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Economia

E-Wallet, Simoni (Fbk): “Funzionalità e sicurezza dell’app saranno testate con i cittadini”

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“Realizzeremo insieme a PagoPA una piattaforma con funzioni specifiche e profilate, per provarla sceglieremo un gruppo di cittadini con competenze digitali diverse, compreso chi non sa nulla di digitale, in modo da far emergere subito i problemi”. Così Andrea Simoni, segretario generale della Fondazione Bruno Kessler, ha spiegato i prossimi passi nella realizzazione dell’e-wallet italiano al panel “Il wallet europeo: una scelta strategica per l’Italia”, nell’ambito della 18esima edizione del Festival dell’Economia di Trento.

“Questi test — ha aggiunto Simoni — ci servono per verificare sia la funzionalità che la sicurezza, che è fondamentale e va affrontata all’inizio del progetto e non ex post, quindi avvieremo dei test automatici per mantenere un livello di sicurezza adeguato man mano che svilupperemo il sistema, infine lo porteremo in sede europea dove sarà confrontato con altre esperienze simili fatte negli altri Stati membri”.

Il wallet europeo è un progetto digitale di integrazione che permetterà ai cittadini di utilizzare i servizi offerti da operatori pubblici e privati in tutta Europa. Servirà a fornire prova dell’identità personale, firmare documenti o acquistare farmaci in qualunque parte dell’Unione. In questa fase si stanno definendo le specifiche del progetto e non è chiaro quando inizierà la parte operativa, sulla quale deciderà collegialmente la Commissione europea.

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Condoni, in 50 anni incassati 148 miliardi: target sempre mancati

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Dalle sanatorie alla rottamazione e pacificazione fiscale, l'analisi dell'Ufficio studi Cgia 'boccia' le misure: "Contributo molto modesto al contrasto dell'evasione"

Agenzia delle Entrate - Fotogramma

Negli ultimi 50 anni la politica dei condoni adottata nel nostro Paese ha consentito all’erario di incassare complessivamente 148,1 miliardi di euro (importo rivalutato al 2022). A segnalarlo è l’Ufficio studi della Cgia, ricordando che in termini economici, la sanatoria fiscale del 2003 è stata quella più “redditizia” per le casse dello Stato: in 6 anni (2003-2008) tra concordato fiscale, chiusura liti pendenti, definizione ritardi od omessi versamenti, regolarizzazione delle scritture contabili, etc., sono stati ‘recuperati’ 28 miliardi di euro. Seguono il condono tombale introdotto nel 1991 che fino al 1994 ha garantito 10,4 miliardi e il concordato/sanatoria delle scritture contabili istituito nel 1995 che fino al 2000 ha assicurato 8,4 miliardi di euro di gettito.

Per la Cgia “sebbene siano molto discutibili da un punto di vista etico, anche dal lato economico l’applicazione dei condoni non ha garantito grossi risultati economici alle casse dello Stato. Anzi. “Alla luce degli incassi ottenuti a partire dal 1973, possiamo affermare che gli scudi, i concordati, le rottamazioni, i condoni, le sanatorie e le pacificazioni fiscali hanno contribuito in misura molto modesta a contrastare l’evasione fiscale che nel nostro Paese rimane ancora molto elevata e pari a quasi 90 miliardi di euro all’anno. Ricordiamo – continua l’associazione – che nel 2020, ultimo dato disponibile, il peso dell’economia non osservata sul valore aggiunto nazionale era all’11,6 per cento, pari a 174,6 miliardi di euro”.

Di quest’ultimo importo, l’economia sommersa era pari a 157,4 miliardi e le attività illegali 17,3 miliardi. L’evasione fiscale e contributiva, invece, si aggirava attorno ai 90 miliardi di euro (78,9 miliardi imputabili all’evasione tributaria e 10,8 miliardi all’evasione contributiva)”. Applicando al valore aggiunto sommerso un coefficiente determinato dal rapporto del gettito fiscale e il valore aggiunto desumibile dalla contabilità nazionale al netto dell’economia non osservata, l’Ufficio studi della CGIA è riuscito a calcolare anche l’evasione a livello regionale.

Il dato di partenza è che se a ogni 100 euro di gettito incassato dal fisco, gli italiani ne evadessero mediamente 13,2. Se la stessa simulazione la riproduciamo a livello regionale, la situazione più critica la scorgiamo nel Mezzogiorno: nella classifica di euro evasi ogni 100 euro incassati, in Puglia gli evasori se ne trattengono 19,2 euro, in Campania 20 e in Calabria, maglia nera d’Italia, 21,3. Si tratta di cifre doppie rispetto ai 10,6 euro che si registrano in Friuli Venezia Giulia, ai 10,2 euro in Provincia di Trento e ai 9,5 euro in Lombardia. Il territorio nazionale più fedele al fisco è la Provincia di Bolzano che presenta un’evasione di soli 9,3 euro ogni 100 incassati

Dai condoni edilizi introdotti dal legislatore nel 1985, nel 1994 e nel 2003 si stima che i Comuni abbiano incassato poco più di 15 miliardi di euro (importo non attualizzato al 2022). Nel primo il gettito è stato pari a 3,1 miliardi, nel secondo a 5,2 miliardi e nel terzo a poco più di 7 miliardi. Anche in questo caso, così come per le sanatorie di natura fiscale, gli incassi sono stati decisamente più contenuti delle aspettative. Nel condono introdotto dal governo Craxi I fu incassato solo il 58 per cento del gettito previsto, quello approvato dal governo Berlusconi I il 71 per cento e quello istituito dal governo Berlusconi II solo il 34,5 per cento.

E nonostante queste misure fossero state approvate anche con l’obbiettivo di porre fine al fenomeno dell’abusivismo edilizio, i risultati ottenuti sono stati insignificanti. Sebbene negli ultimi in anni sia in leggero calo, nel 2022 l’abusivismo edilizio ha registrato il suo picco massimo in Basilicata e in Calabria, entrambe con una percentuale del 54,1 per cento. Seguono la Campania con il 50,4 per cento, la Sicilia con il 48,2 per cento e la Puglia con il 34,8 per cento. Le regioni, infine, meno interessate dalla “piaga” dell’abusivismo edilizio sono state il Piemonte e la Valle d’Aosta, tutte e due con il 4,2 per cento, e, in particolar modo, il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia, ambedue con un livello del 3,3 per cento. Il dato medio nazionale si è attestato al 15,1 per cento.

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Economia

Stufa a pellet, ecco i bonus per uno sconto sull’acquisto

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Quali sono le possibilità ancora in campo per ammortizzare i costi

Stufa a pellet - 123RF

Con la fine del gran caldo e con i primi sentori di un autunno in procinto di coglierci, il pensiero vola al freddo inverno che presto arriverà, soprattutto nelle Regioni del nord Italia. Dopo la notizia che il bonus riscaldamento non sarà varato e che il bonus sociale riguarderà non tutta la popolazione, inevitabilmente si inizia a pensare a come risparmiare sul costo del riscaldamento per la stagione fredda.

Uno dei modi più concorrenziali per riscaldare la casa negli ultimi anni è stato rappresentato dal pellet, anche se lo scorso anno, complice il conflitto russo – ucraino, anche i prezzi di questo combustibile sono lievitati non poco.

Per chi desidera acquistare una stufa a pellet il problema più immediato è rappresentato dai costi non propriamente bassi che bisogna sostenere. La stufa a pellet ha un prezzo che può variare dai 700 euro fino a superare i 2.000 euro. Considerando, poi, che deve essere un complemento d’arredo con cui convivere per diversi anni, oltre che un sistema di riscaldamento, va da sé che la cura estetica ha il suo peso, insieme alla potenza e alla versatilità. Più è grande l’ambiente da riscaldare e più, ovviamente, salgono le spese da affrontare: per una casa di 100 metri quadri, ad esempio, la spesa varia dai 1.500 ai 3.000 euro.

Proprio perché la spesa è tutt’altro che a buon mercato e perché per ammortizzare l’investimento si impiegherà qualche anno, è bene sapere – spiega Money – che esistono ancora diversi bonus in vigore per poter risparmiare, attraverso le detrazioni fiscali, su questa importante spesa. Oltre al Superbonus al 110%, a cui possono accedere ormai davvero in pochissimi, su quali altre agevolazioni si può contare per risparmiare sull’acquisto della stufa a pellet? Il bonus ristrutturazioni permette ancora di poter fruire sulla detrazione al 50% sugli interventi di manutenzione straordinaria finalizzati all’utilizzo di fonti di energia rinnovabile. L’installazione di una stufa a pellet vi rientra e si può fruire di una detrazione al 50% su una spesa massima di 96.000 euro, recuperando lo sconto in 10 quote di pari importo suddivise in 10 anni.

Altra misura di cui si può fruire è l’ecobonus che permette di avere una scontistica che varia dal 50% all’85%. Per la stufa a pellet il limite di spesa su cui sfruttare la detrazione, recuperabile sempre in 10 quote in 10 anni, è di 30.000 euro mentre la spesa massima detraibile in caso di lavori condominiali (sempre riferiti alla singola unità abitativa) è più alta.

In ultimo è possibile godere del Bonus al 65% riconosciuto dal Gestore dei Servizi Energetici in questo caso la domanda si presenta direttamente al GSE al termine dei lavori. Se il beneficio si fruisce su una somma fino a 5.000 euro si riceve il bonifico della detrazione entro 2 mesi, se è di importo superiore si beneficerà del rimborso in rate annuali spalmate in 5 anni.

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Economia

Prezzi e tassi alti bloccano economia, soffre l’industria: previsioni Csc a tinte fosche

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Le prospettive economiche del Paese nel bollettino del Centro studi Confindustria: il punto su imprese, inflazione e mutui

Industria, operai al lavoro - Afp

Se non è rischio recessione poco ci manca, con il Centro studi di Confindustria che disegna a tinte fosche le prospettive economiche del Paese nel consueto bollettino ‘Congiuntura flash’. “Dopo la caduta nel 2° trimestre – si legge -, il Pil italiano infatti è stimato debole anche nel 3° e le attese sul 4° non sono migliori: al calo di industria e costruzioni si affianca la battuta d’arresto nei servizi. E non si fermano i rialzi dei tassi Bce mentre il credito è in caduta assieme alla liquidità e il costo dell’energia torna a salire”, con contraccolpi sui consumi e gli investimenti. Latita la domanda estera”.

E se la parabola dei prezzi registra un calo lento e differenziato, la Bce “ha deciso un altro aumento, a 4,50%, perché prevede un’inflazione troppo alta troppo a lungo” anche se “ha ammorbidito il tono su eventuali ulteriori mosse”. Anche la Fed a settembre ha tenuto fermo il tasso Usa a 5,50%, non escludendo nuovi rialzi e i mercati ora, annotano ancora gli economisti di viale dell’Astronomia “ritengono altri rialzi negli Usa e nell’Eurozona possibili, ma non probabili, intravedendo i primi tagli entro il 2024”.

Ma la situazione sul fronte del credito resta difficile: “Prosegue la corsa del costo del credito (5,09% a luglio) per le imprese italiane e peggiora la caduta dei prestiti (-4,0% annuo)”. Una quota crescente di imprese non ottiene credito (8,2% a settembre), denuncia il Csc: “La domanda è frenata da condizioni troppo onerose ma pesano anche i più rigidi criteri di accesso. Perciò, la liquidità delle imprese si sta prosciugando (-10,1% in un anno i depositi), mentre aumentano i ritardi nei pagamenti e il deterioramento dei vecchi prestiti”.

Non meglio la situazione nei servizi che ha “esaurito la ripresa”, spiega il Centro Studi. “A settembre, la fiducia delle imprese del settore è scesa ancora. Non basta più il buon andamento del turismo: a luglio, +10,0% sul 2022 la spesa degli stranieri in Italia (+20,4% sul 2019) e anche i passeggeri in aeroporto si mantengono oltre i volumi pre-crisi (+3,7%)”. E soffre anche l’industria.

“A luglio la produzione ha subito una nuova caduta (-0,7%; da inizio anno -1,9%), dopo il recupero di maggio-giugno (+0,2% acquisito nel 3° trimestre). La flessione è concentrata tra i beni di consumo durevoli (-4,4% a luglio)”, annota ancora viale dell’Astronomia che ricorda come al miglioramento di agosto abbia fatto però riscontro a settembre una nuova caduta della fiducia delle imprese. “Anche nel settore edile forte calo a luglio (-1,6%, -4,3% da inizio anno) e in agosto l’RTT traccia una timida risalita del fatturato”.

Giù infine la domanda interna. “Il calo degli investimenti nel 2° trimestre (-1,8%) è dovuto alle costruzioni (-3,6%) e, in parte, agli impianti-macchinari (-0,2%). I segnali più recenti dai beni strumentali sono negativi: produzione in calo a luglio, meno fiducia a settembre. Per i consumi, fermi nel 2° trimestre, si è avuto un continuo calo del sentiment nel 3°. I beni restano penalizzati rispetto ai servizi: a luglio meno vendite al dettaglio (-0,2% in volume) e in agosto l’Icc rileva un’ulteriore flessione, dovuta ai beni”, continua ad elencare Confindustria che indica anche come, “dopo mesi di crescita a luglio si sia registrata la prima incertezza nel mercato del lavoro” che si è tradotto in 73mila occupati in meno: “un freno ai redditi” spiega. In calo anche l’export sia nei mercati Ue che in quelli extra-Ue: “alla debolezza delle vendite in Germania, si è aggiunta una battuta d’arresto di quelle negli Stati Uniti”, conclude Congiuntura flash.

E’ lento quindi il calo dell’inflazione italiana scesa al +5,3% annuo a settembre, spiega ancora il Centro studi di Confindustria che disegna una parabola al rallentatore per la dinamica dei prezzi made in Italy. “I prezzi core di beni e servizi rallentano (+3,9%), mentre per gli alimentari la moderazione è ancora agli inizi (+8,6%) grazie alla flessione recente delle materie prime”, si legge in Congiuntura flash. “I prezzi energetici al consumo crescono poco (+1,7% annuo), ma a settembre le quotazioni di gas e petrolio sono risalite (35euro/mwh e 93 dollari/barile)”, annota ancora.

Ammonta a 4,6 miliardi annui – in totale – l’aggravio di interessi che grava sulle famiglie italiane per via di una stretta sui tassi che ha un impatto considerevole., segnala ancora il Centro Studi Confindustria, evidenziando come l’aumento dei tassi è di +2,84 punti percentuali fino a luglio 2023, che pesano su uno stock di mutui di 425 miliardi di euro, di cui pero’ vanno considerati solo quelli a tasso variabile, stimati al 38% del totale (162 miliardi). Al momento, continua il Csc, il maggiore onere connesso all’aumento degli interessi è abbastanza concentrato, perché riguarda solo le famiglie che hanno comprato casa con un mutuo variabile, una quota che è stimata pari al 4,9% delle famiglie italiane (1,2 milioni, su 25,6 totali). Cioè i 4,6 miliardi di interessi in più nel 2023 sono pagati solo da queste famiglie, per le quali i maggiori tassi corrispondono a +3.683 euro di interessi nell’anno (+307 al mese, un aumento consistente della rata per una famiglia con un mutuo residuo medio di circa 130mila euro).

Ipotizzando un rinnovo completo dello stock di mutui, ai tassi attuali, l’aggravio di interessi annui per le famiglie italiane salirebbe a +12,1 mld; questo coinvolgerebbe anche le famiglie che ora sono al riparo, perché tutti i nuovi prestiti saranno più cari, anche quelli a tasso fisso. Inoltre, per una famiglia con mutuo variabile oggi e altri 5 anni di rate da pagare, a tassi invariati, l’aggravio complessivo di interessi è di circa 11mila euro (l’acquisto della casa costa molto di più, il 9% del mutuo residuo nel 2023); per 10 e 15 anni di rate l’aggravio arriva a +20mila e +29mila a famiglia. Si tratta comunque di stime ipotetiche visto che ci si attende una discesa dei tassi nei prossimi due anni, riconsoce il Csc.

Quanto però all’impatto sul reddito spendibile (al netto della rata di mutuo) e sui consumi nel 2023 la parte di famiglie colpite, che hanno scelto il mutuo variabile perché inizialmente meno oneroso, lo è in modo marcato, tanto da essere quasi certo che saranno costrette a tagliare la spesa in altri beni e servizi. Peraltro per le famiglie, il rialzo dei tassi colpisce anche il credito al consumo utilizzato per l’acquisto di beni durevoli (es. automobili, elettrodomestici). L’aumento dei tassi è stato identico a quelli sui mutui (+2,84 punti percentuali), ma lo stock di tali crediti è decisamente inferiore (circa 120 miliardi di euro). La differenza cruciale è che per questo tipo di prestiti tipicamente la rata è fissa, per cui non si ha un impatto sui debiti in essere. Ma per le nuove operazioni il rialzo dei tassi pesa e potrebbe abbattere la domanda.

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Economia

Mediobanca, da eredità a lista per cda sale tensione in Delfin

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Attesa decisione su consiglieri

Piazzetta Cuccia (Fotogramma)

Sale il livello dello scontro in casa Delfin. A far aumentare le fibrillazioni nella grande famiglia Del Vecchio, già alle prese con la spinosa questione dell’eredità di Leonardo, il fondatore dell’impero deceduto nel giugno del 2022, è ora anche il dossier Mediobanca sul quale nelle ultime ore si è consumata una spaccatura tra i fratelli. Paola, Luca e Clemente Del Vecchio sono scesi in campo chiedendo in una lettera chiarimenti al cda della cassaforte lussemburghese sulle mosse intraprese nella partita sulla governance di Piazzetta Cuccia e, soprattutto, lamentandone la mancata informazione. In particolare i tre figli hanno chiesto se il ceo Francesco Milleri si stesse muovendo in autonomia o con il consenso del board. A sua volta, il cda ha risposto che Milleri si è mosso con il voto unanime del board.

Ora, alla luce del nuovo colpo di scena, fonti interpellate assicurano che non dovrebbero esserci, comunque, impatti e contraccolpi sulle decisioni sulla lista che Delfin dovrà presentare entro il 3 ottobre prossimo. L’orientamento, salvo cambiamenti, sarebbe quello di presentare una lista di 5 consiglieri con nomi di peso.

La mossa dei tre figli va di certo ad alimentare le tensioni innescate dalle vicende ereditarie. Ad oggi sembra che la chiusura del capitolo della successione del patron di Luxottica slitterà ai primi mesi del 2024. Tempi più lunghi del previsto non tanto per la stima del patrimonio che è stata completata ma per la possibilità di alcune cessioni. Intanto quattro dei sei figli del fondatore avrebbero accettato l’eredità con beneficio di inventario. Alcuni degli eredi come il primogenito Claudio e Leonardo Maria (avuto da Nicoletta Zampillo che Leonardo Del Vecchio sposò due volte e che è sua erede) partecipano alla vita dell’azienda, così come il figlio avuto da Zampillo nel suo primo matrimonio, Rocco Basilico, mentre altri non sono operativi nel gruppo anche per la giovane età: è il caso dei due figli nati dall’unione con Sabina Grossi, Clemente Del Vecchio, oggi diciannovenne, e Luca Del Vecchio, classe 2001.

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Economia

Dopo critiche Ivass a governance Leone, attesa per risposta Generali

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Il gruppo ha 30 giorni di tempo per le controdeduzioni ai rilievi contenuti nell'ispezione condotta dall'Istituto, ma potrebbe chiedere una proroga

La sede di Generali

Mentre si avvicina la scadenza del 3 ottobre, in cui saranno definite le candidature per il cda Mediobanca, gli occhi sono puntati sul dossier ‘parallelo’ Generali, alla luce del risultato dell’ispezione sulla governance del Leone condotta dall’Ivass tra ottobre 2022 e marzo 2023. Un’attività che l’istituto ha deciso di avviare un anno fa dopo “l’accesa dialettica” che ha caratterizzato il processo di nomina del nuovo vertice, con due liste contrapposte in occasione dell’assemblea di bilancio dell’aprile 2022 e il confronto sulla sostituzione del membro dimissionario del Cda Caltagirone. Troppo importante il gruppo triestino per il sistema assicurativo italiano per non approfondire gestione e governance in una analisi durata sei mesi e caratterizzata da una interlocuzione costante fra istituto e management.

Se sul fronte gestionale Generali è uscita ‘promossa’ dall’attività ispettiva, sul piano del governo societario sono emersi punti critici. Una governance “non soddisfacente” sulla quale si sono appuntate le osservazioni dell’Ivass, con criticità che non sono state giudicate così robuste da giustificare sanzioni ma che vanno comunque corrette, o perlomeno giustificate.

A questo punto l’attenzione è per le controdeduzioni che il Leone dovrà presentare entro 30 giorni dalla consegna del Rapporto, avvenuta a inizio settimana: un mese che però andrà a scadere proprio alla vigilia dell’assemblea di Mediobanca, in calendario il prossimo 28 ottobre. Ma a questo punto, per evitare di aggiungere altra carne al fuoco, da Generali potrebbe partire un richiesta di proroga.

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Sud, Romano: “Investimenti vanno coniugati a visione strategica”

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"Senza una ricucitura del sistema sociale non può esserci sviluppo"

Saverio Romano  - (Fotogramma/Ipa)

“Gli investimenti se non sono strategici e coordinati possono anche essere dannosi”, dichiara Saverio Romano deputato e vicepresidente della Fondazione Magna Grecia, alla seconda giornata della V edizione di ” ‘SUDeFUTURI’, energie al sud tra storia e innovazione. Risorse, ostacoli e opportunità” . Il meeting internazionale organizzato dalla Fondazione Magna Grecia nell’ottocentesca Villa Matarazzo di Santa Maria di Castellabate, rappresenta un importante momento di confronto sui possibili futuri del Mezzogiorno, vede la partecipazione come media partnership del gruppo Pubbliemme–Diemmecom–LaC Network–ViaCondotti21, la collaborazione di AdnKronos e della Fondazione Pio Alferano, il patrocinio dei Comuni di Castellabate, Capaccio Paestum e del Parco nazionale del Cilento.

“Gli investimenti vanno coniugati necessariamente ad una visione strategica – continua Romano – ad un programma di sviluppo per il territorio ed oggi stiamo parlando di questo di come affrontare il tema degli investimenti ora che attraverso il piano nazionale di ripresa e resilienza, attraverso i fondi di coesione questo sud può avere veramente le risorse che però se non spese bene diventano un danno”.

“Senza una ricucitura del sistema sociale non può esserci sviluppo noi abbiamo una necessità di rimettere in piedi una società che purtroppo nel corso degli anni si è degradata. Abbiamo la necessità di formare i giovani di tenerli nel territorio incentivando la loro presenza, dobbiamo dare risposta immediata alle esigenze abitative non solo delle famiglie ma anche dei giovani che studiano, dobbiamo dare risposte in termini di qualità di formazione. Il nostro compito è investire sulla formazione”.

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‘SudeFuturi’, come rigenerare gli immobili pubblici

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Il meeting internazionale organizzato dalla Fondazione Magna Grecia nell’ottocentesca Villa Matarazzo di Santa Maria di Castellabate, rappresenta un importante momento di confronto sui possibili futuri del Mezzogiorno

'SudeFuturi', come rigenerare gli immobili pubblici

La V edizione di “SUDeFUTURI’, energie al sud tra storia e innovazione. Risorse, ostacoli e opportunità” il meeting internazionale organizzato dalla Fondazione Magna Grecia nell’ottocentesca Villa Matarazzo di Santa Maria di Castellabate, rappresenta un importante momento di confronto sui possibili futuri del Mezzogiorno e vede la partecipazione come media partnership del gruppo Pubbliemme–Diemmecom–LaC Network–ViaCondotti21, la collaborazione di AdnKronos e della Fondazione Pio Alferano, il patrocinio dei Comuni di Castellabate, Capaccio Paestum e del Parco nazionale del Cilento.

“Gli immobili non più utilizzati – dice Nuccio Altieri, presidente di Invimit- creano situazioni di degrado e non di sviluppo anzi creano un grande cono d’ombra nei territori dove insistono. È per questo che stiamo chiudendo questo grande bando nazionale sugli studentati. Sono felice che tra gli oltre cento immobili candidati ad ospitare studentati nelle città universitarie ce ne sono una metà nel centro sud e una metà nel centro nord. Questo sicuramente aiuterà i ragazzi a trovare situazioni alloggiative più economiche e più confortevoli e migliorerà l’offerta formativa soprattutto al centro sud dove ci sono grandi eccellenze formative ma necessitano di servizi alloggiativi per gli studenti”.

Il progetto “si sviluppa in tutte le regioni di Italia, in ogni regione abbiamo trovato immobili che si prestano a questo servizio, che siano vicine alle sedi universitarie e che abbiano almeno 2.500 metri quadri per realizzare delle strutture moderne, degli smart hotel con servizi modulari per dare la possibilità ai ragazzi di avere un servizio efficiente contemporaneo ed economico per attrarre anche studenti da fuori Italia”.

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Economia

Focus su ‘Codice unico degli affari’ a Roma, diventi progetto italiano

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L'iniziativa che si è tenuta a Roma nella sede di Europa Experience-David Sassoli, in piazza Venezia, a cura dell’avvocato Antonio Biasi, il presidente dell’Associazione degli Amici del diritto continentale

Focus su 'Codice unico degli affari' a Roma, diventi progetto italiano

Arrivare all’approvazione di un ‘Codice unico degli Affari’ per tutti i Paesi europei, un Codice europeo delle imprese. La richiesta a Paolo Gentiloni, Commissario agli Affari economici della Commissione europea, a Mario Draghi, incaricato dalla Commissione di delineare il futuro della competitività dell’industria Ue e a Enrico Letta, incaricato dal Consiglio Ue di preparare un rapporto sul futuro del mercato unico, arriva dall’iniziativa che si è tenuta a Roma nella sede di Europa Experience-David Sassoli, in piazza Venezia, a cura dell’avvocato Antonio Biasi, il presidente dell’Associazione degli Amici del diritto continentale. Obiettivi: portare il progetto all’attenzione della classe politica italiana e farlo diventare un progetto italiano, con l’appoggio di Francia, Germania e Spagna, dove già è avviato un lavoro politico e accademico.

Il Codice unico, applicabile a tutti gli Stati membri, è un insieme di norme di diritto commerciale, societario, civile, contrattuale, bancario, dell’economia e dei mercati finanziari, fiscale, del lavoro, della concorrenza e della proprietà intellettuale. Il testo è pronto, preparato da 100 esperti di vari Paesi, coordinati dall’Associazione Henri Capitant, che nel 2015 ha fatto nascere il progetto. E’ stato calcolato che le regole unificate potrebbero far crescere il commercio tra Stati membri del 35 per cento, con effetti positivi sull’innovazione, sulla crescita e sul potere d’acquisto degli europei.

“Il Codice unico, vale a dire una reale semplificazione delle norme, può avere un impatto reale sull’integrazione europea”, spiega Stefania Craxi, Presidente della Commissione esteri e difesa del Senato. Il Codice unico, aggiunge Maria Elena Boschi, capogruppo di Italia Viva alla Camera, “ha come effetti l’attrazione degli investimenti e l’aumento della competitività. E’ un aiuto per i paesi più deboli, con lingue meno diffuse”. Il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto ha inviato un messaggio: “Il mercato interno europeo deve essere tutelato e rafforzato contrastando squilibri a favore degli Stati membri che hanno maggiore leva fiscale e garantendo ‘level playing field’, parità di condizioni”.

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Economia

Tim lancia le ‘cabine digitali’

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Per accedere in modalità touch screen a diversi servizi e contenuti anche di pubblica utilità. L'amministratore delegato Labriola: "Saranno anche un presidio per la sicurezza delle donne"

Tim lancia le 'cabine digitali'


Tim lancia le nuove cabine digitali che permettono di accedere in modalità touch screen a una vasta gamma di servizi e contenuti digitali, tra cui quelli di pubblica utilità. Le stazioni ‘intelligenti’ realizzate in collaborazione con Urban Vision, sono state presentate in anteprima da Pietro Labriola, amministratore delegato del Gruppo Tim in occasione della giornata conclusiva dell’Italian Tech Week. Apripista del progetto sarà il Comune di Milano che, già nel 2024, renderà sempre più smart e sostenibili vie e piazze della città. Caratterizzate da un design completamente rinnovato, le cabine digitali rappresentano un presidio evoluto e inclusivo con applicazioni sensoristiche che consentiranno anche alle persone con disabilità motorie, barriere linguistiche o visive, di accedere alle informazioni e ai servizi digitali in modo personalizzato, semplice e veloce.

Le nuove cabine rappresenteranno per i cittadini una vera e propria ‘stazione digitale’ per poter fruire di servizi di infotainment, di ricarica degli smartphone, di pagamenti digitali e ticketing, di chiamate gratuite verso numeri fissi e mobili nazionali. Inoltre, le cabine digitali, che rientrano nel più ampio progetto di Tim ‘La parità non può aspettare’ per il gender gap, rappresentano un importante presidio per la sicurezza di fronte a situazioni di potenziale rischio. Attraverso, infatti, il tasto ‘Women+’ è possibile accedere in tempo reale ad un servizio di supporto con operatore per segnalare, gestire ed assistere la persona che ne faccia richiesta. Si tratta di una funzionalità a valenza sociale che mette a disposizione della collettività uno strumento di contrasto agli episodi di violenza nei confronti delle donne o dei fenomeni di microcriminalità. Rilevante anche il supporto alla cultura, al turismo ed alle informazioni istituzionali che in tempo reale il Comune vorrà fornire alla propria cittadinanza, ad esempio l’offerta artistica della città, dei cinema, teatri, musei, concerti ed eventi, acquistare i biglietti, scegliere un ristorante, prenotare un taxi, verificare le previsioni meteo e orari dei mezzi di trasporto, ottenere informazioni sulla viabilità.

La nuova cabina si integra nel modello di Smart City promosso da Tim che, grazie alle nuove tecnologie basate sull’Intelligenza Artificiale, 5G e IoT- ha l’obiettivo di realizzare spazi urbani più vivibili, sostenibili e sicuri capaci di valorizzare anche il patrimonio culturale e artistico. La progettazione delle cabine rispetta i più avanzati standard di sostenibilità (Life cycle thinking) che azzerano completamente l’impronta di carbonio (carbon footprint) attraverso sistemi di compensazione sul territorio locale certificati a livello internazionale. Il progetto intende valorizzare una parte del patrimonio storico della telefonia pubblica tradizionale in corso di dismissione sul territorio nazionale. L’avvio del progetto coinvolgerà la città di Milano, dove saranno progressivamente installate circa 450 postazioni, l’iniziativa si estenderà successivamente in altre 13 principali città italiane per un totale di circa 2.500 cabine digitali.

“L’innovazione è la chiave per offrire soluzioni più efficienti e portare benefici concreti alla collettività. Con questo progetto trasformiamo la cabina tradizionale, nata negli anni ’50, in uno sportello multiservizi di nuova generazione che contribuirà a rendere le nostre città più sostenibili” dice Pietro Labriola, ad di Tim. “Abbiamo così colto l’opportunità di dare una seconda vita ad una parte del nostro patrimonio, ormai superato dalle nostre abitudini, per farlo evolvere e diventare anche un importante presidio di sicurezza per le donne in situazioni di pericolo – ha aggiunto Labriola in occasione della presentazione dell’iniziativa all’Italian Tech Week – le cabine telefoniche si trasformeranno così in uno strumento a disposizione dei cittadini e che conferma il nostro impegno per l’inclusione, di genere e sociale, nell’era delle smart city”.

“Siamo sempre positivi. Il mercato mi sembra che cominci a dare segnali di razionalizzazione” dice Labriola. “Stiamo facendo tre mestieri allo stesso tempo perché abbiamo un rifinanziamento di 4 miliardi di debito, stiamo gestendo l’operatività dell’azienda che comunque sta dando segni di miglioramento e stiamo gestendo una operazione straordinaria. Quindi non è una cosa banale”.

Interpellato poi in merito al nuovo piano, l’ad di Tim, Labriola, ha osservato che “indipendentemente dal fatto che si venda o meno la rete i nostri piani sono sempre stati impostati dividendo le varie attività di business. Dal punto di vista della operatività, quindi, nulla a che vedere con l’operazione straordinaria (Netco, ndr.)”. “L’aver avviato questa operazione – ha aggiunto Labriola – sta mettendo in evidenza come noi possiamo migliorare su numerosi processi. Sino ad oggi nelle strutture non c’era una chiara responsabilità sul costo della consumer, della enterprise, dell’attività di rete, c’era un unico conto economico. L’operazione che stiamo facendo ci sta permettendo di vedere esattamente il funzionamento dell’azienda e questo comunque sarà un output positivo che ci aiuterà anche nella costruzione del piano indipendentemente che si venda o meno”. A proposito del futuro di Tim Enterprise, Labriola dice di aver “sempre detto che nel momento in cui dovesse andare avanti la vendita della rete, Enterprise è un’azienda dalle grandi opportunità. Perché vendere una quota? Magari lo farai se necessario per attività di M&A, per scambio azionario? Un passo alla volta faremo tutto”.

“Siamo davvero orgogliosi di essere partner di Tim in questo grande progetto” aggiunge tornando sulla cabina digitale Gianluca De Marchi, amministratore delegato di Urban Vision che in collaborazione con Tim realizza le stazioni intelligenti – nello sviluppo della nuova cabina digitale Tim ci siamo basati sui principi che da sempre caratterizzano il nostro rapporto con la città: creare valore per la comunità in termini di pubblica utilità, innovazione e sicurezza, attraverso soluzioni tecnologicamente avanzate, totalmente integrate con il tessuto urbano”.

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Economia

Assegno unico Inps 2023, incremento in vista: le novità in Manovra 2024

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Il bonus mensile oggi è di 161 euro. Roccella: "Si punta in particolare sul secondo figlio"

Famiglia -


Novità in arrivo per l’assegno unico universale 2023, lo strumento introdotto in Italia a gennaio del 2022, che punta a semplificare e potenziare gli interventi diretti a sostenere la genitorialità e la natalità. Con la prossima Manovra 2024 si vorrebbe incrementare il contributo che oggi interessa 8,9 milioni di figli, beneficiari di un bonus mensile pari a 161 euro. Quali sono i requisiti? A chi spetta l’assegno? Quali sono i parametri legati alle tabelle Isee?

Il governo ha messo il capitolo ‘natalità’ in cima alla lista dei desideri della prossima legge di bilancio e il ministro per la Famiglia, Eugenia Roccella, è scesa nei dettagli, annunciando che si punterà ”in particolare sul secondo figlio e anche sul terzo. Abbiamo immaginato, diciamo così, un pacchetto secondo figlio”.

Con la prima finanziaria del governo guidato da Giorgia Meloni, ricorda il ministro, ”abbiamo aumentato l’assegno unico, che era un buon provvedimento fatto dall’ultimo governo. Lo abbiamo aumentato per il primo figlio e poi dal terzo figlio in poi, fino a tre anni, e poi lo abbiamo aumentato anche in maniera forfettaria e strutturale per le famiglie numerose”.

Le modifiche hanno portato a una spesa che nei primi 7 mesi del 2023 è arrivata a 10 miliardi di euro e, continuando di questo passo, dovrebbe arrivare a superare i 17 miliardi alla fine dell’anno. Rispetto al 2022, quando la spesa complessiva ha raggiunto i 12,5 miliardi di euro, si tratta di un incremento di 4,6 miliardi (in aumento del 37%). A incidere è l’aumento del numero di giovani beneficiari, che è passato da una media di 8,6 milioni del 2022 a 8,9 milioni (+3,8%), e delle famiglie che da 5,3 milioni sono salite a 5,6 milioni (+4,4%), che porta al risultato di 1,6 figli per famiglia beneficiaria dell’assegno.

La legge prevede che il sostegno economico alle famiglie viene attribuito per ogni figlio a carico fino al compimento dei 21 anni, in determinate condizioni, e senza limiti di età per i figli disabili. L’importo spettante varia in base alla condizione economica del nucleo familiare sulla base di Isee valido al momento della domanda, tenuto conto dell’età e del numero dei figli nonché di eventuali situazioni di disabilità dei figli. Tutti hanno diritto all’assegno unico e universale in quanto viene garantito in misura minima a tutte le famiglie con figli a carico, anche in assenza di Isee o con Isee superiore alla soglia di 43.240 euro.

L’Assegno unico oggi è riconosciuto ai nuclei familiari: per ogni figlio minorenne a carico e, per i nuovi nati, decorre dal settimo mese di gravidanza; per ciascun figlio maggiorenne a carico, fino al compimento dei 21 anni a condizione che: frequenti un corso di formazione scolastica o professionale, ovvero un corso di laurea; svolga un tirocinio ovvero un’attività lavorativa e possieda un reddito complessivo inferiore a 8mila euro annui; sia registrato come disoccupato e in cerca di un lavoro presso i servizi pubblici per l’impiego; svolga il servizio civile universale; per ogni figlio con disabilità a carico, senza limiti di età.

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