Economia
Ai, cosa devono fare le imprese italiane per prepararsi...
Ai, cosa devono fare le imprese italiane per prepararsi alla nuova normativa
Il regolamento sull’intelligenza artificiale entra in vigore tra più di due anni, ma le aziende possono già adeguarsi alle nuove regole. Ecco come secondo l’avvocato Garotti (PedersoliGattai)
L’AI Act, il regolamento europeo che disciplinerà l’intelligenza artificiale nell’Unione, entrerà in vigore a breve ma sarà pienamente applicabile tra poco più di due anni. Nel frattempo la Commissione ha lanciato un AI Pact, cioè un patto che incoraggia le aziende a prepararsi in anticipo alle nuove regole. In che modo dovranno farlo? “Senza ansia, con grande competenza e consapevolezza” dice all’Adnkronos l’avvocato Licia Garotti, partner dello studio legale PedersoliGattai ed esperta di diritto delle Tecnologie e Proprietà Industriale. “Ogni realtà dovrebbe porsi due domande: sto già usando tecnologie IA? Spesso sono tecnologie già implementate nei processi aziendali, ma in modo inconsapevole. Siamo pronti a trarne il meglio? Senza fermarci alla sola IA generativa, le diverse forme di intelligenza artificiale comportano vantaggi importantissimi per produttività, innovazione e, dunque, competitività sui mercati. Le tecnologie di IA vanno inoltre affrontate in un contesto non solo normativo (necessario, ma non sufficiente). È tessuto composti di fili diversi: tecnologia, industria e governance, etica (imprescindibile), regolamentazione, risposta economico-sociale, impatti sulla sostenibilità. Senza i fili giusti, si rischiano dei buchi, dei vuoti. Ed è proprio questo il momento giusto per un’organizzazione (e una protezione) ragionata di dati e processi”, spiega Garotti.
Una domanda che ci si pone, soprattutto in ambito imprenditoriale, riguarda l’effetto-freno che il regolamento potrebbe avere sull’innovazione. “L’errore più grave per le imprese europee e, per prime, quelle italiane, è vivere l’adeguamento all’AI Act come un “ingessamento”, un blocco allo sviluppo e all’operatività”, spiega l’avvocato. “Il Regolamento può in realtà rappresentare una guida efficace per sviluppatori e utilizzatori. Ciò sfruttando, ad esempio, in maniera strategica l’AI Pact. È un sistema di conformità anticipata e volontaria (Anticipated Voluntary Compliance) che inizia dalla valutazione di impatto sul rischio. Con un adeguamento anticipato alle norme già bene delineate nella versione approvata dal Coreper lo scorso 2 febbraio, le imprese europee hanno la possibilità di accogliere le opportunità di una tecnologia in continua evoluzione”.
Il quadro normativo non si esaurisce con l’AI Act: bisogna considerare anche la direttiva sulla responsabilità da sistemi di IA (AI Liability Directive), il digital service package (Digital Markets Act e Digital Services Act), le leggi nazionali e, a seconda del settore, le diverse normative di riferimento. Tra queste, l’avvocato Garotti cita “il Regolamento Dora rivolto ai servizi finanziari e assicurativi per la sicurezza e la resilienza delle infrastrutture digitali in Europa; o la disciplina dell’intelligenza artificiale nella legislazione europea sui dispositivi medici”. Tra gli elementi positivi di avere una legge che vale per tutta l’Unione c’è la standardizzazione: “In questo campo operano varie organizzazioni che cercano di uniformare i processi per tutti gli europei, riducendo i costi e le difficoltà burocratiche. Tra queste c’è il CEN-CENELEC che, attraverso il Comitato tecnico misto CEN-CENELEC 21 dedicato all’IA, è responsabile dello sviluppo e dell'adozione di standard per l'IA e dati correlati, oltre a fornire indicazioni agli altri comitati tecnici coinvolti. Nel contempo, gioca un ruolo decisivo la legislazione europea e italiana sui progetti, iniziative e incentivi adottati per incoraggiare gli investimenti per la produzione di semiconduttori e chip. In questo contesto, l'Italia sta svolgendo un ruolo primario nella predisposizione di misure idonee ad attrarre investimenti - anche di soggetti esteri - nel settore dei semiconduttori e della microelettronica”, precisa all’Adnkronos l’avvocato Licia Garotti.
Per alcuni si è dato più spazio alla competitività – per non rimanere troppo indietro rispetto a Cina e Stati Uniti che al momento non hanno una legislazione in materia – che ai diritti fondamentali. Per Garonna bisogna guardare non a Bruxelles ma a Strasburgo, sede del Consiglio d’Europa, e New York, nel palazzo delle Nazioni Unite: “Sui diritti cercherà di dare una risposta anche il progetto di Convenzione quadro sull'intelligenza artificiale, i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto, pubblicato dal Comitato sull'intelligenza artificiale (CAI) del Consiglio d'Europa a Strasburgo il 14 marzo 2024 (ancora in forma confidenziale, ancorché reso non ufficialmente disponibile). Le Parti devono adottare le opportune misure legislative, amministrative o di altro tipo per dare attuazione alle disposizioni contenute nella Convenzione, che possono includere misure specifiche o orizzontali indipendentemente dal tipo di tecnologia utilizzata. In questo quadro, si inserisce anche l’ultima risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla promozione di sistemi di intelligenza artificiale (IA) "sicuri, protetti e degni di fiducia", a beneficio dello sviluppo sostenibile per tutti. L'UE è però ancora in ritardo sugli investimenti (5-10 volte inferiori rispetto agli Stati Uniti, spesso senza coordinamento tra i Paesi dell’Unione)”, conclude Garotti.
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Clima, Confindustria e Deloitte: costo emissioni gas serra...
l’evento B7 “G7 Industry Stakeholders Conference”in programma a Torino il 28 aprile
Sulle sfide per la competitività B7 pesano il costo dell’energia e delle emissioni di gas serra. Nello specifico i costi elevati dell'energia elettrica costituiscono un ulteriore onere, in particolare per le aziende e i consumatori europei che sostengono prezzi tra i più alti a livello internazionale, doppi rispetto al mercato cinese. Tra gli svantaggi competitivi vi è l’elevato costo delle emissioni di gas serra nel G7 rispetto ai Paesi che non hanno ancora adottato efficaci politiche di sostenibilità, con il prezzo Europeo delle quote diemissione di gas serra nel 2023 pari a 90,26 $/tCO2e, dieci volte superiore al prezzo cinese. A evidenziarlo è il B7 Flash, la nota di Confindustria e Deloitte elaborata in occasione dell’evento B7 “G7 Industry Stakeholders Conference” in programma a Torino il 28 aprile e della riunione ministeriale G7 su “Energia, ambiente e clima” in agenda il 28, 29 e 30 aprile nel capoluogo piemontese. Il B7 Italy 2024, di cui Deloitte Italia è l'unico Knowledge Partner, è guidato da Confindustria e presieduto da Emma Marcegaglia.
Un altro costo da considerare è quello dei cosiddetti “stranded assets”, ovvero di tutti quegli investimenti che, in ragione del loro legame con le fonti fossili, sono destinati a perdere valore nei prossimi anni. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), includendo le risorse finanziarie, le infrastrutture, le attrezzature, i contratti e i posti di lavoro, le stime globali degli asset legati ai combustibili fossili non recuperabili al 2035 ammontano cumulativamente ad almeno mille miliardi di dollari. Questa cifra aumenterà fino a superare i 4 mila miliardi di dollari nel momento in cui saranno applicate politiche climatiche in grado di raggiungere l’obiettivo dei 1,5°C. A questi numeri andranno aggiunti i potenziali costi dovuti alla dismissione anticipata di parte delle reti di trasporto e distribuzione elettrica non compatibili con il mix di generazione rinnovabile e degli apparati industriali e civili basati sull’utilizzo di combustibili fossili. I beni e le risorse non recuperabili per obsolescenza anticipata nel contesto della transizione verde diventeranno quindi un onere economico per le imprese e per i consumatori.
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Lavoro, ecco 6 consigli per affrontare al meglio un...
La lista di Edusogno, la startup di English learning online fondata da 3 giovani under 30
L'inglese si conferma una delle lingue più utilizzate nel mondo del lavoro, tanto che la sua conoscenza è ormai richiesta in quasi tutti gli annunci. È quanto emerge da uno studio recente di EF su più di 10.000 annunci di lavoro, che ha identificato i settori in cui la padronanza dell'inglese è più ricercata, in quanto competenza diventata quasi implicita in alcune aree di mercato (come le vendite e l'accoglienza), e le professioni innovative (per esempio: supporto all’amministrazione, sviluppatore, tecnico, addetti vendita) che ne richiedono una solida padronanza. Ed Edusogno, la startup di English learning online fondata da 3 giovani under 30, ha messo a punto una lista di 6 consigli per affrontare al meglio un colloquio in inglese.
Primo - essere trasparenti. Onestà e precisione circa la propria capacità di esprimersi in lingua inglese sono fondamentali per affrontare il colloquio serenamente. Per questo è importante riportare correttamente il proprio livello sul curriculum in base al Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, e non mentire su eventuali certificazioni e soggiorni all’estero durante il colloquio: sono in gioco la nostra serietà e senso di responsabilità. Inoltre, condividere con il recruiter la volontà di intraprendere un percorso volto al miglioramento della lingua, può essere un gesto molto apprezzato.
Secondo - studiare l’interlocutore. Arrivare al colloquio dopo aver fatto una ricerca sulla realtà per cui ci si candida – in particolare guardando sito e pagine social – è importante perché permette di arrivare preparati ed essere più pronti nel discutere in inglese delle aspettative o dei dubbi legati alle prospettive di lavoro in quella posizione.
Terzo - il cv in inglese è importante. Anche se si sta cercando lavoro in Italia, avere una copia del proprio cv in lingua inglese è un plus irrinunciabile, tanto che molte aziende chiedono di ricevere esclusivamente questa versione, anche quelle con sede in Italia. È importante quindi essere in grado di esporlo parlando della propria istruzione e delle esperienze lavorative con la stessa fluidità con cui siamo in grado di farlo in Italiano.
Quarto - preparare le risposte. Stilare una lista di domande e risposte in inglese permette di non essere colti di sorpresa se posti di fronte ai tipici quesiti di un colloquio. Oltre alle domande sul proprio percorso di studi e background professionale, è bene prepararsi a rispondere anche in merito a passioni e attitudini personali, e alle domande più insidiose come 'Tre pregi e tre difetti?' o 'Dove vorresti essere tra 5 o 10 anni?'. Esercitarsi a essere fluenti nelle risposte può davvero fare la differenza.
Cinque - proattività. In genere, all’inizio del colloquio l’intervistatore pone al candidato qualche domanda più 'leggera' per rompere il ghiaccio. Preparare un breve argomento a piacere su un tema di natura personale (per esempio circa i propri interessi, il viaggio più recente, etc.) evita l’imbarazzo di non saper da dove cominciare e trasmette molta più sicurezza di sé.
Sei - fare una simulazione. Perché non chiedere a un amico madrelingua o particolarmente fluente di fare le veci del recruiter e darci un supporto in una breve sessione di allenamento? Simulare il colloquio in un ambiente protetto ci permetterà di analizzare i nostri punti deboli e intervenire tempestivamente. Questo esercizio è utile per chi ha un inglese particolarmente arrugginito.
“La maggior parte dei ruoli professionali richiede una competenza linguistica intermedia, situata tra il livello B1 e B2 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue. Per posizioni più specializzate e di livello più alto, come ingegneri e professionisti del marketing, è necessario un livello avanzato d’’inglese, almeno C1 o C2. Questi dati dimostrano l'importanza di investire nella formazione linguistica per tutti coloro che aspirano a carriere di successo", commenta Marco Daneri, director of education di Edusogno.
“È questo il motivo che ci ha spinto a condividere dei consigli per affrontare al meglio un colloquio di lavoro in lingua inglese. Crediamo fortemente che investire in corsi di lingua caratterizzati da metodologia e insegnanti altamente qualificati sia cruciale per rimanere competitivi sul mercato del lavoro e per sfruttare appieno le opportunità professionali, siano esse in Italia o all'estero", conclude.
Economia
Bce: “Inflazione Eurozona continua a decelerare,...
Nel Bollettino economico: "Aspettative a lungo termine al 2%"
Mentre l’inflazione complessiva nell'Eurozona "continua gradualmente il suo percorso disinflazionistico, di riflesso al calo dei tassi di crescita per beni alimentari e beni industriali non energetici", emergono "timidi segnali di una ripresa graduale della crescita nel prosieguo dell’anno". Lo rileva il Bollettino economico della Bce, pubblicato oggi.
Il minor tasso di crescita per i beni industriali non energetici, spiegano gli economisti della banca centrale, "è determinato dalla perdurante attenuazione delle pressioni inflazionistiche, nonostante il lieve aumento dell’inflazione dei beni energetici riconducibile in larga misura a effetti base". Nell'Eurozona le misure delle aspettative di inflazione a più lungo termine (per il 2028) si collocano per lo più "intorno al 2%", mentre quelle delle aspettative a più breve termine "sono diminuite".
Il ritmo di espansione del Pil in termini reali dovrebbe rimanere "modesto" nel primo trimestre del 2024, a causa del "perdurare di uno scostamento tra il settore manifatturiero, in difficoltà, e quello dei servizi, che mostra invece "maggiore capacità di tenuta". Emergono, tuttavia, "timidi segnali di una ripresa graduale della crescita nel prosieguo dell’anno".
Nei prossimi mesi, prevede ancora il Bollettino, ci si attende che l’inflazione oscilli "intorno ai livelli attuali", per poi diminuire "fino a raggiungere l’obiettivo del 2% il prossimo anno, "per effetto della più debole crescita del costo del lavoro, del dispiegarsi degli effetti della politica monetaria restrittiva perseguita dal Consiglio direttivo e del venir meno dell’impatto della crisi energetica e della pandemia".