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Elezioni Usa 2024, Biden: “Corro perché c’è...

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Elezioni Usa 2024, Biden: “Corro perché c’è Trump”

L'ammissione ad un evento di raccolta fondi a Boston

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden - (Afp)

"Se Donald Trump non si candidasse, non sono sicuro che mi presenterei". E' quanto ha ammesso il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che alle elezioni presidenziali Usa del 2024 cercherà un secondo mandato alla Casa Bianca.

Parlando ad un evento elettorale di raccolta fondi a Boston, in Massachusetts, l'81enne democratico ha spiegato alle elezioni del prossimo anno la “democrazia è a rischio” perché Trump e i suoi alleati intendono “distruggere” le istituzioni democratiche. Ma i democratici "non possono lasciarlo vincere", ha aggiunto Biden riferendosi all'ex presidente, che attualmente è il chiaro favorito nelle primarie repubblicane.

Le parole, evidenzia la Cnn, hanno colto di sorpresa funzionari e consiglieri della campagna dell'81enne presidente americano. E, aggiunge la rete americana, lo stesso Biden (che solo ieri ha partecipato a tre eventi) quando successivamente gli è stato chiesto se sarebbe stato sempre in corsa se Trump non lo fosse stato, ha poi risposto: "Me lo aspetto, ma vedete, lui corre e io devo correre".

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Ucraina, Putin: “Russia non attaccherà Europa, ma...

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Il presidente russo bolla come "assurdità l'idea che Mosca attaccherà la Polonia, i paesi baltici o la Repubblica Ceca "

Vladimir Putin

La Russia non attaccherà nessun paese della Nato, ma se l'Occidente fornirà caccia F-16 all'Ucraina, questi verranno abbattuti dalle forze russe anche se si troveranno negli aeroporti di paesi terzi. Lo ha affermato il presidente russo Vladimir Putin durante una visita a Torzhok, nella regione di Tver, secondo una trascrizione del Cremlino pubblicata oggi da media statali russi.

Parlando ai piloti dell’aeronautica militare, Putin ha detto che l’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti si è espansa ad est verso la Russia dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, ma che Mosca non ha intenzione di attaccare la Polonia, i paesi baltici o la Repubblica Ceca. "Non abbiamo intenzioni aggressive nei confronti di questi stati. L'idea che noi attaccheremo qualche altro paese dopo l'Ucraina è una totale assurdità. Sono solo sciocchezze", ha assicurato. Secondo Putin si tratta del "tentativo di spaventare la popolazione" dei paesi europei "solo per spremere denaro dai cittadini. Soprattutto in un contesto in cui l'economia si sta contraendo e il tenore di vita sta diminuendo. È ovvio, se ne rendono conto tutti", ha detto Putin .

Come riferiscono i media di stato russi, Putin ha definito i 'paesi satelliti degli Stati Uniti' "timorosi della grande e forte Russia". Una paura immotivata, secondo il leader del Cremlino, visto che Mosca "non ha intenzioni aggressive nei confronti di questi stati". "E' una sciocchezza assoluta -ha ribadito Putin-. Viene sbandierata la possibilità che vengano attaccati alcuni paesi: la Polonia, gli stati baltici, la Repubblica Ceca. Sciocchezze".

Alla domanda sui caccia F-16 che l’Occidente ha promesso di inviare in Ucraina, Putin ha detto che tali aerei non cambieranno la situazione in Ucraina. "Se forniscono F-16 e apparentemente addestrano i piloti, ciò non cambierà la situazione sul campo di battaglia", poiché la Russia "li distruggerà come già sta facendo con i carri armati e le altre armi" occidentali. Putin ha affermato che gli F-16 potrebbero anche trasportare armi nucleari. "Naturalmente, se verranno utilizzati da aeroporti di paesi terzi, diventeranno per noi obiettivi legittimi, ovunque si trovino", ha detto Putin.

Quindi, la consueta narrazione per delineare la guerra con l'Ucraina: "La Russia è impegnata in un'operazione speciale per proteggere le popolazioni che vivono in territori storicamente suoi. Dopo 8 anni di mancato rispetto degli accordi di Minsk" da parte dell'Ucraina, "la Russia è stata semplicemente costretta a passare ad un'altra forma di protezione dei propri interessi".

Putin ha acceso i riflettori sugli Stati Uniti, come evidenzia la Tass, affermando che Washington è responsabile di "quasi il 40% delle spese militari globali". Nel 2022, secondo il presidente, gli Usa hanno speso il 3,5% del Pil per la difesa. La Russia ha speso il 4%, ma in termini assoluti si tratta di 811 miliardi di dollari per l'America e di 72 miliardi per Mosca.

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Gaza, Israele-Usa: prove di disgelo dopo alta tensione

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Netanyahu intende riprogrammare la visita della sua delegazione alla Casa Bianca

Un mercatino allestito a Gaza

Prove di disgelo e segnali distensivi tra Israele e Stati Uniti dopo le ultime giornate complesse e, in particolare, dopo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che per la prima volta ha chiesto un cessate il fuoco a Gaza. Washington non ha posto il veto alla risoluzione, scatenando l'ira di Israele.

Ora, mentre l'offensiva delle forze israeliane contro Rafah rimane una prospettiva concreta, il dialogo Tel Aviv-Washington sembra destinato a ripartire. "L'ufficio del primo ministro" israeliano Benjamin Netanyahu "ha accettato di riprogrammare l'incontro dedicato a Rafah. Ora stiamo lavorando per una data che vada bene per entrambe le parti", ha dichiarato durante un briefing la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, confermando che il governo Netanyahu intende riprogrammare la visita negli Usa della delegazione dello Stato ebraico precedentemente annullata dopo il varo della risoluzione Onu.

L'ufficio di Netanyahu ha effettivamente informato la Casa Bianca della volontà di riprogrammare la visita, secondo quanto riferito in precedenza da un funzionario americano alla Nbc.

La visita aveva - e avrà - come tema centrale l'annunciata operazione a Rafah, che gli Stati Uniti continuano a giudicare in maniera estramente negativa. "Riteniamo che una grande operazione di terra a Rafah sia un errore. Pensiamo che ci siano altri modi di colpire Hamas a Rafah", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale americano John Kirby, intervistato dall'emittente israeliana Channel 12.

Il segretario americano alla Difesa Lloyd Austin ha detto al collega israeliano Yoav Gallant che "gli Stati Uniti non possono sostenere a grande offensiva di terra a Rafah che non comprenda un realizzabile piano per la sicurezza del milione e mezzo di abitanti di Gaza che vi ci sono rifugiati", ha proseguito Kirby, sottolineando che gli Stati Uniti aspettano la delegazione israeliana a Washington per discutere di altri modi per colpire Hamas nell'area che accoglie quasi 2 milioni di civili.

Gli Stati Uniti, parallelamente, sono impegnati nell'opera per mantenere vivi i negoziati che potrebbero portare ad un cessate il fuoco. Il Dipartimento di Stato Usa è convinto che ci sia ancora spazio per il dialogo tra Israele e Hamas sugli ostaggi, anche se restano ancora ''questioni difficili da risolvere'', ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller.

"Per come sono questo tipo di negoziati, quando si arriva alla fine, quando si fanno progressi, le questioni che rimangono sono spesso le più difficili. Di solito non si risolvono prima le questioni più difficili, le si risolvono per ultime", ha detto Miller. ''Devono essere risolte alcune delle questioni rimaste. Sono alcune delle più difficili e anche quelle dove c'è il maggior disaccordo tra Israele e Hamas. Pensiamo che sia possibile colmare queste differenze", ha aggiunto.

Il nodo Barghouti

Nelle stesse ore, gli Stati Uniti hanno sollevato con il governo israeliano la questione del trattamento riservato in carcere a Marwan Barghouti, una delle figure politiche palestinesi più importanti, in seguito alle accuse avanzate dalla sua famiglia e dall'Olp secondo cui avrebbe subito maltrattamenti fisici e psicologici dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre.

L'Olp, in particolare, ha accusato le autorità israeliane di aver commesso "torture" e "abusi" su Barghouti, il dirigente di Fatah incarcerato dal 2002 nello Stato ebraico e condannato a cinque ergastoli per il suo presunto ruolo nella pianificazione degli attacchi durante la Seconda Intifada. Barghouti, che in tribunale ha respinto tutte le accuse, è detenuto nella prigione di massima sicurezza di Megiddo.

Funzionari statunitensi hanno affermato di essere a conoscenza delle accuse di abusi, mentre il Dipartimento di Stato, in risposta a domande su Barghouti, ha dichiarato in una nota al Washington Post di aver informato Israele che deve "indagare in modo approfondito e trasparente sulle accuse credibili e garantire la responsabilità di eventuali abusi o violazioni", sottolineando che ai detenuti palestinesi devono essere garantite "condizioni dignitose e in conformità con il diritto internazionale".

La questione del rilascio di Barghouti è un tema popolare tra i palestinesi che lo considerano un possibile successore del leader dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas. Barghouti è in cima alla lista dei prigionieri che Hamas vuole che Israele rilasci in cambio della liberazione degli ostaggi.

In un'intervista al Washington Post, il figlio di Barghouti, Arab, che vive in Cisgiordania, ha sostenuto che dopo il 7 ottobre suo padre è stato aggredito fisicamente, messo in isolamento al buio per 12 giorni e costretto ad ascoltare in cella l'inno nazionale israeliano "ad un volume altissimo, dalle cinque del mattino circa fino a mezzanotte, per molti giorni".

Un avvocato che ha incontrato l'esponente palestinese questa settimana ha riferito alla famiglia di aver visto lividi sul suo occhio destro e che Barghouti gli ha mostrato lividi sulla schiena e sul piede destro. L'avvocato ha scritto che Barghouti gli ha detto che il 6 marzo "sono stato picchiato per molti minuti su tutto il corpo, principalmente sul viso, sulla schiena e sulle gambe. La gravità del pestaggio mi ha fatto crollare a terra, a quel punto hanno continuato a colpirmi finché non ho perso conoscenza". Un portavoce del servizio carcerario israeliano ha affermato che il servizio "è un'organizzazione rispettosa della legge. Non siamo a conoscenza di queste affermazioni".

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“Cina ambigua, Usa hanno perso pazienza”:...

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Il sinologo Francesco Sisci analizza i rapporti sempre più tesi tra le due superpotenze a causa di attacchi hacker, sanzioni commerciali e maldestri tentativi di corteggiamento

Biden e Xi Jinping(Fotogramma)

E' ''un rapporto teso'' quello tra Stati Uniti e Cina, la più importante competizione di questo secolo che fa i conti con ''hacker, sanzioni commerciali e maldestri tentativi di corteggiamento''. Con gli ''Stati Uniti che non hanno più pazienza verso l'ambiguità cinese''. Così il sinologo Francesco Sisci analizza i rapporti tra le due superpotenze dopo che 20 uomini d'affari americani, tra cui manager di Blackstone e Qualcomm, venivano immortalati insieme a Xi Jinping in una storica photo-opportunity mentre ancora echeggiava la furia del governo di Pechino per le sanzioni sui cittadini cinesi accusati di aver compiuto attacchi informatici contro Usa e Regno Unito. Secondo le agenzie di intelligence americane, infatti, il malware trovato nelle infrastrutture critiche sembra fatto apposta per essere "attivato" in caso di invasione cinese di Taiwan. In modo da costringere gli americani a occuparsi della sicurezza delle loro reti elettriche e idriche piuttosto che correre in difesa di un'isola lontana.

''Xi Jinping ha fatto una dichiarazione aperturista, ma come sempre ambigua, dicendo che la Cina si impegna a riforme 'comprehensive', ad ampio spettro. Il tutto per attrarre capitali freschi in Cina che, giura Xi, non ha ancora raggiunto il suo picco e ha 'brillanti' prospettive di crescita'', spiega Sisci. ''Il problema è che oggi l’America non ha più la pazienza per le frasi ambigue. Da qualche anno le aziende Usa hanno smesso di investire nel Paese. Chiaro, non c’è stato un decoupling drastico: colossi come Apple e Tesla, grandi banche come JpMorgan mantengono una presenza importante. Ma nessuno mette in programma nuovi e massicci investimenti. Se dalla fine degli anni '70 l'atteggiamento verso Pechino è stato positivo e propositivo, fino all'ingenuità, dal 2011 il vento ha iniziato a cambiare, e l'intero sistema americano, dalla politica alle imprese, dall'accademia alla società civile, ha iniziato a 'raffreddarsi' nei confronti della Cina'', aggiunge.

In effetti oggi il Wall Street Journal ha pubblicato i numeri aggiornati: i ricavi in Cina delle aziende a stelle e strisce sono in stallo. C'entrano le tensioni geopolitiche, il de-risking, ma c'entra anche la debolezza dell'economia cinese, che sembrava inarrestabile, e una ritrovata e forse inaspettata forza americana. ''L'anno scorso per la prima volta la finanza americana ha investito più in India che in Cina, che ha registrato la crescita più bassa degli ultimi decenni, e patisce una minore spesa dei consumatori, un rallentamento dell'export e una profonda crisi immobiliare'', spiega Sisci. ''A Pechino si sono accorti tardi di quanto gli Usa stessero cambiando atteggiamento nei loro confronti, anche perché fino a due anni fa consideravano l'impero americano in un declino inesorabile, e puntavano forte su Russia, Brics e quello che ora chiamano il Global South. Invece Putin si è svelato debole, con la fallita invasione su larga scala dell’Ucraina, lo pseudo-golpe di Prigozhin e ora la spaventosa falla di sicurezza nel cuore di Mosca. Gli Stati Uniti hanno invece mostrato la capacità di dominare, ancora, in molti settori, tra tutti quello tecnologico. Dunque Xi Jinping ha capito che il mercato del G7 è ancora fondamentale, e torna a corteggiarlo'', sottolinea.

I punti di tensione sono molti: gli Usa indagheranno sulla potenzialità dei veicoli elettrici cinesi di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale, la Camera ha votato in modo bipartisan per costringere Bytedance a vendere Tiktok, le gru cinesi nei porti sono considerate ormai un cavallo di Troia, fioccano sanzioni e limiti all’export di tecnologia e proprietà intellettuale. D'altra parte la Cina ha appena presentato un ricorso all’Organizzazione Mondiale del Commercio contro i sussidi americani alle auto elettriche, ha vietato l’uso degli iPhone e delle auto Tesla ai dipendenti pubblici, vuole eliminare i chip Intel e Amd nei computer e server governativi. Da ultimo, gli hacker.

''E' in effetti molto pesante, anche perché si tratta di un’azione concertata da parte dei Five Eyes, i cinque Paesi dell’anglosfera che condividono azioni e informazioni di intelligence. Uno dopo l’altro, Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda hanno accusato Pechino di usare i suoi hacker non solo per spionaggio industriale e raccolta massiccia di dati, ma proprio di voler sovvertire l’ordine democratico. Potrebbero esserci conseguenze commerciali importanti. Come fai ad accettare i veicoli elettrici cinesi nel tuo territorio se credi che siano armi puntate contro di te?”, si chiede Sisci.

E l’Europa? Xi Jinping a maggio sarà in Francia, il primo viaggio nel continente dal 2019: dallo scoppiare della pandemia, il leader cinese ha ricominciato a viaggiare solo dopo tre anni, e nel frattempo i rapporti con i leader europei si sono indeboliti. ''Macron aveva provato a fare da interlocutore con Putin, senza successo, e ora proverà a fare lo stesso con il presidente cinese. Sa che in questo anno elettorale ci sono spazi per la Francia, ma non basterà una visita ufficiale per ristabilire un rapporto forte. In genere in questi viaggi Xi tocca almeno tre Paesi. Sarà interessante capire se anche stavolta riusciranno a organizzare degli incontri rilevanti, e soprattutto con chi'', conclude Sisci.

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