Cronaca
Covid Italia oggi, 40.990 casi e 279 morti: bollettino...
Covid Italia oggi, 40.990 casi e 279 morti: bollettino settimana 21-27 dicembre
Tutti gli indici in calo, compreso il numero dei tamponi eseguiti. Vaia: "Andamento sostanzialmente buono"
Casi e morti Covid in calo in Italia nell'ultima settimana. Tra il 21 e il 27 dicembre sono stati 40.990 i contagi censiti, con una variazione -32,2% rispetto alla settimana precedente (quando i casi erano 60.440). I decessi registrati nell'ultima settimana sono 279, dato in calo del 34,4% rispetto ai 7 giorni precedenti (quando i morti erano 425). E' il quadro che emerge dal bollettino del ministero della Salute sull'andamento della situazione epidemiologica da Covid.
Cala anche il numero di test: nella settimana monitorata si registrano 226.649 tamponi, con una variazione di -30% rispetto ai 7 giorni precedenti (323.844). In lievissimo calo il tasso di positività, che si attesta al 18,1%, -0,6 punti percentuali rispetto alla settimana precedente (18,7%).
"Trend sostanzialmente buono, cresce tasso vaccinazione"
"I dati pervenuti dalle Regioni, pur presumibilmente non completamente notificati a causa delle giornate festive, confermano comunque un andamento sostanzialmente buono della situazione epidemica" relativa a Covid in Italia, sottolinea Francesco Vaia, direttore generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute. "Sia in numeri assoluti di contagi che per quanto attiene all'impatto sulle strutture ospedaliere che continua a mantenersi a livelli di buona tollerabilità. Cresce l'epidemia influenzale, ma contemporaneamente anche il tasso di vaccinazione sia per l'influenza che per Sars-CoV-2, grazie all'impegno delle Regioni e agli open day. Impegno che va mantenuto ed esteso in ogni Regione".
"Vanno ancor più incentivate - raccomanda Vaia - le misure prudenziali e di difesa delle persone fragili, soprattutto nei giorni di presumibile maggiore socialità dovuta alle festività di fine anno".
Cronaca
Covid, 72enne col virus per 613 giorni: ‘eterni...
L'uomo fortemente immunocompromesso è morto, ricercatori hanno 'fotografato' evoluzione Sars-CoV-2 nel suo organismo
La più lunga infezione cronica da Sars-CoV-2 conosciuta dagli esperti? E' durata 613 giorni. Un nuovo record in ambito covid quello individuato dagli esperti del Cemm (Centro di medicina sperimentale e molecolare) dell'University Medical Center (umc) di Amsterdam. Magda Vergouwe e colleghi dell'istituto olandese hanno descritto il caso di un 72enne immunocompromesso che ha convissuto con il virus della pandemia Covid per circa 1 anni e 8 mesi.
E nel lungo tempo in cui il patogeno ha abitato il suo organismo ha avuto la possibilità di mutare molto. Tanto che gli esperti evidenziano il rischio che negli 'eterni positivi' si creino condizioni (infezioni persistenti in pazienti senza difese) che li rendono 'motore' per lo sviluppo di nuove varianti di Sars-CoV-2 potenzialmente immunoevasive. Lo studio che illustra la positività da 'Guinness dei primati' sarà presentato al Congresso Escmid Global di Barcellona (27-30 aprile).
Sebbene rare, queste particolari infezioni potrebbero portare a un aumento del numero di mutazioni nel genoma del virus, sostengono gli autori evidenziando la necessità di una maggiore consapevolezza dei rischi, una stretta sorveglianza genomica e test diagnostici precoci per i contatti sintomatici come parte della gestione clinica di questi pazienti.
La ricerca descrive l'evoluzione virale estesa osservata in questo caso che, a loro conoscenza, si qualifica per "la durata dell'infezione da Sars-CoV-2 più lunga fino ad oggi" censita, sebbene siano stati precedentemente registrati diversi casi di centinaia di giorni (l'ultimo 505). Per rendere l'idea della rilevanza del tema, viene ricordato che anche la variante Omicron si ritiene abbia avuto origine in una persona immunocompromessa.
Il 72enne protagonista dello studio non ha fatto in tempo a vincere la sua battaglia con il virus, è morto per una ricaduta della sua patologia ematologica dopo essere rimasto positivo al Sars-CoV-2 con elevata carica virale per 613 giorni. E' stato ricoverato con l'infezione nel polo di Amsterdam a febbraio 2022, e definito immunocompromesso per via di una storia di trapianto allogenico di staminali come trattamento di una sindrome da sovrapposizione mielodisplastica e mieloproliferativa. Situazione complicata da un linfoma post-trapianto per il quale ha ricevuto rituximab, farmaco che esaurisce tutte le cellule B disponibili, comprese quelle che normalmente producono gli anticorpi diretti contro Sars-CoV-2.
L'uomo aveva in precedenza già ricevuto più vaccinazioni Covid senza una risposta anticorpale misurabile al momento del ricovero in ospedale. I test hanno rilevato la presenza di un'infezione da variante Omicron BA.1.17. E il paziente ha ricevuto vari trattamenti anche con monoclonali senza ottenere una risposta clinica. Il sequenziamento del virus nella fase di follow-up ha mostrato che già 21 giorni dopo si era sviluppata una mutazione resistente all'anticorpo con cui è stato trattato il paziente. Il suo sistema immunitario nelle settimane successive si è rivelato non in grado di eliminare il virus e l'infezione prolungata e l'ampia evoluzione virale che è stata possibile nel suo organismo ha portato all'emergere di una nuova variante immunoevasiva. Fortunatamente, nella comunità non si è verificata alcuna trasmissione documentata della variante altamente mutata, quindi niente casi secondari.
L'uomo ha affrontato più ricoveri e la persistente infezione da Sars-CoV-2 lo ha costretto a periodi di isolamento prolungati durante il ricovero ospedaliero e a un maggiore utilizzo di protezioni personale, con impatto sulla sua qualità di vita, riferiscono gli esperti. Il sequenziamento completo del virus è stato eseguito su 27 campioni rinofaringei, raccolti in un arco di tempo da febbraio 2022 a settembre 2023. L'analisi ha rivelato oltre 50 mutazioni nucleotidiche rispetto alle varianti BA.1 contemporanee circolanti a livello globale. Inoltre, si sono sviluppate diverse modifiche ulteriori indicative di fuga immunitaria.
"Questo caso sottolinea il rischio legato a infezioni persistenti da Sars-CoV-2 in persone immunocompromesse", concludono gli autori puntualizzando però che "sebbene possa esserci un aumento del rischio di sviluppo di nuove varianti, non tutte" quelle che emergono in questi pazienti "si svilupperanno in una nuova variante di preoccupazione (Voc) per la comunità. I meccanismi sottostanti alla nascita di una Voc sono molto più complessi e dipendono anche da fattori nella popolazione che circonda il paziente", inclusa l'immunità.
"La durata dell'infezione da Sars-CoV-2 in questo caso descritto è estrema, ma queste sono molto più comuni negli immunocompromessi rispetto alla comunità generale. Un ulteriore lavoro del nostro team ha descritto una coorte di questi pazienti con durate dell'infezione comprese in una forbice da 1 mese a 2 anni".
Cronaca
Corona “non è più pericoloso”, restituito il...
Potrà volare negli Usa per girare documentari
Fabrizio Corona non è più 'pericoloso' e può riavere il passaporto. Il collegio del tribunale della Sorveglianza di Milano chiamato a decidere se applicare o meno le misure di prevenzione nei confronti di Corona - la questura aveva chiesto l'aggravamento della misura della sorveglianza - ha deciso che "sussistono i presupposti per dichiarare venuta meno la pericolosità sociale" dell'ex fotografo dei vip e "disporre la revoca della misura di prevenzione".
Una misura che gli consente di riottenere il passaporto e realizzare, ora che ha compiuto da poco i 50 anni, un altro sogno. "Il passaporto non mi serve per scappare, ma per cominciare un'attività che sogno da anni, sto girando documentari per l'America" aveva spiegato alla corte lo scorso dicembre. La sorveglianza speciale per un anno e 6 mesi era stata applicata su Corona il 30 maggio del 2012, pochi mesi prima dell'arresto per scontare una pena definitiva. Soddisfatto per la decisione lo storico legale Ivano Chiesa: "Abbiamo vinto anche questa volta, ma quanta fatica!".
Cronaca
Medicina, sindrome intestino irritabile e sistema...
Il coordinatore D’Amato (Lum): "Il corredo genetico comune suggerisce nuovi approcci terapeutici"
Alcuni dei meccanismi biologici che causano la sindrome dell’intestino irritabile (Ibs) potrebbero essere in comune con le malattie cardiovascolari (Cvd). Lo rivela lo studio di un gruppo di ricerca internazionale che ha coinvolto scienziati dell’Università Lum Giuseppe Degennaro, Irgb-Cnr, Ceinge e Università di Napoli Federico II, della Monash University (Australia), Cic bioGune (Spagna) e dell'Università di Groningen (Paesi Bassi). "La consapevolezza che il corredo genetico alla base dell'Ibs contribuisce in modo simile alla Cvd - afferma Mauro D'Amato, professore ordinario di Genetica medica dell'Università Lum e coordinatore dello studio - ci suggerisce che alcuni farmaci e approcci terapeutici utilizzati per trattare l’una o l’altra patologia potrebbero essere applicati per trattarle entrambe”.
La sindrome del colon irritabile - spiega una nota - è uno dei disturbi gastrointestinali più comuni in tutto il mondo e colpisce fino al 10% delle persone (donne più degli uomini) con una complessa varietà di sintomi che includono dolore addominale, gonfiore, diarrea e stitichezza, riducendo così significativamente la qualità della vita dei pazienti. Le cause dell’Ibs non sono ben note, il che si traduce in una gamma limitata di opzioni terapeutiche, che spesso funzionano solo in alcuni pazienti. La familiarità e la predisposizione genetica all’Ibs sono conosciute, ma l’esatta natura dei geni e dei meccanismi biologici coinvolti sono rimasti per lo più sfuggenti. I ricercatori hanno studiato dati provenienti da UK Biobank e Lifelines, 2 importanti biobanche del Regno Unito e dei Paesi Bassi, e hanno confrontato i profili di Dna di 24.735 persone con Ibs e 77.149 individui sani. Hanno identificato 4 regioni del genoma, di cui 2 non segnalate in precedenza, dove alcune varianti del Dna sono più comuni nelle persone con Ibs.
I risultati, pubblicati sulla rivista ‘Cellular and Molecular Gastroenterology and Hepatology’, implicano complessivamente geni coinvolti in importanti processi fisiologici come il controllo della motilità gastrointestinale, l’integrità della mucosa intestinale e il ritmo circadiano. Il team ha anche analizzato le somiglianze tra la genetica che predispone all’Ibs e quella di altre malattie comuni. Oltre alla nota sovrapposizione con disturbi dell’umore e d’ansia, come rivelato negli studi precedenti, hanno identificato un nuovo legame con varie condizioni e malattie del sistema cardiovascolare, inclusa l’ipertensione, cardiopatia ischemica (coronarica) e angina pectoris. "Trovo che questo sia il risultato più importante del nostro studio”, commenta D’Amato. Lo studio ha infine dimostrato che l’ereditabilità dell’Ibs - il peso della genetica nella predisposizione alla malattia - è più forte di quanto precedentemente riconosciuto “rafforzando l’idea e la speranza, che ulteriori scoperte possano venire da altri studi genetici attualmente in corso su un numero di individui ancora più elevato", conclude.