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Dalla Russia taglia sui carri armati Abrams

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Russia, giornalista Usa arrestato per spionaggio: il precedente

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(Adnkronos) – Evan Gershkovich, giornalista statunitense del Wall Street Journal, è stato arrestato in Russia con l’accusa di spionaggio. Era dal 1986 che un giornalista americano non veniva fermato in Russia. Il 2 settembre di quell’anno il capo dell’ufficio di corrispondenza di Mosca di News and World Report, Nick Daniloff, era stato arrestato con l’accusa di spionaggio formalizzata cinque giorni dopo mentre era detenuto alla prigione Lefortovo di Mosca.  

Secondo le autorità sovietiche, Daniloff – il cui nonno, generale dell’esercito imperiale russo era fuggito negli Usa dopo la rivoluzione – indosso aveva documenti sovietici classificati. L’arresto avveniva qualche giorno dopo quello di una presunta spia sovietica negli Stati Uniti, Gennadi Zakharov della missione sovietica al Palazzo di Vetro. Entrambi furono scarcerati il 12 settembre e autorizzati a rimanere nelle rispettive ambasciate in attesa del processo.  

Anni dopo, in occasione di una conferenza all’Università di Harvard, Mikhail Gorbaciov ammise che il caso Daniloff era stato uno scambio in perfetto stile da guerra fredda, quello che in inglese si definisce ‘tit for tat’.  

Il 23 settembre, 21 giorni dopo il suo arresto, Daniloff fu autorizzato a ritornare in patria senza accuse. Lo stesso valse per Zakharov. In più, l’allora dissidente Oleg Orlov, uno dei fondatori di Memorial ora coinvolto in un procedimento penale per discredito delle forze militari russe, fu rilasciato dalle autorità sovietiche.  

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Russia, chi è Evan Gershkovich: il giornalista del WSJ arrestato per spionaggio

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(Adnkronos) – Evan Gershkovich, 31 anni, è il giornalista statunitense del Wall Street Journal arrestato a Ekaterinburg con l’accusa di spionaggio ai danni della Russia. Il reporter rischia una condanna a 20 anni di reclusione secondo la legge russa. Si tratta del primo giornalista americano arrestato per spionaggio dai tempi della Guerra Fredda. “Il Servizio di sicurezza federale della Federazione russa ha fermato le attività illegali del cittadino americano Evan Gershkovich, nato nel 1991, corrispondente dell’ufficio di Mosca del quotidiano americano The Wall Street Journal”, rendono noto i servizi russi. 

Gershkovich da anni copre la Russia e le repubbliche dell’ex Unione Sovietica per una serie di testate. Dal 2017 al 2020, come scrive sul proprio profilo Facebook, ha lavorato per il Moscow Times. Quindi, è stato un reporter per l’agenzia France-Presse prima di passare al Wall Street Journal. Nel suo curriculum, anche un incarico come news assistant al New York Times. La produzione per il WSJ, come mostrano gli articoli pubblicati sul sito del quotidiano, è iniziata a febbraio 2022, poco prima dell’invasione russa in Ucraina e poco prima dell’inizio della guerra. 

 

 

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Il parlamento australiano approva per la prima volta i limiti alle emissioni di gas serra

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(Adnkronos) – Il parlamento australiano ha approvato per la prima volta leggi rivoluzionarie sul clima che prendono di mira i peggiori inquinatori della nazione, costringendo le miniere di carbone e le raffinerie di petrolio a ridurre le emissioni di circa il cinque percento ogni anno. Lo scrive il sito australiano news.com, precisando che le leggi si applicano a 215 grandi impianti industriali, ognuno dei quali produce più di 100.000 tonnellate di gas serra all’anno, e costituiscono la spina dorsale dell’impegno dell’Australia di raggiungere zero emissioni nette entro il 2050. 

“Ciò che il parlamento ha fatto oggi è salvaguardare il nostro clima, salvaguardare la nostra economia e salvaguardare il nostro futuro”, ha detto ai parlamentari il ministro australiano per i cambiamenti climatici Chris Bowen. “Ciò che il parlamento ha fatto oggi è porre fine a 10 anni di disfunzioni e 10 anni di ritardo”. 

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Israele, Pipes: “Tensioni con Usa la norma, ma Netanyahu è andato oltre”

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(Adnkronos) – Quella tra Stati Uniti e Israele è normale dialettica tra due Paesi alleati, ma Benjamin Netanyahu, nonostante sia partito da un presupposto giusto ovvero la necessità di una riforma della giustizia, è “andato oltre” e alla fine dovrà accettare un “compromesso”. Così il politologo americano e presidente del Middle East Forum, Daniel Pipes, commenta all’Adnkronos le recenti tensioni tra Washington e Tel Aviv. Tensioni innescate dalla richiesta – respinta – di Joe Biden al premier israeliano di ritirare la sua contestata riforma della giustizia.  

“Israele è un Paese indipendente e non un’altra stella sulla bandiera degli Stati Uniti”, ha alzato i toni il ministro della Sicurezza Nazionale israeliano, Itamar Ben Gvir, mentre Netanyahu ha provato a smorzare le polemiche sostenendo che l’alleanza con gli Usa, pur con “occasionali differenze”, è “inamovibile”. 

“Le tensioni Usa-Israele sono la norma, io le definisco ‘il rapporto familiare’ delle relazioni internazionali. Questo caso è insolito solo perché riguarda una questione interna israeliana”, spiega Pipes, tra i massimi esperti americani di questioni mediorientali e autore di numerosi saggi in materia. 

Secondo il politologo, l’aspetto “importante delle tensioni sta altrove”, ovvero nei distinguo sui rapporti con Tel Aviv all’interno del Partito Democratico. “L’anziano Biden è più amichevole con Israele di molti giovani democratici, quindi la tensione attuale offre loro un’opportunità per fare pressioni su di lui affinché sia meno amichevole”, precisa. 

Pipes commenta quindi la contestata riforma della giustizia di Israele, che Netanyahu – sulla scia di imponenti proteste – ha congelato in attesa della ripresa dei lavori della Knesset a maggio. “Sì, è necessaria una riforma della giustizia, in particolare mettere fine al processo con cui i giudici a tutti gli effetti nominano i loro successori, ma il governo è andato troppo oltre e troppo in fretta e deve scendere a compromessi”, afferma l’esperto.  

“Il tentativo degli Haredim (gli ebrei ultraortodossi, ndr) di imporre la legge ebraica nel Paese è particolarmente preoccupante – conclude Pipes – Prevedo che si raggiungerà un compromesso e che questa crisi sarà poco più che un brutto ricordo entro la fine del 2023”. 

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Tunisia, Fabiani (Icg): “Tante divergenze, manca coordinamento internazionale”

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(Adnkronos) – “L’unica via d’uscita in questo momento è una forma di coordinamento internazionale più efficace per mettere pressioni in maniera più seria, efficace e diretta sulla Tunisia” perché mentre si parla di rischio ‘esplosione’ e collasso economico “c’è un problema di fondo, più ampio”, ovvero “la mancanza di coordinamento internazionale tra le posizioni dei vari Paesi”. Riccardo Fabiani, direttore per il Nord Africa dell’International Crisis Group (Icg), parla così con l’Adnkronos dopo il colloquio telefonico tra il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e il segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, occasione per un confronto, che “non avrebbe prodotto un riavvicinamento”, sugli ultimi sviluppi della crisi in Tunisia, con la questione migratoria che preoccupa sempre più l’Italia.  

Fabiani ragiona sulla posizione degli Stati Uniti, su quella italiana – “sicuramente più compatibile” con quella francese – e fa riferimento a “vari ‘rumors’ su un’iniziativa algerina” nel mezzo dell’attivismo italiano che punta a sbloccare i finanziamenti del Fondo monetario internazionale (Fmi). “Gli algerini starebbero preparando una conferenza per mettere insieme i vari donatori e finanziatori arabi per poter dare un aiuto di emergenza alla Tunisia”, spiega, manifestando i suoi “dubbi”. Perplessità perché, dice, “non credo i Paesi del Golfo abbiano un grande entusiasmo di fronte all’idea di dare dei crediti ad alto rischio alla Tunisia, una situazione che non convince nessuno”. E’ scettico l’esperto sulla possibilità che “Arabia Saudita o Emirati Arabi Uniti siano pronti o disposti a dare questi soldi”. Non solo, Fabiani sottolinea i rischi di quello che considera come un “messaggio preoccupante” perché “fa credere ai tunisini che ci sia via di fuga rispetto all’accordo con il Fondo monetario internazionale” e quindi “complica ulteriormente una conversazione che già è difficile”. 

Ci sono quindi “tre posizioni divergenti”, prosegue Fabiani, che – col pensiero a Stati Uniti, Italia e Paesi arabi – parla di “caos di proposte e idee” e di assenza di “un messaggio chiaro da parte della comunità internazionale”. Non solo, ma il presidente tunisino Kais Saied e gli attori tunisini possono “sfruttare queste divergenze per prendere tempo e – dice – per cercare di negoziare da una posizione di relativa forza”. E il “problema sta tutto nell’assenza di coordinamento”. “Ci vorrebbe – insiste – una posizione più unitaria da parte comunità internazionale per arrivare a spingere i tunisini almeno a introdurre qualche riforma, ad avere un impegno ufficiale del presidente nei confronti di queste riforme per poter poi sbloccare i crediti”. 

Qual è il livello dell’emergenza? “Secondo la maggior parte degli esperti, ci sono in realtà diversi mesi prima che si arrivi a un collasso economico”, risponde Fabiani, secondo il quale “si rischia di sottovalutare un altro aspetto”. Oltre alla crisi economica, che è certamente “un problema gigantesco”, c’è “anche una crisi politica che non si può nascondere solo perché c’è un problema economico più grande”, dice. E c’è “un presidente che si rifiuta di accettare ogni forma di dialogo, che agisce spesso utilizzando una retorica anti-occidentale preoccupante”, osserva. E il prestito dell’Fmi “non riuscirà a risolvere da solo” la “deriva” nel Paese, rimarca, convinto che “sbloccare la prima tranche del credito non è una soluzione completa e globale perché bisogna prendere in considerazione anche questi problemi”. 

Problemi di fronte ai quali “c’è una divergenza di fondo” tra le posizioni di Usa, principali azionisti del Fondo, e Italia, che – dice l’analista – “non sembra possibile riconciliare” perché nella conversazione tra Tajani e Blinken “non sembra esserci stato nessun movimento di riavvicinamento”. 

La differenza, conclude rilevando che esiste “un rischio effettivo che la situazione possa degenerare”, sta nel fatto che “l’Italia teme un collasso economico immediato da parte della Tunisia e quindi che non ci sia proprio tempo a disposizione per evitare il default”. Mentre “gli americani sono meno preoccupati da questa prospettiva e soprattutto vogliono utilizzare il prestito del Fondo per fare pressioni sulla Tunisia e convincere il presidente Saied ad ammorbidire le proprie posizioni e a cercare di uscire da questa deriva autoritaria e autoreferenziale che la Tunisia sta seguendo da un po’ di mesi”. 

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ChatGpt, Musk chiede lo stop: “E’ un rischio per l’umanità”

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(Adnkronos) – Serve una frenata sull’intelligenza artificiale e in particolare su ChatGpt, il chatbot creato da Open AI, basato su intelligenza su intelligenza artificiale e apprendimento automatico. E’ quanto chiede un gruppo di ricercatori e addetti del settore sulla IA, tra cui Elon Musk, in una lettera aperta che intima espressamente di fermare lo sviluppo senza controllo della tecnologia da parte dei giganti del settore. Nella missiva si legge come il Far West dell’intelligenza artificiale, reputata la nuova Eldorado dell’hi-tech, comporti “profondi rischi per la società e l’umanità”. Si chiede anche di fermare per almeno sei mesi la ricerca su sistemi di intelligenza digitale che siano più potenti di GPT-4, l’ultima versione dell’assistente realizzato da OpenAI, società fondata da Musk stesso (ma lasciata nel 2018 per conflitti di interesse con Tesla). “Questa pausa dovrebbe essere verificabile e concreta, e includere tutti gli attori del settore. Altrimenti, sarà necessario che i governi intervengano”. I firmatari spiegano come la ricerca sulla IA sia fuori controllo da parte delle Big Tech, in modo da arrivare una prima delle altre, e questo comporti un rischio concreto visto che non sappiamo fino a che punto queste tecnologie possano essere un pericolo per la sicurezza informatica e pubblica. “Nessuno, neppure chi le crea, può predire, controllare o capire le vere potenzialità di sistemi basati sul machine learning”, si legge. 

Tra i firmatari ci sono lo storico e saggista Yuval Noah Harari, il co-fondatore di Apple Steve Wozniak, il co-fondatore di Skype Jaan Tallinn, e molti altri ricercatori di IA e CEO di compagnie tecnologiche. “Gli sviluppatori di IA dovrebbero utilizzare la pausa per sottoscrivere congiuntamente una serie di protocolli condivisi e rigorosi che vengano validati da esperti esterni, e che certifichino che i sistemi di machine learning siano sicuri e affidabili”. Ciò che si critica è la potenza effettiva della IA e il possibile impatto sulla società se non viene controllata e regolamentata. La lettera segue di poche settimane il lancio pubblico di GPT-4 di OpenAI, il sistema di intelligenza artificiale più avanzato mai creato. “L’intelligenza artificiale avanzata potrebbe comportare un profondo cambiamento nella storia dell’essere umano e dovrebbe essere pianificata e gestita con cure e risorse adeguate”, scrivono i firmatari. “Purtroppo questo livello di pianificazione e gestione non sta avvenendo, e negli ultimi mesi i laboratori di IA sono stati coinvolti in una corsa fuori controllo per sviluppare e implementare intelligenze digitali sempre più potenti”. 

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”Niente turisti se sono giovani inglesi”, Amsterdam si rifà il look

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(Adnkronos) – Niente turisti inglesi per Amsterdam. Soprattutto se sono giovani uomini di età compresa tra i 18 e i 35 anni. E’ proprio a loro che si rivolge la città olandese, impegnata a scrollarsi di dosso l’immagine della capitale europea del sesso e della droga, in una campagna pubblicitaria ad hoc. ”State alla larga”, sono i messaggi online delle autorità locali che descrivono i rischi di un uso eccessivo di alcolici e di droghe in una città dove i coffee shop possono sì vendere quantità limitate di cannabis, ma sotto regole rigidissime. E non possono servire alcolici ai minorenni. 

Video diffusi su Internet mostrano invece giovani turisti inglesi che barcollano per strada, ammanettati dalla polizia, con foto segnaletiche. E il messaggio che le autorità olandesi hanno rivolto in particolare a loro è chiaro: un lungo weekend ad Amsterdam può creare il tipo sbagliato di ricordi, l’evasione che desideri ardentemente nella rinomata capitale del party potrebbe portare a conseguenze di cui pentirsi.  

Agli inglesi bastano 50 sterline, 57 dollari, per un volo di andata e ritorno per Amsterdam. Anche per questo sono numerose le agenzie di viaggio britanniche che offrono fine settimana di addio al celibato ad Amsterdam, con tanto di crociere sui canali con alcol illimitato, serate “steak and strip” e giri dei pub nel quartiere a luci rosse. Numerose le lamentele dei cittadini olandesi per gli inglesi ubriachi che urinano in pubblico, vomitano nei canali, si spogliano e fanno risse. 

Un fenomeno che non è certo nuovo se si considera che quasi dieci anni fa l’allora sindaco di Amsterdam, Eberhard van der Laan, aveva invitato il suo omologo londinese Boris Johnson a vedere di persona cosa facevano gli inglesi dopo che quest’ultimo aveva descritto la città olandese come “squallida”. “Mentre fanno lo slalom attraverso il quartiere a luci rosse sono vestiti da conigli o da preti e a volte non sono vestiti affatto. Mi piacerebbe invitare lui a vedere tutto questo di persona”, disse van der Laan all’epoca. 

Amsterdam è una delle città più visitate al mondo. Ogni anno accoglie circa 20 milioni di visitatori, tra cui un milione di inglesi, in una città che conta 883mila abitanti. Nel quartiere a luci rosse sono apparsi grandi cartelloni con le foto dei residenti e una frase rivolta ai turisti: “Noi viviamo qui”. Il consiglio comunale sta quindi lavorando per spostare fuori dalla zona residenziale di Amsterdam, creando una nuova ”zona erotica”, le vetrine con le luci al neon dove si mostrano le prostitute. A partire da questo fine settimana, inoltre, i bordelli e i bar avranno orari di chiusura anticipati e a maggio entrerà in vigore il divieto di fumare cannabis nelle strade che sono all’interno e intorno al quartiere a luci rosse.  

C’è anche un dibattito in corso per decidere se escludere i turisti dal consumo di cannabis nei coffee shop. Le critiche non mancano. Sia perché si tratta di limitazioni che, affermano alcuni, vanno contro lo spirito di libertà di Amsterdam. Sia perché sotto accusa sono i gestori dei musei e di chi offre attrazioni per famiglie, accusati di una strategia mirata a fare soldi. 

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Coronavirus

Vaccino covid, Oms: “Valutare stop per bambini e ragazzi”

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(Adnkronos) – Con “gran parte della popolazione vaccinata o già infettata da Covid”, oggi “i Paesi dovrebbero considerare il loro contesto specifico nel decidere se continuare a vaccinare gruppi a basso rischio, come bambini” dai 6 mesi di vita in su “e adolescenti sani”. A riassumere una delle nuove indicazioni che aggiornano la ‘roadmap’ dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sulle priorità per la vaccinazione anti-Covid è Hanna Nohynek, presidente del gruppo di esperti (Sage) che si occupa di immunizzazione. Il gruppo per il quale cambierebbe in maniera particolare il quadro è quello a basso rischio. Nella guida aggiornata si fa infatti presente che nella situazione attuale “l’impatto sulla salute pubblica della vaccinazione di bambini e adolescenti sani” contro Covid “è relativamente molto inferiore rispetto ai benefici stabiliti dei tradizionali vaccini essenziali per i piccoli – come quelli per rotavirus, morbillo e pneumococco – e dei vaccini Covid per i gruppi ad alta e media priorità”, si legge nella nota del Sage.  

Nella guida, spiega Nohynek, si “sottolinea nuovamente l’importanza di vaccinare le persone che sono ancora a rischio di malattia grave, per lo più adulti più anziani e persone con patologie preesistenti, anche con booster aggiuntivi”. Si puntualizza anche che i bambini con condizioni di immunocompromissione e comorbidità affrontano invece un rischio più elevato di Covid grave, e quindi “sono inclusi rispettivamente nei gruppi ad alta e media priorità”. Tornando ai bambini e ragazzi sani, invece, “considerando il basso carico di malattia, il Sage esorta i Paesi che prendono in considerazione la vaccinazione di questa fascia di età a basare le loro decisioni su fattori contestuali, come il carico di malattia, la costo-efficacia, e altre priorità sanitarie o programmatiche”. 

Il gruppo a bassa priorità comprende bambini e adolescenti sani di età compresa tra 6 mesi e 17 anni. “Le dosi primarie e di richiamo sono sicure ed efficaci” in questa fascia, si ribadisce. Per quanto riguarda i neonati sotto i 6 mesi di vita, il discorso è diverso: in questo gruppo “il carico di Covid grave, sebbene complessivamente basso, risulta ancora più elevato rispetto a quello che si ha nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 5 anni. La vaccinazione delle donne in gravidanza – anche con una dose aggiuntiva se sono trascorsi più di 6 mesi dall’ultima dose – protegge sia loro che il feto, contribuendo nel contempo a ridurre la probabilità di ricovero dei neonati per Covid”. 

I Paesi che hanno già una politica in atto per ulteriori richiami dovrebbero valutare l’evoluzione delle esigenze in base al carico di malattia nazionale e all’analisi di costo-efficacia. La guida è stata rivista dopo la riunione del pool di esperti del 20-23 marzo, per rispecchiare nelle indicazioni date un contesto che è cambiato, con l’impatto di Omicron e l’elevata immunità a livello di popolazione dovuta all’infezione e alla vaccinazione. Fra le raccomandazioni riviste anche quelle su dosi di richiamo aggiuntive e sugli spazi temporali tra una dose e l’altra. E’ stata presa in considerazione anche la riduzione del Long-Covid, dei disturbi post virus, da parte degli attuali vaccini, ma “le evidenze sulla portata del loro impatto sono incoerenti” al momento, precisano gli esperti. 

Vengono considerati tre gruppi di priorità per la vaccinazione Covid: alto, medio e basso. Il gruppo ad alta priorità comprende gli anziani; gli adulti con comorbidità significative (come diabete e malattie cardiache); gli immunocompromessi (come persone che vivono con l’Hiv e trapiantati) compresi i bambini di età pari o superiore a 6 mesi con questa problematica; le persone incinte; e gli operatori sanitari in prima linea. Per loro il Sage raccomanda “un ulteriore richiamo a 6 o 12 mesi di distanza dall’ultima dose, il lasso di tempo dipende da fattori come l’età e le condizioni di immunocompromissione”. Tutte le raccomandazioni sui vaccini Covid, ricordano gli esperti, sono limitate nel tempo e si applicano solo all’attuale scenario epidemiologico, quindi le raccomandazioni di richiamo aggiuntive non dovrebbero essere viste come per i ripetuti richiami annuali del vaccino Covid.  

Il gruppo di priorità media comprende adulti sani, di solito di età inferiore ai 50-60 anni, senza comorbidità, e bambini e adolescenti con patologie. Il Sage raccomanda per loro il ciclo primario e le prime dosi di richiamo. Sebbene ulteriori booster siano sicuri per questo gruppo, gli esperti “non li consigliano abitualmente, dati i rendimenti relativamente bassi per la salute pubblica”. Separatamente dalla roadmap, il Sage ha anche aggiornato le proprie raccomandazioni sui vaccini bivalenti anti-Covid, raccomandando ora che i Paesi possano prendere in considerazione l’utilizzo del vaccino a mRna bivalente adattato a BA.5 per la serie primaria di vaccinazione. 

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Della Pergola: ”Compromesso possibile solo su Netanyahu e non su giudici”

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(Adnkronos) – Compromesso difficile, se non impossibile quello sulla riforma della giustizia proposta e ora sospesa dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. Perché ”i giudici della Corte suprema o sono controllati dal governo o non lo sono” e ”se la Corte suprema diventa una filiale del governo, finisce la separazione dei poteri, la democrazia. Questa è una linea invalicabile”. L’unico vero ”grande compromesso” al quale si potrebbe arrivare riguarda la figura stessa di Netantyahu, ”diventato fonte di polarizzazione del sistema politico israeliano, la sua presenza crea più danno che beneficio al Paese” dove si muove ”con carattere autoritario, come se Israele fosse una Repubblica presidenziale”. Questo grande compromesso di cui parla il demografo italiano naturalizzato israeliano Sergio Della Pergola in un’intervista all’Adnkronos è ”la sospensione del processo a Netanyahu in cambio del suo ritiro dalla scena politica”.  

Perché ”ci vorrebbe un taglio radicale”, ma senza un tornaconto ”è impossibile che si dimetta” per via del suo ”processo per corruzione, truffa e abuso di potere”. Se il dialogo promosso dal presidente Isaac Herzog ci sarà, dunque, ”meglio una lottizzazione” della Corte suprema che il suo controllo esclusivo da parte della maggioranza, afferma il professore Emerito all’Università Ebraica di Gerusalemme. 

Un’ipotesi quest’ultima che la popolazione israeliana non ha accettato, dimostrando ”una forte consapevolezza sociale e politica per salvare la democrazia”. Una ”protesta popolare che non è stato più possibile ignorare, altro che piccole minoranze di estremisti brizzolati come li ha chiamati Netanyhau”, uno ”sciopero generale mai successo prima con l’aeroporto chiuso, le università chiuse, le aziende anche”. Proprio ”di fronte a questo ci si è resi conto che il Paese andava allo sfascio e all’ultimissimo momento Netanyahu ha frenato” perché ”significava anteporre i vantaggi personali a quelli di Israele”. 

Citando il ”vuoto intorno a sé creato da Netanyahu”, con tutti i suoi ”delfini che si sono allontanati” e il fatto che sia ”accerchiato da persone mediocrissime perché da lui dipende loro sopravvivenza politica”, Della Pergola afferma che pur ”carismatico e divinizzato” anche ”all’interno del suo partito (di Netanyahu, ndr) una parte ha cominciato a capire che la situazione andava male”. Della Pergola cita in particolare ”un sondaggio politico di ieri sera che è un interessante barometro” dal quale emergeva ”un vero collasso del partito di Netanyahu e un’enorme avanzata dei partiti di centro che fanno parte dell’opposizione. I politici agiscono cinicamente e non certo con l’intenzione di andare verso il collasso elettorale” che ”in caso di eventuali elezioni anticipate avrebbero fatto perdere il potere ottenuto con tanta fatica”. 

La ”causa scatenante”, il ”colossale errore strategico” commesso da Netanyahu è stato il ”licenziamento del ministro difesa” mentre era ”accecato dalla sua stessa propaganda”. Yoav Gallant è del Likud, molto vicino a Netanyahy, ex generale candidato a diventare capo di Stato maggiore che però ha espresso ”forte preoccupazione per la stabilità dell’apparato militare” dopo che i riservisti han detto di non volersi più presentare alle esercitazioni in protesta riguardo alla riforma della giustizia. 

Il suo licenziamento ha dimostrato ”che non siamo sull’orlo di una dittatura, siamo già dentro la dittatura” prosegue Della Pergola, aggiungendo che le ”centinaia di migliaia di persone che si sono riversate nelle piazza e mezzanotte” dopo l’annuncio della rimozione di Gallant hanno fatto sì che ”Netanyahu si è reso conto in ritardo dell’enorme errore che aveva fatto”. E ora, ”ora ci sono le feste, la Pasqua, la Giornata del ricordo della Shoah, la Giornata dell’indipendenza di Israele. Sono momenti di grande unione e fratellanza. Sarebbe stato folle arrivarci con il Paese spaccato in due” afferma Della Pergola. ”Credo che Netanyahu si illude che alla fine del periodo di vacanza parlamentare possa riproporre allo stato attuale il processo” di riforma della giustizia. Ma ”bisogna vedere se si riesce a intavolare una vera trattativa”, ma ”è possibile ricucire solo un parte, c’è un punto che non può essere oggetto di compromesso”, ovvero il controllo dei giudici da parte della maggioranza di governo. 

Il rischio è ”una nuova situazione di stallo e poi tensioni”, afferma Della Pergola sottolineando come sia ”molto grave la situazione della sicurezza”, con la ”minaccia dell’Iran a un passo dalla bomba atomica” o quelle provenienti da ”Hezbollah e Hamas”. Rassicurando sul fatto che ”oggi il cielo è azzurro, siamo preoccupati del caro vita e degli ingorghi stradali”, Della Pergola allo stesso tempo parla di ”polveriera, si può arrivare a un conflitto in qualsiasi momento. Israele ha militari molto forti e ben organizzati, ma è impossibile uscire senza danni” e allo stesso tempo ”nessuno può controllare gli estremismi e la follia, il mondo arabo è imprevedibile, senza logica”. Sta di fatto che, proprio Netanyahu e la sua contestata riforma della giustizia, abbiano ”deteriorato in modo catastrofico i rapporti internazionali”. In particolare, Della Pergola cita la ”rinviata visita negli Emirati”, ma anche ”i rapporti con gli Stati Uniti al limite della massima tensione, così come anche con l’Europea” e in generale un ”forte indebolimento rapporti internazionali di Israele”. Che si traduce in una economia indebolita, minori investimenti, minore turismo, calo della capacità israeliana di restituire debito. Se si abbassassero ancora si avrebbe un aumento della catena dei licenziamenti e della disoccupazione. Tutti fattori scatenanti instabilità”. Ancora. 

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Russia, Masha disegna contro la guerra: il padre condannato a due anni

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(Adnkronos) – Il padre di Masha, la ragazzina di 12 anni internata ai primi del mese in un centro per la riabilitazione dei minori per un disegno contro la guerra in Ucraina, un mese dopo l’inizio dell’intervento militare russo, è stato condannato a due anni di carcere per vilipendio reiterato delle forze militari russe in post sui suoi social, ha reso noto l’avvocato Vladimir Bilienko, citato dall’organizzazione Ovd-Info impegnata in Russia per sostenere le vittime di persecuzioni politiche. La sentenza è stata letta nel tribunale distrettuale di Efremov, nella regione di Tula, in assenza dell’imputato, Aleksei Moskalev, che ha fra l’altro sempre negato di aver scritto i post incriminati. Il processo è durato un giorno solo. Masha Moskaleva sarà affidata alle cure dei servizi sociali, ha stabilito il tribunale.  

Il disegno era stato fatto da Masha durante una lezione d’arte a scuola, in cui era stato chiesto agli alunni di esprimersi in sostegno delle forze militare. La preside aveva immediatamente segnalato l’opera della ragazzina alle autorità. Masha è una delle otto minorenni coinvolte in procedimenti giudiziari in Russia dall’inizio della guerra. Masha viveva da sola con il padre a Efremov.  

Il padre era stato messo agli arresti domiciliari dopo il caso che ha visto coinvolta la figlia, Lo scorso gennaio era stato aperto un fascicolo per limitare i diritti genitoriali del padre, così come anche quelli della madre che ha lasciato la famiglia quando Masha aveva tre anni e vive in un’altra città. La famiglia era stata inserita lo scorso anno nell’elenco dei nuclei in “situazioni socialmente difficili”.  

 

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