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Economia

Il capo della ExxonMobil: “Se falliremo gli obiettivi...

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Il capo della ExxonMobil: “Se falliremo gli obiettivi climatici sarà colpa dei consumatori”

Macchinari petrolio

Raggiungere gli obiettivi climatici sembra sempre più una 'mission impossible'. E la colpa sarebbe dei consumatori, delle ‘persone normali’, di tutti noi. Chi lo dice? Darren Woods, amministratore delegato del gigante ExxonMobil, una delle principali compagnie petrolifere mondiali e di conseguenza uno dei principali contributori delle emissioni globali di gas serra. Proprio quei gas che dovremmo eliminare entro il 2050, se non vogliamo finire arrostiti. Perché una cosa è certa: il problema è nostro (e delle altre specie animali che però non possono fare nulla), il pianeta in un modo o in un altro ci sopravviverà.

In un’intervista di pochi giorni fa a Fortune, Woods afferma che non sono le grandi compagnie petrolifere le principali responsabili della crisi climatica. Il nodo centrale della questione, ha spiegato, è che i consumatori non sono disposti a pagare i costi della transizione energetica.

Lo ‘sporco segreto di cui nessuno parla’

"Lo sporco segreto di cui nessuno parla è quanto costerà tutto questo e chi è disposto a pagare", sottolinea. "Le persone che generano queste emissioni devono essere consapevoli e pagare il prezzo per la generazione di tali emissioni. Questo è in definitiva il modo in cui si risolve il problema. Abbiamo l'opportunità di produrre combustibili a basse emissioni di carbonio, ma le persone non sono disposte a spendere i soldi per farlo". Secondo Woods, occorre una tassa sul carbonio.

Sicuramente il passaggio alle fonti pulite ha un costo, e anche elevato. Ma quello che Woods pare ignorare è che non agire ha un costo ancora più alto. Anche considerando solo l’aspetto economico, tralasciando quelli etici e sociali.

Mentre rigira la frittata e fa sostanzialmente del gaslighting verso tutti gli altri, Woods pare ignorare il ruolo che aziende come quella che dirige, che realizzano profitti superiori al Pil di molti Stati, hanno nel poter prendere decisioni e indirizzare la politica e l’economia verso una strada piuttosto che un’altra.

Un dejà vu che riporta alla mente l’ultima Cop28, la conferenza sul clima che si è tenuta lo scorso novembre: il più grande consesso mondiale finalizzato a ridurre ed eliminare le fonti fossili per contrastare il riscaldamento globale, ospitato da una nazione che si regge sul petrolio e guidato dal ceo dell’azienda petrolifera del Paese. Non è un caso che, nonostante molti proclami, nel concreto si siano anche stretti accordi basati sull’oro nero.

Decarbonizzare è necessario, ammette (ora) la Exxon

A onor del vero Woods ammette che decarbonizzare e ridurre le emissioni è necessario, e sostiene che la – lunga – storia di scandali che hanno investito la Exxon, accusata di minimizzare o negare la crisi climatica e di contrastare le politiche per porvi rimedio, anche attraverso il greenwashing, appartenga ormai al passato e quindi che non ci sia bisogno di continuare a parlarne.

Il ceo della Exxon spiega che ora l’azienda è impegnata su vari fronti per ridurre le emissioni di gas serra ed arrivare al net zero entro il 2050. Tra questi, le tecnologie nascenti come la cattura del carbonio e i combustibili a idrogeno. Ma andrebbe anche detto che i piani di espansione di ExxonMobil e di altre compagnie petrolifere sono ancora basati soprattutto sui combustibili fossili. Insomma, queste aziende fanno ancora troppo poco.

Investimenti non remunerativi

Un altro punto importante toccato da Woods è che, spiega, investire in maniera massiccia nelle energie rinnovabili non rende utili adeguati agli investitori. Quindi al momento, pur riconoscendo la necessità della transizione, “semplicemente non la vediamo come un uso appropriato delle capacità di ExxonMobil". Nemmeno se si beneficiano di aiuti statali, perché questa ‘’non è una strategia sostenibile a lungo termine”.

Forse non è un caso, ma l’intervista arriva mentre Exxon è in causa contro alcuni cosiddetti ‘azionisti attivisti’, nello specifico società di investimenti etici e ambientali che mirano a spingere l’azienda ad adottare standard ambientali più severi. L’opinione di Woods è netta: "Vogliamo soddisfare gli azionisti che sono veri investitori, che hanno interesse a vedere questa società riuscire a generare un ritorno sui loro investimenti", afferma. "Non sentiamo una responsabilità nei confronti degli attivisti che dirottano quel processo... e, francamente, abusarne per promuovere un'ideologia".

Secondo la Exxon, infatti, gli azionisti attivisti vorrebbero costringere Exxon Mobil a cambiare la natura del suo business, che sarebbe quella di estrarre e commercializzare petrolio, gas naturale e altri combustibili fossili.

Il ruolo dei consumatori

Le parole di Woods sono irritanti e scomode, anche se il ceo precisa più in generale che “le politiche che vengono messe in atto non sono abbastanza aggressive e non incentivano il giusto tipo di azioni per avere successo". Però contengono un minimo di verità, ovvero quella per cui i comportamenti di ognuno sono importanti per la riduzione delle emissioni. Questo tema non è toccato nell’intervista a Fortune, ma mantenere lo stile di vita attuale, è sempre più evidente, è ormai insostenibile.

Tuttavia, dal discorso di Woods una cosa emerge sicura: la transizione energetica è puramente una questione di denaro, e della volontà di chi ha in mano il pallino per tirare e fare il gioco. Governi, compagnie ed aziende, persone normali: ognuno col proprio peso specifico.

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Economia

Clima, Confindustria e Deloitte: costo emissioni gas serra...

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l’evento B7 “G7 Industry Stakeholders Conference”in programma a Torino il 28 aprile

Clima, Confindustria e Deloitte: costo emissioni gas serra nel G7 penalizza competitività

Sulle sfide per la competitività B7 pesano il costo dell’energia e delle emissioni di gas serra. Nello specifico i costi elevati dell'energia elettrica costituiscono un ulteriore onere, in particolare per le aziende e i consumatori europei che sostengono prezzi tra i più alti a livello internazionale, doppi rispetto al mercato cinese. Tra gli svantaggi competitivi vi è l’elevato costo delle emissioni di gas serra nel G7 rispetto ai Paesi che non hanno ancora adottato efficaci politiche di sostenibilità, con il prezzo Europeo delle quote diemissione di gas serra nel 2023 pari a 90,26 $/tCO2e, dieci volte superiore al prezzo cinese. A evidenziarlo è il B7 Flash, la nota di Confindustria e Deloitte elaborata in occasione dell’evento B7 “G7 Industry Stakeholders Conference” in programma a Torino il 28 aprile e della riunione ministeriale G7 su “Energia, ambiente e clima” in agenda il 28, 29 e 30 aprile nel capoluogo piemontese. Il B7 Italy 2024, di cui Deloitte Italia è l'unico Knowledge Partner, è guidato da Confindustria e presieduto da Emma Marcegaglia.

Un altro costo da considerare è quello dei cosiddetti “stranded assets”, ovvero di tutti quegli investimenti che, in ragione del loro legame con le fonti fossili, sono destinati a perdere valore nei prossimi anni. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), includendo le risorse finanziarie, le infrastrutture, le attrezzature, i contratti e i posti di lavoro, le stime globali degli asset legati ai combustibili fossili non recuperabili al 2035 ammontano cumulativamente ad almeno mille miliardi di dollari. Questa cifra aumenterà fino a superare i 4 mila miliardi di dollari nel momento in cui saranno applicate politiche climatiche in grado di raggiungere l’obiettivo dei 1,5°C. A questi numeri andranno aggiunti i potenziali costi dovuti alla dismissione anticipata di parte delle reti di trasporto e distribuzione elettrica non compatibili con il mix di generazione rinnovabile e degli apparati industriali e civili basati sull’utilizzo di combustibili fossili. I beni e le risorse non recuperabili per obsolescenza anticipata nel contesto della transizione verde diventeranno quindi un onere economico per le imprese e per i consumatori.

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Economia

Lavoro, ecco 6 consigli per affrontare al meglio un...

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La lista di Edusogno, la startup di English learning online fondata da 3 giovani under 30

Colloquio di lavoro - (Fotogramma)

L'inglese si conferma una delle lingue più utilizzate nel mondo del lavoro, tanto che la sua conoscenza è ormai richiesta in quasi tutti gli annunci. È quanto emerge da uno studio recente di EF su più di 10.000 annunci di lavoro, che ha identificato i settori in cui la padronanza dell'inglese è più ricercata, in quanto competenza diventata quasi implicita in alcune aree di mercato (come le vendite e l'accoglienza), e le professioni innovative (per esempio: supporto all’amministrazione, sviluppatore, tecnico, addetti vendita) che ne richiedono una solida padronanza. Ed Edusogno, la startup di English learning online fondata da 3 giovani under 30, ha messo a punto una lista di 6 consigli per affrontare al meglio un colloquio in inglese.

Primo - essere trasparenti. Onestà e precisione circa la propria capacità di esprimersi in lingua inglese sono fondamentali per affrontare il colloquio serenamente. Per questo è importante riportare correttamente il proprio livello sul curriculum in base al Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, e non mentire su eventuali certificazioni e soggiorni all’estero durante il colloquio: sono in gioco la nostra serietà e senso di responsabilità. Inoltre, condividere con il recruiter la volontà di intraprendere un percorso volto al miglioramento della lingua, può essere un gesto molto apprezzato.

Secondo - studiare l’interlocutore. Arrivare al colloquio dopo aver fatto una ricerca sulla realtà per cui ci si candida – in particolare guardando sito e pagine social – è importante perché permette di arrivare preparati ed essere più pronti nel discutere in inglese delle aspettative o dei dubbi legati alle prospettive di lavoro in quella posizione.

Terzo - il cv in inglese è importante. Anche se si sta cercando lavoro in Italia, avere una copia del proprio cv in lingua inglese è un plus irrinunciabile, tanto che molte aziende chiedono di ricevere esclusivamente questa versione, anche quelle con sede in Italia. È importante quindi essere in grado di esporlo parlando della propria istruzione e delle esperienze lavorative con la stessa fluidità con cui siamo in grado di farlo in Italiano.

Quarto - preparare le risposte. Stilare una lista di domande e risposte in inglese permette di non essere colti di sorpresa se posti di fronte ai tipici quesiti di un colloquio. Oltre alle domande sul proprio percorso di studi e background professionale, è bene prepararsi a rispondere anche in merito a passioni e attitudini personali, e alle domande più insidiose come 'Tre pregi e tre difetti?' o 'Dove vorresti essere tra 5 o 10 anni?'. Esercitarsi a essere fluenti nelle risposte può davvero fare la differenza.

Cinque - proattività. In genere, all’inizio del colloquio l’intervistatore pone al candidato qualche domanda più 'leggera' per rompere il ghiaccio. Preparare un breve argomento a piacere su un tema di natura personale (per esempio circa i propri interessi, il viaggio più recente, etc.) evita l’imbarazzo di non saper da dove cominciare e trasmette molta più sicurezza di sé.

Sei - fare una simulazione. Perché non chiedere a un amico madrelingua o particolarmente fluente di fare le veci del recruiter e darci un supporto in una breve sessione di allenamento? Simulare il colloquio in un ambiente protetto ci permetterà di analizzare i nostri punti deboli e intervenire tempestivamente. Questo esercizio è utile per chi ha un inglese particolarmente arrugginito.

“La maggior parte dei ruoli professionali richiede una competenza linguistica intermedia, situata tra il livello B1 e B2 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue. Per posizioni più specializzate e di livello più alto, come ingegneri e professionisti del marketing, è necessario un livello avanzato d’’inglese, almeno C1 o C2. Questi dati dimostrano l'importanza di investire nella formazione linguistica per tutti coloro che aspirano a carriere di successo", commenta Marco Daneri, director of education di Edusogno.

“È questo il motivo che ci ha spinto a condividere dei consigli per affrontare al meglio un colloquio di lavoro in lingua inglese. Crediamo fortemente che investire in corsi di lingua caratterizzati da metodologia e insegnanti altamente qualificati sia cruciale per rimanere competitivi sul mercato del lavoro e per sfruttare appieno le opportunità professionali, siano esse in Italia o all'estero", conclude.

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Economia

Bce: “Inflazione Eurozona continua a decelerare,...

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Nel Bollettino economico: "Aspettative a lungo termine al 2%"

Sede della Bce - (Afp)

Mentre l’inflazione complessiva nell'Eurozona "continua gradualmente il suo percorso disinflazionistico, di riflesso al calo dei tassi di crescita per beni alimentari e beni industriali non energetici", emergono "timidi segnali di una ripresa graduale della crescita nel prosieguo dell’anno". Lo rileva il Bollettino economico della Bce, pubblicato oggi.

Il minor tasso di crescita per i beni industriali non energetici, spiegano gli economisti della banca centrale, "è determinato dalla perdurante attenuazione delle pressioni inflazionistiche, nonostante il lieve aumento dell’inflazione dei beni energetici riconducibile in larga misura a effetti base". Nell'Eurozona le misure delle aspettative di inflazione a più lungo termine (per il 2028) si collocano per lo più "intorno al 2%", mentre quelle delle aspettative a più breve termine "sono diminuite".

Il ritmo di espansione del Pil in termini reali dovrebbe rimanere "modesto" nel primo trimestre del 2024, a causa del "perdurare di uno scostamento tra il settore manifatturiero, in difficoltà, e quello dei servizi, che mostra invece "maggiore capacità di tenuta". Emergono, tuttavia, "timidi segnali di una ripresa graduale della crescita nel prosieguo dell’anno".

Nei prossimi mesi, prevede ancora il Bollettino, ci si attende che l’inflazione oscilli "intorno ai livelli attuali", per poi diminuire "fino a raggiungere l’obiettivo del 2% il prossimo anno, "per effetto della più debole crescita del costo del lavoro, del dispiegarsi degli effetti della politica monetaria restrittiva perseguita dal Consiglio direttivo e del venir meno dell’impatto della crisi energetica e della pandemia".

 

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