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Concorsi pubblici, arrivano nuove regole

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Via libera del Consiglio dei ministri a nuove norme. Lo schema di decreto fissa il limite massimo di 6 mesi per la conclusione della procedura concorsuale

(Fotogramma)

Via libera del Consiglio dei ministri a nuove norme e regole per i concorsi pubblici. La nuova disciplina dei concorsi si inserisce tra gli interventi del Pnrr per la semplificazione e digitalizzazione delle procedure amministrative. “Con il provvedimento approvato oggi – commenta il ministro Paolo Zangrillo – tracciamo la strada per un nuovo modo di selezionare il personale pubblico, imprimendo una decisiva accelerazione ai tempi di conclusione delle procedure e puntando su digitalizzazione e trasparenza. Un intervento che ci permette di affrontare le oltre 170mila assunzioni previste per il 2023 con maggiore forza, fiducia e consapevolezza di aver messo a sistema un meccanismo innovativo e all’avanguardia. La certezza dei tempi è un importante stimolo per i candidati, una garanzia per le amministrazioni”.

Lo schema di decreto fissa il limite massimo di 6 mesi per la conclusione della procedura concorsuale. La pubblicazione dei bandi avviene attraverso il portale del reclutamento inPa e sul sito istituzionale dell’ente che bandisce il concorso. Particolare attenzione alla rappresentatività di genere, con l’obiettivo di eliminare qualunque forma di discriminazione. Previste tutele nei confronti delle donne in gravidanza o allattamento.

“Mettiamo a terra importanti passi sulla digitalizzazione dei nostri processi per una pubblica amministrazione attrattiva ed efficiente”, conclude il ministro Zangrillo.

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Politica

Napolitano, l”amico Giorgio’ della Casa Bianca

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Dalle 'lezioni americane' a Obama, sempre forte il feeling con gli Usa

Napolitano e Obama - Fotogramma

Dalle ‘lezioni americane’ del 1978 in alcune delle più prestigiose università degli States del primo dirigente del Pci invitato in Usa, agli incontri con George Bush prima e, soprattutto, con Barack Obama poi, con il quale l’allora Capo dello Stato italiano ha mostrato di avere un feeling particolare su molte delle questioni di politica internazionale sul tappeto. Per la Casa Bianca e per la diplomazia Usa, Napolitano è stato sempre ‘l’amico Giorgio’.

Una stima che si è consolidata nel tempo, gradualmente, già all’indomani del primo viaggio in Usa. Ma è con Obama che il rapporto tra Napolitano e Washington è diventato ‘speciale’, come dimostra la telefonata pochi giorni prima del termine del secondo mandato con la quale il Presidente Usa ha voluto rendere l’ennesimo omaggio al Capo dello Stato italiano, prossimo alle dimissioni, ringraziandolo per il suo “storico mandato” e per i suoi rilevanti contributi offerti “a vantaggio non solo della sua Nazione, ma anche dell’Europa e della comunità transatlantica”.

Sette volte, nel corso del suo doppio mandato, Napolitano ha incontrato Obama. Il Presidente Usa è stato ricevuto al Quirinale nel 2009 e nel marzo 2013. Napolitano è stato ospite alla Casa Bianca nel 2010 e nel 2013. Alle visite di Stato si affiancano gli incontri a L’Aquila, dopo il terremoto, nel luglio 2009 per il G8, a Varsavia, nel 2011, per il summit dei Capi di Stato dell’Europa centrale al quale ha preso parte anche il Presidente americano, e in Normandia nel giugno del 2014 per le celebrazioni del 70/mo anniversario dello sbarco alleato. In più di un’occasione i due Presidenti si sono sentiti telefonicamente per discutere di temi politici ed economici, soprattutto da quando la crisi economico-finanziaria si è fatta drammatica per l’Europa.

Tre gli incontri sull’asse Roma-Washington con il predecessore di Obama, George W. Bush: i due Capi di Stato si sono incontrati due volte nel 2007: a giugno Bush è venuto a Roma e nel dicembre dello stesso anno Napolitano ha ricambiato la visita recandosi a Washington. L’anno successivo, Bush è tornato al Quirinale per la sua ultima visita da Presidente degli Stati Uniti d’America.

La stima ed il rispetto della Casa Bianca per Napolitano sono emersi in tutta la loro evidenza nei ‘cable’ diffusi da Wikileaks e inviati nell’agosto del 2008 dall’allora ambasciatore Usa in Italia Ronald Spogli al vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney in occasione di una sua visita a Roma. Napolitano, scriveva il diplomatico americano, “continua ad esercitare la sua autorità con coscienza e ad essere una forza stabilizzatrice per il governo e il sistema, anche quando ciò lo rende ‘impopolare’ nel centrosinistra”.

Ancora giudizi positivi sull’inquilino del Colle in altri dispacci inviati delle feluche a Washington. Nel giugno 2009, alla vigilia del summit tra i Grandi della terra, è la numero due dell’ambasciata Usa a Roma, Elizabeth Dibble, che scrive direttamente a Obama, in vista di un incontro con il Presidente italiano: “Napolitano è sostanzialmente rispettato dai partiti di tutto lo spettro politico e la sua reputazione si è rafforzata per come ha gestito la crisi dell’ultimo Governo Prodi”. I diplomatici Usa non mancano nemmeno di sottolineare la grande considerazione di Napolitano per Obama che “ha ricostruito l’immagine americana danneggiata in seguito alle scelte prese dopo l’11 settembre”.

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Politica

Giorgio Napolitano, da Prodi a Renzi: 5 premier in 9 anni tra spread, larghe intese e riforme

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La crisi degli Esecutivi del Professore, il ritorno e l'addio di Berlusconi

Giorgio Napolitano, da Prodi a Renzi: 5 premier in 9 anni tra spread, larghe intese e riforme

Da Romano Prodi a Matteo Renzi, passando per il Berlusconi IV, l’Esecutivo tecnico del bocconiano Mario Monti e quello di Enrico Letta. In un periodo tra i più difficili della seconda Repubblica, tra scontro politico, crisi economico-finanziaria e feroci attacchi speculativi, Giorgio Napolitano – morto oggi all’età di 98 anni – da Capo dello Stato, ha nominato cinque presidenti del Consiglio. Nel febbraio 2007 Napolitano deve gestire la prima crisi di governo da quando è salito al Colle: il premier Romano Prodi si è dimesso, dopo il voto contrario del Senato alla relazione sulla politica estera del suo governo. Dopo tre giorni Napolitano rinvia il governo alle Camere per la fiducia, che ottiene.

Ma l’anno successivo Napolitano si trova a fare i conti con la crisi che questa volta affonda l’Esecutivo guidato dal ‘Professore’. Lo scontro tra i due schieramenti non conosce tregua e a gennaio il Senato, dove a causa del Porcellum la maggioranza si regge su un pugno di voti, nega la fiducia al Governo e Prodi rassegna le dimissioni. Strada obbligata, lo scioglimento delle Camere e il voto. Il testimone torna così nelle mani di Silvio Berlusconi, che ‘dilapida’ in poco tempo la maggioranza schiacciante uscita dalle urne. Ma è la crisi finanziaria che viene dagli States a segnare l’ultimo giro di giostra a Palazzo Chigi per il Cavaliere.

La situazione economica si deteriora progressivamente e sulla scena politico-economica irrompe una parola fino ad allora quasi sconosciuta all’opinione pubblica: lo spread, il differenziale tra titoli di Stato italiani e bund tedeschi, il termometro della tenuta economica. Nell’estate del 2011 la Bce impone al Governo italiano una cura da cavallo per arginare la crisi e nell’autunno del 2011 si profila il rischio di un declassamento.

A fine ottobre Francia e Germania lanciano l’ultimatum a Berlusconi sulle misure per debito e crescita. E subito fa il giro del mondo il video in cui Angela Merkel e Nicolas Sarkozy da Bruxelles rispondono alle domande dei giornalisti al termine di una riunione del Consiglio Ue. Ai due leader viene chiesto se hanno fiducia nel premier italiano. Merkel, in evidente imbarazzo, fa timidamente cenno di sì, ma poi incrocia lo sguardo eloquente di Sarkozy e sul volto di entrambi appare un sorriso ironico.

Il destino del Governo Berlusconi è irrimediabilmente segnato. Il 9 novembre Napolitano nomina senatore a vita Mario Monti. È il prologo al Governo tecnico con il centrodestra grida al complotto contro il Cavaliere.

Il 12 novembre, dopo una giornata tesissima, Berlusconi getta la spugna e allo Studio alla Vetrata, al Quirinale, è seduto davanti a Napolitano mentre firma le dimissioni. Nasce il Governo Monti, con i partiti che fanno un passo indietro e mettono da parte la conflittualità. La ‘strana maggioranza’ e ‘Super Mario’ si prendono carico di una mission (quasi) impossible: traghettare l’Italia fuori dalla palude della crisi e restituire al Paese la perduta credibilità internazionale. E non possono essere che lacrime e sangue, a cominciare dalla contestatissima legge Fornero sulle pensioni.

Ma anche la candela del Governo tecnico si scioglie rapidamente al fuoco della crisi. Il 6 dicembre 2012 il Pdl lascia la maggioranza e si astiene, al Senato, sul voto al decreto Sviluppo e alla Camera sul provvedimento che riguarda le spese di Regioni ed Enti locali. Monti, dopo un colloquio con Napolitano, annuncia che, una volta approvata la legge di Stabilità, si dimetterà (l’ultimo atto il 21 dicembre).

Il 22 dicembre, dopo le consultazioni con le forze politiche Napolitano firma il decreto di scioglimento delle Camere: si voterà il 24 e 25 febbraio 2013. La coalizione di centrosinistra, ‘Italia bene comune’ ottiene la maggioranza dei seggi alla Camera, mentre a Palazzo Madama la ‘maledizione del Porcellum’ impedisce tanto al centrosinistra quanto al centrodestra di raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi.

Sulla scena politica irrompe il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che raccoglie il 25% dei voti: è il ‘boom’ che Napolitano aveva ironicamente liquidato dopo il risultato dei grillini alle regionali in Sicilia: “di boom ricordo solo quello degli anni Sessanta, altri non ne vedo…”. Grillo però respinge l’offerta di collaborazione del Pd. Per Bersani è una vittoria elettorale a metà che gli sbarrerà le porte di Palazzo Chigi.

Intanto le forze politiche si impantanano sull’elezione del nuovo inquilino del Colle. Romano Prodi cade sotto il fuoco amico di 101 cecchini: tra le vittime, anche Bersani che lascia la guida del Pd. Il pressing sul Capo dello Stato uscente si fa intenso e alla fine Napolitano accetta “per senso di responsabilità” il secondo mandato.

Subito dopo, a fine aprile 2013, il flop di Bersani genera il Governo di Enrico Letta e la nascita delle larghe intese: “le forze rappresentate in Parlamento devono, senza alcuna eccezione, dare ora il loro apporto alle decisioni da prendere per il rinnovamento del Paese. Non si può non prender atto dei risultati elettorali, piacciano oppure no, e non c’è partito o coalizione che abbia avuto voti a sufficienza per governare con le sue sole forze”.

”È tassativa la necessità di intese tra forze diverse”, dice il Capo dello Stato nel discorso di insediamento-bis, ponendo una precisa condizione: si facciano finalmente le riforme, altrimenti al rieletto Capo dello Stato non resterà che “trarre le dovute conseguenze”. È il governo del tutti dentro, che però viene azzoppato quando il Senato vota la decadenza di Berlusconi. Forza Italia si sfila e l’esecutivo Letta rallenta la sua corsa.

Il nuovo segretario dei Dem è Guglielmo Epifani, ma la sua sarà solo una ‘reggenza’ per la transizione. A dicembre, le primarie del Pd incoronano segretario Matteo Renzi, che inizia la sua marcia inarrestabile verso Palazzo Chigi. Nella Direzione di metà febbraio 2014 l’ex sindaco di Firenze manda a casa il premier Pd: “Non è un derby”, non è una sfida “caratteriale” tra lui e Letta, dice.

“È un bivio e io vi propongo di percorrere la strada meno battuta”, perché serve un “cambiamento radicale”. L’hashtag ‘Enricostaisereno’ di appena un mese prima suona beffardo. Al volante ora c’è Matteo il ‘rottamatore’, al quale Napolitano affida l’incarico di formare il Governo.

Ancora una volta nel nome delle riforme e della ripresa economica. Non mancano tuttavia tensioni, quando il Capo dello Stato dice no alla proposta di nominare ministro della Giustizia, Nicola Gratteri.

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Cronaca

Caso Grillo jr, in aula le lacrime della teste chiave

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Il Procuratore Gregorio Capasso

(dall’inviata Elvira Terranova) – “Questa vicenda mi ha provocato molta sofferenza”. La voce si incrina. Si ferma. Le lacrime arrivano silenziose, sul volto della ragazza. Che chiede una sospensione dell’udienza. Poi, riprende, con il racconto di quella notte, tra il 16 e il 17 luglio del 2019, in Costa Smeralda. Una serata iniziata con il divertimento per due giovani ragazze, entrambe 19ennie e che, invece, secondo l’accusa, sarebbe finita con una violenza sessuale di gruppo. Una udienza “drammatica”, come la definisce l’avvocata Giulia Bongiorno, legale di parte civile dell’altra giovane, una ragazza italo-norvegese, che sarà ascoltata in una delle prossime udienze. Alla sbarra ci sono Ciro Grillo, il figlio del fondatore del M5S Beppe Grillo e tre suoi amici genovesi, Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria.

L’accusa per tutti è di violenza sessuale di gruppo. Anche se loro hanno sempre smentito l’accusa affermando che il sesso ero consenziente. Udienza a porte chiuse anche oggi, la dodicesima dall’inizio del processo, per ascoltare ‘Roberta’, il nome è di fantasia, la ragazza che, mentre dormiva sarebbe stata vittima di video e foto oscene. Secondo la Procura, mentre dormiva sarebbe stata fotografata con pose oscene dei giovani. Anche se loro, nel corso degli interrogatori, davanti ai pm avevano parlato di “uno scherzo” e “un gioco”. Così giustificarono i video e le fotografie oscene scattate accanto alla ragazza addormentata.

“Una stupidata che non rifarei, anche se voglio ribadire che è stata una cosa goliardica, a mo’ di scherzo”, aveva detto il figlio del fondatore del M5S, mentre i suoi amici avevano definito quegli scatti “un brutto scherzo” privo di “alcun intento particolare di natura sessuale, era soltanto un gioco” e “un atto stupido, fatto solo per gioco senza mai toccare la ragazza e senza mai avvicinarci a lei”. Giustificazioni che furono fornite al procuratore Gregorio Capasso e alla sostituta Laura Bassani, quest’ultima nel frattempo trasferita a Sassasi, in un interrogatorio sostenuto nell’aprile 2021. L’episodio non è contestato al quarto ragazzo della compagnia- Francesco Corsiglia – che, stando alle versioni di tutti, stava dormendo. A lui e a tutti gli altri, invece, è contestato il fatto più grave, cioè la violenza sessuale raccontata dall’altra ragazza ospite nella loro casa in Sardegna quel 17 luglio 2019. “Ha detto, in maniera elaborata, la sofferenza che le ha causato questa vicenda negli anni”, ha detto alla fine della sua deposizione, l’avvocato Vinicio Nardo, legale di parte civile che rappresenta la giovane. “Citando la sua difficoltà che ha incontrato quando ha iniziato a circolare la notizia, lei è stata identificata anche se non è stato scritto il suo nome. Ognuno reagisce a modo suo. Lei ha provato a mettere da parte questa cosa”.

In mattinata entra in aula anche ‘Silvia’ (nome di fantasia ndr), l’altra ragazza, vittima della violenza. Ma non può assistere all’udienza perché sarà sentita come teste. Così, la sua legale, l’avvocata Giulia Bongiorno, la accompagna in una stanza protetta, lontana da occhi indiscreti. Alta, slanciata, bionda, con la mascherina per non essere riconosciuta, lascia l’aula e si allontana. Resta ‘Roberta’, che però può entrare solo prima delle 15, dopo una serie di stop and go, dovuti alcune eccezioni sollevate dalla difesa. “Non ci siamo opposti – spiega il suo legale Bongiorno – perché abbiamo preferito scegliere una linea non polemica e di rimetterci alla decisione dei giudici”.

“Ora devo avere coraggio, mi devo fare tanta forza…”, sono le uniche parole che la giovane affida alla sua legale, l’avvocata Giulia Bongiorno. Che parla della deposizione dell’altra ragazza: “E’ stata una udienza a tratti drammatica, perché per la prima volta abbiamo avuto la ricostruzione, dalla viva voce di una delle protagoniste di quello che è accaduto – dice la legale – Drammatica perché per la prima volta il Tribunale ha potuto vedere e non solo leggere sui giornali, il dolore e la sofferenza delle ragazze. Oggi non è stata ascoltata la mia assistita, ma di fatto il testimone chiave è proprio questa ragazza, che è stata particolarmente efficace e lucida. E ora ha dovuto interrompere perché ha parlato del suo sconvolgimento di vita”. E ha aggiunto: “La ragazza ha messo una pietra angolare, direi, sulla ricostruzione della vicenda”. E ha spiegato che la giovane si è commossa quando ha dovuto ricostruire quello che è successo.

Intanto è scontro tra i legali e il collegio giudicante al processo a carico di Ciro Grillo e dei suoi tre amici. Il collegio del Tribunale di Tempio Pausania, presieduto da Marco Contu, è andato in camera di consiglio per diverse volte per decidere sulle richieste dalla difesa. In particolare, la difesa di Francesco Corsiglia ha chiesto il rinvio del processo e la riapplicazione del giudice Nicola Bonante, trasferito nel frattempo al Tribunale di Bari. Il giudice Bonante, nei mesi scorsi, ha lasciato il Tribunale ed è stato applicato a otto processi, ma non a quello che vede alla sbarra Ciro Grillo e i suoi amici. Ma oggi gli avvocati Antonella Cuccureddu e Gennaro Velle hanno presentato, a inizio udienza, l’istanza.

“La difesa di Francesco Corsiglia chiede che il Tribunale revochi l’ordinanza sub C, rimettendo in termini le parti per formulare le loro istanze, revocando ogni atto successivamente assunto e disponga che il presente verbale e quello dell’udienza del 10 luglio siano trasmessi alla Presidente della Corte di appello di Cagliari e al Presidente del Tribunale di Tempio Pausania affinché reiterino al Csm l’istanza di applicazione del dottor Bonante, per il presente procedimento sollecitandone l’immediata decisione e, nelle more, disponga il rinvio, per conoscere le determinazioni del Csm, ad altra udienza”, hanno detto. Ma dopo una breve camera di consiglio i giudici hanno respinto la loro richiesta. Alla richiesta si è associato anche il collega Ernesto Monteverde che difende Edoardo Capitta. Presentate anche altre eccezioni di altri legali della difesa. Tutte respinte. Il processo prosegue, dunque. E dopo l’udienza fiume di oggi, il processo riprenderà domani mattina, alle ore 10 per continuare il controesame della giovane.

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Politica

Giorgio Napolitano, 70 anni nelle Istituzioni e 9 anni al Quirinale

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Il primo Presidente della Repubblica riconfermato al Colle

Giorgio Napolitano, 70 anni nelle Istituzioni e 9 anni al Quirinale - Fotogallery


Giorgio Napolitano, morto oggi all’età di 98 anni, è stato protagonista di una vita trascorsa nelle Istituzioni, 70 anni in tutto, fino a quella più alta, vale a dire la Presidenza della Repubblica, con la prima riconferma della storia dopo il settennato, avvenuta per una serie di contingenze che resero necessaria una rielezione che portò ad un prolungamento del mandato di altri due anni. Ma non è stata la sola prima volta che può vantare nel suo curriculum.

Napolitano è stato infatti il primo ex comunista a diventare Presidente della Repubblica; ma anche il primo ex comunista nominato ministro dell’Interno; il primo dirigente comunista inviato negli Stati Uniti.

Napolitano nasce a Napoli il 29 giugno del 1925 e si laurea in Giurisprudenza nel dicembre del 1947 presso l’Università del capoluogo campano con una tesi in economia politica. Da studente universitario è impegnato con i giovani antifascisti e a vent’anni si iscrive al Partito comunista.
Nel 1953 viene eletto per la prima volta alla Camera, dove verrà sempre riconfermato, tranne che nella quarta legislatura, nella circoscrizione di Napoli fino al 1996. Nel 1992 ne diverrà presidente, dopo l’elezione a Capo dello Stato di Oscar Luigi Scalfaro, e sarà chiamato a governare l’Assemblea di Montecitorio al culmine di Tangentopoli, sempre geloso custode delle prerogative parlamentari.

Così, di fronte alla richiesta “irrituale agli uffici della Camera, da parte di un ufficiale della Guardia di Finanza, su invito della Procura della Repubblica di Milano, di atti peraltro già pubblicati per obbligo di legge sulla Gazzetta ufficiale”, Napolitano ribadisce “i principi inderogabili cui si deve ispirare una corretta collaborazione tra il Parlamento ed il potere giudiziario”, esprimendo “viva preoccupazione per il verificarsi di casi che toccano questi principi”, ottenendo dal Procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli, “formali scuse” dopo avergli manifestato “stupore e disappunto”.
Mentre il suicidio del deputato socialista, Sergio Moroni, il 2 settembre del 1992, “fu il momento umanamente e moralmente più angoscioso che vissi da presidente della Camera”, confesserà alcuni anni dopo Napolitano, destinatario di una lettera da parte dello stesso parlamentare prima di compiere il tragico gesto.
Dopo quel biennio, scocca l’ora del maggioritario e della vittoria del centrodestra e di fronte alle attese e agli interrogativi che suscita l’avvento del governo di Silvio Berlusconi, durante il dibattito sulla fiducia l’ormai ex presidente della Camera disegna il perimetro di quello che dovrebbe essere il terreno di un corretto rapporto tra maggioranza e opposizione.

Un discorso rimasto celebre, che spinge il nuovo premier a lasciare i banchi del Governo per congratularsi con Napolitano. “L’opposizione -dice tra l’altro il futuro Capo dello Stato- non deve impedire che si deliberi in Parlamento, ma ha ragione di esigere misura e correttezza, riconoscimento e rispetto dei propri diritti. L’opposizione non deve impedire che questo governo governi; anzi, ha interesse a che non ci siano alibi per ogni possibile inazione o contraddizione da parte del governo. Quel che sollecitiamo è il linguaggio di un serio confronto istituzionale, di un confronto in quest’Aula sulla complessità ineludibile dei problemi e delle scelte di governo. È anche così che si rispetta sul serio il Parlamento ed il suo ruolo insostituibile nel sistema democratico, in una democrazia dell’alternanza: e non c’è nulla che prema di più a chi vi parla, nulla che dovrebbe premere di più a tutti noi”.
I primi incarichi nel Partito comunista, vedono Napolitano nominato segretario delle federazioni di Napoli e Caserta, mentre dal 1956 diviene membro del Comitato centrale, dove assume l’incarico di responsabile della commissione meridionale. Entrato a far parte della Direzione, nel triennio 1976-79, gli anni della solidarietà nazionale, è responsabile della politica economica del partito, mentre dal 1986 dirige la commissione per la Politica estera e le relazioni internazionali. E quando nel 1989 Achille Occhetto darà vita al ‘governo ombra’ ne sarà nominato ministro degli Esteri.
Allievo di Giorgio Amendola, con Gerardo Chiaromonte ed Emanuele Macaluso è uno degli esponenti di spicco della corrente migliorista, quella più moderata del partito, che lo vede sempre impegnato a tenere aperti i canali di dialogo con il Psi, anche negli anni del duro scontro tra Enrico Berlinguer e Bettino Craxi.

Sia per la sua linea politica che per gli incarichi ricoperti, Napolitano cura i rapporti con i Laburisti inglesi, i Socialisti francesi, i Socialdemocratici tedeschi, i Democratici statunitensi. E dopo un iniziale rifiuto del visto da parte del segretario di Stato Henry Kissinger nel 1975, tre anni dopo sarà il primo dirigente comunista a recarsi negli Usa, nel pieno della stagione del compromesso storico.
Un viaggio reso possibile grazie anche ai buoni uffici del presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, come ricorderà anni dopo Napolitano in una lettera al leader democristiano: “Non dimentico come ti adoperasti per il buon esito di quella mia prima missione negli Stati Uniti”.
Kissinger invece si farà perdonare con gli interessi 40 anni dopo, quando nel 2015 gli consegnerà di persona l’omonimo premio all’American Academy a Berlino. “Ha salvato la democrazia Italia nel bel mezzo della crisi economica globale. Per me -dirà l’ex capo della diplomazia americana- ha un grande significato celebrare Napolitano: vero leader democratico, amico delle relazioni atlantiche e difensore della dignità degli esseri umani”.

Tornando alla sua attività all’interno del Pci, Napolitano alla morte di Berlinguer sfiora la segreteria, spinto da un altro esponente migliorista come il segretario della Cgil Luciano Lama, ma alla fine prevarrà Alessandro Natta. In quegli anni, esattamente tra il 1981 e il 1986, sarà comunque capogruppo alla Camera.
Dopo aver lasciato l’assemblea di Montecitorio, nel 1996 viene nominato ministro dell’Interno nel primo Governo di Romano Prodi e con la ministra della Solidarietà sociale, Livia Turco, terrà a battesimo la legge sull’immigrazione che tra l’altro istituisce i Cpt, Centri di permanenza temporanea.
Chiusa anche quell’esperienza quando a palazzo Chigi approda Massimo D’Alema, dal 1999 al 2004 Napolitano è parlamentare europeo, esperienza vissuta anche nel triennio 1989-1992. Come ex presidente della Camera, nel 2003 viene nominato a guida dell’omonima Fondazione, nata per favorire la conoscenza e la divulgazione del patrimonio storico e del ruolo istituzionale dell’Assemblea di Montecitorio.

Il 23 settembre del 2005 il ritorno nel Parlamento italiano, quando Carlo Azeglio Ciampi lo nomina senatore a vita. Sarà una parentesi di pochi mesi, perchè il 10 maggio 2006 è viene eletto Presidente della Repubblica con 543 voti, quelli della maggioranza di centrosinistra.
‘The quiet power broker’, il posato mediatore, lo definirà il ‘New York Times’, con espressione che sintetizza un settennato durante il quale la funzione di garante si concretizza in un’attività in grado di assicurare il costante equilibrio del sistema istituzionale, soprattutto nei momenti più critici e delicati.
Come nell’autunno del 2011, l’anno in cui si celebrano i 150 anni dell’unità d’Italia, quando la crisi del Governo Berlusconi e la preoccupante situazione economica legata all’elevato livello raggiunto dallo spread, portano alla nascita dell’Esecutivo tecnico guidato da Mario Monti e sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare.

La stessa che nella primavera del 2013, dopo la bocciatura di Franco Marini e di Romano Prodi ad opera dei franchi tiratori, chiederà a Napolitano di restare al Quirinale alla fine del suo settennato. Accetta e il 20 aprile arriva la sua rielezione con 738 voti. La prima ma non l’ultima volta nella storia repubblicana di una conferma al Quirinale dopo il settennato, visto che la stessa cosa accadrà nel 2022 con Sergio Mattarella, anche in questo caso per superare uno stallo parlamentare che sembra insuperabile.
Giurando davanti al Parlamento riunito in seduta comune, Napolitano, denuncia l'”imperdonabile nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione”. Per questo, è il suo appello “non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana”.
Un obiettivo che porta alla formazione del governo di larghe intese guidato da Enrico Letta e un impegno che non cessa anche quando l’ex Capo dello Stato decide che è arrivato il momento di lasciare il Quirinale, il 14 gennaio 2015.

Nove anni durante i quali si ricordano anche l’impegno europeista, suggellato da momenti dalla forte valenza simbolica, come la storica visita il 23 marzo 2013 insieme al Presidente tedesco Joachim Gauck a Sant’Anna di Stazzema per commemorare le vittime dell’eccidio compiuto dai nazisti.
Restano poi scolpite nella memoria le immagini che testimoniano lo speciale e intenso rapporto con Benedetto XVI, culminato nel concerto in Vaticano del 4 febbraio 2013 organizzato in occasione dell’anniversario dei Patti lateranensi.
Napolitano, con commozione, ricorda “la memoria dei nostri incontri e colloqui, in molteplici occasioni, nel corso di questi sette difficili anni”. Parole che vengono lette come un commiato in vista della fine del settennato, che invece verrà prolungato ancora di due anni, mentre una settimana dopo sarà Ratzinger a lasciare sorpresa il Soglio di Pietro.

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Politica

E’ morto Giorgio Napolitano, Presidente Emerito della Repubblica aveva 98 anni

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Si è spento alle 19.45 nella clinica Salvator Mundi di Roma. Mattarella: "Ha interpretato significative battaglie per lo sviluppo sociale, la pace e il progresso dell'Italia e dell'Europa". Camera ardente al Senato

E’ morto Giorgio Napolitano. Il Presidente Emerito della Repubblica aveva 98 anni. Napolitano si è spento alle 19.45 di oggi, 22 settembre 2023, presso la clinica Salvator Mundi al Gianicolo, a Roma.

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Salute e Benessere

Ricerca, Premio Aspen a studio Usa-Italia su proteina sintetica per neuropatie

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Ricerca, Premio Aspen a studio Usa-Italia su proteina sintetica per neuropatie

“Un canale di potassio attivato dalla luce per l’inibizione neuronale”. Il Premio Aspen Institute Italia per la collaborazione e la ricerca scientifica tra Italia e Stati Uniti è stato assegnato – nella sua ottava edizione – ad uno studio pubblicato sulla rivista Nature Methods, dove viene sperimentata con successo l’efficacia di una nuova proteina sintetica che, attivata dalla luce blu, è in grado di alleviare il dolore neuropatico. Lo studio – si legge in una nota – è frutto della collaborazione tra il laboratorio di Biofisica dei canali ionici del Dipartimento di Bioscienze dell’Università Statale di Milano guidato da Anna Moroni, che ha costruito la nuova proteina, BLINK2 e il laboratorio di Neuromodulation of Cortical and Subcortical Circuits, guidato da Raffaella Tonini dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, che ne ha dimostrato la funzionalità sull’attività neuronale, in collaborazione con Columbia University a New York, University of Arizona a Tucson e altre organizzazioni scientifiche.

La cerimonia di premiazione si terrà il 27 settembre alle 17 nella sede dell’Istituto in piazza Navona 114.

La consegna – conclude la nota – sarà preceduta da un panel internazionale sul futuro della biomedicina a cui partecipano tra gli altri Giulio Tremonti, presidente Aspen Institute Italia; Alberto Quadrio Curzio, presidente emerito, Accademia Nazionale dei Lincei; Giorgio Palù, presidente Agenzia italiana del farmaco Aifa; Henry M. Colecraft, John C. Dalton Professor of Physiology and Cellular Biophysics, and Professor of Pharmacology, Columbia University, New York; Anna Moroni, Ordinario di Fisiologia vegetale, Dipartimento di Bioscienze, Università degli Studi di Milano; Mary Adjepong, Vincitrice della Owsd Early Career Fellowship 2022 sostenuta da Aspen Institute Italia; Nicoletta Luppi, President and General Manager, Msd Italia; Membro del Consiglio Generale, Aspen Institute Italia.

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Salute e Benessere

Tumori, la promessa dei ‘farmaci viventi’ Car-T, 1.400 studi e 6 terapie approvate

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Tumori, la promessa dei 'farmaci viventi' Car-T, 1.400 studi e 6 terapie approvate

Gli esperti li chiamano ‘farmaci viventi’, non sono molecole sintetizzate in laboratorio, ma cellule del sistema immunitario, linfociti T, che i ricercatori sono capaci di ‘istruire’ e armare contro i tumori tramite tecniche di ingegneria genetica. Una ‘rivoluzione’ quella delle terapie Car-T che si sta concretizzando e che vanta numeri in crescita: ad oggi si contano già 6 farmaci approvati e più di 1.400 studi clinici registrati nel mondo. Sulle prospettive di questa via terapeutica si è fatto il punto oggi a Milano dove oltre mille scienziati sono riuniti per discutere delle nuove frontiere dell’immunoterapia al Cicon23 (International Cancer Immunotherapy Conference), evento organizzato dal Network italiano per la bioterapia e l’immunoterapia dei tumori (Nibit), in corso fino a domani, sabato 23 settembre.

La conferenza offre uno spaccato sulle realtà accademiche e industriali impegnate nello sviluppo di nuove terapie di questo tipo. “Il nostro sistema immunitario – spiega Anna Mondino, responsabile dell’Unità di attivazione linfocitaria all’Irccs ospedale San Raffaele di Milano – si è evoluto per imparare a riconoscere agenti infettivi come virus e batteri, ed è capace di riconoscere anche ‘cellule tumorali impazzite’ e spesso di eliminarle prima ancora che si sviluppi un vero e proprio tumore. In alcuni casi però, il tumore si nasconde o spegne le risposte immunitarie, sfuggendo al controllo e prendendo il sopravvento. Da qui l’idea di provare ad amplificare i meccanismi naturali delle cellule del sistema immunitario”.

Ad oggi, aggiunge Giulia Casorati, responsabile dell’Unità di immunologia sperimentale del San Raffaele, “si possono ottenere linfociti anti-tumorali direttamente dai tumori dei pazienti (linfociti infiltranti i tumori), o generarli in laboratorio tramite ingegneria genetica. Abbiamo infatti imparato a modificare geneticamente cellule del sistema immunitario del paziente con molecole naturali (come il recettore delle cellule T, Tcr), o sintetiche (come il recettore antigenico chimerico, Car) che le guidano a riconoscere ed uccidere le cellule tumorali”. Una strategia studiata da Chiara Bonini, oggi professore ordinario di Ematologia all’università Vita-Salute San Raffaele, che da studentessa nel gruppo diretto da Claudio Bordignon pubblicò nel 1997 su ‘Science’ il primo lavoro di ingegneria genetica dei linfociti.

“Sappiamo oggi come accendere e spegnere molecole che possono rispettivamente attivare o inibire i linfociti – spiega Bonini – e abbiamo nuove metodologie sempre più efficaci e sicure per modificare geneticamente le cellule dei pazienti. I risultati sono entusiasmanti. La terapia con Car-T ha ottenuto una risposta completa in una elevata percentuale di pazienti nel trattamento di alcune neoplasie ematologiche. Sappiamo però che i pazienti possono avere ricadute cliniche perché il tumore impara a sfuggire alla terapia”.

Inoltre, il trattamento dei tumori solidi rappresenta ostacoli aggiuntivi. “Stiamo dotando le Car-T di nuove armi contro il neuroblastoma, una malattia, ad oggi senza una vera alternativa terapeutica”, commenta Gianpietro Dotti, ricercatore italiano ora al Lineberger Comprehensive Cancer Center dell’università del North Carolina negli Stati Uniti. Tra i relatori del Cicon23 ci sarà anche Cassian Yee dell’università del Texas, tra i primi ad aver creato una mappa genetica dei linfociti anti-tumore, di recente pubblicata sulla rivista ‘Nature Medicine’.

“Abbiamo una massa critica di clinici e ricercatori all’avanguardia, centri di riferimento ospedalieri di eccellenza, un’agenzia regolatoria preparata, e il supporto di agenzie di finanziamento importanti come l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro – conclude Pier Francesco Ferrucci, presidente del Nibit e direttore dell’Unità di bioterapia dei tumori all’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano – La terapia cellulare potrà essere usata in combinazione con terapie tradizionali come la chemioterapia e la radioterapia, e anche con le nuove strategie come i vaccini a mRna, e gli inibitori dei checkpoint immunitari. E’ arrivato il momento di mettere in rete le competenze presenti sul territorio e lavorare insieme per rendere queste terapie una realtà clinica effettiva. Questo uno degli scopi del Nibit”.

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Economia

Landini: “Il 7 ottobre via a mobilitazione, stop solo se cambiano politiche”

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Il leader della Cgil: "Gravissimo attacco politico" nei confronti del sindacato da un esecutivo "che ha paura di chi non la pensa come lui. Saremo noi a tenervi sotto controllo"

Maurizio Landini - Fotogramma

Cgil sul piede di guerra contro le politiche del governo. Ad annunciare una mobilitazione che “non finirà fino a che non produrrà risultati e il governo non accetterà di cambiare le proprie politiche”, è il segretario nazionale Maurizio Landini ribadendo l’obiettivo del sindacato che il 7 ottobre prossimo riunirà oltre 200 tra associazioni laiche e cattoliche in difesa della Costituzione.

“Le condizioni stanno peggiorando – denuncia Landini – ed è un’angoscia. Non passa giorno che non ci sia un morto sul lavoro, la situazione non è più accettabile e siamo stanchi di esprimere solidarietà ai familiari, serve cambiare i modelli e sistemi con cui si lavora e produce. Basta appalti, basta precarietà, il governo deve cambiare questo quadro”, elenca ricordando come con l’ultima manovra si siano reinseriti i voucher, esteso i contratti a termine, cancellato il reddito di cittadinanza, tagliato il Ssn, “e ora parlano di autonomia differenziata. Cosa dobbiamo aspettare ancora? E’ il momento – scandisce – di invertire questa tendenza: serve aumentare i salari ma soprattutto fare una riforma fiscale che è all’opposto di quanto si sta discutendo in Parlamento”, elenca. E ammette: “Non lo so se raggiungeremo un risultato ma sono sicuro che se non lo facciamo nessuno lo farà al nostro posto. Serve dignità e coraggio per provare a cambiare la situazione”.

Quindi attacca: “Questo governo ha paura sia della manifestazione del 7 ottobre che delle varie mobilitazioni che stanno crescendo in tutto il Paese ma anche di tutti quelli che non la pensano come loro”, afferma denunciando la considerazione secondo cui il sindacato è tenuto sotto controllo dal governo.

“C’è un attacco politico contro la Cgil e contro il suo segretario. Un fatto gravissimo, mai successo prima”, denuncia. “Con molta pacatezza sappiamo che la storia parla per noi. E vogliamo ribaltare il concetto: con i nostri 5 milioni di iscritti, con la manifestazione del 7 siamo noi che vigiliamo sul governo, su quello che fa o non fa, per difendere gli interessi dei lavoratori. Ci troviamo in una situazione così difficile come mai, i temi stanno venendo al pettine tutti allo stesso momento. E davanti a un quadro così complesso il governo che fa? Il più grande partito di maggioranza decide di fare un’interpellanza, usando ricostruzioni sommarie e indiscrezioni giornalistiche a cui il governo in 2 giorni ha dato risposta perché, ha detto, deve vigilare. Un fatto gravissimo, mai successo prima con cui si cerca di delegittimare il sindacato”, dice riferendosi alla vicenda innescata dal licenziamento dell’ex portavoce Cgil, Massimo Gibelli.

Quindi attacca “gli incontri finti” tra governo e sindacati, “anche in quello di oggi sull’inflazione non c’è nessuna novità. Si annuncia un possibile accordo dove i soggetti possono scegliere se aderire o meno ma questa inflazione è determinata dall’aumento dei profitti e dalla speculazione. Bisogna quindi aumentare i salari in modo strutturale – insiste Landini – confermare il taglio del cuneo contributivo. Ed è il momento di detassare gli aumenti contrattuali, agire sui trasporti pubblici locali e affrontare il tema della casa”.

“Il governo dimostra di non essere capace di affrontare nessuno dei problemi sul tavolo: stanno raccontando che il nostro problema si risolve chiudendo i porti e le frontiere. Dicono: attenti, il vostro problema sono quelli che scappano dall’Africa. Stanno cercando di far passare il messaggio che il problema sono le persone come noi che scappano da guerre e carestia…Ma poi si scordano che ci sono 5 milioni di italiani che vivono all’estero…e i giovani italiani che ogni anno vanno via dall’Italia sono sempre più di quelli che arrivano nel Paese. Per questo non dovrebbero chiudere i porti ma gli aeroporti per non far fuggire i giovani italiani che si spostano all’estero alla ricerca di un salario dignitoso”.

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Sport

Milan, è morto Giovanni Lodetti: bandiera rossonera aveva 81 anni

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Ha vinto 2 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, una Coppe delle Coppe, una Coppa Intercontinentale e una Coppa Italia

Il mondo del calcio piange Giovanni Lodetti, ex centrocampista di Milan e Nazionale, scomparso oggi all’età di 81 anni. In carriera ha vinto 2 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, una Coppe delle Coppe, una Coppa Intercontinentale e una Coppa Italia con la maglia rossonera, più un Europeo in maglia azzurra nel 1968.

“Un amore infinito il suo per il Milan, per tutti i suoi compagni di squadra e amici rossoneri. Ha corso e lottato, ha vinto e vissuto con la maglia della sua vita, il Lodetti. Alla signora Rita e al figlio Massimo le condoglianze più sentite e sincere per la perdita dell’inimitabile Giuanin, il nostro indimenticabile Basletta”, il messaggio del Milan.

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Ultima ora

Angelini, Marsilio: “Azienda all’avanguardia e con progetti sempre innovativi”

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Così il presidente della Regione Abruzzo in visita nello stabilimento di Angelini Technologies e Fameccanica che ha annunciato investimenti per 600 milioni

“Siamo stati sempre vicino a quest’azienda che è un’eccellenza del nostro Made in Italy e continueremo a supportarla. Durante la pandemia, in poco tempo, è riuscita a mettere su 25 linee per la realizzazione di mascherine, di cui poi sono stati realizzati milioni di pezzi. Con questa realtà stiamo portando avanti anche progetti innovativi”. Così il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, in visita, a San Giovanni Teatino (Ch), assieme al ministro delle imprese e del Made In Italy, Adolfo Urso, nello stabilimento di Angelini Technologies e Fameccanica, che ha annunciato investimenti per 600 milioni.

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