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Elezioni Russia, consenso per Putin frutto dello scambio con la normalità anche in tempo di guerra
Analisti indipendenti riconoscono il consolidamento significativo dell'opinione pubblica intorno alla figura del presidente e intorno allo Stato, quasi come quello registrato dopo l'annessione della Crimea. Ma denunciano che si tratta di un equilibrio instabile e privo di prospettive. Il sostegno su cui conta è frutto di opportunismo e di indifferenza.
Non è esattamente l'euforia seguita all'annessione della Crimea. Ma nel 2023, anno in cui le forze russe non hanno ottenuto risultati significativi sul fronte ucraino, il consenso dell'opinione pubblica russa è tornato a cristallizzarsi intorno a Vladimir Putin che si presenta a queste elezioni con esibita sicurezza. Il consenso si basa sul contratto sociale fra due parti, pur se instabile e privo di prospettive. La garanzia di normalità, anche in tempo di guerra, in cambio del patriottismo e del sostegno.
L'ultimo sondaggio del Centro di ricerca sull'opinione pubblica (Vciom), che è un ente affiliato allo Stato, anticipa la vittoria di Putin con l'82 per cento dei voti per cento dei voti, con una affluenza alle urne del 71 per cento. Ma anche gli analisti indipendenti, come Denis Volkov, direttore di Levada, centro di ricerche considerato dalle autorità russe come agente straniero da tempo, associano quello che sta accadendo ora in Russia al periodo successivo alla prima fase dell'intervento russo in Ucraina.
"C'è stato con la guerra un consolidamento significativo dell'opinione pubblica intorno alla figura di Putin e intorno allo Stato, quasi come quello registrato nel biennio 2014-2015, il tipo di aggregazione che rende le elezioni sicure per le autorità", ha spiegato Volkov, in un recente seminario con Andrei Kolesnikov, analista di Carnegie Russia Eurasia Center, anche lui inserito nell'elenco degli agenti stranieri, e pure lui rimasto in Russia.
"Dal febbraio del 2022, tutti i dati relativi all'impatto del Presidente e delle sue politiche sull'opinione pubblica in vista del voto per le presidenziali sono aumentati fino a raddoppiare, questo vale per le domande a risposta aperta, per gli indicatori di fiducia, per le risposte alla domanda diretta se si vuole o no Putin rieletto alle prossime elezioni". I dati raccolti, di diversa natura, incrociati fra di loro e completati dai risultati dei focus group, sono considerati affidabili, a partire dal tasso di risposta "tornato al valore normale del 30 per cento, dopo le fluttuazioni dello scorso anno".
"Il 2023 è stato un anno di adattamento alla realtà. La gente in Russia ha capito che la guerra proseguirà e durerà a lungo. E per questo ha deciso di crearsi una difesa psicologica dal conflitto, da questi eventi orribili. E accetta come buone le spiegazioni che arrivano dal vertice, dalla televisione e dai social controllati dal Cremlino, manifesta indifferenza, si concentra sulla sua vita privata".
"Se non sei coinvolto direttamente in trincea, puoi vivere una vita più o meno normale, mantenere un certo grado di normalità nella tua quotidianità", aggiunge Kolesnikov, uno degli analisti delle dinamiche della società e della politica interna russa considerati più autorevoli. La grande maggioranza dei russi è apatica, e in larga misura sostiene in modo passivo e automatico quello che il regime fa. I russi sono convinti che la Russia sia stata attaccata, che sia in guerra con l'Occidente. E' stato messo in atto un processo in cui la società ha assorbito la realtà e distorto il mondo, creato un universo artificiale", ha precisato, ricordando che in Russia in questi mesi di guerra si è "creata una nuova classe media costituita da funzionari dell'Fsb, da militari, dipendenti dalla procura, della Guardia nazionale, ma anche da insegnanti, medici e dipendenti pubblici", una classe "di persone pronte a difendere questo regime per difendere loro stessi". Una sorta di classe di siloviki allargata". Molte di queste persone vivono a Mosca, città in cui tradizionalmente si trovavano il maggior numero di oppositori, ora diventata "una città polarizzata".
"Sono state investite dal Cremlino grandi risorse, somme imponenti, per mantenere la stabilità. In un primo momento solo per rispondere alle sanzioni e per neutralizzare il panico, poi per aumentare le pensioni e i salari dei dipendenti pubblici. Sono poi state distribuite risorse a chi ha preso parte direttamente all'operazione militare".
"Chi partecipa all'operazione militare, e la maggioranza di chi va al fronte, è originaria della provincia, arriva a guadagnare fino a 5-6 volte più di prima. Il reddito medio della popolazione è cresciuto del sette per cento in due anni. Certo, c'è l'inflazione ma una parte consistente della popolazione, in particolare fra le fasce più deboli, sente di stare meglio", precisa Vokov, sottolineando anche che i russi hanno assimilato il messaggio della propaganda, e pensano alla guerra come difensiva, contro l'Occidente aggressivo.
"Putin è considerato come un difensore della gente, nel Donbass come in Russia". Una idea che convive con il pacifismo che i russi hanno ereditato dalla Grande guerra patriottica, perché sono stati convinti dal regime che sia l'avversario a non volere la pace. Come sottolinea Kolesnikov, i russi sanno di non poter perdere, anche se non è chiaro cosa questo significhi. Solo il 25 per cento dei russi è favorevole all'idea di rinunciare a territori occupati in cambio della pace. "La società russa non è ancora pronta per un compromesso significativo con l'Ucraina". "Putin ha pazienza strategica anche perché sa di avere le risorse per proseguire. Ci sono molti scenari in cui potrà rivendicare successo".
L'equilibrio dell'opinione pubblica sulla guerra tuttavia non è stabile, ma opportunistico, come dimostra il picco di contrarietà in coincidenza della mobilitazione parziale del settembre del 2022. "La situazione è fragile ma non sappiamo cosa quale potrà essere l'eventuale innesco di una crisi. Cosa succederà dopo le elezioni non si sa, probabilmente non lo sa neanche il Cremlino. Ma per il momento in molti considerano meglio mantenere in atto questo contratto sociale, normalità in cambio di sostegno per il leader. Vi si chiede solo di essere patriottici, non di partecipare in prima persona alla guerra", afferma inoltre Kolesnikov.
Non si sa, quindi, se il regime nel prossimo futuro sarà più crudele (il seminario si è svolto prima della morte di Aleksei Navalny, ndr). Se innescherà una nuova ondata di mobilitazione. Se accetterà una qualche forma di protesta. Ora c'è una sorta di convenzione: siamo stati attaccati, è nostro dovere difendere il Paese. Anche se non è un credo monolitico, dato che vediamo lampi di discontento con le proteste dei familiari dei soldati mobilitati. Ma in generale appare più conveniente, per i decisori del Cremlino, mantenere questo contratto sociale a lungo".
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Ucraina, Crosetto: “Italia ha fornito tutto quello...
"Noi veniamo da 40 anni con l'idea che la difesa fosse qualcosa di cui non avevamo bisogno"
"Noi domani avremo una incontro, una call, a cui presumo ci sarà lo stesso Zelensky, per fare il punto" sugli aiuti all'Ucraina. "Mi pare che l'Europa e l'Italia in particolare abbiano fornito in questo periodo tutto quello che riuscivano a dare". Lo ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto, intervenendo all'incontro promosso da PwC Italia in collaborazione con il gruppo editoriale Gedi, dal titolo 'Il ruolo della ricerca militare nello sviluppo economico italiano'.
"Il problema - ha spiegato - è che noi veniamo da 40 anni con l'idea che la difesa fosse qualcosa di cui non avevamo bisogno, che le scorte e gli investimenti per la difesa non servissero, per cui non abbiamo magazzini pieni con cui possiamo aiutare. Quello che potevamo dare fino ad adesso l'Italia lo ha dato quasi integralmente. La parte che non ha ancora dato la darà prossimamente", ha detto il ministro.
"Sono talmente arrabbiato che dico una cosa pubblicamente: l'Italia ha ordinato alcuni sistemi di difesa aerea Samp-T due anni fa, l'industria che ha la commessa mi dice che li consegnerà tra tre anni. Un ordine di Samp-T per la difesa italiana fatto due anni fa, l'industria mi dice che lo consegna tra tre anni", ha proseguito.
"Voi pensate che uno possa fare il ministro della difesa o difendere un Paese con questi tempi? Non riesco a capire come sia possibile metterci tre anni per costruire una qualunque cosa, anche la più complessa che esiste al mondo", ha osservato Crosetto, spiegando che il problema è che "noi abbiamo un'industria che si era tarata su una capacità produttiva in cui lo Stato fa l'appalto, dà i soldi, quando li dà si inizia a costruire e poi quando si riesce, si consegna. Invece viviamo tempi in cui avremmo bisogno delle cose subito". Il problema - ha riferito il ministro - "non è solo italiano, ma europeo. Lo ha anche il ministro francese, con cui stiamo facendo una battaglia a due".
A differenza di quanto accade in Europa, "in Russia, in Cina e in Iran alzano il telefono e l'azienda che prima faceva frigoriferi" viene convertita per la produzione della difesa. "Noi invece ci confrontiamo con regole costruite in tempi di pace e in tempi normali in tempi che non sono di pace e non sono normali".
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India al voto, Armellini: “Grande democrazia? Con...
L'ex ambasciatore a Nuova Delhi: "Il Paese è cresciuto, ma stretta autoritaria sempre più opprimente"
L'India resta un grande Paese, ma non è detto che resterà una grande democrazia. Alla vigilia della prima tornata elettorale nel gigante asiatico - dove da domani al primo giugno poco meno di un miliardo di elettori andrà a votare in 28 Stati federali e otto territori - l'ex ambasciatore italiano a Nuova Delhi, Antonio Armellini, parla con l'Adnkronos dell'India di Narendra Modi, che si avvia al suo terzo mandato, dopo dieci anni già al governo.
Con il leader del Bjp "l'India è molto cambiata, è cresciuta economicamente, è migliorata al suo interno, il programma di investimenti sulle infrastrutture ha portato risultati ed il sistema finanziario è stato ammodernato", riconosce Armellini. Che tra i 'meriti' cita "la presa sull'elettorato, che si è ampliato e non è più solo quello tradizionale del Bjp", il partito dei commercianti e degli imprenditori.
Parallelamente, osserva l'ex ambasciatore, "la stretta autoritaria del governo Modi è diventata sempre più opprimente, figlia di un controllo e di un meccanismo del consenso molto sofisticati", mentre l'opposizione divisa e frammentata "è in difficoltà nel trasmettere un qualche tipo di messaggio che possa essere recepito dagli elettori".
L'India cresce "ma crescono anche le diseguaglianze", sottolinea ancora Armellini, mentre si avvia a diventare "una democrazia autoritaria sempre più lontana dal modello che ne aveva fatto un unicum nel continente asiatico, una grande democrazia liberale, figlia del pensiero politico del 19mo secolo, che aveva avuto anche Giuseppe Mazzini tra gli ispiratori della lotta per l'indipendenza". "L'India laica, tollerante, multietnica, rispettosa dello stato di diritto non è l'India di Modi, fortemente identitaria - ragiona l'ex ambasciatore - L'India è un grande Paese, ma che resti una grande democrazia è un punto interrogativo".
Quanto alla politica estera di Nuova Delhi, che "ha una percezione di sé come grande potenza sullo stesso piano di Stati Uniti e Cina, il punto da cui partire è che l'India non ha alleanze, ma relazioni, è partner di molti, ma nel proprio interesse". Che è quello di "grande potenza autonomia con due punti di riferimento imprescindibili: il contrasto con la Cina e il conflitto con il Pakistan", spiega Armellini. E chi, "come a tratti cercano di fare gli Stati Uniti, pensa di poterla legare in una vera e propria alleanza, rischia di restare fortemente deluso".
Infine l'ex ambasciatore si dice convinto che Nuova Delhi abbia "una maggiore capacità di attrazione per diventare il punto di riferimento del Sud globale", in particolare rispetto a Pechino, che agli altri Paesi "richiede di schierarsi", laddove l'India ha un approccio meno identitario.
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G7, Tajani: “Tutti insieme dobbiamo dare messaggio di...
Le parole del ministro degli Esteri al summit di Capri
"Tutti insieme credo che dobbiamo dare un messaggio di pace". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nel corso del G7 Esteri a Capri.