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Auto elettriche, colonnine e due ruote: la mobilità sostenibile in Italia

La fotografia nell’ottava edizione del White Paper di Repower

Auto elettriche, colonnine e due ruote: la mobilità sostenibile in Italia

Settore automotive in ripresa nel 2023 e numeri positivi per l’elettrico, pur con un market share ancora inferiore al 5%; in crescita l’installazione di colonnine di ricarica pubbliche che supera la soglia psicologica dei 50mila punti di ricarica. Per le due ruote, assestamento fisiologico per i numeri delle e-bike in Italia, mentre sono in calo nel 2023 le vendite di moto e scooter elettrici. Repower, gruppo attivo nel settore energetico e della mobilità sostenibile, ha pubblicato l’ottava edizione del White Paper . ‘La mobilità sostenibile e i veicoli elettrici’ che aggrega indicatori, numeri e previsioni e definisce una visione d’insieme del panorama italiano, europeo e mondiale della mobilità sostenibile. Trend di mercato, innovazioni e nuovi scenari mondiali fino alle nuove applicazioni con guida autonoma, alla nautica elettrica e alle e-bike per arrivare alle principali fake news: il documento analizza i dati sull’automotive e sull’e-mobility, a due e tre e quattro ruote, all’interno di uno scenario energetico e legislativo in evoluzione, e si propone come guida per orientarsi nel complesso e articolato mondo della mobilità elettrica. (Fotogallery)

“Ci siamo lasciati alle spalle un anno caratterizzato da luci e ombre, con alcuni settori che sono andati avanti a passo sostenuto, come le infrastrutture di ricarica, e altri meno, come le vendite di auto a zero emissioni in Italia: il panorama generale della mobilità sostenibile si conferma quindi in costante evoluzione vista la velocità con cui cambiano tecnologie e le soluzioni per gli utenti”, osserva Fabio Bocchiola, Ceo di Repower Italia.

“Nel 2023 abbiamo assistito a un’accelerazione straordinaria nella diffusione delle infrastrutture di ricarica, che pone basi solide per consentire a un crescente numero di automobilisti di beneficiare dei vantaggi della mobilità elettrica - osserva il segretario generale di Motus-E, Francesco Naso - il lavoro da fare non è certo finito, ma la strada è quella giusta. Al tempo stesso, grazie alla rimodulazione degli incentivi auto e al debutto di modelli a batteria sempre più accessibili, anche il circolante elettrico potrà aumentare sensibilmente, assottigliando il vero gap che separa l’Italia dagli altri grandi Paesi europei. Esiste poi a tutt’oggi anche un altro gap su cui agire, ed è quello informativo. In tal senso, iniziative come questo White Paper possono essere senz’altro utili per accrescere la consapevolezza dei cambiamenti in atto”.

I NUMERI DEL REPORT - Dopo un 2022 difficile per il settore automotive, caratterizzato da un calo delle immatricolazioni del -9,7% rispetto all’anno precedente, il 2023 ha visto il mercato italiano dell’auto segnare un +18,87%, con 1.572.144 immatricolazioni contro le 1.322.096 del 2022, comprendendo i veicoli con motori a combustione interna, elettrici e ibridi. In questo contesto, i segnali per il mercato full electric in Italia nel 2023 sono timidamente positivi: 66.276 nuove immatricolazioni di auto elettriche pure (Bev), con un incremento complessivo del 35,11%. In termini assoluti, le Bev in Italia sono 220.188 (dati di Motus-E, dicembre 2023). Secondo le stime di Unrae (giugno 2023) rappresentano lo 0,5% del parco circolante. Per i veicoli commerciali leggeri Bev, quindi completamente elettrici (non ibridi), le immatricolazioni sono state 5.980 tra gennaio e novembre 2023; sono quindi stati sufficienti 11 mesi per superare di gran lunga le 4.115 unità registrate in tutto il 2022: +45,3%. Note positive che non riescono però a colmare il gap con l’Europa, dove il market share di tutti i veicoli Bev immatricolati nel 2023 ha raggiunto il 14,6%. In Italia la quota di mercato delle Bev si ferma al 4,2%, pari a meno di un terzo del resto del continente. Tutte le auto ibride (Hev) rappresentano il 36,1%, mentre le sole ibride plug-in (Phev) hanno un peso del 4,4% tra le nuove immatricolazioni.

Infrastruttura di ricarica: l’Italia sconta ancora un ritardo rispetto ai partner europei ma vive un trend positivo. Secondo una rilevazione di Motus-E alla fine del 2023 il numero dei punti di ricarica ad accesso pubblico è infatti aumentato del 38% rispetto al 2022. Sono 50.678 i punti di ricarica pubblici installati, distribuiti su 26.997 infrastrutture, con un aumento di 7.663 unità (+40% a/a). In queto contesto anche Repower ha dato il suo contributo a questi numeri in crescita, grazie al lancio di Repower Charging Net, il network di ricarica in cui gli host che offrono il servizio per auto elettriche diventano dei partner di Repower stessa, partecipando in maniera diretta ai ricavi del servizio.

La strada da fare è però ancora lunga: il target finale del Pnrr prevede, infatti, di installare oltre 21mila punti di ricarica rapida entro giugno 2026 (7.500 in autostrada e 13mila nei centri urbani), per uno stanziamento di 741 milioni di euro. Da segnalare che la maggior parte dei possessori di auto elettrica in Italia oggi fa la ricarica nel proprio garage: i punti di ricarica domestici nel 2023 hanno superato quota 400mila, dieci volte tanto quelli ad uso pubblico.

Capitolo e-bike. Secondo i dati dell’Ancma, dalle 56mila Epac (Electric Pedal Assisted Cycle) vendute nel 2015, si è passati alle 337mila del 2022: un mercato che in sette anni si è sestuplicato e i segnali di rallentamento arrivati nel 2023 ne rappresentano un fisiologico assestamento. Sono meno, invece, per moto e scooter elettrici: nel 2023, gli italiani ne hanno acquistato 12mila unità, con una flessione del 26,3% rispetto all’anno precedente. Un settore che Repower presidia da tempo e da vicino grazie a DINAclub, il progetto che elettrifica le ciclovie d’Italia, promuovendo le destinazioni turistiche in una logica di marketing territoriale.

Nel frattempo, il mercato di moto, scooter e ciclomotori a combustione interna ha messo a segno un positivo +15,7%, superando le 337mila immatricolazioni, il miglior risultato dal 2010. Un trend che accomuna tutta Europa, come mostrano le statistiche dell’associazione europea dei produttori Acem.

Il White Paper traccia, poi, l’identikit del proprietario tipo dell’elettrico. Perché si acquista un’auto elettrica? Il 40% degli intervistati attribuisce la sua decisione a questioni ambientali, mentre solo il 15% cita la possibilità di usufruire di incentivi fiscali. Il 25% ha scelto un'auto a batteria per i costi più bassi, l'11% per il piacere della guida e il 10% perché la ritiene ‘adatta al proprio stile di vita’. Alla domanda su quale auto si usa per lavoro, più della metà utilizza un’auto nuova, il 19% un’auto usata e il 22,4% in leasing o a noleggio. La maggior parte del campione (circa il 51%) percorre in un anno tra i 30mila e 50mila chilometri e chi guida un’auto elettrica è il 9,2%. Il documento analizza anche il panorama delle startup italiane che più stanno lavorando in ambito mobilità: sono 836 e rappresentano il 5,7% del totale delle startup innovative nel nostro Paese.

A tirare le somme dell’analisi contenuta nel report è Fabio Bocchiola, Ceo Repower Italia: “Una prima conclusione è che sicuramente per diverse ragioni stiamo cambiando il nostro modo di muoverci: per avanzamento tecnologico e convenienza economica, per motivazioni di accresciuta coscienza ambientale e non ultimo per consapevolezza che l’automobile di proprietà spesso non è più quel simbolo di libertà sociale ma anzi più un ostacolo a quel diritto alla mobilità indicato dal presidente Mattarella. Mettendo assieme queste tre ragioni ci rendiamo conto che sono le basi per un ragionamento che ci sta portando piuttosto rapidamente verso una mobilità ‘sostenibile’”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Mondo Convenienza, prodotti non completi e reclami...

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"Ha ostacolato i diritti dei consumatori prevedendo tempistiche ristrette per il reclamo e limitazioni al diritto di ottenere la sostituzione dei prodotti stessi o la restituzione di quanto pagato"

Una sede di Mondo Convenienza - (Fotogramma)

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha irrogato a Iris Mobili, titolare del marchio Mondo Convenienza, una multa di 3 milioni e 200mila euro. La società ha adottato condotte illecite nelle fasi di consegna e di montaggio dei mobili e degli arredi e ha ostacolato i consumatori nella fruizione dei servizi post-vendita. Lo rende noto l'Antitrust in un comunicato.

"Pur consapevole dell’elevato numero di consegne di prodotti non completi e non corrispondenti agli ordini o non in perfette condizioni di utilizzo, la società - sottolinea l'Autorità - non ha adottato comportamenti idonei a risolvere questi problemi, violando così l’obbligo di diligenza professionale previsto dal Codice del Consumo. Inoltre, ha ostacolato i diritti dei consumatori prevedendo tempistiche ristrette per il reclamo e limitazioni al diritto di ottenere la sostituzione dei prodotti stessi o la restituzione di quanto pagato. In questo modo, Mondo Convenienza ha limitato considerevolmente la libertà di scelta dei consumatori".

Queste infrazioni, rileva l'Antitrust, "riguardano un’importante fase del rapporto di consumo ovvero l’esatta esecuzione del contratto di compravendita; in particolare la consegna completa e corretta del bene acquistato, la prestazione del servizio di assistenza post-vendita, il rimborso in caso di recesso e la previsione di misure compensative per i disagi subiti dai consumatori".

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Economia

Chi rientra nella no tax area IRPEF? Ecco le soglie limite

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Non tutti pagano l’IRPEF: chi rientra nella no tax area è totalmente esonerato dal versamento dell’imposta sui propri redditi. Di cosa si tratta e come funziona, alla luce delle novità introdotte dal 1° gennaio 2024.

Chi rientra nella no tax area IRPEF? Ecco le soglie limite

I titolari di redditi bassi non sono tenuti al versamento dell’IRPEF, per effetto delle regole previste dalla disciplina della no tax area.

Lavoratori dipendenti, pensionati e anche titolari di partita IVA che nel corso dell’anno percepiscono redditi inferiori alle soglie previste per legge restano fuori dal perimetro dei soggetti obbligati al pagamento delle imposte.

In parallelo, viene meno la possibilità di beneficiare delle detrazioni IRPEF fruibili con la dichiarazione dei redditi così come, per i titolari di redditi da lavoro dipendente, del trattamento integrativo in busta paga.

Dai limiti di reddito alle novità in vigore dal 1° gennaio 2024, un focus delle regole per capire cos’è e come funziona la no tax area.

Cos’è la no tax area IRPEF

È l’articolo 13 del TUIR, il DPR n. 917/1986, a disciplinare le regole relative alla no tax area, soglia di reddito entro la quale per effetto del sistema delle detrazioni fiscali spettanti sui redditi da lavoro dipendente, pensione o lavoro autonomo, l’IRPEF non risulta dovuta.

A livello general, con il termine no tax area si intende il limite reddituale al di sotto del quale l’ IRPEF è totalmente assorbita dalle detrazioni fiscali. Chi vi rientra non è quindi tenuto a versare le imposte sui redditi da lavoro o pensione percepiti.

Sul fronte operativo pertanto, il funzionamento della no tax area è direttamente legato al meccanismo delle detrazioni IRPEF riconosciute a dipendenti, pensionati e lavoratori autonomi, sul quale è recentemente intervenuto il decreto legislativo n. 216/2023.

Nell’ambito dell’attuazione della riforma fiscale, in parallelo all’accorpamento delle prime due aliquote IRPEF, è stata fissata una soglia unica di no tax area per dipendenti e pensionati.

L’importo della detrazione fissa riconosciuta per i redditi da lavoro dipendente fino a 15.000 euro è salito a 1.955 euro, così come previsto per l’appunto per i titolari di redditi da pensione, rispetto ai 1.880 euro previsti fino allo scorso anno con il fine di incrementare la soglia di reddito al di sotto della quale non si paga l’IRPEF.

Chi rientra nella no tax area? I I limiti di reddito per dipendenti, pensionati e partite IVA

Alla luce delle novità sopra esposte, operative dal 1° gennaio 2024, nella no tax area rientrano:

● i titolari di redditi da lavoro dipendente fino alla soglia di 8.500 euro;

● i titolari di redditi da pensione fino alla medesima soglia di 8.500 euro;

● i titolari di redditi da lavoro autonomo fino alla soglia di 5.500 euro.

Se la riforma fiscale ha equiparato la soglia reddituale delle prime due categorie, nulla è cambiato invece sul fronte dei titolari di redditi di lavoro autonomo. In questo caso, il valore massimo della detrazione IRPEF che consente di abbattere integralmente le imposte dovute resta pari a 1.265 euro.

No tax area, detrazioni e incapienza: gli effetti sul fronte della dichiarazione dei redditi

Chiariti i concetti basilari da conoscere, è bene soffermarsi sugli effetti sul fronte fiscale legati all’appartenenza alla no tax area.

I contribuenti non tenuti al versamento dell’IRPEF, in quanto titolari di redditi inferiori alle soglie previste, si considerano incapienti. Questo comporta che, in sede di dichiarazione dei redditi, non sarà possibile fruire delle detrazioni fiscali per oneri, quali ad esempio quelle spettanti per i lavori in casa.

No tax area e incapienza sono quindi due concetti che corrono in parallelo: l’esenzione totale dal versamento dell’IRPEF ha come “effetto collaterale” quello di non poter beneficiare dei rimborsi fiscali che sono calcolati, per l’appunto, sulla base dell’imposta corrisposta.

L’impatto della no tax area è inoltre evidente anche sul fronte del diritto al trattamento integrativo, l’ex bonus Renzi, che è riconosciuto ai lavoratori dipendenti in anticipo e sulla base del reddito teorico che si presume di incassare nel corso dell’anno.

Cosa succede se alla fine del periodo d’imposta il reddito percepito rientra nella no tax area? Chi non versa l’IRPEF non ha diritto neppure al trattamento integrativo, che dovrà essere quindi restituito all’Erario in sede di conguaglio fiscale.

Da evidenziare infine che la no tax area non ha effetti sul fronte dell’adesione a regimi opzionali di tassazione, quale ad esempio la cedolare secca sugli affitti. In tal caso infatti i redditi da locazione si considerano “separatamente” rispetto a quelli assoggettabili ad IRPEF, con la conseguenza che in ogni caso sarà obbligatorio presentare la dichiarazione dei redditi e versare l’imposta sostitutiva del 21% o del 10%.

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Economia

Scuola guida sempre più cara, si può spendere fino a 1500...

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Lo conferma l'indagine condotta da Altroconsumo: a Bologna il costo medio più elevato, Roma la più conveniente

(Fotogramma)

Scuole guida sempre più costose: lo conferma una indagine condotta da Altroconsumo che ha coinvolto 146 autoscuole in sette città (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Cagliari e Genova) con l’obiettivo di comprendere come variano i prezzi e quali sono le voci di spesa da tenere d’occhio per riuscire a ridurre la spesa per ottenere la patente. I problemi iniziano già cercando di contattare, via telefono o via email, le scuole per conoscerne i prezzi ed ottenere un preventivo. Un’operazione che è risultata difficile e complessa, poiché le autoscuole utilizzano strutture di prezzo differenti e non tutte posseggono un sito web che possa fornire tutte le informazioni. Dall’indagine è emerso comunque come una adeguata comparazione tra le diverse offerte possa generare un risparmio tra i 240 e i 615 euro, a seconda della città. I prezzi, infatti, possono variare molto, quindi, per ridurre la pressione sul portafoglio delle famiglie è bene raccogliere quante più informazioni possibile, fare attenzione ai costi extra e alla durata delle lezioni di guida. Rispetto alle rilevazioni effettuate, la città nella quale si è registrato il costo totale medio più alto è Bologna (1.061 euro). In questa città, peraltro, si può arrivare a spendere fino a 1.490 euro, mentre Roma è la città che registra il costo medio più basso (695 euro).

L’analisi ha quindi preso in considerazione le differenze interne alle città, infatti, la voce di Differenza tra massimo e minimo rappresenta la differenza di costo tra la scuola più costosa e quella meno costosa all’interno dello stesso comune. Ne emerge che una adeguata comparazione delle offerte, in città come Bologna, possono generare un risparmio fino a 615 euro. Per le restanti città, invece, il risparmio è di circa 300 euro.

Sono dunque emerse differenze di prezzo che variano dal 35% al 70%. Infatti, tutte le voci di spesa individuate presentano una rilevante variabilità: spiccano, però, le differenze di prezzo per l’iscrizione e per sostenere gli esami. Nel primo caso, a Bologna, le differenze di prezzo variano tra i 100 e i 780 euro, a Milano tra i 290 e i 485 euro. A Torino, per l’iscrizione all’esame di teoria, il costo massimo registrato è quasi quattro volte quanto il minimo.

Il costo sostenuto per le guide certificate, invece, pur essendo variabile, vede differenze più contenute, che oscillano tra il 15% e il 20% circa. Ed è proprio ai costi delle guide e alla loro durata che bisogna fare attenzione quando si richiede un preventivo.

Nella maggior parte delle rilevazioni le guide proposte erano da 60 minuti, ma spesso possono anche essere di tempo inferiore. Ed essendo 6 ore il tempo minimo di pratica alla guida da dover sostenere per legge (le guide cosiddette “certificate”, appunto), in questo caso sei sessioni non sarebbero sufficienti a raggiungere le sei ore obbligatorie. È, inoltre, rilevante fare attenzione alla differenza di prezzo tra le sei ore di guida certificate e le ore di pratica aggiuntiva che si potrebbero voler aggiungere: da alcune rilevazioni è emerso quest’aspetto.

Il consumatore deve poi considerare un insieme di spese extra, come quelle amministrative e legate alla burocrazia. Si tratta di spese obbligatorie, quindi è necessario informarsi per capire se sono incluse o meno nella proposta di preventivo della scuola guida, come certificato medico di base, costi per il materiale didattico, visita medica, costo per sostenere l’esame di teoria e costo per sostenere l’esame di pratica.

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