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Sostenibilità

Solo il 15% dei milanesi utilizza esclusivamente il...

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Solo il 15% dei milanesi utilizza esclusivamente il trasporto pubblico per recarsi al lavoro

Cittadini di tutto il mondo favorevoli a ridurre l’uso dell’auto, ma mancano le condizioni: i risultati dell’indagine di Hitachi Rail

Metro Milano Duomo - Canva

La mobilità è sempre più un aspetto centrale della transizione green, a partire dalla riduzione dei voli e delle auto private che circolano nelle strade di tutto il mondo.

Il 64% delle persone, a livello globale, si è dichiarato favorevole all'eliminazione dei voli a corto raggio, in presenza di valide alternative come i treni ad alta velocità. Una percentuale che sale al 69% tra gli intervistati di Milano. Allo stesso tempo, però, nella città lombarda l'utilizzo dell'automobile per recarsi al lavoro rimane al di sopra della media mondiale, registrando un 63% di utilizzo, mentre soltanto il 15% usa esclusivamente i mezzi pubblici.

Questi sono i risultati dell'edizione 2024 della ricerca "Better Connected" condotta da Hitachi Rail, un'azienda attiva nel settore ferroviario e della smart mobility.

La ricerca ha esaminato le abitudini e le preferenze di trasporto urbano nelle grandi città in tutto il mondo, includendo Milano come città italiana. Lo scopo del rapporto è analizzare le principali tendenze nelle modalità di spostamento cittadino, sia per quanto riguarda il trasporto urbano, sia per i viaggi di medio-lunga distanza.

Le preferenze di spostamento a Milano

Nonostante i dati sull’utilizzo dell’automobile, in linea con la media italiana, l'85% dei cittadini milanesi si mostrerebbe aperto a incrementare l'uso dei mezzi pubblici, a patto che essi siano più interconnessi, e il 50% sarebbe disposto a pagare di più per un servizio più esteso. Globalmente, i giovani emergono come maggiormente propensi all'utilizzo del trasporto pubblico, nonché inclini agli spostamenti a piedi, in bicicletta e in scooter.

Questa situazione è un paradosso solo in apparenza. Infatti, la causa principale per cui molti italiani utilizzano ancora la macchina è la grave inefficienza degli spostamenti sui binari in Italia. Una grave lacuna negli spostamenti del Belpaese, precisamente fotografata dal rapporto di Legambiente “Pendolaria 2024 – speciale aree urbane”. Tanti gli indici allarmanti sul trasporto pubblico italiano, basti pensare che la città di Madrid ha, da sola, più chilometri di metropolitana di tutta l’Italia (qui per approfondire qual è lo stato del trasporto su binari in Italia).

Alla base del paradosso anche la scarsa diffusione di piste ciclabili in Italia, che rende pericoloso usare mezzi leggeri e meno protetti come biciclette e monopattini elettrici, su cui ricadrebbe la preferenza dei più giovani. La ricerca “Better Connected" di Hitachi Rail conferma quindi le tendenze emerse dal rapporto di Legambiente. Ancora di più nella parte in cui evidenzia come l’85% dei milanesi sarebbe favorevole ad utilizzare di più i mezzi pubblici se fossero più interconnessi, sottolineando il ruolo chiave della intermodalità già suggerito dal rapporto di Legambiente. Metà dei milanesi intervistati, inoltre, sarebbe persino favorevole a pagare di più in cambio di un trasporto pubblico più esteso e capillare. L’86% degli intervistati del capoluogo meneghino si esprime a favore di maggiori investimenti nel trasporto urbano.

Tra i milanesi, il 42% degli intervistati ha già scelto il treno ad alta velocità come preferenza di trasporto, superando l'aereo (15%) e l'auto (38%). Questa scelta sembra essere plasmata da alcuni casi successo dell'alta velocità in Italia, con la tratta Roma-Milano che ha rivoluzionato le consuetudini di spostamento di quella parte di italiani che la percorrono, sia per motivi professionali che di svago.
La preferenza per il treno si prospetta anche nel futuro, con un terzo dei milanesi (34%) che prevede di incrementare i viaggi in treno nei prossimi cinque anni. Tale percentuale supera di gran lunga coloro che ipotizzano un aumento dell'uso dell'auto (13%) o dei voli (6%).

Come annunciato in apertura, emerge che a Milano il 63% degli intervistati continui a utilizzare l'auto per il tragitto casa-lavoro, cifra leggermente sopra la media globale (60%) mentre solo il 15% dei milanesi utilizza esclusivamente per i mezzi pubblici.

Nonostante ciò, i cittadini milanesi riconoscono che i mezzi pubblici siano l'opzione di spostamento più conveniente (71%). Il rapporto “Better Connected” conferma che le barriere all'utilizzo del trasporto pubblico riguardano soprattutto la frequenza del servizio (94% degli intervistati) e la sicurezza (91%) dello stesso. Un significativo 84% sarebbe più propenso a utilizzare i mezzi se fossero meno affollati, mentre l'85% li preferirebbe se fossero più interconnessi.

Inoltre, il 30% ritiene che una delle principali utilità delle app di trasporto risieda nella capacità di calcolare in tempo reale il percorso più efficiente per raggiungere la destinazione desiderata.

Le tendenze globali

L'indagine ha coinvolto circa 12.000 individui distribuiti in 12 città di tutto il mondo: Berlino, Copenaghen, Dubai, Londra, Milano, Parigi, San Francisco, Sidney, Singapore, Toronto, Varsavia e Washington.

Nel contesto del trasporto urbano, un dato rilevante è che il 60% delle persone impiega l'auto per raggiungere il luogo di lavoro anche se meno di un terzo degli intervistati considera l'auto il mezzo più conveniente. La propensione all'uso dell'auto varia notevolmente a livello globale: è particolarmente alta in città come Dubai, Washington, Varsavia e Sydney, dove almeno il 70% degli abitanti opta per l'auto.

La guida "occasionale", invece, è più diffusa a Copenaghen, Parigi, Milano e Singapore. Quest'ultima spicca per il più elevato tasso di persone che non utilizzano l'auto, con oltre un terzo della popolazione che preferisce altri mezzi di trasporto. Tendenza in cui seguono Londra e Berlino.

Quali sono gli ostacoli al trasporto pubblico

Il rapporto di Hitachi Rail evidenzia diversi ostacoli alle scelte di mobilità, di cui i principali sono:

- il sovraffollamento nelle ore di punta (49% degli intervistati);

- il tempo di percorrenza (32%);

- il costo del trasporto pubblico (32%);

- l'incertezza sugli orari di arrivo e partenza (30%).

Curiosamente, la maggioranza della popolazione globale sarebbe incline ad aumentare l'utilizzo dei mezzi pubblici se potesse monitorare in tempo reale il livello di affollamento, consentendo una pianificazione più attenta dei viaggi. A tal proposito va sottolineato come anche l’Intelligenza Artificiale possa aiutare a combattere il cambiamento climatico rendendo più efficace la raccolta dei dati e più sostenibili le scelte dei cittadini.

Chiaramente c’è anche un discorso anagrafico: i giovani mostrano una maggiore propensione all'utilizzo dei mezzi pubblici, a differenza degli anziani che preferiscono ridurre gli spostamenti o usare la propria auto.

In tutti i Paesi presi in esame, almeno un lavoratore su quattro si sposta a piedi per recarsi al lavoro; in città come Singapore e Londra, questa percentuale raggiunge addirittura il 50%, nonostante persista una forte preferenza per i mezzi pubblici.

Copenaghen si distingue per la più elevata percentuale di ciclisti, seguita da Berlino. Qui il trasporto pubblico è poco utilizzato, ma per ragioni virtuose e green, non per inefficienza strategica.

Gli spostamenti a lunga distanza

Per quanto concerne gli spostamenti a lunga distanza, l'auto mantiene la sua supremazia a livello globale, rappresentando il mezzo preferito dal 46% delle persone, seguita dal treno al 34%, e in ultima istanza, dall'aereo con il 16%. Quest'ultima percentuale trova conferma nei Paesi in cui la rete ferroviaria ad alta velocità è meno sviluppata, rimanendo ancora una scelta imprescindibile.

Una situazione che provoca un enorme impatto ambientale, dato che gli aerei sono di gran lunga i mezzi più inquinanti.

Sul punto si stanno facendo passi in avanti tramite i carburanti sostenibili per il trasporto aereo che è addirittura triplicata nel 2022. Progressi che comunque, ad ora, non permettono neanche di accomunare l’inquinamento aereo con quello dei treni e degli altri mezzi di trasporto.

“Un passeggero che viaggia in treno tutte le settimane fra Milano e Roma, invece che in aereo, -spiega Luca D'Aquila, COO del Gruppo Hitachi Rail e CEO di Hitachi Rail STS - riduce di 9 tonnellate il peso delle sue emissioni di CO2 all’anno e se scegliesse il treno al posto dell’auto ne risparmierebbe 4”.

È interessante notare che, nonostante le preferenze varino notevolmente tra le diverse città, c’è un trend comune: la maggioranza delle persone opterebbe per il treno anziché l'auto, se fosse più economico e più rapido rispetto ad ora.

I fattori più importanti nella scelta dei viaggi a media-lunga percorrenza sono il costo, la praticità e il comfort, spesso prevalenti rispetto alle preoccupazioni ambientali.

Il commento

Luca D’Aquila ha commentato così i risultati della ricerca: “Siamo consapevoli che il trasporto urbano ha un impatto diretto sulla vita del cittadino e sulla percezione dell’efficienza dell’organizzazione della città in cui vive. Parallelamente, costituisce un’importante leva per contrastare le emissioni di CO2, consentendo alle persone di adottare uno stile di vita più sostenibile”.

Non mancano le best practice, quella su cui bisogna insistere: “In Italia l’alta velocità, le metropolitane, tra cui proprio la nuovissima M4 di Milano, ma anche i nuovi tram, confortevoli e green, i treni a batteria per il trasporto regionale e le nostre APP di smart mobility, sono alcuni esempi dell’impegno di Hitachi Rail per promuovere la propensione all’utilizzo dei mezzi pubblici dei passeggeri. Le nostre soluzioni – aggiunge il CEO di Hitachi Rail STS – fanno leva principalmente sulla sicurezza, sul confort e sulle tecnologie innovative nel pieno rispetto dell’ambiente”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Sostenibilità

Clima ed energia: obiettivi 2030 ancora alla portata...

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A che punto siamo secondo quanto rilevato da Italy for Climate

jonny-clow-unsplash

Il 22 aprile 2024 si è celebrata la Giornata Internazionale della Terra. Tra le tante iniziative ed eventi organizzati in ogni angolo del Mondo, è stato anche il momento di condividere bilanci e analisi sullo stato attuale in tema di clima ed energia. Con riguardo al nostro Paese, in occasione della Giornata della Terra, Italy for Climate ha pubblicato la quinta edizione del rapporto “10 Key trend sul clima” che analizza le principali tendenze registrate nel 2023 in Italia con riferimento alla lotta al cambiamento climatico e alla transizione energetica. Tra i dati principali, emerge che nell'ultimo anno il nostro Paese ha prodotto uno sforzo davvero considerevole nel tagliare le emissioni di gas serra con una diminuzione del 6,5% rispetto all'anno precedente, percentuale che corrisponde a una diminuzione di circa 27 milioni di tonnellate di gas serra prodotti. Il dato, qualora confermato, significherebbe che il nostro Paese si trova nella condizione di raggiungere ancora gli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2030. Tra i principali fattori che hanno influito sulla diminuzione registrata nel 2023 vi sono il minore utilizzo di carbone per produrre energia, i consumi energetici ridotti anche dovuti a un inverno piuttosto mite, un calo della produzione industriale, ma anche un'accelerazione nelle rinnovabili.

I principali trend sul clima in Italia

Oltre al primo trend che, come detto, riguarda la drastica riduzione delle emissioni, le altre principali tendenze in tema di clima ed energia segnalate da Italy for Climate non sono tutte esattamente positive. A cominciare dal numero di eventi climatici, drammaticamente aumentato nel 2023, che secondo le stime di Ispra risulta essere stato il secondo anno più caldo mai registrato in Italia. Non solo, l'anno passato, sul nostro territorio sono stati registrati 3.400 eventi climatici estremi. In quanto all'energia, secondo le stime Enea è calata del 3% l'intensità energetica del Pil ovvero del fabbisogno energetico necessario a produrre una unità di Pil. In calo, nel valore assoluto, anche i consumi di energia negli edifici (-2,3 Mtep) e nell'industria (-1,2% Mtep). Sempre secondo Enea, il calo delle emissioni globali di cui sopra è dovuto principalmente all'evoluzione del settore elettrico che sempre più si basa sulle fonti rinnovabili (+15 Twh) e meno su quelle fossili (-33 Twh). In particolare, la quota complessiva di energia prodotta da eolico e fotovoltaico è pari al 20%, mentre la quota di tutte le rinnovabili sfiora il 44% della produzione, il tetto massimo mai raggiunto. Meno bene invece gli indicatori sulla dipendenza energetica che vedono l'Italia tra i Paesi europei a più elevata dipendenza, seppur in lieve calo rispetto al 2022. Parlando di riqualificazione degli edifici, una questione di grande portata visto l'impatto che il parco immobiliare ha sul clima, nel 2023 sono state riqualificate oltre 700 mila abitazioni grazie agli incentivi introdotti dal Superbonus, il triplo in più rispetto alla media degli anni precedenti. Inoltre, a fine anno risultano installati 1,3 milioni di impianti fotovoltaici nel settore residenziale. Il mercato dell'auto elettrica seppur lentamente appare in crescita e ad oggi rappresenta il 4,2% del totale immatricolazioni. Dati comunque molto contenuti rispetto alla media europea del 14,6% con punte del 18,4% in Germania. Da segnalare infine il deficit medio nazionale del 60% sulle scorte di acqua nevosa nei principali bacini del Paese, con punte fino a -70% nel bacino dell'Adige e -67% in quello del Po. Proprio la crisi idrica rappresenta uno dei temi che andranno affrontati con maggiore attenzione, rapidità ed efficacia.

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Sostenibilità

“Recycle me”, lo spot di Coca-Cola per la...

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Lo scopo del nuovo spot sostenibile è l’invito all’azione: “Riciclami” è la scritta sulle lattine che ricorderà al consumatore di gettarla correttamente

Lattine di Coca-Cola

Recycle Me” è il nome della campagna pubblicitaria di Coca-Cola Company. Al centro dello spot: la sostenibilità e il riciclo. Lanciata in America Latina, i pubblicitari della campagna hanno pensato di usare il potere del logo, riconosciuto in tutto il mondo, e di modificarlo. La scritta bianca su sfondo rosso si “accartoccia”: raffigura, cioè, il modo in cui assomiglierebbe il logo se le lattine vuote venissero schiacciate per essere gettate e poi riciclate.

“Come parte dell'impegno della Coca-Cola di riciclare tutti i loro packaging entro il 2030, WPP Open X, guidato da Ogilvy New York, ha usato il potere dell'iconico logo della sceneggiatura del marchio per ispirare le persone a rendere il riciclo parte della loro esperienza quotidiana”, si legge su Instagram.

Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da Ogilvy New York (@ogilvyny)

Lo spot pubblicitario

Coca-Cola crede che un futuro migliore si raggiunga attraverso pratiche sostenibili dal punto di vista sociale e ambientale. Nell'ambito dei suoi obiettivi di sostenibilità, si impegna a riciclare tutti i suoi imballaggi entro il 2030. Volevamo sfruttare il potere dell'iconico logo del marchio per ispirare le persone a rendere il riciclo parte della loro esperienza quotidiana con Coca-Cola – scrive Laurent Ezekiel, WPP Chief Marketing Officer & CEO -. Abbiamo iniziato con l'intramontabile abitudine di schiacciare una lattina prima di riciclarla. Quindi abbiamo creato un'immagine estremamente telegrafica e potente con l'invito all'azione RECYCLE ME preso direttamente dal lato della lattina. Naturalmente, non esistono due lattine riciclate esattamente uguali, e nemmeno le nostre stampe e i nostri poster. Sviluppate da WPP Open X, sotto la guida di Ogilvy New York, le pubblicità creative saranno presenti a Buenos Aires, in Argentina, Brasile e Messico, oltre che sui canali sociali”.

Islam ElDessouky, vicepresidente globale per la strategia creativa e i contenuti di Coca-Cola, ha commentato: “Noi di Coca-Cola puntiamo ad avere un mondo senza rifiuti. Stiamo lavorando per innovare i nostri prodotti verso il nostro obiettivo globale di rendere riciclabile il 100% delle nostre confezioni entro il 2025. Inoltre, puntiamo a raccogliere e riciclare una bottiglia o una lattina per ogni bottiglia venduta entro il 2030 e abbiamo l’opportunità unica di utilizzare il nostro marketing per inviare un messaggio potente. ‘Riciclami’ invita tutti noi a riciclare ovunque sia possibile”.

Le iniziative Coca-Cola

Non è la prima volta che l’azienda lancia un’iniziativa del genere. Per l’obiettivo "World Waste Free", missione lanciata da Coca-Cola nel 2018 per contribuire alla lotta contro i rifiuti di plastica, si propose: imballaggi senza etichetta, tappo attaccato alla bottiglia come già avviene per la maggior parte delle bottiglie in plastica oggi e progetto di packaging completamente riciclabile. Nell’ultimo report di sostenibilità, la Company ha precisato di aver raggiunto il 90% dell’obiettivo. Il nuovo è raccogliere e riciclare una bottiglia o lattina per ogni bottiglia o lattina venduta entro il 2030.

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Sostenibilità

Lionello (Unisalento): “Continente europeo più...

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Il professore spiega le tendenze climatiche a margine del rapporto Copernicus

Europa sulla cartina - Canva

In Europa le temperature medie sono aumentate più che in ogni altro continente ma, pur restando allarmanti, i risultati del rapporto Copernicus sono anche la conseguenza di “tendenze intrinseche al cambiamento climatico”.

Lo spiega all’Adnkronos Piero Lionello, professore ordinario di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia presso l’Università del Salento e presidente del network MedCLIVAR (Mediterranean CLImate Variability).

“La considerazione più importante ed essenziale da fare – esordisce Lionello – è che i gas serra si distribuiscono in modo approssimativamente uniforme su scala globale. In pratica, le emissioni dell’Italia non interessano solo il territorio italiano, lo stesso dicasi per quelle europee e così via. Un andamento completamente diverso rispetto, per esempio, alle emissioni di aerosol che tendono ad avere una persistenza breve in atmosfera e quindi un effetto più regionale e più limitato alle zone di emissione”.

Per questo occorre interessarsi non solo alle decisioni di casa propria: “Questo andamento dimostra una volta per tutte come il problema del cambiamento climatico sia una questione globale”.

C’è poi un altro aspetto da considerare: “Durante una transizione, le alte latitudini tendono a scaldarsi di più delle zone tropicali. Allo stesso tempo, a livello superficiale, le masse continentali si scaldano di più delle masse oceaniche. Anche quando ci sono stati eventi caldi interglaciali in passato e le glaciazioni, il cambiamento climatico è stato molto più ampio in queste zone.

Si tratta di tendenze intrinseche al sistema climatico, quindi mi sorprenderei nel vedere il contrario in questa fase di riscaldamento che ha sicuramente una importante componente antropogenica”, spiega il professore che ha contribuito alla redazione del sesto rapporto Ipcc (Intergovermental Panel on Climate Change), pubblicato lo scorso anno.

L’Unione europea si sta muovendo nella direzione e alla velocità giusta o le resistenze di alcune parti politiche rischiano di compromettere il cammino green dell’Ue?

“Quello che si può osservare è una progressiva attenzione a livello normativo e tecnologico da parte dell'Unione Europea nei confronti del cambiamento climatico che ha portato effettivamente a una riduzione delle emissioni. Le emissioni negli ultimi venti, trenta anni nel complesso stanno diminuendo anche negli Stati Uniti”.

Si tratta di un miglioramento sufficiente in prospettiva?

“No. Infatti, nonostante l’impegno di Ue e Usa, le emissioni su scala globale stanno aumentando”. Ancora una volta, quindi, il passaggio cruciale sta nella consapevolezza che ci troviamo di fronte a una sfida comune: “La consapevolezza che il clima sia una questione globale è fondamentale. Il contrasto al cambiamento climatico – prosegue il professor Lionello – non può che passare attraverso strategie condivise a livello internazionale almeno dai principali emettitori che in questo momento sono l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Cina e l’India. Al tempo stesso però è importante essere consapevoli delle differenze tra i problemi ambientali e l’inquinamento”, sottolinea.

Dunque, se è vero che per contrastare il cambiamento climatico serve una sinergia internazionale, bisogna osservare che i singoli interventi dei Paesi sono fondamentali per i cittadini che vivono quei territori: “Da un punto di vista decisionale, è difficile che chi dà priorità al contrasto del cambiamento climatico non dia anche priorità alla lotta all’inquinamento e alla tutela degli ecosistemi. È vero che queste misure devono essere condivise a livello internazionale per contrastare l’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera. È anche vero, però, che le strategie e le decisioni anti inquinamento prese dalle istituzioni hanno effetti molto positivi sull’ambiente e sui servizi ecosistemici che riguardano i cittadini europei”.

Siccità, rischio desertificazione ed eventi atmosferici estremi: ci sono alcune zone dell’Italia a rischio nel prossimo futuro?

“Eviterei catastrofismi privi di fondamento scientifico. Sicuramente i dati testimoniano aumenti delle temperature medie importanti per gli ecosistemi e per l’ambiente in cui viviamo, ma non al punto da rendere inabitabili alcune zone d’Italia almeno nel medio termine. C’è una alterazione del ciclo idrologico, ma non tale da compromettere la sostenibilità delle risorse idriche, soprattutto se gestite in modo opportuno”.

Non ci sono e non ci saranno mai più le mezze stagioni?

“Tendiamo ad attribuire qualsiasi evento meteorologico al cambiamento climatico senza un'opportuna interfaccia scientifica. Spesso ci basiamo sui nostri ricordi, ma i nostri ricordi sono dei fallaci indicatori dei cambiamenti perché tendono a trascurare la variabilità e ricostruire dei paradigmi del nostro passato. Il fatto che questa interruzione della ciclicità delle stagioni venga concepita descritta ormai come ‘evidente’ non ha alcun riscontro nelle evidenze scientifiche”.

Delle prove scientifiche dell’alterazione non mancano, ma vanno trattate nella loro specificità: “Il riscaldamento è evidente; il cambiamento delle precipitazioni in alcuni territori è evidente; gli aumenti delle statistiche delle ondate di calore sono evidenti”, spiega il prof. Lionello, che aggiunge: “Anche l’alterazione del ciclo della stagionalità è evidente: l'inverno arriva un po’ dopo e finisce un po’ prima, l'estate comincia un po’ prima e finisce un po’ dopo. Ma non possiamo farne una deduzione scientifica perché abbiamo ancora pochissimi cicli stagionali su cui basare le nostre osservazioni”.

Il professore ci tiene però a sottolineare: “Molti effetti del cambiamento climatico sono evidenti e hanno natura antropogenica. Nel caso delle stagioni, la statistica è ancora insufficiente per dire che c'è un cambiamento definitivo del ciclo”.

Le variazioni nel Mediterraneo

A margine del rapporto sullo stato europeo del clima 2023 del Copernicus Climate Change Service e dell’Organizzazione meteorologica mondiale, l’appello del professore a valutare con rigore i fenomeni climatici è ancora più utile se si parla del Mediterraneo. La causa è scientifica: “Il Mediterraneo è una zona di transizione tra il clima subtropicale a sud, in gran parte del Nord Africa, e un clima oceanico umido o continentale-temperato a Nord”.

In cosa si traduce questa particolare condizione?

“Nel fatto che ogni piccolo spostamento di questa linea di transizione genera una variabilità. In particolare la variabilità della precipitazione è sempre stata una caratteristica della regione mediterranea, quindi della parte dell'Italia centro meridionale. Ci sono sempre stati lunghi periodi di scarse precipitazioni e lunghi periodi di intense precipitazioni.

Sicuramente stiamo alterando il clima rendendolo più caldo e meno piovoso su gran parte dell'Italia, le evidenze del riscaldamento ci sono tutte e da molti anni.

Le evidenze delle alterazioni dei regimi di precipitazione – conclude il professor Lionello – sono più sottili anche se cominciano a emergere e vanno nella direzione di una diminuzione delle precipitazioni su gran parte dell'Italia e di un aumento degli eventi estremi sul Nord Italia vanno in questa direzione”.

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