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Salute e Benessere

Covid Italia oggi, 56.404 casi e 316 morti: bollettino...

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Covid Italia oggi, 56.404 casi e 316 morti: bollettino ultima settimana

I dati dal 7 al 13 dicembre: -3,8% contagi rispetto alla scorsa settimana, i decessi salgono dell'1%. Tasso di positività in lieve calo al 20,2%, diminuiscono i tamponi effettuati

Tampone covid - Fotogramma

I numeri del Covid in Italia nel bollettino con contagi e morti nella settimana dal 7 al 13 dicembre. Nel Paese si registrano 56.404 nuovi casi positivi al virus, con una variazione del -3,8% rispetto alla settimana precedente (58.637). I decessi sono 316, +1% rispetto alla settimana precedente (313). E' quanto si legge nel bollettino settimanale Covid-19 diffuso dal ministero della Salute.

I tamponi effettuati sono stati 279.323, -1,9% rispetto alla settimana precedente (284.806), con un tasso di positività del 20,2%, in calo di 0,4 punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione (20,6%).

Il tasso di occupazione in area medica relativo al 13 dicembre è pari all'11,9% (7.426 ricoverati), rispetto al 10,7% (6.668 ricoverati) del 6 dicembre. Il tasso di occupazione in terapia intensiva relativo è del 2,7% (240 ricoverati), rispetto al 2,5% (219 ricoverati).

Cresce intanto la 'famiglia Pirola' in Italia e accelera in particolare JN.1, sottovariante di Sars-CoV-2 che ha attirato l'attenzione degli esperti e delle autorità internazionali per la sua trasmissibilità e la possibile fuga immunitaria, secondo quanto emerge dal monitoraggio settimanale della Cabina di regia ministero della Salute-Istituto superiore di sanità.

In base ai dati di sequenziamento disponibili nella piattaforma nazionale I-Co-Gen - si legge - nelle ultime settimane di campionamento consolidate (dati al 4 dicembre) si continua a osservare una predominanza di ceppi virali ricombinanti riconducibili a XBB. Tra questi, la variante d'interesse EG.5 o Eris, con diversi sotto-lignaggi, si conferma maggioritaria. In crescita la proporzione di sequenziamenti attribuibili alla variante d'interesse BA.2.86 (Pirola), e in particolare al suo sotto-lignaggio JN.1.

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In Italia 250mila celiaci, crescono diagnosi e 70% donne

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In Italia 250mila celiaci, crescono diagnosi e 70% donne

Sono 251mila le persone in Italia con una diagnosi di celiachia, il 70% donne. Nel 2022 sono state registrate 10.210 nuove diagnosi di celiachia. Un dato in crescita rispetto al 2021 (8.582) e al 2020 (7.729) ma ancora minore rispetto al 2019 (11.179). E' la fotografia scattata dalla Relazione al Parlamento (anno 2022) del ministero della Salute. "Dei 251.939 soggetti celiaci il 2% (5.401) ha un’età compresa tra 6 mesi e 5 anni, il 4% (11.066) rientra tra 6 e 9 anni, il 7% (16.463) ha tra i 10 e i 13 anni, l’8% (20.380) ha tra i 14 e i 17 anni, il 67% (168.776) ha tra i 18 e i 59 anni e il restante 12 % (29.853) ha più di 60 anni di età", precisa la Relazione. La spesa per l’erogazione degli alimenti senza glutine in esenzione nel 2022 ha toccato 237,6 mln di euro pari a 943 euro pro capite.

"In Italia sono oltre 250mila le persone che, a causa della malattia celiaca, sono costrette ad osservare quotidianamente una rigorosa dieta priva di glutine. Nella nostra Nazione la dieta del celiaco è in quota parte finanziata dal Servizio Sanitario Nazionale per l’erogazione gratuita dei prodotti senza glutine. La celiachia in Italia è riconosciuta anche come malattia sociale poiché condiziona il normale inserimento nella vita di gruppo tanto da comprometterne alle volte l’osservanza della dieta. Per prevenire il più possibile situazioni di disagio e agevolare l’accesso sicuro ai servizi di ristorazione collettiva è previsto un ulteriore contributo annuale che le Regioni possono investire per implementare iniziative di formazione per gli operatori del settore alimentare e per consentire l’adeguamento delle mense annesse alle strutture pubbliche". Così il ministro della Salute Orazio Schillaci nel contributo scritto alla Relazione annuale sulla celiachia (anno 2022) al Parlamento.

"Per la celiachia ad oggi non esiste una cura ma le complicanze di una diagnosi tardiva restano importanti - ha ricordato il ministro - per cui nel 2023 il Parlamento italiano ha deciso di investire sulla prevenzione sviluppando un programma di screening nazionale per la popolazione pediatrica. Il presente documento è la sintesi di un anno di prezioso e faticoso lavoro svolto da chi costantemente si batte per la salvaguardia del bene più prezioso: la salute".

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Italiani papà più vecchi d’Europa, primo figlio a 36...

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Ma la fertilità, spiega la Società italiana di andrologia, ha il suo picco massimo tra i 20 e i 30 anni. E per gli andrologi la paternità ritardata dopo i 45 anni è dannosa per i figli

Papà e figlia - Fotogramma

Diventare papà per la prima volta è un'esperienza che gli uomini italiani spostano sempre più avanti nel tempo, più di quanto si faccia negli altri Paesi europei. I più recenti dati Istat indicano che in Italia si diventa papà mediamente a 35,8 anni, mentre in Francia a 33,9 anni, in Germania a 33,2, in Inghilterra e Galles a 33,7 anni. Un fenomeno sempre più frequente rispetto al passato che riguarderebbe circa il 70% dei nuovi papà italiani: ciò significa che un uomo su 3 è ancora senza figli oltre i 36 anni d'età. A tracciare il quadro, alla vigila della Festa del papà, sono gli esperti della Società italiana di andrologia (Sia) che ricordano l'importanza di anticipare la paternità e, dove non possibile, di preservare la fertilità fin da giovani, soprattutto attraverso un sano stile di vita.

La tendenza a ritardare la paternità, ricordano gli andrologi, non è priva di conseguenze: numerose evidenze scientifiche dimostrano che le caratteristiche funzionali dello spermatozoo, cioè motilità, morfologia e anche i danni al Dna, peggiorano con l'aumentare dell'età. A tutto questo si aggiunge al fatto che con l'avanzare dell'età aumenta il tempo di esposizione agli inquinanti ambientati esterni, come le microplastiche che negli ultimi anni hanno dimostrato essere un problema rilevante per la fertilità maschile. In più i cambiamenti climatici con l'aumento della temperatura globale hanno anch'essi un impatto negativo sulla fertilità maschile, dimostrato dalla riduzione volumetrica dei testicoli nella popolazione generale.

"In Italia - spiega Alessandro Palmieri, presidente Sia e docente di Urologia all'Università Federico II di Napoli - l'età in cui si fa il primo figlio è aumentata di 10 anni, passando dai 25 anni della fine degli anni '90 ai circa 36 attuali, che pongono il nostro Paese in cima alla classifica dell'età media del concepimento in Europa. Un fenomeno che riguarda quasi il 70% dei nuovi papà italiani. Ne consegue" appunto "che un uomo su 3, superata questa soglia, è ancora senza figli. Questo significa che nel giro di pochi decenni si è passati da una situazione nella quale solo una ridotta minoranza arrivava senza figli all'età di 35 anni a una nella quale la maggioranza della popolazione maschile rinvia oltre questa soglia anagrafica la prima esperienza di paternità". La nostra società "sta assegnando alla riproduzione un ruolo tardivo, dimenticando che la fertilità, sia maschile che femminile, ha il suo picco massimo tra i 20 e i 30 anni e che la potenzialità fecondante del maschio è in netto declino".

Con l'avanzare dell'età, sottolinea Palmieri, "la fertilità diminuisce perché anche gli spermatozoi 'invecchiano' e bisogna insegnare alle giovani generazioni l'importanza di una fertilità sana al momento giusto che va preservata fin da giovani". Per questo la Sia, in collaborazione con l'Istituto di Farmacologia clinica dell'Università degli studi di Catanzaro, ha sviluppato un nuovo integratore con effetti positivi sulla salute maschile in generale, compresa la fertilità.

"Lo scopo della medicina moderna non è solo quello di curare, ma soprattutto di prevenire e da questo concetto - illustra Tommaso Cai direttore dell'Unità operativa di urologia dell'ospedale di Trento e segretario della Sia - nasce il composto chiamato Drolessano, un mix di 7 sostanze naturali, due delle quali hanno specifici effetti sulla fertilità maschile. Si tratta dell'escina estratta dai semi e dal guscio dell'ippocastano, un potente antiossidante utile nel preservare la fertilità, ma anche per prevenire i sintomi della prostatite cronica, patologia questa che anch'essa implicata nella riduzione della fertilità maschile". L'altra sostanza alleata della fertilità maschile "è il licopene, un nutriente presente nei pomodori, che secondo uno studio dell'Università di Sheffield, pubblicato sull''European Journal of Nutrition', potrebbe aumentare la qualità dello sperma e contrastare l'infertilità maschile, proteggendo dagli effetti dannosi dei radicali liberi", spiega Cai.

Paternità dopo i 45 anni? Dannoso per i figli

Ma non è tutto. Gli uomini che ritardano la paternità, soprattutto dopo i 45 anni, non solo devono affrontare problemi di fertilità ma possono mettere a rischio anche la salute dei figli, mettono in guardia gli esperti della Società italiana di andrologia.

"Mentre si sa che per le donne dopo i 35 anni possono esserci cambiamenti fisiologici che influiscono sul concepimento, gravidanza e salute del bambino - spiega ancora Cai - la maggior parte degli uomini invece non è consapevole dell’impatto dell’età dovuto non solo al calo naturale del testosterone, ma anche alla perdita di ‘forma fisica’ degli spermatozoi che può portare anche a cambiamenti nello sperma che vengono trasmessi da genitori a figli nel loro Dna. È ben documentato che concepire in età avanzata comporta il rischio che il bambino nasca o sviluppi nel tempo problemi di salute".

Secondo uno studio pubblicato su Nature, ogni anno in più del padre comporterebbe un incremento di 1,51 nuove mutazioni genetiche nei figli, il 25% in più rispetto a quelle che dipendono dalla madre. Un altro studio, pubblicato sempre su Nature, suggerisce che i figli di padri anziani hanno un rischio più alto di autismo e schizofrenia nei figli. "In definitiva, così come la fertilità femminile - conclude Alessandro Palmieri, presidente Sia e docente di Urologia alla Università Federico II di Napoli - anche quella maschile, è tempo-dipendente. È dunque fondamentale sfatare il mito dell’uomo fertile a tutte le età e promuovere invece strategie di informazione, prevenzione e preservazione della fertilità maschile, cominciando dalla giovane età, poiché una volta instaurati i danni non sono reversibili".

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Salute e Benessere

Chi sarà il nuovo presidente Aifa? L’identikit

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Parla Guido Rasi che ha guidato l'agenzia italiana e quella europea: "Non serve uno scienziato da Nobel, un accademico. C'è bisogno, e subito, di un super tecnico. Uno dell'ambiente". Sarà donna? "L'importante è che sia la persona giusta, in tempi rapidi"

(Fotogramma)

Era il 22 febbraio quando il virologo Giorgio Palù, da appena un paio di settimane confermato alla presidenza della nuova Aifa, sbatteva la porta dell'Agenzia italiana del farmaco dimettendosi fra le polemiche. E' passato quasi un mese e il sostituto ancora manca. Tanti rumor, ma di fatto nessun nome. Perché? Quale figura si sta cercando? E dove? Guido Rasi, professore di microbiologia all'università di Roma Tor Vergata, già direttore generale dell'ente regolatorio nazionale e per due volte direttore esecutivo dell'Agenzia europea del farmaco Ema, interpellato dall'Adnkronos Salute traccia un identikit del presidente ideale per l'Aifa e invita a far presto: "Non c'è bisogno di uno scienziato da Nobel", un super accademico, spiega. "Serve piuttosto una persona con un solidissimo background farmaceutico-regolatorio e una consuetudine assoluta con l'inglese". E "serve subito", ammonisce Rasi, perché in Europa i dossier 'caldi' sono tanti e "l'Italia deve poter pesare ai tavoli internazionali".

"Indubbiamente - premette l'esperto - ha sorpreso tutti il comportamento di Palù, imprevedibile e forse anche non molto responsabile, considerando che credo sapesse fin dall'inizio come stavano le cose". Detto questo, guardando al futuro, chi 'salverà' l'Aifa? "Il mio personale parere - risponde Rasi - è che il ruolo di presidente Aifa, soprattutto per come lo ha disegnato la riforma dell'agenzia, richieda un profilo molto specifico per un lavoro altrettanto specifico. Sicuramente una competenza clinica sarebbe molto utile, però bisogna focalizzarsi più sul lavoro che il presidente Aifa è chiamato a fare quotidianamente".

Qual è? "La determinazione del rapporto beneficio-rischio dei nuovi farmaci la fa l'Ema", ricorda l'ex direttore, quindi questo lavoro all'Aifa è 'risparmiato'. Il presidente entra in gioco "dopo che la Cse", la nuova Commissione unica scientifica ed economica, "ha valutato l'opportunità dell'entrata in commercio di un farmaco sul territorio nazionale, se rimborsarlo, quale tipo di rimborso dargli e quali indicazioni fornire per il suo impiego nella pratica clinica. L'ultimo check", la parola finale, "spetta al Consiglio di amministrazione e al suo presidente". E in un Cda in cui "tutti sono nuovi, bravi ma inesperti della materia, almeno il presidente deve esserlo. Deve essere una guida", sostiene l'ex Dg. Di più: "E' chiamato ad agire anche sviluppando una visione strategica" su questioni molto tecniche. Rasi fa degli esempi: "Gli toccherà valutare se la definizione di innovazione vigente sia ancora attuale; preparare una strategia per le terapie avanzate, che non abbiamo; capire se la Legge 648, che norma fra le altre cose l'uso compassionevole dei farmaci, vada ancora bene".

Un requisito chiave su cui insiste il docente di Tor Vergata è la competenza linguistica. Il presidente dell'Aifa "deve essere una persona che abbia un'assoluta dimestichezza con l'inglese e che lo parli correntemente, perché il rappresentante legale di Aifa siede nel Cda di Ema e questo è strategico", precisa Rasi che sul tema si toglie qualche 'sassolino' dalla scarpa: "Gli ultimi tre direttori generali" in Europa "non ci sono andati o non ci andavano quasi mai, e questo ha prodotto un danno molto grosso perché molte normative fondamentali sono state scritte o impostate senza che l'Aifa abbia avuto una gran voce in capitolo. Dossier chiave, su cui sarebbe stato bene che l'Italia pesasse invece di trovarsi a 'rincorrere' disposizioni magari più convenienti per altri Paesi, mentre il nostro era assente al tavolo delle trattative".

Ecco perché la figura che l'esperto ha in mente "deve conoscere molto bene l'argomento tecnico-regolatorio e avere grande familiarità con il network europeo, perché in questo anno avremo la nuova legge farmaceutica, la riforma dell'Ema, il regolamento sulla valutazione clinica congiunta Jca", elenca Rasi. "Il presidente Aifa dovrà essere presente - avverte - e portare posizioni italiane molto chiare, molto nette e molto ben elaborate". In definitiva "non serve uno scienziato da Nobel, un teorico magari bravissimo, ma senza esperienza del mondo regolatorio e delle leggi farmaceutiche internazionali. Serve un tecnico con un'esperienza scientifica-regolatoria inattaccabile - ribadisce - che sia persona rispettata o che si fa rispettare in Europa. Idealmente qualcuno che è già stato in Aifa o che ci sta attualmente, oppure che abbia lavorato a stretto contatto con i comitati Aifa". Insomma "una persona dell'ambiente".

Uomo o donna come le ultime indiscrezioni facevano sperare? "Io di donne veramente brave, che corrispondono bene alla descrizione che ho fatto - replica l'ex numero uno dell'Ema - ne conosco tante. Se troviamo la figura giusta in una donna, sarebbe ovviamente un bel segnale. Però l'Aifa, che in ogni caso ha al suo interno tante dirigenti di grandissimo livello - chiosa Rasi - ha bisogno di una guida adeguata a prescindere dal genere. Il profilo giusto, in tempi molto rapidi".

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