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Mali, liberati i tre italiani sequestrati nel 2022. Oggi...

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Mali, liberati i tre italiani sequestrati nel 2022. Oggi pomeriggio saranno a Roma

Ad accogliere la famiglia Langone all'aeroporto il ministro Tajani

Mali, atterrato a Ciampino volo con a bordo italiani liberati

È atterrato all'aeroporto di Ciampino il volo riservato con a bordo i tre italiani rapiti a sud est di Bamako, la capitale del Mali, il 19 maggio 2022. Rocco Langone, la moglie Maria Donata Caivano e il figlio Giovanni Langone sono stati liberati questa notte. Ad accoglierli all'aeroporto il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

“Tutto è bene quel che finisce bene. Dopo quasi due anni di prigionia sono rientrati i tre italiani che erano stati sequestrati dai jihadisti”, ha detto Tajani. “Ora sono in buona salute - ha continuato il titolare della Farnesina - hanno incontrato i familiari, l’altro figlio, il fratello della signora. Voglio ringraziare l’unità di crisi del ministero degli Esteri, l’Aise, la nostra intelligence, per tutto il lavoro che è stato fatto per portare a casa questi tre cittadini italiani. È stato fatto tutto in silenzio. Senza parlare, con una grandissima collaborazione da parte della famiglia che si è dimostrata seria, non ha mai detto una parola. Hanno sempre collaborato con grande silenzio, grande serietà e disponibilità. Quando si fa così si ottengono i risultati. Sono molto contento, sono belle notizie che rendono la nostra vita più serena”.

Vorrei ringraziare con tutto il cuore il governo italiano, l’unità di crisi, per quanto mi sono stati vicino, veramente - ha detto Daniele Langone, figlio della coppia - Posso dire che non ho dubitato un giorno che me li avrebbero riportati a casa sani e salvi”. “Sono l’ultimo che li aveva sentiti, un’ora prima del sequestro - ha ricordato - Oggi rivederli è stata un'emozione immensa, non auguro a nessuno di passare quello che ho passato e ringrazio ancora tanto per quello che è stato fatto per me e per i miei familiari. L’unità di crisi mi ha fatto capire sempre che stavano giorno e notte lavorando per riportarli a casa - ha aggiunto - Per ora staremo a Roma, poi si vedrà”.

Il sequestro e la liberazione

I componenti della famiglia Langone erano stati sequestrati nella loro abitazione alla periferia della città di Koutiala, dove vivevano da diversi anni. È un’area particolarmente permeata dalla presenza di miliziani jihadisti; il rapimento era avvenuto da parte di una fazione jihadista riconducibile al JNIM, Gruppo di supporto per l'Islam e i musulmani, allineata con al-Qa'ida, attiva in larga parte dell'Africa Occidentale. La famiglia Langone viveva a Koutiala da diversi anni, all'interno di una comunità di Testimoni di Geova, del tutto integrati.

"Il rilascio della famiglia - ha sottolineato Palazzo Chigi in una nota - è stato reso possibile grazie all’intensa attività avviata dall’Aise, di concerto con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, fin dall’immediatezza del sequestro, e in particolare grazie ai contatti dell'Agenzia con personalità tribali e con i servizi di intelligence locali. Nonostante la lunga prigionia, i componenti della famiglia Langone godono di buone condizioni di salute".

"Voglio esprimere le mie più sentite felicitazioni per la liberazione dei nostri tre connazionali sequestrati nel 2022 in Mali: Rocco Langone, la moglie Maria Donata Caivano e il figlio Giovanni - ha detto la premier Giorgia Meloni - E ringraziare per lo straordinario lavoro l’Aise che, di concerto con il Ministero degli Esteri, ha consentito questo non facile risultato".

Chi sono gli italiani liberati

Vivevano tutti e tre da tempo in Mali, Rocco Langone, la moglie Maria Donata Caivano e il figlio Giovanni. I coniugi Langone si erano recati in Mali cinque anni prima del sequestro per andare a trovare il figlio, residente da anni nel Paese. Avevano poi deciso di restare, come scelta di vita, integrandosi all'interno di una comunità esistente di Testimoni di Geova. Fonti informate riferirono allora che non erano registrati all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (Aire). All'epoca del rapimento, il padre aveva 64 anni, la moglie 62 e il figlio 42.

I Langone vivevano a Sicnina, un villaggio alla periferia della città di Koutiala, nella regione di Sikasso, 270 km a sud est di Bamako, capitale del Mali. L'area, al confine con il Burkina Faso, registra un'alta presenza di jihadisti. I tre sarebbero stato prelevati dalla loro abitazione da un commando di quattro uomini arrivati a bordo di una Toyota. Originari di Ruoti, in provincia di Potenza, i Langone erano emigrati in Lombardia. L'altro figlio della coppia vive in provincia di Lecco.

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Esteri

Attentato Mosca, Russia: “Kiev ha finanziato i...

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In un messaggio audio il portavoce dello Stato Islamico loda l'attacco alla sala concerti della Crocus City Hall

Attentato alla Crocus Hall

Lo Stato Islamico loda l'attacco terroristico contro il Crocus a Mosca. In un messaggio audio, postato sull'account Telegram dell'Is, il portavoce, Abu Hudhayfah Al-Ansar, esorta i sostenitori a prendere di mira "i crociati ovunque nel mondo".

Nel messaggio il portavoce invita i soldati del Califfato a puntare a degli obiettivi negli Stati Uniti, in Europa e in Israele. Oltre all'attacco a Mosca della scorsa settimana, tesse le lodi di quello compiuto a Kerman, in Iran, il 3 gennaio, nell'anniversario della morte del comandante Qassem Soleimani, davanti alla tomba del generale. Il messaggio arriva nel decimo anniversario secondo il calendario lunare della proclamazione del Califfato a Mosul.

Le accuse della Russia all'Ucraina: "Li avete finanziati"

Sarebbero emerse, intanto, prove di un collegamento tra gli autori dell'attacco terroristico della sala concerti Crocus e Kiev, come si legge sul canale Telegram del comitato investigativo. La Russia continua ad accusare l'Ucraina per il coinvolgimento nell'attentato della scorsa settimana a Mosca.

"I primi risultati dell'indagine confermano pienamente la natura pianificata delle azioni dei terroristi, l'attenta preparazione e il sostegno finanziario da parte degli organizzatori del crimine - si legge su Telegram -. Come risultato della collaborazione con i terroristi detenuti, dello studio dei dispositivi tecnici loro sequestrati e dell'analisi delle informazioni sulle transazioni finanziarie, è stata ottenuta la prova del loro legame con i nazionalisti ucraini".

In particolare, il comitato investigativo russo che sta indagando sulla strage al Crocus City Hall ha confermato i dati secondo cui gli autori dell'attacco terroristico hanno ricevuto ingenti somme di denaro e criptovalute dall'Ucraina. Gli investigatori hanno identificato e arrestato un altro sospettato coinvolto in un piano di finanziamento del terrorismo.

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Ancona, curò otite con l’omeopatia ma il bimbo morì:...

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Confermato il nesso di causalità. Il medico non aveva seguito i protocolli che impongono dopo tre giorni di prescrivere l'antibiotico

Aula di tribunale - Fotogramma

La corte di appello penale di Ancona ha riconosciuto la responsabilità penale del dottor Massimiliano Mecozzi, medico omeopata accusato di aver causato la morte del piccolo Francesco Bonifazi.

La storia

La vicenda risale al maggio 2017 quando il bimbo di 7 anni veniva curato dal medico di Pesaro per un’otite con trattamenti omeopatici. La malattia si trascinò però per oltre 20 giorni, aggravandosi sino a provocarne la morte per l’ascesso encefalico. Durante l’evoluzione della malattia, secondo la ricostruzione della Procura, il dottore avrebbe consigliato alla famiglia della vittima di trattare il figlio con prodotti omeopatici, dissuadendoli dall’utilizzare antibiotici e di ricorrere alle cure ospedaliere, alle quali i genitori si rivolsero una volta visto l’aggravarsi delle condizioni del piccolo Francesco.

La condanna in primo grado

Il Tribunale di Ancona ha condannato il medico per grave negligenza, consistita nel non aver seguito i protocolli medici dettati dal Ministero della Salute che impongono, di fronte a un’otite in un minore, una vigile attesa nei primi 3 giorni durante i quali è possibile prescrivere anche trattamenti omeopatici, ma una volta aggravata la condizione clinica del malato obbligano il medico a prescrivere un adeguato trattamento antibiotico.

Il nesso di causalità

Mecozzi aveva impugnato la sentenza, ritenendo che l’istruttoria dibattimentale del giudizio di primo grado non avesse provato il nesso di causalità tra la morte del bimbo e l’otite. Decisivo l'intervento dell’Unione Nazionale Consumatori, patrocinata dall’Avvocato Corrado Canafoglia, coadiuvato dai professori Enrico Bucci e Matteo Bassetti, che ha prodotto una documentazione dalla quale è emerso che il caso del piccolo Francesco non era isolato, ma anzi solo l'ultimo di precedenti analoghi dove i pazienti si allontanavano e/o rifiutavano la medicina tradizionale per seguire le indicazioni di medici omeopati e da tale scelta derivava la morte dei pazienti.

La sentenza d'Appello

La Corte di appello di Ancona, oggi presieduta da Antonella Di Carlo, ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale, rigettando l’appello e accogliendo la tesi della Procura della Repubblica sulla responsabilità medica del dottor Mecozzi, sostenuta dai familiari del piccolo e dall’Unione Nazionale Consumatori che nel processo ha supportato tecnicamente la tesi accusatoria. "La pronuncia di oggi è la conferma che di fronte a malattie bisogna ricorrere alla medicina tradizionale per evitare l’aggravarsi delle stesse sino alla morte. L’Unione Nazionale Consumatori da anni svolge un’intensa attività volta a contrastare pratiche che interferiscono con la salute e si allontanano dai protocolli medici dettati dal Ministero della Salute", commenta l’avvocato Corrado Canafoglia, legale dell’Unione Nazionale Consumatori.

"Questa sentenza è un tassello importante nell’accertamento della verità di un fatto estremamente grave che ha colpito una famiglia intera" conclude l’avvocato Federica Mancinelli, legale del nonno del piccolo Francesco, Maurizio Bonifazi, il quale alla lettura della sentenza, commosso, ha detto: "Oggi potrò andare a trovare mio nipote al cimitero con la serenità nel cuore che la giustizia sta facendo il suo corso".

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Torino, sparò e uccise ladro: tabaccaio a processo per...

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La difesa: "Sorpresi dal cambio d'imputazione, ha agito per legittima difesa"

Aula di tribunale (Fotogramma)

Sarà processato con rito abbreviato con l’accusa di omicidio volontario il tabaccaio di Pavone Canavese, nel torinese, che nel giugno 2019 sparò e uccise un ladro sorpreso mentre con alcuni complici stava tentando di rubare nel suo negozio sotto alla sua abitazione. Il processo avrà inizio il prossimo 10 maggio in tribunale a Ivrea. Nelle fase iniziali dell’inchiesta il tabaccaio era stato accusato di eccesso di legittima difesa.

"Mi ha sorpreso la modifica del capo d'imputazione - spiega all’Adnkronos uno dei suoi legali, Mauro Ronco - perché sono convinto che il mio assistito abbia agito non in un eccesso di legittima difesa ma in piena legittima difesa soprattutto se si considera la valenza della norma dell’articolo 55 del codice penale che prevede che sia esente da ogni responsabilità chi che nell’ambito della propria abitazione o nei luoghi pertinenti a questa abbia agito spinto da un grave turbamento di carattere psichico in relazione alle modalità del fatto. Quindi - conclude il legale - sono convinto che siamo di fronte a una situazione che dovrebbe concludersi con l'assoluzione".

Ex collega tabaccaio che fu assolto: "Solo chi c'è passato può capire"

"Ho sentito il mio ex collega, ho voluto manifestargli la mia solidarietà. Perché alla fine, solo chi c'è passato può capire cosa si prova, qual è lo stato d'animo, l'umore, quei momenti in cui uno le pensa tutte". Franco Birolo, l'ex tabaccaio di Civè di Correzzola che il 26 aprile del 2012 uccise con un colpo di pistola un ladro che si era introdotto nel suo negozio, commenta così all'Adnkronos la notizia del rinvio a giudizio con l'accusa di omicidio volontario di Franco Iachi Bonvin. "Capisco benissimo quella sensazione che si prova quando subisci continui tentativi di furti, rapine, e il desiderio di metter fine a quella agonia che ti perseguita. Io di fronte all'aggressione ho preferito reagire, purtroppo in tanti che hanno scelto di subire sono morti", continua.

"Mi sento spesso anche con gli altri che io chiamo 'colleghi di sventura' - aggiunge Birolo - ci scambiamo punti di vista, solidarizziamo. Cerco di essere di supporto perché so cosa si passa quando ti ritrovi a dover subire un processo. Immaginiamo un qualsiasi commerciante che lavora dalla mattina alla sera con margini di guadagno che non sono quelli di un imprenditore o di un politico. Un commerciante che vive di quello che vende, che non può evadere. Lui conta i centesimi e poi arrivano questi e spaccano tutto, depredano l'attività, lasciano una montagna di danni e distruzione. Nessuno risarcisce, non certo i ladri, quando anche vengano presi. Io mi sto battendo da anni anche per questo: non è possibile che un delinquente non debba pagare i danni che causa. Insieme al senatore Ostellari stiamo portando avanti il progetto per cui questi, una volta detenuti, possano lavorare in carcere così da poter ripagare le vittime dei loro furti".

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