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Sostenibilità

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L’Italia è il paese Ue con più auto rispetto agli abitanti. Un’analisi oltre i numeri

In tutta Europa più di 1 auto ogni 2 abitanti, cosa aspettarsi nel prossimo futuro?

Auto in coda - Canva

L’Italia è il paese europeo con più macchine rispetto alla popolazione: ben 684 auto ogni mille abitanti. La media europea è di 560 autovetture ogni mille abitanti. Insomma, nel Vecchio Continente c’è più di una macchina ogni due abitanti, un numero altissimo se si considera che diversi milioni di cittadini europei non possono guidare per motivi anagrafici o, più raramente, di salute.

Eppure, negli ultimi anni le istituzioni hanno provato a incentivare gli spostamenti con mezzi alternativi, bicicletta su tutti, ma, numeri alla mano, i risultati sono ancora deludenti. Questo perché solo pochissime città (concentrate nel Nord Europa) hanno lavorato affinché andare in bici fosse pienamente compatibile con il piano urbanistico cittadino, mentre nella maggior parte delle località europee spostarsi in bici è ancora molto rischioso.

Le conseguenze sono tangibili nei numeri pubblicati dall’Eurostat, con riferimento al 2022: nel decennio 2012-2022 il rapporto auto/abitanti è aumentato del 14,3% passando da 490 macchine a 560 ogni mille abitanti.

Una nota parzialmente positiva è che nello stesso periodo, l’incremento è stato minore in Italia rispetto alla media Ue: 63 auto in più ogni mille abitanti rispetto al +70 europeo.

Nonostante ciò, il Belpaese ha superato il Lussemburgo, che nella rilevazione del 2012 era il primo paese in Ue per concentrazione di auto/abitanti.

Le auto negli altri paesi Ue

La rilevazione Eurostat arriva nel pieno della polemica tra il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Salvini e il Comune di Bologna sul limite di 30 km/h previsto per il 70% delle strade del capoluogo emiliano.

Ma qual è la situazione negli altri paesi europei?

Dopo l’Italia, sull’infelice podio salgono il Lussemburgo e la Finlandia rispettivamente con 678 e 661 auto ogni mille abitanti, poco dopo c’è Cipro con una concentrazione di 658 ‰.

Anche guardando la parte bassa della classifica, la concentrazione di auto resta molto elevata: è la Lettonia ad avere il tasso più basso con 414 autovetture ogni mille abitanti, seguita da Romania (417) e Ungheria (424).

Il paese che ha visto il maggiore incremento di vetture ogni mille residenti è la Romania, con 193 (+86,2%) seguita dall’Estonia con 181 (+39,7%) e dalla Croazia con 152 (+44,8%). L’unico Stato che ha registrato un valore negativo è la Lituania, dove si è passati dalle 590 auto ogni mille abitanti del 2012 alle 589 di due anni fa. Il fatto che nel migliore dei casi, le auto siano diminuite appena di 1 unità su mille abitanti è piuttosto emblematico.

[Fonte: elaborazione grafica Il Sole 24Ore su dati Eurostat]

In definitiva, nonostante i progressi normativi e gli interventi per promuovere una mobilità alternativa, tra cui la Dichiarazione Europea sull’uso della bici, i cittadini europei restano fortemente dipendenti dalle automobili, che sono tra i principali responsabili dell’inquinamento ambientale.

Riflessioni sull’Italia

Non è un caso, infatti, che il Nord Italia sia la zona più inquinata d’Europa.

Secondo i dati pubblicati nel 2023 dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), in Italia il settore dei trasporti è responsabile del 37,3% delle emissioni di ossidi di azoto (NOx). Le auto sono una fonte importante di queste emissioni, che possono causare problemi respiratori e cardiovascolari. Inoltre, le auto emettono anche monossido di carbonio (Co), composti organici volatili non metanici (Nmovc) e gas serra come l’anidride carbonica.

C’è poi il discorso delle morti dirette. Solo nel 2023, lungo la penisola sono morti almeno 434 pedoni e 197 ciclisti. In pratica, ogni 2 giorni più di 3 persone che erano in strada senza un veicolo a motore sono morte.

Il dibattito sulla circolazione stradale si è acceso ulteriormente nelle ultime settimane con le polemiche sugli autovelox e sui limiti di velocità.

I primi, nati con l’intento di aumentare la sicurezza stradale sono finiti nell’occhio del ciclone dopo il fenomeno "Fleximan" e i dati sugli incassi record delle amministrazioni comunali. Sul punto, Assoutenti si è espressa così: “Gli autovelox, se usati correttamente e non a fini di cassa, possono essere un valido strumento per limitare gli incidenti e garantire maggiore sicurezza sulle strade, ma in Italia si assiste ad un uso troppo disinvolto per non dire vessatorio di tali strumenti di rilevazione della velocità, che garantiscono ai comuni entrate milionarie ogni anno”, spiega il presidente Gabriele Melluso.

Sul limite di 30 km/h a Bologna è scoppiato il dibattito tra chi la ritiene una misura giusta per garantire maggiore sicurezza e chi la ritiene troppo penalizzante per gli spostamenti e i lavoratori.

“Le zone 30 servono per migliorare la sicurezza in alcune zone delle città, come nelle vicinanze di scuole e di asili. L’allargamento a tutto il Comune - come successo a Bologna - appare una forzatura che tradisce lo spirito delle zone 30, a maggior ragione considerando che il Mit ha deciso di evitare il proliferare di autovelox in zone con limite fino a 50 km all’ora: gli occhi elettronici devono garantire il rispetto delle regole in strade a rischio e non essere uno strumento vessatorio”, scrive il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture presieduto dal vicepremier Matteo Salvini.

Dichiarazioni che hanno provocato la precisazione dell’assessora ai Trasporti del comune di Bologna, Valentina Orioli: “Non si tratta di una misura generalizzata, ma frutto di attente valutazioni, strada per strada, che copre il 70% delle strade cittadine, nel rispetto dei criteri definiti dal piano di sicurezza del ministero. L’auspicio – spiega Orioli – è che si possano superare le posizioni ideologiche e andare nel merito di una misura in grado di salvare vite umane. Credo debba essere questo il solo criterio guida delle nostre azioni”.

Perplessità e conclusioni

Le statistiche sull’uso dell’automobile in Italia e in Europa non sono le uniche notizie negative per la transizione ecologica del continente. È di questi giorni, infatti, la notizia del crollo del mercato delle auto elettriche in Germania, che nel mese di dicembre ha segnato un -23% di immatricolazioni dopo l’improvviso stop alle agevolazioni. Nello stesso mese, a livello europeo il crollo è stato del 3,8%, il primo dato negativo dopo sedici mesi consecutivi positivi. Una situazione che getta maggiori ombre sul futuro dell’elettrico, nonostante la decisione delle istituzioni comunitarie di vietare la vendita di nuove auto a motore termico dal 2035. Sotto questo profilo sarà interessante vedere che successo riscontreranno i nuovi incentivi per le auto elettriche che, in Italia, partono proprio oggi.

Sull’altro fronte, c’è la questione di un aumento delle infrastrutture per incentivare l’uso delle biciclette, a proposito del quale la Commissione europea sottolinea che “la congestione rappresenta ancora una seria sfida all’efficienza dei sistemi di trasporto e riduce la vivibilità delle aree interessate, con costi considerevoli per la società e l’economia”.

Con le auto sempre più presenti nella vita degli europei, si allontana l’obiettivo dell’Unione di ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto al 1990 e la neutralità climatica entro il 2050, come previsto nel piano Fit for 55.

Non mancano tuttavia i buoni esempi, come quello il progetto “Bike to work” di Trento. Il capoluogo ha lanciato il progetto che coinvolge 150 dipendenti comunali e prevede un pagamento di 25 centesimi per ogni chilometro percorso fino a un massimo di 2 euro giornalieri e 20 euro mensili.

Il programma, in via sperimentale, vuole incentivare l’utilizzo della bicicletta per percorsi quotidiani come il tragitto dalla propria abitazione al posto di lavoro e non ha solo lo scopo di abbattere le emissioni. Tra gli obiettivi del Comune di Trento c’è anche l’individuazione delle strade che necessitano di un intervento, per adeguarle alla mobilità dolce.

Il primato di automobili/persone registrato dall’Italia deve spronare istituzioni e cittadini a seguire l’esempio di Trento, anche nella misura in cui si propone individuare le criticità per risolverle. Con le sole buone intenzioni, è proprio il caso di dirlo, non si va da nessuna parte.

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Lazio, arrivato il primo sì per un parco eolico off-shore a...

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Spazio all’uso delle rinnovabili a largo delle coste del Centro Italia e soddisfazione da parte dei sindacati: quali vantaggi?

Impianto eolico offshore - - Canva

Aumenta l’attenzione da parte delle istituzioni ed enti coinvolti nelle realizzazioni di strumenti e mezzi per la produzione di energie rinnovabili. Come richiesto dai goal europei, ogni Stato membro deve raggiungere un certo livello di efficientamento energetico, riducendo le emissioni di Co2 e contribuendo, così, al miglioramento della salubrità dell’ambiente.

Per questo motivo, grande soddisfazione è espressa dall’annuncio che ieri ha espresso il Ministero per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica che ha concesso l’autorizzazione per la valutazione di impatto ambientale relativa al progetto di realizzazione di un parco eolico off-shore al largo di Civitavecchia.

A esprimere il proprio entusiasmo è anche il Segretario Regionale Ugl Lazio Armando Valiani e la responsabile territoriale Fabiana Attig.

Il progetto

Il progetto prevede l'installazione di 27 turbine eoliche galleggianti collocate a oltre venti chilometri dalle coste locali, per una produzione energetica complessiva di 540 megawatt.

Il sindacato ha sottolineato l'importanza di avviare fin da ora la progettazione dell'hub produttivo per la produzione in loco di tutti i componenti necessari, considerando la continuazione del processo procedurale: “È imperativo – hanno spiegato Valiani e Attig – coinvolgere le istituzioni locali nelle questioni sindacali; in tale contesto, si auspica un segnale concreto dalle alte cariche politiche, alla luce della delicata situazione dei lavoratori metalmeccanici a rischio di perdere il lavoro a causa della transizione energetica. Si attendono a livello nazionale l'implementazione di provvedimenti che favoriscano la realizzazione delle infrastrutture necessarie. Tuttavia, fino ad oggi, si è assistito solamente a dibattiti riguardo a tale questione”.

Cosa comporta?

Ma quali effetti potrebbe avere un parco eolico off-shore al largo di Civitavecchia? Prima di tutto, un impatto occupazionale marginale: un primo passo questo, notevolmente distante dalle garanzie precedentemente offerte dalle attività lavorative locali: “L'unico sviluppo economico tangibile per la comunità – concludono Valiani e Attig – è strettamente legato alla creazione dell'hub, della logistica e della cantieristica dove saranno fabbricati e assemblati i vari componenti degli impianti, il che richiederà anche un adeguamento strutturale del porto e del territorio del Comune”.

E dal punto di vista ambientale? L'energia eolica non produce alcuna emissione di Co2, Nox e So2. Si tratta di un tipo di energia priva di tutti gli elementi inquinanti che caratterizzano le centrali a combustibile fossile e quelle nucleari.

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Eventi estremi, la ‘mappa’ delle aree più a...

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Uno studio Enea pubblicato sulla rivista Safety in Extreme Environment ha permesso di identificare le aree del nostro Paese più a rischio di mortalità per eventi climatici estremi

Alluvione - (Fotolia)

Trentino-Alto Adige in testa, seguita da Lombardia, Sicilia, Piemonte, Veneto e Abruzzo. Uno studio Enea pubblicato sulla rivista Safety in Extreme Environment ha permesso di identificare le aree del nostro Paese più a rischio di mortalità per eventi climatici estremi, che dal 2003 al 2020 hanno causato complessivamente 378 decessi, di cui 321 per frane e valanghe, 28 per tempeste e 29 per inondazioni.

Le regioni più a rischio

Le regioni con il maggior numero di decessi e di comuni coinvolti sono risultate: Trentino-Alto Adige (73 decessi e 44 comuni), Lombardia (55 decessi e 44 comuni), Sicilia (35 decessi e 10 comuni), Piemonte (34 decessi e 28 comuni), Veneto (29 decessi e 23 comuni) e Abruzzo (24 decessi e 12 comuni), con un alto numero di comuni a rischio riscontrato anche in Emilia-Romagna (12), Calabria (10) e Liguria (10). Tra le regioni ad alto rischio c’è anche la Val d’Aosta con 8 decessi, un numero elevato se si tiene conto degli abitanti complessivi.

“La mortalità è l’unico indicatore sanitario immediatamente disponibile per tutti i comuni italiani e la Banca Dati Epidemiologica dell’Enea consente di effettuare studi sull’intero territorio nazionale utilizzando la mortalità per causa come indicatore di impatto”, spiega Raffaella Uccelli, ricercatrice del Laboratorio Enea Salute e Ambiente e coautrice dello studio insieme alla collega Claudia Dalmastri.

Dallo studio emerge inoltre che circa il 50% dei 247 comuni italiani con almeno un decesso è costituito da centri montani o poco abitati, dove il rischio di mortalità associata a eventi meteo-idrogeologici estremi potrebbe essere connesso alla loro fragilità intrinseca e alle difficoltà degli interventi di soccorso.

“A livello demografico le vittime sono state 297 uomini e 81 donne. La ragione di questa disparità fra i sessi potrebbe essere collegata, almeno in parte, a diversi stili di vita, alle attività svolte, agli spostamenti casa-lavoro e ai tempi diversi trascorsi all’aperto”, sottolinea Claudia Dalmastri.

Eventi estremi in aumento

Nel nostro paese, oltre il 90% dei comuni e oltre 8 milioni di abitanti sono a rischio a causa di eventi climatici estremi, in particolare frane (1,3 milioni di abitanti) e inondazioni (6,9 milioni di abitanti). Da gennaio a maggio 2023, si sono verificati 122 eventi meteorologici estremi rispetto ai 52 registrati nello stesso periodo del 2022 (+135%)(dati Legambiente 2023) e le regioni più colpite sono state Emilia-Romagna, Sicilia, Piemonte, Lazio, Lombardia, Toscana. Tutte queste aree, eccetto il Lazio, sono state identificate come a rischio anche nello studio Enea.

“Gli eventi meteo estremi stanno aumentando di frequenza e intensità a causa dei cambiamenti climatici, con conseguenze drammatiche su territori e popolazioni, in particolare sugli over 65, la cui percentuale in Italia è aumentata del 24% in 20 anni. Conoscere le aree a più alto rischio anche per la mortalità associata diventa quindi fondamentale per definire le azioni prioritarie di intervento, allocare risorse economiche, stabilire misure di allerta e intraprendere azioni di prevenzione e di mitigazione a tutela del territorio e dei suoi abitanti”, conclude Raffella Uccelli.

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Piantare alberi nel modo giusto, la scienza in soccorso del...

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Piantare alberi nel modo giusto, la scienza in soccorso del policy-making

Non c’è organizzazione, governo nazionale o locale che negli ultimi anni non abbia promesso di piantare degli alberi per combattere il riscaldamento globale. Gli esperti di The Nature Conservancy, ente non profit con sede ad Arlington, negli Stati Uniti, li mettono in guardia: non tutte queste iniziative contribuiscono al benessere del Pianeta. I progetti che non tengono conto dell’albedo, il potere riflettente di una superficie, rischiano di sovrastimare i loro effetti positivi del 20-80%. Lo riporta Agence France-Presse.

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