

Salute e Benessere
Controlli Nas, in un anno sequestrate oltre 8mila tonnellate di alimenti
In un anno sono state sequestrate oltre 8mila tonnellate di alimenti irregolari, sono state eseguite circa 27mila ispezioni nei confronti dell’intera filiera agroalimentare, rilevando irregolarità in oltre 10mila strutture ispezionate (il 37%). E’ il frutto dell’intensa attività sviluppata dal Nas, d’intesa con il ministero della Salute, sulla base dei dati diffusi nella “Giornata mondiale della sicurezza alimentare”, che si celebra oggi. Il Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, attraverso l’azione giornaliera sull’intero territorio nazionale, da oltre 60 anni è impegnato nell’attenta vigilanza del settore alimentare per il rispetto delle norme a tutela della salute dei cittadini.
Controlli che, nell’ultimo anno, hanno consentito di sottrarre dalle tavole degli italiani oltre 8mila tonnellate di alimenti irregolari a causa di ignota provenienza, pessime condizioni igienico-sanitarie, stoccaggio in ambienti non adeguati, presenza di evidenti segni di alterazione o con date di scadenza superate, per un valore complessivo di oltre 34 milioni di euro. Nel corso dei controlli sono emerse 16.118 violazioni alle normative nazionali e comunitarie che disciplinano l’igiene e la sicurezza degli alimenti; arrestati tre operatori del settore alimentare (due veterinari addetti ai controlli della filiera delle carni e lattiero-casearia per corruzione ed abuso di ufficio, un titolare di un caseificio per furto di energia elettrica), sono stati segnalati 9.328 soggetti alle autorità competenti, di cui 772 denunciati all’autorità giudiziaria, e sono state elevate sanzioni amministrative per oltre 126 milioni di euro. Sono 798 le strutture, per un valore complessivo di oltre 500 milioni di euro, chiuse per gravi irregolarità igienico-sanitarie ed autorizzative.
Salute e Benessere
Iss, 2 mln over 65 a rischio isolamento sociale


Anziani italiani ad alto rischio solitudine. Il 15% – ovvero più di 2 milioni della popolazione con 65 anni o più – vive in condizioni prossime all’isolamento sociale. In una ‘settimana normale’ non incontra, né telefona a qualcuno, e non partecipa ad attività con altre persone in punti di incontro o aggregazione. Una situazione di solitudine che influisce sulla salute: quasi il 90% di chi vive una condizione di isolamento ha una percezione negativa dello stato di benessere. Sono i dati della sorveglianza Passi d’Argento (PdA) coordinata dall’Istituto superiore di sanità (Iss), raccolti nel biennio 2021-2022 per offrire una fotografia delle condizioni degli anziani nel nostro Paese, e ribaditi in occasione della Giornata internazionale delle persone anziane 2023, in calendario il 1 ottobre.
L’isolamento sociale arriva a coinvolgere quasi 1 anziano su 3 in certe realtà regionali. Forte la differenza geografica a sfavore delle Regioni del Sud d’Italia (20% contro il 10% nel Nord e 14% al Centro). Una condizione che può incidere notevolmente sulla qualità della vita. La comunità scientifica, studi e letteratura internazionale lo individuano come uno dei fattori di rischio anche per la demenza. Per stimare il rischio di isolamento sociale, PdA fa riferimento sia alla frequentazione di punti di incontro e aggregazione (come il centro anziani, la parrocchia, i circoli o le associazioni culturali o politiche) che al fatto di incontrare o telefonare a qualcuno per fare quattro chiacchiere e si considera a rischio di isolamento sociale la persona che in una settimana normale non ha svolto nessuna di queste attività. Analizzando gli aspetti specifici che definiscono la condizione di assenza di relazioni sociali emerge che il 16% degli ultra 65enni non incontra nessuno e il 76% non partecipa ad attività sociali aggregative di nessun genere.
Il rischio di isolamento sociale coinvolge in egual misura uomini e donne, ma è più frequente tra chi ha un basso livello di istruzione (24% contro il 10% fra persone più istruite) e maggiori difficoltà economiche (28% contro 12% fra chi non ne ha). L’analisi mette in evidenza che, a parità di condizioni socio-demografiche (età, difficoltà economiche, livello di istruzione, presenza di patologie croniche e area geografica di residenza), l’isolamento sociale è significativamente associato a una percezione di cattiva salute (+89), insoddisfazione della propria condizione di vita (+75), a condizioni di disabilità e sintomi depressivi (+200), ospedalizzazione (+49%), perdita di autonomia nella attività strumentali della vita quotidiana (+21%). Inoltre l’isolamento sociale è associato a inattività fisica (+27%) e a una cattiva alimentazione (+21%).
L’isolamento sociale – indica il Rapporto – negli anziani ha anche un impatto significativo sulla società nel suo complesso, aumenta la richiesta di servizi sanitari, di assistenza a lungo termine e di supporto sociale, imponendo una pressione finanziaria considerevole sui sistemi sanitari e sociali. Nell’ambito della partecipazione alle attività sociali la sorveglianza esplora diversi aspetti che si intersecano e si sovrappongono fra loro e che contemplano anche la dimensione economica (svolgimento di attività lavorative retribuite), l’offerta di aiuto o accudimento di familiari, amici o conoscenti oppure attraverso attività di volontariato) e quella culturale (come la frequentazione di corsi di formazione per la propria crescita individuale).
L’attività lavorativa retribuita è poco frequente, coinvolge solo l’8% della popolazione anziana ed è prerogativa di chi ha un titolo di studio più alto: arriva al 10% tra chi ha almeno la licenza di media superiore e scende al 3% tra chi al più la licenza elementare. Il 27% degli anziani intervistati rappresenta una risorsa per i propri familiari o per la collettività: il 18% si prende cura di congiunti, il 13% di familiari o amici con cui non vive e il 4% partecipa ad attività di volontariato. Questa capacità/volontà di essere risorsa è una prerogativa femminile (31% fra le donne contro il 23% negli uomini) ed è minore fra le persone socio-economicamente svantaggiate, per bassa istruzione o scarsa disponibilità economica.
Solo il 4% della popolazione anziana frequenta un corso di formazione (lingua inglese, uso di dispositivi elettronici o percorsi presso università della terza età). Il gap tecnologico può portare a un maggiore isolamento sociale, poiché gli anziani potrebbero perdere l’accesso a servizi online, comunicazioni con familiari e amici, la gestione di appuntamenti medici e il monitoraggio delle condizioni di salute. L’isolamento sociale è un fattore di rischio multifattoriale che può avere un impatto importante sulla salute fisica e mentale, sulla qualità di vita e sui costi sociali. È inevitabile che le politiche e gli interventi di salute pubblica si concentrino sulla prevenzione e sulla gestione dell’isolamento sociale per garantire una migliore salute e benessere agli anziani e per ridurre il costo sociale associato a questa sfida crescente. È sicuramente necessario creare una società inclusiva in cui gli anziani possano continuare a contribuire in modo significativo e trarre beneficio da un ambiente sociale e tecnologico in evoluzione.
Salute e Benessere
Giornata spreco alimentare, l’immunologo ‘tre scelte per ridurlo già a tavola’


Per ridurre lo spreco alimentare, oltre che sulla filiera agroalimentare, “occorrerebbe agire anche sulla condotta domiciliare. Infatti, se appare difficile prevenire le perdite di cibo durante i processi di produzione e lavorazione, risulta sicuramente più semplice agire riducendo lo spreco domestico, educando e sensibilizzando la popolazione verso questi aspetti. In tal senso, almeno tre potrebbero essere le scelte più strategiche da mettere in atto: pianificare la spesa, conservare in maniera corretta il cibo e saper leggere le etichette semmai evitando di considerare già rifiuto quel che ancora può essere legittimamente consumato o da far consumare”. Così all’Adnkronos Salute l’immunologo Mauro Minelli, docente di dietetica e nutrizione umana all’Università Lum di Bari, in occasione della Giornata internazionale di sensibilizzazione sulle perdite e gli sprechi alimentari.
“Certo l’obiettivo da raggiungere è complesso, soprattutto se pensiamo che la responsabilità dei singoli e delle Istituzioni è in qualche modo attenuata dalla complessità dei fattori che contribuiscono a rendere quello dell’alimentazione un problema strutturale di portata globale attorno al quale si intrecciano interessi, speculazioni, cambiamenti climatici, oltre che sprechi vergognosi. Ma questo non impedisce che, nel confuso scenario, ciascuno possa comunque fare la sua parte. E’ solo una questione di volontà”, ribadisce Minelli.
Le considerazioni dell’immunologo sottolineano come “nel tempo del disturbo da dieta cronica, caratterizzato dal controllo quasi maniacale del proprio peso e delle calorie assunte seguendo regimi alimentari spesso improvvisati, capita e non di rado di trovarsi di fronte a reali incongruenze rispetto alle quali ognuno va per conto proprio, senza comunicare. Certo, se mangiar bene e vivere sani è un obiettivo ambito da tutti, sarebbe anche etico e corretto impegnarsi a rispettare il valore del cibo e a garantire come diritto fondamentale l’accesso agli alimenti per tutta la popolazione. Partendo dall’attenzione a non sprecare il cibo, semplicemente evitando di farlo avanzare”.
“Del resto basterebbe dare un’occhiata alle tavolate di feste, banchetti e ricevimenti per rendersi conto che almeno il 50% del cibo finisce per essere di troppo e spesso gettato via”, ricorda.
“Ecco perché un coordinamento maggiore a livello istituzionale tra ristoranti ed esercizi di somministrazione di cibi e bevande e le associazioni di volontariato che assistono i bisognosi sarebbe una conquista di civiltà della quale dovrebbero occuparsi Asl e amministrazioni civiche, in collaborazione con Caritas e mense dei poveri. Alcuni già lo fanno, ma non ancora tutti. Per questo sarebbe auspicabile che associazioni di produttori e di categoria, specie nel settore agricolo, predispongano iniziative ad hoc, organizzando circuiti virtuosi di smistamento del cibo fresco in esubero”, conclude Minelli.
Salute e Benessere
Fumo, esperti: “Più conoscenza dei prodotti innovativi per la riduzione del danno”

Al Summit di Atene: "Possiamo offrire alternativa meno dannosa che crea meno dipendenza"

“Viviamo molto più a lungo che in passato. Come siamo arrivati a questo punto? Grazie alla scienza, alla ricerca, al sapere umanistico e allo sviluppo tecnologico. Abbiamo ridotto i rischi in ogni area delle nostre vite e dovremmo saper fare lo stesso anche con il fumo. Con la conoscenza che abbiamo possiamo apportare enormi cambiamenti alla storia della sanità pubblica” e ridurre il danno da fumo “con prodotti meno pericolosi”. Così David T. Sweanor J.D., presidente del comitato consultivo del Centro per il diritto, la politica e l’etica sanitaria dell’università di Ottawa (Canada), nel suo intervento in occasione della sesta edizione del summit ‘Riduzione del danno da tabacco: nuovi prodotti, ricerca e policy’ che si è concluso in questi giorni ad Atene. Si è trattato di un momento di confronto e dibattito sul tema promosso da Scohre, associazione scientifica internazionale di esperti indipendenti sul controllo del fumo e sulla riduzione del danno, che ha coinvolto oltre 250 esperti provenienti da tutto il mondo.
Sweanor ha poi sottolineato la necessità di spingere i Governi, le agenzie sanitarie e l’industria del tabacco a raccogliere i dati disponibili sulla riduzione del danno da fumo. “La gente – ha spiegato – compra sigarette ogni giorno e ogni giorno abbiamo la possibilità di intervenire offrendo un prodotto meno pericoloso, che non danneggi le persone intorno a noi e che crei meno dipendenza; e possiamo fare in modo che sia disponibile con informazioni più accurate sul rischio relativo”.
“Circa 250 milioni di persone stanno cercando di smettere di fumare sigarette” ha osservato Andrzej Fal, presidente della Società di sanità pubblica polacca, direttore del Dipartimento di allergie, malattie polmonari e medicina interna dell’ospedale clinico centrale del ministero dell’Interno e direttore dell’Istituto di Scienze Mediche presso l’università Cardinale Wyszyński di Varsavia. “Sostenerle – ha proseguito – dovrebbe essere la principale preoccupazione della Cop10 (la conferenza delle parti della Convenzione quadro sul controllo del tabacco-Fctc in programma a Panama a novembre, ndr) ma temo che non sia così. Per fermare la pandemia del fumo e i suoi effetti finanziari e sulla salute, dobbiamo aumentare i fondi per la prevenzione primaria e introdurre una normativa ‘meno danni, meno tasse’”.
Eppure, esempi di politica sanitaria che vanno in questa direzione non mancano. Come ha ricordato Konstantinos Farsalinos, professore aggiunto presso la King Abdulaziz University in Arabia Saudita e ricercatore senior all’Università di Patrasso e presso la Scuola greca di sanità pubblica dell’università dell’Attica occidentale, “oggi la Svezia è l’unico Paese al mondo senza fumo nonostante il tasso di consumo di nicotina sia simile alla media europea (circa il 24%). Tuttavia – ha aggiunto Farsalinos – in Svezia la stragrande maggioranza del consumo di nicotina proviene dal tabacco ‘snus’ (tabacco umido in polvere per uso orale, ndr), mentre in Europa proviene dalle sigarette. E cosa ha fatto l’Unione Europea? Ha vietato il tabacco da ‘snus’. È incredibile, è uno scandalo per la salute pubblica”.
Sulla necessità di informare correttamente i consumatori sulle prove scientifiche, al fine di contrastare la disinformazione sui prodotti senza combustione, è intervenuto Martin Cullip, ex direttore d’azienda e international fellow del Taxpayers protection alliance consumer center, che da oltre un decennio scrive e tiene blog su temi legati al libero mercato e allo stile di vita dei consumatori. “Non possiamo permettere – ha concluso Cullip – che questi prodotti vengano vietati ora, come sembra auspicare l’Organizzazione mondiale della sanità, perché dovremo aspettare circa 60 anni prima di poterli riavere”.
Salute e Benessere
Perrone Filardi (Sic), ‘ridurre Ldl sfida di prevenzione cardiovascolare’

Nelle ‘5 regole da seguire, stile di vita, controlli e un ruolo anche per nutraceutica’

Il nostro Paese è a rischio moderato per le patologie cardiovascolari ischemiche, secondo l’ultima rilevazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ma restano la principale causa di morte, incidendo per il 34,8% sul totale dei decessi (31,7% nei maschi e 37,7% nelle femmine). “La sfida della prevenzione primaria è quella di ridurre i livelli di colesterolo Ldl nella popolazione a basso rischio o a rischio intermedio, asintomatici. Evidenze scientifiche dimostrano che raggiungere questo obiettivo permette di prevenire un numero assoluto di eventi cardiovascolari maggiore rispetto a coloro che si trovano nella fascia a rischio alto o elevato già in terapia farmacologica ipocolesterolemizzante”. Così Pasquale Perrone Filardi, direttore della Scuola di specializzazione in Malattie dell’apparato cardiovascolare, Università Federico II di Napoli e presidente della Società italiana di cardiologia (Sic), in una nota diffusa oggi da Dompé, in occasione della giornata mondiale del cuore.
Nella prevenzione del rischio cardiovascolare, “se volessimo indicare le 5 regole fondamentali da seguire – continua Perrone Filardi – potremmo indicare sicuramente: indagare i livelli di Ldl; valutare la presenza di altre patologie; comprendere se lo stile di vita che si sta seguendo è corretto o deve essere modificato; analizzare ulteriori fattori di rischio modificabili e considerare il nutraceutico più indicato in base alle esigenze e alle evidenze disponibili. Per questo motivo il medico, in prima linea nel promuovere la cultura della prevenzione, rimane il referente principale a cui rivolgersi in collaborazione virtuosa con il farmacista di riferimento”.
Le linee guida internazionali 2019 Esc/Eas, le principali società scientifiche europee del settore, “dedicano molta attenzione al tema della prevenzione primaria – sottolinea Perrone Filardi – soprattutto nei soggetti asintomatici che possono avere difficoltà a percepire la necessità di correggere i possibili fattori di rischio. Le raccomandazioni che ci arrivano evidenziano la necessità di modificare i propri stili di vita ma non solo, sottolineano anche il ruolo che le sostanze nutraceutiche possono ricoprire”.
Lo stile di vita – si legge nella nota – è centrale per valutare il rischio cardiovascolare, alimentazione corretta e movimento (30-40 minuti di attività aerobica al giorno) fanno la prima fondamentale differenza per preservare la salute e proteggere il cuore, ma è altrettanto importante comprendere quando i valori di Ldl rappresentano un campanello d’allarme. “Negli ultimi anni – ricorda Perrone Filardi – pur rimanendo i valori di Ldl indicati nelle linee guida il punto di riferimento per individuare le strategie correttive (terapeutiche e non) da intraprendere, assistiamo a un cambio di paradigma. Si potrebbe affermare che non esiste un valore normale di Ldl, ma esiste un valore commisurato al rischio cardiovascolare che si può individuare rilevando i parametri di riferimento oltre il colesterolo (pressione, peso, presenza di altre patologie, abitudine al fumo e fattori ambientali). Una valutazione personalizzata che rende la prevenzione primaria ancora più strategica”.
Quando la dieta e l’attività fisica non riescono a incidere in modo risolutivo e non si è ancora in una situazione che richiede l’impiego di terapie farmacologiche (quindi con un rischio cardiovascolare lieve/moderato), il ricorso ai nutraceutici può aiutare a ridurre i valori di Ldl. “Nel considerare l’impiego dei nutraceutici per abbassare i livelli di colesterolo tra gli aspetti fondamentali da tenere in considerazione c’è la sicurezza – afferma Giuseppe Derosa dell’Università di Pavia, della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia e responsabile dell’area Diabete della Società italiana di nutraceutica – La sicurezza è data, in parte, dalla storia scientifica di impiego dei componenti nelle concentrazioni indicate dalle normative e infine dallo studio della formula di utilizzo. L’Italia ha una lunga tradizione di eccellenza in questo campo – osserva Derosa – Oggi sappiamo dalla clinica che ci sono diversi componenti attivi sicuri ed efficaci sulla riduzione del colesterolo; a questo riguardo uno studio in corso e che verrà ultimato nei prossimi mesi con una formula a base di berberina, fitosterolo, olea europea, carciofo e fieno greco sta portando a risultati significativi dopo un solo mese di trattamento, a conferma di come una strategia di intervento attento su una popolazione a basso rischio possa incidere sul rischio cardiovascolare”.
Salute e Benessere
West Nile, 4 nuove morti in Italia: casi salgono a 283

Dall'inizio di maggio i decessi sono stati 17 nel nostro Paese
West Nile in Italia, salgono a 283 i casi e si contano altre quattro morti. I dati del bollettino dell’Istituto superiore di sanità, aggiornato al 27 settembre, riporta in tutto 17 decessi: 5 in Piemonte, 8 in Lombardia (+2), 4 in Emilia Romagna (+2). Questi i dati del bollettino dell’Istituto superiore di sanità, aggiornati al 27 settembre.
Il primo caso umano di infezione da West Nile della stagione è stato segnalato dall’Emilia Romagna a luglio nella provincia di Parma. Nello stesso periodo sono stati segnalati 5 casi di Usutu virus (2 Piemonte, 3 Lombardia), 4 identificati in donatori di sangue e 1 caso che si è manifestato in forma neuro-invasiva. Salgono a 52 le province con dimostrata circolazione del virus West Nile, in 10 Regioni: Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna.
Coronavirus
Non solo influenza, la carica dei 262 ‘virus cugini’: chi sono e come gestirli

Quest'anno in Italia sono attesi 10 milioni di casi. Come riconoscerli? Che farmaci prendere? Bisogna fare il tampone Covid? E la mascherina? La guida del virologo Fabrizio Pregliasco

Starnuti, naso chiuso e fazzoletto sempre in mano. Un po’ di mal di gola, magari poche linee di febbre, qualche disturbo a stomaco e intestino. Troppo poco per dire “ho l’influenza”, non abbastanza per dire “ho il Covid” perché il test è negativo. Che cos’è? O meglio, cosa sono? Tanti anni fa il virologo Fabrizio Pregliasco li ha battezzati “virus ‘cugini'”, parenti più o meno stretti dell’influenza vera e propria, in agguato soprattutto nelle stagioni di mezzo come questa. “Fra tipi e sottotipi ne contiamo ben 262”, spiega l’esperto che affida all’Adnkronos Salute un identikit di queste forme simil-influenzali e una guida per gestirle in sicurezza.
La carica dei virus cugini causerà quest’anno in Italia “circa 10 milioni di casi, che si affiancheranno a 5-6 milioni di casi di vera influenza”, prevede Pregliasco, ricercatore del Dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’università Statale e direttore sanitario dell’Irccs ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano. “Una stima che si basa su dati storici – precisa – sull’andamento delle precedenti stagioni”.
CHI SONO I VIRUS CUGINI?, nemici invisibili diversi sia dall’influenza sia dal Covid? “Escludendo Sars-CoV-2 – illustra Pregliasco – a creare problemi respiratori ci sono 263 virus che possono essere messi su una scala in crescendo. Sul gradino più alto, il 263esimo, c’è l’influenza vera e propria”; le altre 262 posizioni sono dunque occupate da virus ‘parenti’. “Sul gradino più basso di questa scala immaginaria – chiarisce lo specialista – troviamo i rhinovirus, i virus del semplice raffreddore. Mentre all’estremo opposto, subito sotto all’influenza, ci sono il virus respiratorio sinciziale dell’adulto e i metapneumovirus che con l’influenza rappresentano i più pesanti dal punto di vista clinico”. Sui gradini intermedi ‘siedono’ “tutti gli altri virus cugini: adenovirus, coronavirus non Covid, virus parainfluenzali, enterovirus”, solo per elencare i principali.
COME SI RICONOSCONO? “Si tratta di virus che danno problematiche molto variabili”, sottolinea Pregliasco. Fra le più comuni “un po’ di raffreddore e di mal di gola, magari anche febbre lieve, a volte qualche disturbo gastrointestinale. Insomma sintomi più sfumati e che durano meno dei classici 5 giorni” di ‘passione’ tipici dell’influenza Doc, “un mischione che spinge molti a dire ‘ho avuto l’influenza’ anche se influenza non era”. Per chiamarla tale, ricorda l’esperto, “come sappiamo bisogna avere un rialzo brusco della temperatura, con febbre oltre i 38 gradi, almeno un sintomo generale (dolori muscolari-articolari) e almeno un sintomo respiratorio”.
COME SI CURANO? “La maggior parte dei virus cugini si tratta con un’automedicazione responsabile, che vuol dire utilizzo di farmaci sintomatici che devono attenuare i disturbi senza però senza azzerarli: questo è un principio chiave dell’automedicazione responsabile”, puntualizza Pregliasco. “Per non fare il gioco del virus dobbiamo alleviare i sintomi senza cancellarli del tutto”, in modo da monitorare l’andamento della malattia e permettere all’organismo di reagire. I ‘pilastri’ di questo approccio sono diversi e numerosi. “Parliamo di principi attivi che vanno dall’antifebbrile al decongestionante nasale, da soli o formulati in mix, ad altri antinfiammatori o farmaci mirati ai sintomi specifici, da assumere – raccomanda il virologo – facendosi consigliare dal medico”.
TAMPONE SÌ O TAMPONE NO? Nella vita di tutti i giorni e fuori dall’ambiente ospedaliero, il dubbio sorge spontaneo e legittimo in quest’era post-pandemia, caratterizzata da una co-circolazione di virus cugini, influenza e Sars-CoV-2. “Per il paziente fragile e per l’anziano – è l’indicazione generale di Pregliasco – il tampone Covid-19 diventa un elemento determinante per poter effettuare una diagnosi differenziale e capire subito se avviare o meno il trattamento con i farmaci antivirali anti-Covid”. Se invece una persona è di base in salute, “il tampone è meglio farlo se deve incontrare anziani e fragili oppure assisterli, quindi se si tratta di caregiver o personale sanitario, per definizione in contatto con queste categorie a rischio”.
LA MASCHERINA VA USATA? SI PUÒ USCIRE O MEGLIO RESTARE A CASA? “Usiamo la mascherina senza più quell’aspetto ideologico del passato”, ribadisce l’esperto. “La mascherina serve per proteggersi, ma soprattutto per proteggere gli altri se siamo sintomatici o se sappiamo di essere positivi al Covid, perché ricordiamoci che in questi casi siamo ‘untori'”. La mascherina torna importante tanto più considerando che, “se stai bene, per il medico diventa problematico prescrivere la malattia e perciò è presumibile che molti vadano al lavoro come si faceva anche in passato, prendendo un farmaco e via”. Per Pregliasco, “l’ideale sarebbe affidarsi al buonsenso. Se proprio si esce, mascherina chirurgica e no allo stigma. Non additiamo chi, per mille ragioni, preferisce usarla. Forse è una persona che sa di essere fragile, magari è un paziente oncologico. Chi vuole deve poter indossare la mascherina in serenità – ammonisce il virologo – senza essere guardato male, come purtroppo spesso accade in questa fase di minimizzazione”. (di Paola Olgiati)
Coronavirus
Covid Italia, Vaia: “Nuovi casi rallentano, impatto su ospedali irrilevante. No a misure straordinarie”

"Continuiamo la nostra attività costante di monitoraggio e sorveglianza, mettendo in campo tutto ciò che è doveroso fare per la tutela degli italiani
“Come ampiamente previsto assistiamo ad un ulteriore rallentamento dei nuovi casi” di Covid in Italia “e rimane assolutamente irrilevante l’impatto sugli ospedali. Non si evince, in questa fase, alcuna necessità di misure straordinarie, che ormai sono alle nostre spalle, mentre continuiamo la nostra attività costante di monitoraggio e sorveglianza, mettendo in campo tutto ciò che è doveroso fare per la tutela degli italiani”. Così il direttore generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Francesco Vaia, commentando il bollettino settimanale.
Salute e Benessere
Anziani, ‘adottate un cucciolo’, 3 mld risparmi in spesa salute con animali domestici

Al via la campagna, obiettivo 10mila cani e gatti nelle case degli 'over 65' entro 6 mesi

In Italia sono 14,5 milioni gli over 65. Tra loro, il 20% è diabetico e il 54% iperteso. Moltissimi, anche a causa della solitudine, soffrono di depressione. Il cambiamento degli stili di vita, in particolare un moderato esercizio fisico quotidiano, come portare a spasso un cane, potrebbe migliorare significativamente le loro condizioni di salute, con effetti positivi anche sul Sistema sanitario nazionale. Da uno studio del Centro studi Sic-Sanità è infatti emerso che sarebbe possibile risparmiare ben 3 miliardi di euro sulla spesa sanitaria se tutti gli anziani avessero un animale domestico. Parte anche da questi dati la campagna, lanciata alla vigilia della Festa dei nonni – in calendario il 2 ottobre – ‘Adotta un cucciolo, ritrova la salute’, con l’obiettivo di realizzare 10mila adozioni in 6 mesi.
L’iniziativa, presentata questa mattina a Roma dai promotori Senior Italia Federanziani, VitaAttiva e l’associazione sportiva italiana (Asi) , è sostenuta dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), dall’Associazione nazionale medici veterinari italiani (Anmvi), dalla Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg), dalla Società italiana ipertensione arteriosa, dall’Associazione italiana per la difesa degli interessi dei diabetici (Aid). “Scegliere la compagnia di un animale domestico significa molto anche per gli anziani meno autosufficienti”, ha affermato in un videomessaggio Alessandra Locatelli, ministro per le Disabilità. “Spesso – ha aggiunto – l’età avanzata impone limiti fisici che con l’aiuto di un pet possono essere risolti, come nei casi dei cani guida per persone con difficoltà visive. Ampliano molto le possibilità di relazione con il mondo esterno, aiutano nello svolgimento delle attività quotidiane e domestiche, riducono la solitudine. L’adozione va seriamente presa in considerazione, con il supporto dei familiari”.
“La campagna ‘Adotta un cucciolo, ritrova la salute’ che lanciamo oggi – ha spiegato Roberto Messina, presidente Senior Italia FederAnziani – è l’evoluzione di un’iniziativa che nel 2019 ci ha dato grandi soddisfazioni. La riproponiamo perché il guadagno è per tutti: le persone starebbero meglio, cani e gatti troverebbero una casa, le casse statali e quelle comunali risparmierebbero nella gestione degli animali in stallo nelle strutture, così da poter investire maggiormente nel welfare. Distribuiremo locandine nei centri anziani per stimolare anche familiari e caregiver a prendere in considerazione questa possibilità. Sul nostro sito, su quello di Asi Associazione sportiva italiana e di Vitattiva è presente un elenco di canili e gattili a cui è possibile rivolgersi. L’obiettivo è di ottenere in 6 mesi, da ottobre a marzo, l’adozione di 10mila animali. Proseguiremo poi con obiettivi sempre più ambiziosi”.
“Nutrirsi in modo sano e fare movimento – sottolinea monsignor Vincenzo Paglia, presidente dell’Accademia pontifica per la vita e presidente onorario di Senior FederAnziani – riduce del 40% il rischio di sviluppare una neoplasia ed è importante in particolare per chi soffre di diabete e ipertensione, come moltissimi anziani. Un po’ di esercizio quotidiano migliora pressione e tasso di colesterolo e ha effetti su ansia e stress. Portare fuori un cane per le passeggiate quotidiane, per esempio, permette non solo di camminare abbastanza per rimanere in salute, ma anche di socializzare con altre persone, stare in compagnia, sentirsi meglio emotivamente e combattere il rischio di depressione”.
“Nella pratica clinica incontriamo molti over 65 con animali”, ricorda Raimondo Colangeli, vicepresidente Associazione nazionale medici veterinari italiani (Anmvi). “Adottare un pet significa toglierlo dai rifugi, garantire anche a lui una vita migliore. Oltre al benessere fisico, prendersi cura di un cucciolo garantisce anche un beneficio psicologico, perché l’anziano torna ad avere responsabilità verso qualcuno che dipende da lui e deve riprendere orari e routine: sveglia, uscite nel caso di un cane, pasti”.
“Il gatto, sebbene non richieda la passeggiata fuori casa – aggiunge Colangeli – ha però bisogno di accudimento, cibo e intrattenimento ludico. Il veterinario diventa la figura trainante per aiutare nella scelta della specie giusta e della razza a seconda delle caratteristiche della persona. Le visite preadozioni svolte gratuitamente negli studi sono elementi importanti. Per spingere chi vive della sola pensione a prendere un animale sarebbe anche importante poter garantire diminuzioni o detrazioni dell’Iva per cure mediche e acquisti di cibo. È una richiesta che come Anmvi abbiamo fatto già anni fa, con la raccolta di più di 100 mila firme. Senior Italia FederAnziani chiede la stessa cosa per le persone con ipertensione o diabete: speriamo che le nostre richieste vengano accolte”.
Salute e Benessere
Prevenzione 3.0 contro l’infarto, ‘battere i ‘4+4′ fattori di rischio’

Il punto di Filippo Crea, ordinario di Cardiologia all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

Sono 4 i fattori di rischio tradizionali per malattie cardiovascolari, noti dagli anni ’60: ipertensione, colesterolo alto, diabete e fumo di sigaretta. Il primo obiettivo è dunque combatterli, con tutte le armi a disposizione. “Ma anche quando sono perfettamente sotto controllo, il rischio di un reinfarto o di un ictus non si azzera. Colpa del cosiddetto rischio residuo, alimentato da 4 ‘nuovi’ fattori di rischio cardiovascolare: lipoproteina(a) e trigliceridi, infiammazione, trombosi, inquinamento atmosferico”. Così Filippo Crea, ordinario di Cardiologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, direttore del Centro di eccellenza di Scienze cardiovascolari, Gemelli Isola-Fatebenefratelli Isola Tiberina di Roma, spiega come affrontare anche questi nuovi nemici delle arterie, in occasione della Giornata mondiale del cuore.
Si chiama ‘rischio residuo’ ed è il grande cruccio dei cardiologi di tutto il mondo, perché di fatto sta ad indicare un parziale insuccesso nel prevenire gli eventi cardiovascolari, nonostante vengano messe in atto tutte le misure possibili contro i fattori di rischio tradizionali. Abbassare la pressione, ridurre i valori di colesterolo o di glicemia, eliminare il fumo di sigaretta sono i principali obiettivi da perseguire in un’ottica di prevenzione. Ma anche quando tutti gli obbiettivi di trattamento vengano centrati, molti reinfarti o nuovi ictus sfuggono alle maglie della prevenzione. Di qui il concetto di rischio residuo, che in pratica implica la necessità di fare di più e meglio. Adesso è dunque necessario andarlo a intercettare e contrastare, con nuovi farmaci e non solo.
A che punto sono gli sforzi di prevenzione delle malattie cardiovascolari? “In termini di prevenzione – ricorda Crea – quello che abbiamo finora imparato è che contrastare i fattori di rischio tradizionali (ipertensione arteriosa, dislipidemie, diabete, fumo, obesità) rimane una ‘stella polare’, una direzione obbligata verso la quale procedere. Il primo passo, insomma, è cercare di riportare a livello target l’eccesso di colesterolo cattivo (Ldl), la pressione arteriosa e il diabete, e incoraggiare l’astensione dal fumo nella maniera più energica possibile. Ma abbiamo imparato che, anche quando i fattori di rischio fondamentali vengono normalizzati, rimane ancora una quota rilevante di rischio, che chiamiamo rischio residuo. Questo rischio residuo dipende da 4 ulteriori ‘nuovi’ fattori di rischio, di natura lipidica, trombotica, infiammatoria e ambientale”.
Cosa si può fare di più per combattere i lipidi circolanti? “Abbiamo visto che tra i lipidi la lipoproteina(a) e i trigliceridi sono potenti fattori di rischio, indipendenti dal colesterolo cattivo (Ldl) – precisa Crea – e che finora abbiamo trascurato anche perché mancavano terapie. Oggi, grazie alla tecnologia a Rna, abbiamo nuovi farmaci per contrastare la Lp(a) e i trigliceridi. Un nuovo obiettivo di questa prevenzione 3.0 è dunque quello contrastare questo componente del rischio residuo, legata ad un eccesso di lipidi che non sono controllati dalle statine”.
E per prevenire più efficacemente la malattia trombotica? “Un’altra importante quota di rischio residuo – evidenzia lo specialista – è legata ad una insufficiente protezione da infarto e morte improvvisa per la formazione di trombi all’interno delle arterie. Finora ci siamo difesi da questo rischio con una terapia anti-trombotica molto nota, l’aspirina. Ma anche qui forse possiamo fare di meglio nel contrastare questo rischio con nuovi farmaci antipiastrinici e anticoagulanti; tra i primi, anche farmaci già in uso da tempo come il ticagrelor, che potrebbe essere utilizzato come una ‘super-aspirina’; tra i secondi, molto interesse sta generando il prossimo arrivo di nuovi anticoagulanti orali, gli inibitori del fattore XI”.
E per quanto riguarda l’infiammazione? Perché contribuisce al rischio di infarto e come proteggersi? “L’infiammazione è in gran parte determinata da fattori di rischio ‘ambientali’, cioè uno stile di vista scorretto – risponde il direttore del Centro di eccellenza di Scienze cardiovascolari, Gemelli Isola-Fatebenefratelli Isola Tiberina – E il marker che segnala questo rischio residuo infiammatorio è la proteina C reattiva (Pcr), che è una specie di barometro perché i suoi livelli aumentano con l’obesità, la vita sedentaria, e nei soggetti che seguono una dieta povera di frutta e verdura, elementi fondamentali della dieta mediterranea. Insomma, c’è un rischio infiammatorio legato in parte a stili di vita scorretti che vanno assolutamente corretti. Ma anche quando correggiamo l’infiammazione derivante da uno stile di vita scorretto, rivelato dalla Pcr elevata, rimane ancora una quota di rischio infiammatorio che va affrontato con farmaci adeguati”.
“Recenti studi randomizzati – riporta Crea – hanno rivelato che la colchicina, un vecchio farmaco utilizzato da decenni contro la gotta e le pericarditi, è efficace soprattutto in prevenzione secondaria, cioè in chi ha già una storia di cardiopatia ischemica. L’aggiunta della colchicina alla terapia convenzionale in questi soggetti migliora la prognosi. I risultati di questi studi sono stati così convincenti che le autorità regolatorie europee (Ema) e americana (Fda) hanno già approvato l’impiego della colchicina nella prevenzione secondaria dell’infarto. Questi trial clinici peraltro hanno confermano definitivamente l’ipotesi infiammatoria della genesi dell’infarto, che per primi avevamo proposto con uno studio pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’ nel 1994”.
E tra i fattori di rischio ambientali? “Soprattutto per chi vive in una grande città – rimarca lo specialista – va considerato anche il cosiddetto rischio residuo ambientale, legato all’inquinamento dell’aria. Si tratta di un rischio che agisce in profondità sui meccanismi che portano alla malattia aterosclerotica, all’infarto e all’ictus. In questo caso non è possibile contrastarlo con terapie farmacologiche, e solo in minima parte si può mettendo in atto dei comportamenti adeguati. E di certo è un rischio che andrebbe affrontato attraverso scelte politiche impattanti, capaci di ridurre i livelli di inquinamento nelle nostre città. Il rischio ambientale, non solo quello legato alla salute – avverte Crea – sta pericolosamente raggiungendo il punto di non ritorno”.
Salute e Benessere
Giornata mondiale cuore, cardiochirurghi ‘cresceranno trapianti, ma fate prevenzione’

Lo slogan di quest’anno è ‘Mettici il cuore, conosci il cuore'
“Oggi è il 29 settembre, data importante perché è la Giornata mondiale del cuore, la Giornata dedicata alla consapevolezza delle malattie cardiovascolari, che sono tuttora la più frequente causa di morte nel mondo occidentale. Lo slogan di quest’anno è ‘Mettici il cuore, conosci il cuore. Noi tutti sappiamo come il progresso nella cura delle malattie cardiovascolari sia veramente incredibile, riusciamo a trattare pazienti sempre più anziani, con tecnologie sempre meno traumatiche e meno invasive. Riusciremo probabilmente in futuro anche a migliorare e ad avere più cuori da trapiantare per i pazienti che avranno bisogno di questa prospettiva”. È quanto afferma Alessandro Parolari, presidente della Società italiana di Chirurgia cardiaca (Sicch), responsabile della Cardiochirurgia Universitaria Policlinico San Donato e professore ordinario di Cardiochirurgia presso l’Università Statale di Milano.
“Però tutti noi dobbiamo conoscere le malattie cardiovascolari, dobbiamo essere consapevoli di come si presentano e consapevoli del fatto che appena abbiamo un segnale, un dubbio, la cosa più importante è rivolgersi al nostro medico per cercare di prevenire i più grossi problemi. E soprattutto, per una vera prevenzione, provare a correggere tutti i fattori di rischio che tutti ben conosciamo e che ci possono aumentare naturalmente i problemi cardiovascolari. Buona Giornata mondiale del cuore”, conclude Parolari.
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