa da Mosca: il drone americano MQ-9 Reaper precipitato nel Mar Nero ”stava violando le norme di utilizzo dello spazio aereo” e per questo ”i caccia russi si sono alzati in volo”. Ma ”non c’è stato alcun contatto tra il drone americano e i caccia russi” che ”non hanno utilizzato armi”. 

”Il drone americano, in seguito a una brusca manovra, ha perso il controllo in volo, ha avuto una perdita di quota ed è precipitato in acqua”, sostiene il ministero. ”Il drone stava volando in direzione del confine della Federazione russa”, aggiunge la nota, affermando che il velivolo aveva ”i transponder spenti”. Il ministero afferma inoltre che ”dopo essere stato rilevato il drone, i caccia delle forze armate russe in servizio si sono alzati in volo”. 

“La Russia non sta cercando lo scontro con gli Stati Uniti’, dice Antonov. “La Federazione russa considera una provocazione l’incidente con il drone americano nei cieli sopra il Mar Nero”, afferma. “La questione delle ‘conseguenze” per Mosca dopo l’incidente del drone non è stata sollevata”, spiega il diplomatico, sottolineando la necessità che gli Stati Uniti e la Russia agiscano “con molta attenzione” dopo gli ultimi eventi. 

 

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Xi da Putin e la crisi ucraina, Sisci: “La Cina teme Russia a pezzi”

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(Adnkronos) – Una visita “forse per salvare la Russia da un’umiliazione totale e cocente” perché “quello che la Cina teme di più è che la Russia vada a pezzi oppure che arrivi un governo filoccidentale”. Il sinologo Francesco Sisci ragiona con l’Adnkronos sulla visita di Xi Jinping a Mosca da Vladimir Putin, quel presidente russo con cui il leader cinese aveva consolidato un’intesa “senza limiti” poco prima dell’inizio della guerra in Ucraina, più di un anno fa. Xi è atterrato a Mosca dopo la visita saltata di Antony Blinken in Cina, dopo il mandato di arresto della Corte penale internazionale contro Putin e il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran con la mediazione cinese, per quello che i media cinesi descrivono come un “viaggio di pace” che dovrebbe essere per il leader cinese l’occasione per “un ruolo costruttivo nel promuovere colloqui di pace” che pongano fine al conflitto in Ucraina. “E’ possibile che Xi vada adesso in Russia perché è fallita l’offensiva russa e ancora non è iniziata quella ucraina – dice Sisci pensando ai prossimi mesi – Sappiamo che l’offensiva russa è fallita, che non hanno fatto alcun progresso, mentre l’offensiva ucraina potrebbe sfondare. E allora se gli ucraini per la seconda volta riconquistassero parti di territorio che avevano preso i russi, naturalmente la posizione russa diventerebbe molto, molto difficile, imbarazzante”.  

Quindi, prosegue, “è possibile che i cinesi abbiano scelto questo momento per trovare una soluzione che salvi la Russia da un’umiliazione cocente”. “Il problema – evidenzia Sisci – è che la Russia comunque è sconfitta, ma se la Cina attraverso questa mediazione riesce a salvare un pezzo di Russia è un risultato molto importante per la Repubblica Popolare perché quello che la Cina teme di più è che la Russia vada a pezzi oppure che arrivi un governo filoccidentale”. E, continua il sinologo, “questa mediazione cerca di prevenire in qualche misura i due scenari” e anche di “sganciare” il gigante asiatico da “eventuali errori russi” in modo da poter in ogni caso rivendicare di aver “lavorato per la pace”. Pechino, afferma ancora, “interviene oggi e non un anno fa” perché “si rende conto che la Russia non può vincere” e “cerca di evitare pur nella sconfitta un’umiliazione”, un’impresa “non facile perché la Russia è molto divisa e lo stesso è per l’Ucraina”. E la questione delle armi? Secondo Sisci, la Cina “non è interessata a farsi coinvolgere troppo” nel conflitto e la priorità del gigante asiatico “sembra essere oggi quella di fermare la guerra prima che travolga la Russia”. 

Senza dimenticare, avverte il sinologo, che “come la prima Guerra Fredda è cominciata davvero con la Guerra di Corea così la seconda guerra fredda è cominciata davvero con la guerra in Ucraina”. “Allora i rapporti tra Cina e Russia erano cruciali e lo sono anche oggi – osserva – però, memore credo di quell’esperienza passata, la Cina non vuole trovarsi a gestire una situazione impossibile come fu la Corea” e “cerca di evitare la trappola della Guerra di Corea”. 

I cinesi, prosegue, “vogliono presentarsi come mediatore”, ma proporsi come “mediatore neutrale è difficile perché la propaganda nella Repubblica Popolare è filorussa e anti-americana” e inoltre “Xi va a Mosca ma non a Kiev”, quindi “è chiaro” che si tratta di una “posizione spostata”. Sarebbe comunque, rimarca, un “fatto positivo se si riuscisse a trovare un modo per fermare la guerra ed evitare questo inutile massacro” e se accadesse ci sarebbe “il problema del dopo, perché si apre la questione russa” poiché “la guerra ha tenuto sotto un tappo tutte le tensioni interne”. 

Intanto continuano a rincorrersi le voci su una possibile telefonata tra Xi e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dopo i colloqui a Mosca e, rileva Sisci, sarebbe “importante anche perché Zelensky ha dato credito al piano cinese” a differenza di “tanti altri in Occidente che si sono dimostrati scettici”. Così, secondo il sinologo, un colloquio telefonico con Zelensky potrebbe essere “forse più importante dell’incontro con Putin perché vorrebbe dire che effettivamente la Cina cerca di riposizionarsi e questo riposizionamento potrebbe essere cruciale”. 

Per molti la visita di Xi in Russia è una chiara dimostrazione di sostegno a un leader del Cremlino sempre più isolato. Ma, conclude Sisci, “se Xi riuscisse a portare a casa qualunque cosa, sarebbe un buon risultato”, anche dopo “quello tra Iran e Arabia Saudita”, e si potrebbe “pensare a un incontro, a un vertice con Blinken più sostanzioso, più solido”. 

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Esteri

“Castrare i gay”, la richiesta delle donne al governo in Tanzania

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(Adnkronos) – Castrare gi omosessuali, ”se ritenuti colpevoli” di ”sesso con lo stesso sesso”. E’ la richiesta shock delle donne al governo in Tanzania e in particolare di Mary Chatanda, a capo dell’ala femminile del partito Chama Cha Mapinduzi (Ccm). Durante le celebrazioni per i due anni in carica di Samia Suluhu Hassan, la prima donna presidente della Tanzania, Chatanda ha ”chiesto al governo di imporre sanzioni severe per i reati legati alle attività sessuali tra persone dello stesso sesso. Tali persone dovrebbero essere castrate se ritenute colpevoli”. 

Chatanda è considerata una conservatrice intransigente, ma non è il primo esponente politico del suo partito ad alimentare la retorica omofoba. Anche l’ex presidente della Tanzania John Magufuli aveva sostenuto una linea dura anti-gay e un funzionario regionale di Dar es Salaam aveva istituito una task force per rintracciare i gay provocando scalpore in tutto il mondo. 

Le relazioni omosessuali sono vietate in Tanzania e sono previste lunghe pene detentive per chi le pratica. Ma la Tanzania non fa eccezione. Il parlamento ugandese sta attualmente discutendo la reintroduzione della legge che vieta le relazioni omosessuali. In Kenya, il presidente William Ruto ha recentemente criticato una sentenza della Corte Suprema ritenuta favorevole alla comunità gay affermando che l’omosessualità rimane inaccettabile in Kenya. 

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