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Trump può portare gli Usa fuori dalla Nato? Domande e...
Trump può portare gli Usa fuori dalla Nato? Domande e risposte
Se dovesse diventare di nuovo presidente, cosa succederebbe? Il trattato e le leggi Usa, cosa c'è scritto
Donald Trump potrebbe davvero uscire dalla Nato? Se il magnate vincesse le elezioni a novembre 2024 e diventasse presidente, potrebbe davvero portare gli Stati Uniti fuori dall'Alleanza? Le domande sono d'attualità dopo le ultime uscite dell'ex presidente, che ha ribadito la propria ostilità nei confronti dei paesi che non contribuiscono in maniera adeguata alla difesa comune. In sostanza, secondo Trump, chi non paga meriterebbe di essere attaccato dalla Russia di Vladimir Putin.
Lo scenario
Per uscire dalla Nato, Donald Trump di nuovo presidente dovrebbe notificare al suo stesso governo l'intenzione di lasciare l'Alleanza Atlantica di cui gli Stati Uniti sono da 75 anni il motore primo. Lo prevede infatti l'articolo 13 del Trattato Atlantico, firmato il 4 aprile 1949 a Washington: qualsiasi membro che voglia uscire dalla Nato è tenuto a segnalare la propria intenzione con una "notifica di denuncia" consegnata agli Stati Uniti, in qualità di stato depositario del Trattato. L'uscita effettiva avverrebbe l'anno successivo.
"Trascorsi vent'anni dall'entrata in vigore del Trattato, una parte può cessare di esserne membro un anno dopo che la sua notifica di denuncia sia stata depositata presso il governo degli Stati Uniti d'America, che informerà i governi delle altre parti del deposito di ogni notifica di denuncia", recita l'articolo 13 che finora non è mai stato invocato da nessun Paese membro, anche se è stato preso in considerazione da diversi Paesi.
C'è il caso della Francia, che nel 1966, con Charles de Gaulle, decise di uscire dal comando militare Nato per poter proseguire un proprio programma di difesa indipendente da altri stati, mantenendo l'autonomia nelle scelte del programma nucleare. Nel 2009, con Nicolas Sarkozy presidente e con l'approvazione del Parlamento, la Francia è rientrata nel comando integrato.
Nato, Usa e la legge anti-Trump
Il timore che con una nuova elezione alla presidenza Trump possa andare fino in fondo con la minaccia - ventilata durante il suo primo mandato - di abbandonare l'Alleanza Atlantica non è nuovo. Rilanciato, su entrambe le sponde dell'Atlantico, il timore nei mesi scorsi ha spinto il Congresso americano ad approvare, in modo bipartisan, una legge ad hoc.
La legge, firmata dal senatore dem Tim Kaine e dal repubblicano Marco Rubio, è stata approvata lo scorso dicembre: impedisce a qualsiasi presidente senza "il consiglio e il consenso del Senato o un atto del Congresso di sospendere, terminare o ritirare gli Stati Uniti dall'Alleanza Atlantica". La legge, che i due senatori avevano presentato già nel 2018 quando era presidente Trump senza riuscire a farla approvar, è stata firmata dall'attuale presidente Joe Biden.
Dopo le recenti dichiarazioni di Trump, Rubio però ha affermato che non ritiene che con le recenti dichiarazioni Trump abbia voluto indicare l'intenzione di uscire dalla Nato: "Non è come ho letto nelle dichiarazioni", ha affermato, ricordando che il tycoon "non parla come un politico tradizionale".
Nel programma elettorale di Trump c'è solo un vago riferimento alla Nato, che rimane aperto alle interpretazioni: "Dobbiamo finire il processo che abbiamo iniziato sotto la mia amministrazione di rivalutazione fondamentale dell'obiettivo e della missione della Nato". Ma la storia di Trump parla da sé: nel 2000, quando era ancora lontana l'idea della presidenza, il tycoon scriveva che uscire dalla Nato "avrebbe fatto risparmiare milioni di dollari all'anno: mantenere le truppe in Europa ha costi enormi e chiaramente questi fondi potrebbero essere usati in modo migliore".
Arrivato alla Casa Bianca, Trump per quattro anni ha litigato costantemente con gli alleati Nato - arrivando ad un passo dall'annunciare l'uscita degli Usa al vertice di Bruxelles del 2018, hanno rivelato alla Cnn ex membri della sua amministrazione - rinfacciando loro di non spendere abbastanza per la difesa e spingendoli a raggiungere l'obiettivo del 2% del Pil, accusandoli di appoggiarsi troppo sulle risorse Usa.
Non solo, Trump ha messo in discussione anche i principi cardine dell'Alleanza, a partire dall'articolo 5 che sancisce la difesa collettiva, chiedendo apertamente perché gli Stati Uniti dovrebbero intervenire in difesa del Montenegro, entrato nella Nato nel 2019, "un piccolo stato, con una popolazione forte ed aggressiva". E dimenticando che nella storia della Nato finora l'articolo 5 è stato invocato una sola volta, proprio in difesa degli Stati Uniti dopo gli attacchi dell'11 settembre.
Esteri
Israele-Iran, l’esperto Litvak: “Da Tel Aviv...
Se ci sarà la rappresaglia di Teheran? La Repubblica islamica "non è uno Stato monolitico, le opzioni sono diverse"
Con l'attacco 'limitato' della scorsa notte contro l'Iran, Israele ha mandato il messaggio di "non essere interessato all'escalation", quanto ad una possibile rappresaglia di Teheran, le opzioni "sono diverse", perché diverse sono le voci nella Repubblica islamica, che "non è uno stato monolitico". E' l'interpretazione che Meir Litvak, professore di storia del Medio Oriente all'Università di Tel Aviv, dà dell'operazione della scorsa notte, scattata in risposta all'attacco iraniano del 13 aprile contro Israele.
"Credo che Israele abbia voluto inviare a Teheran il messaggio che non è scoraggiato dal recente attacco iraniano, che l'Iran è vulnerabile e che Israele dispone di una buona intelligence, e che quindi continuerà a impegnarsi per cercare di interrompere le forniture di armi avanzate a Hezbollah", spiega Litvak all'Adnkronos. Per il quale poi è "altrettanto importante la portata e il modo con cui è stato condotto l'attacco", perché così Israele "ha anche inviato il messaggio di non essere interessato a un'escalation, dando all'Iran il modo di minimizzare l'attacco e il suo significato, in modo che Teheran non debba rispondere di nuovo", sostiene l'esperto.
Litvak dice poi di "non avere idea se ci sarà o meno un'escalation: molto dipende da quale sarà la reazione iraniana". "L'Iran non è uno Stato monolitico - sottolinea il professore dell'Università di Tel Aviv - Una fonte potrebbe negare la necessità di rispondere, mentre i Pasdaran potrebbero cercare di spingere la Guida Suprema Khamenei a vendicarsi in qualche modo".
"Non so come reagirà l'Iran se Israele dovesse attaccare in Siria un altro convoglio di armi consegnate a Hezbollah", l'affermazione di una fonte anonima di Teheran secondo cui "non ci saranno ritorsioni potrebbe essere autentica, ma potrebbe anche essere una disinformazione deliberata - conclude Litvak - Non lo so davvero, e ci sono molte opzioni diverse".
Esteri
Israele Iran, Blinken: “Usa non coinvolti in...
L'attacco attribuito a Israele nella zona a Isfahan, in Iran, è stato al centro dei lavori dell'ultima giornata del G7 degli Esteri a Capri. I ministri hanno invitato alla prudenza e convenuto sulla necessità di evitare una escalation nell'area dove va avanti il conflitto tra Israele e Hamas. Le parole del segretario di Stato americano Antony Blinken:"Non siamo coinvolti in alcuna operazione offensiva".
Esteri
Mo, gen. Tricarico, attacco Israele?: “Non escluso...
'Forse un ruolo dei dissidenti nella risposta israeliana'
"La risposta di Israele è il minimo, e forse sotto il minimo, per poter raccontare di aver risposto all'attacco dell'Iran". Lo afferma all'Adnkronos il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell'Aeronautica e attuale presidente della fondazione Icsa, riguardo all'attacco di Israele contro l'Iran.
Riguardo all'attacco alla base Isfahan, il generale Tricarico osserva: "Credo che, se si è trattato di un drone, sia un drone che non è partito da Israele, ipotesi questa assolutamente inconcepibile dal punto di vista militare considerata la velocità molto limitata dei droni, la loro vulnerabilità, la distanza così importante e il fatto che non avesse bisogno dei sensori elettro-ottici per individuare un obiettivo sicuramente già nella lista degli obiettivi dell'esercito israeliano". Secondo l'ex capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica "se di drone si trattava potrebbe essere partito dal territorio iraniano ad opera di gruppi della dissidenza, in questo momento, a sostegno dell'azione di Israele".
Per il gen. Tricarico "auspicabilmente e verosimilmente la questione con l'Iran dovrebbe essere chiusa mentre non ci sono elementi per ritenere che sia esaurita la bellicosità dei gruppi riconducibili all'Iran disseminati in Siria, Libano, Yemen e Iraq. Particolarmente delicata pare la condizione del Libano perché vi sono dislocate le forze, espressione dell'Iran, più consistenti e militarmente capaci che però ormai la popolazione non tollera e la cui presenza viene guardata con insofferenza dalla popolazione libanese". "Il riacutizzarsi del confronto militare in quell'area - osserva il gen. Tricarico - potrebbe destabilizzare l'intero Libano anche se, dal punto di vista israeliano, neutralizzare Hezbollah in Libano significherebbe far rientrare, nel proprio luogo di residenza, decine di migliaia di israeliani perché in una zona ritenuta pericolosa".
Il generale Tricarico osserva che "un'evoluzione che comporti una guerra tradizionale tra Iran e Israele è quasi impossibile", ma "se le tensioni dovessero sfociare in un confronto armato" sarebbe caratterizzato da "numerose anomalie prima tra tutte l'intensificazione di gruppi armati riconducibili all'Iran e dislocati nell'area".
"Un'altra ipotesi è quella del terrorismo, che potrebbe essere scatenato con una chiamata alle armi e potrebbero essere un obiettivo non solo Israele ma tutte le società occidentali considerate ostili all'Iran e al mondo sciita - conclude il gen. Tricarico - Senza considerare i Paesi vicini geograficamente all'Iran e con o quali si sta materializzando, per ora a livello solo concettuale, un'alleanza che comprende Israele ed è ostile all'Iran".