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“Niente più vino al matrimonio”, sposo ubriaco in tribunale...
“Niente più vino al matrimonio”, sposo ubriaco in tribunale per minacce alla proprietaria della villa
Finché vino non ci separi… Uno sposo è finito in tribunale a Varese per danneggiamento, danni morali e materiali e dovrà rispondere al giudice del suo comportamento avvenuto proprio il giorno del proprio matrimonio. La causa? La proprietaria aveva avvisato che non sarebbe stato servito più vino al ricevimento scatenando l’ira del 34enne. Ma scopriamo insieme la dinamica dei fatti.
Il matrimonio
La storia ha inizio sulle sponde del Lago della città, in località Galliate Lombardo, quando, nella villa che ospitava il “banchetto” del matrimonio, qualcosa non è andato come sperato. Il matrimonio avvenuto nel settembre del 2021, infatti, è finito in minacce e violenza. Comportamenti, questi, per i quali lo sposo è costretto a rispondere in tribunale, dinanzi al giudice Davide Alvigini.
“Stop al vino”
Lo sposo, in compagnia di amici e parenti, con un gruppetto più o meno ristretto di persone, pare abbia esagerato con l’alcool. Al momento della torta, il personale del catering ha smesso di servire alcol. Fatto, questo, che ha scatenato l’ira del protagonista della giornata. Ira che si è trasformata in minacce alla proprietaria dell’immobile che, avendo casa ai piani superiori, si sarebbe rifugiata lì per evitare una possibile aggressione fisica.
Le minacce
Prima sembra che lo sposo abbia fatto il cenno di tagliarle la gola, poi il tentativo di raggiungerla nelle stanze in cui la donna si sarebbe rifugiata e, infine, i danni materiali agli oggetti della location. Secondo la ricostruzione dei fatti esposta al giudice di Varese, come riporta Malpensa24, sembra inoltre che sposo e amici abbiano urinato nella piscina della dimora storica. Il processo proseguirà il 20 gennaio 2025. La proprietaria della casa si è costituita parte civile ed è rappresentata in giudizio dall’avvocato Fabio Ambrosetti: L’imputato è difeso dall’avvocato Mauro Dalla Chiesa. I reati contestati all’imputato sono danneggiamento, minacce e tentata violazione di domicilio.
In aula, anche un vicino di casa come testimone, che ha raccontato: “Erano tutti ubriachi, la sposa piangeva. Alla fine della festa l’autista del pullman non voleva riportarli indietro”.
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Malattie rare, un problema soprattutto al femminile. In un...
Le donne sono la maggioranza delle persone con una malattia rara, e la quasi totalità di coloro che si prendono cura di un malato. Una predominanza al femminile che però più che fonte di orgoglio è causa di problemi economici, personali e psicologici. L’occasione per parlarne è stato, oggi a Roma al Senato, l’evento conclusivo della campagna ‘Women in Rare – la centralità delle donne nelle malattie’, durante il quale è stato presentato ‘Donne e malattie rare: impatto sulla vita e aspettative per il futuro’, il primo libro bianco italiano, con informazioni, indagini qualitative e testimonianze di pazienti e caregiver.
Un’iniziativa ideata e promossa da Alexion, AstraZeneca Rare Disease insieme a Uniamo (Federazione italiana malattie rare) con la partecipazione di Fondazione Onda Ets, EngageMinds Hun e Altems dell’Università Cattolica.
L’obiettivo del progetto, spiega la presidente di Uniamo Annalisa Scopinaro, “è sollecitare azioni che possano tutelare le donne caregiver nella loro attività di cura quotidiana, che spesso le conduce a lasciare il lavoro, e le pazienti con malattia rara riguardo alla medicina di precisione e alla prevenzione delle altre patologie. È necessario aiutare le prime con una legge specifica che si occupi del caregiving, e le seconde offrendo assistenza e consulenza”.
In Italia – spiega una nota – sono più di 2 milioni le donne che hanno a che fare quotidianamente con una malattia rara, più di 1 milione come pazienti e altrettante come caregiver di un familiare, molto spesso un figlio o una figlia.
Cosa sono le malattie rare
In Europa le malattie sono considerate rare quando colpiscono 1 persona su 2mila. Il che significa che messe tutte insieme non si tratta di uno sparuto gruppo di malati, tutt’altro: secondo i dati della Commissione Europea, nell’UE sono 36 milioni le persone affette da una di queste patologie. Mentre in Italia, spiega l’Istituto superiore di sanità, si stima che ci siano oltre 1 milione di pazienti.
Il 72% delle patologie rare ha un’origine genetica, mentre le altre sono causate da infezioni, allergie e cause ambientali, oppure si tratta di tumori rari. Il 70% esordisce nella prima infanzia. Ad oggi se ne conoscono tra le 7 e le 8mila.
L’impatto delle malattie rare sulle donne
Per valutare l’impatto delle malattie rare, occorre considerare alcune peculiarità, come spiega Guendalina Graffigna, professoressa ordinaria di Psicologia dei consumi e della salute all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona e direttrice del centro di Ricerca EngageMinds Hub che ha curato l’indagine: “Esiste una prevalenza di genere femminile del 52,4%” che “sono 1 milione e 48mila. Inoltre il carico assistenziale dei pazienti è nel 90% dei casi assorbito da loro. Basti pensare che 1 milione e 400mila pazienti sono in età pediatrica, e 2 su 5 oggi hanno meno di 18 anni: a prendersi cura di loro sono molto spesso le madri, che in numerosi casi vivono la riduzione delle proprie attività lavorative, ludiche e relazionali, in un’identificazione totale con la malattia e con l’incarico assistenziale che ne consegue. Purtroppo, molto spesso, le figure femminili sono ritenute le più adatte a occuparsi di un familiare malato e risentono di pressioni legate al ruolo di cura, che le porta a rinunciare a moltissime delle attività sociali”.
Le donne pagano dunque costi personali e familiari molto elevati, come evidenzia l’indagine e come sottolinea Giuseppe Arbia, direttore di Altems: ”Il 42% delle donne affette da malattia rara dichiara che la propria situazione economica è cambiata a seguito della diagnosi, con un peggioramento in 8 casi su 10”. E con un aggravio anche dal punto di vista psicologico. Le spese addizionali sono dovute a:
• trattamenti medici (77%), incluse le spese legate a viaggi per poter accedere a terapie e controlli (23%)
• gestione della casa e della famiglia (19%)
• Inoltre le donne con malattia rara perdono in media 45,46 giorni di lavoro all’anno, ovvero 3,78 giorni al mese.
La situazione economica peggiora anche quando la diagnosi è relativa ai propri figli, come dichiara il 65% delle caregiver. E anche in questo caso, le spese addizionali sono dovute a:
• trattamenti medici (69%), incluse le spese legate a viaggi per poter accedere a terapie e controlli (22%)
• gestione della casa e della famiglia (28%)
• in media, i giorni di lavoro persi dalle caregiver sono 43,67 all’anno, 3,64 al mese
Un riflettore sulla condizione di pazienti e caregiver
Riferendosi ai risultati dell’indagine, Nicoletta Orthmann, direttrice medico-scientifica di Fondazione Onda Et, afferma: “La maggior parte delle donne intervistate ci ha raccontato che la patologia ha un’influenza negativa anche sulla percezione di sé e della propria femminilità e di sentirsi spesso in imbarazzo a causa delle limitazioni fisiche che comporta. Lo stesso avviene per la fertilità, un tema delicato per molte di loro. Con questa campagna vogliamo accendere i riflettori sulla condizione di queste donne, per chiedere interventi alle Istituzioni che vertano principalmente sull’offerta di supporto psicologico, sulla creazione di linee guida specifiche e percorsi diagnostici e su un’implementazione dei servizi sanitari territoriali con attenzione alla questione di genere”.
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Parti prematuri e inquinamento, quale legame? Il progetto...
Parti prematuri e inquinamento, c’è un legame? A scoprirlo sarà un progetto di ricerca dal titolo “TinyTrend” guidato da Alber Navarro Gallinad, health data scientist dello Human Technopole (Ht) di Milano, vincitore di una borsa di studio Msca (Marie Skłodowska-Curie actions postdoctoral fellowship) finanziata dalla Commissione europea con oltre 172mila euro per 2 anni.
Con il supporto di Big data e intelligenza artificiale, Gallinad analizzerà quasi 1 milione di parti avvenuti in Lombardia negli ultimi 12 anni. In questo modo si potrà fare luce sull’eventuale influenza ambientale e orientare futuri interventi di prevenzione.
Quale legame?
Sono oltre 4.280 i parti pretermine registrati in Lombardia nel 2022. Nel mondo, invece, la nascita prematura resta la principale causa di morte nei bambini under 5, con circa 900mila decessi all’anno. Fra le possibili cause, sotto la lente della scienza c’è anche l’ambiente.
A partire da questo possibile legame si fortifica la collaborazione tra Regione Lombardia e Ht che, in occasione della Giornata nazionale della salute della donna, Gallinad avrà accesso ai dati sanitari delle nascite registrate in Lombardia, incrociandoli con informazioni relative ai cambiamenti normativi delle politiche di riduzione del rischio che si sono susseguiti nel corso degli anni.
La missione del progetto
Il progetto di ricerca si pone l’obiettivo di misurare come la riduzione del traffico potrebbe incidere sulla frequenza di nascite premature.
“Questo permetterà di unire i puntini tra il ruolo dell’inquinamento atmosferico e il rischio per le donne in gravidanza, usando il cambio di policy come un esperimento naturale – si legge nella nota di presentazione del progetto -. Questo approccio innovativo permetterà di individuare ulteriori cause ambientali legate ai parti prematuri”. TinyTrend vuole rappresentare “una best practice per altre Regioni italiane”, generando “conoscenze che potranno anche essere trasferite per lo studio di altre patologie con una forte componente ambientale e dalle cause ancora incerte”.
La metodologia
Un sito web includerà uno spazio educativo all’interno del quale verranno presentati i risultati della ricerca. Quest’ultimi saranno disponibili anche in inglese e spagnolo. Il sito aderirà all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e alla Strategia globale per la salute di donne, bambini e adolescenti sviluppata dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Altro traguardo di Ht è la Marie Curie postdoctoral fellowship con il progetto ‘Prune’ di Carlos Jiménez, che studierà come la disposizione spaziale che assumono le proteine nucleari contribuisca a ottimizzare il funzionamento della cellula. Oltre a costituire un ulteriore tassello sulla conoscenza di base della cellula, in futuro queste informazioni potrebbero fornire strumenti per identificare nuovi target terapeutici per il trattamento di alcune malattie.
“Queste prestigiose borse di studio ottenute dai nostri ricercatori – ha dichiarato il direttore di Human Technopole, Marino Zerial – confermano la necessità e l’importanza di investire nei giovani, anche e soprattutto nel mondo scientifico, e confermano ancora una volta il grande impegno di Ht nella sua missione di migliorare la salute delle persone e nel suo ruolo formativo per le prossime generazioni di scienziati. Gli studi di Albert Navarro Gallinad e Carlos Jiménez combineranno Big data con l’intelligenza artificiale e le tecnologie di mappatura tridimensionale del genoma umano. Lo svolgimento di questi progetti potrà inoltre essere potenziato dalle collaborazioni con altri gruppi di ricerca e con le piattaforme tecnologiche all’interno di Human Technopole”.
Ai, cambiamenti climatici e fertilità
Non è la prima volta che vengono impiegati strumenti di intelligenza artificiale allo studio della fertilità e degli apparati organici umani. Così come, il legame con l’inquinamento ricorda quanto l’ambiente influenzi la possibilità di avere o meno una fertilità più o meno elevata. A temperature più calde, infatti, ricercatori hanno dimostrato quanto il rischio di avere uno sperma meno efficace aumenti. Così come l’intelligenza artificiale è stata impiegata recentemente per la realizzazione di un app a supporto dei medici che si occupano di procreazione medicalmente assistita.
I progetti di Ht, così come quest’ultimi esempi, dimostrano quanto la tecnologia possa diventare importante nel futuro della demografia tanto quanto il monitoraggio e la gestione del cambiamento climatico.
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Denatalità, motivazioni e cause del calo di nascite: il...
Figli desiderati e possibilità reali? Il divario aumenta. A confermarlo è un recente studio condotto da UniMamma che ha riportato la discrepanza tra la media di 2,62 figli desiderati rispetto a quella reale dei figli che realmente possedevano gli intervistati, pari, cioè, a 1,03 per donna. Il sondaggio è stato condotto dalla piattaforma che si pone l’obiettivo di offrire un sostegno concreto e sensibile durante le tappe della gravidanza. La fondazione fondata da Alessandra Bellasio, su un campione rappresentativo di 7.620 individui, di cui il 99% donne, ha messo in evidenza il gap. Scopriamo insieme cos’è emerso.
Desiderio di un secondogenito
Il 76.22% del campione totale rientra nell’età tra i 31 e i 40 anni, mentre il 13.62% si colloca nella fascia tra i 19 e i 30 anni. Uno dei dati più significativi emersi dalla ricerca ha evidenziato la complessità delle dinamiche sociali, economiche e per-sonali che influenzano e modellano le decisioni familiari riguardo alla procreazione. Ragionando ipoteticamente, se ogni persona in Italia avesse in media 2,6 figli anziché 1.20, ci sarebbero circa 851.667 nascite all’anno rispetto alle 379 mila rilevate dall’Istat nel 2023.
Le motivazioni che non hanno portato le coppie con almeno un figlio ad averne altri, secondo quanto emerso dal sondaggio, sono:
l’inconciliabilità con il lavoro (26.19%);
le difficoltà economiche (19.31%);
la mancanza di aiuto da parte della famiglia allargata (10.08%).
Il 95.08% degli intervistati lavorava prima della gravidanza. A rientrare a lavoro dopo la nascita del neonato è solo il 61.3%. Tra le motivazioni dichiarate del mancato rientro a lavoro dopo la gravidanza sono emerse: una grande difficoltà a conciliare la vita privata con quella lavorativa (41.6%), il licenziamento (20.8%) e condizioni di lavoro modificate (14.01%). Da questi dati emerge, inoltre, come il problema non sia soltanto la poca flessibilità che rende difficile il conciliare la vita privata con quella lavorativa, ma anche il persistere di situazioni quali licenziamenti, mancati rinnovi di contratti a termine e mobbing.
Cosa influenza la denatalità?
Lo studio ha fornito un’importante panoramica sulle dinamiche che influenzano le scelte familiari nella nostra società. Quando si parla di conciliabilità, ci si scontra con delle politiche aziendali che non tengono sempre conto del welfare dei dipendenti e che dovrebbero implementare e supportare quelle statali dedicate alla famiglia.
“Questa ricerca offre una prospettiva importante sulle esperienze e le aspettative delle persone riguardo alla genitorialità – ha commentato Alessandra Bellasio, divulgatrice scientifica e founder UniMamma -. È evidente che tra gli intervistati c’è la volontà di avere famiglie più numerose, ma questo desiderio è spesso limitato da una serie di fattori che influenzano le decisioni familiari e sulle quali è necessario e urgente intervenire in modo strutturale”.
Lo scenario nazionale
Il sondaggio di UniMamma conferma uno scenario nazionale che preoccupa. Una donna su cinque, secondo i più recenti dati Eurostat sull’Italia, lascia il lavoro dopo la gravidanza. Sul tema della conciliazione ci sono studi che hanno evidenziato non solo l’importanza di un cambiamento societario legato alla gestione della cura della casa e dei tempi di lavoro, necessario per la salvaguardia dell’occupazione femminile, ma anche la necessità di un cambiamento culturale.
Mentre aumenta il numero di dimissioni, pari a quasi 45 mila donne nell’ultimo anno, peggiora anche la natalità, con l’ultimo censimento Istat che vede la popolazione italiana in calo, con lo spopolamento delle zone rurali e dei piccoli comuni, così come un aumento della longevità dei cittadini.