

Esteri
Bradanini: ”Protesta donne in Iran è una tappa verso la tolleranza”
”Non rovescerà il regime” iraniano, questo no. Ma la protesta delle donne scese per le strade dell’Iran, per manifestare contro la morte della 22enne Mahsa Amini dopo essere stata arrestata dalla polizia morale con l’accusa di indossare male il velo islamico, potrebbe portare a ”un’apertura, una maggiore tolleranza”. Perché all’interno del Majlis, il Parlamento iraniano, ”proprio in queste ore” si sta facendo strada l’ipotesi di ”ridurre la presenza della polizia morale per le strade e per le piazze dell’Iran”. E in questo modo ”ridurre la distanza tra la popolazione e la sua leadership”. Così l’ex ambasciatore italiano a Teheran, Alberto Bradanini, analizza con l’Adnkronos quanto sta accadendo in Iran. Dove, a fronte di migliaia di donne che protestano ”contro una disciplina sociale percepita come una repressione” e ”discriminatoria”, il presidente Ebrahim Raisi ha organizzato una contromanifestazione a sostegno del velo. ”Pura scenografia del potere che non può dimostrare segni di debolezza”, taglia corto Bradanini, soprattutto ”davanti a eventi che possono essere destabilizzanti”. Soprattutto in un Paese, come l’Iran, che ”non è pacificato” e quindi può essere ”esposto a reazioni inconsulte”.
Ma ”l’apparato poliziesco è molto efficace, in grado di contenere le proteste” e ”il regime è in grado di garantire la sua salvaguardia con un controllo saldo della società, dei media, della comunicazione”. E anche perché è ”unito al suo interno dalla pressione esterna”. Per cui ”direi che è eccessivo pensare che da queste manifestazioni possa nascere un movimento politico più ampio che possa portare a un rovesciamento del regime”.
Certo, ”un profilo politico in queste manifestazioni c’è”, come c’è stato in passato per le ”proteste motivate da ragioni economiche, come quelle per l’aumento del prezzo del pane, o quelle per ragioni più strutturali, come contro la disoccupazione giovanile”. Il profilo è quello di una ”popolazione iraniana che, nella maggior parte dei casi, auspica una transizione possibilmente pacifica verso un sistema più liberale e pluralista che consenta all’Iran di passare da una situazione di contenimento dell’Occidente a uno scenario più disteso nei confronti della comunità internazionale anche rispetto alle libertà fondamentali e ai diritti umani”.
Diritti che, nel caso di Mahsa, riguardano sia quelli delle donne, sia quelli della minoranza curda. ”L’Iran, nel suo piccolo, è una realtà imperiale e non uno stato nazione – spiega Bradanini – Poco più del 50 per cento della popolazione iraniana è di etnia persiana. Il resto sono per il 20 per cento azeri di etnia turcomanna e poi ci sono i curdi che notoriamente sono discriminati non solo in Iran, ma anche in Turchia”. Lo sono ”un po’ meno in Iraq, dove si sono ricavati una realtà statuale con un percorso anche militare, sono protetti dall’esercito dei Peshmerga”. Resta il fatto che i curdi siano ”un popolo che non trova una sua patria” e che quindi rappresentino ”una realtà strutturale intrinsecamente destabilizzante” che il regime iraniano intende reprimere. Quanto il fatto che Mahsa fosse di etnia curda ”abbia pesato in questo episodio specifico non lo sappiamo e il governo iraniano non ha alcun interesse a sollevare una reazione etnica”.
Per il diplomatico è però ”molto probabile che la polizia morale che sovrintende il rispetto delle norme di copertura del capo per le donne abbia interpretato in maniera eccessiva questa repressione, abbia superato i limiti anche perché ha avuto di fronte una donna curda e non una persiana”. Tuttavia, citando fonti ”iraniane ascoltate nelle ultime ore”, Bradanini dice di voler essere ”positivo” e cita ”segnali incoraggianti nel governo, che avrebbe avviato una riflessione che potrebbe spingere a una maggiore tolleranza e a una lenta apertura”. Il diplomatico ha fatto riferimento in particolare a ”un dibattito in parlamento durante il quale alcuni deputati hanno proposto di ridurre la presenza nelle piazze e nelle strade della polizia morale. La norma rimarrebbe in vigore, ma la presenza fisica della polizia verrebbe ridotta”.
Si tratta quindi di un ”segnale che il paese sembra prendere coscienza, non solo tra la popolazione, ma anche ai vertici, che qualcosa deve essere fatto” per ridurre ”la distanza tra popolo e vertici”. Perché ”l’importanza di questa norma sul velo è simbolica” e il regime iraniano vi ”si è incollato come una questione di sostanza. Ha paura che calato il velo la società possa sfuggire di mano. Ma è una paura di tipo patologico, una nevrosi sociale diffusa ai vertici del paese”, ha affermato il diplomatico.
Esteri
Serbia-Kosovo, Crosetto: “Convivenza non facile ma imprescindibile”

Il Ministro della Difesa: "Italia impegnata da anni a cercare di portare pace e sicurezza in questa regione e continuerà a fare la sua parte per favorire allentamento tensioni"

Ieri mattina l’attacco di una banda armata criminale contro gli agenti di polizia del Kosovo a Banjska ha provocato la morte di un agente e il ferimento di altri due. Riaccendendo una tensione tra la comunità serba e kosovara mai davvero sopita. “Tutte le parti e le nazioni in campo, serbi e kosovari, militari e civili, devono impegnarsi per bloccare ogni focolaio di tensione nell’area” commenta il Ministro della Difesa Guido Crosetto, che all’Adnkronos spiega: “C’erano stati già degli scontri che, il 23 maggio scorso, avevano coinvolto 25 militari Kfor (Kosovo Force), di cui 11 italiani, che hanno riportato diverse ferite. Proprio per questo motivo, in particolare nella regione balcanica, le nostre direttive impongono alla missione Nato Kfor, attualmente a guida italiana, di essere sempre pronta a fronteggiare ogni possibile sviluppo della situazione”.
La forza Nato in Kosovo, a luglio scorso, ha avviato un’esercitazione militare nella parte occidentale del Paese. “Periodicamente le nostre Forze Armate, impegnate al di fuori dei confini nazionali e non solo in Kosovo – spiega Crosetto – svolgono esercitazioni necessarie a garantire la preparazione e l’addestramento dei nostri militari. Le attività di esercitazione devono ricalcare il più possibile le situazioni in cui potrebbero essere chiamati ad intervenire i nostri militari. Garantire un ambiente sicuro e protetto, nonché la libertà di movimento a tutte le comunità che vivono in Kosovo, è previsto dallo stesso mandato della Missione Kfor, che si fonda sulla Risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.
A novembre scorso, la visita in Kosovo e a Belgrado di Crosetto e del ministro degli Esteri Antonio Tajani sembrava aver aperto concreti spiragli di appianamento di una crisi ormai decennale. “L’Italia e la Comunità Internazionale sono costantemente impegnate per ripristinate il dialogo e, con la mediazione dell’Unione Europea, mirano alla normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado – aggiunge – oltre che a soluzioni condivise per una convivenza pacifica, anche attraverso l’attuazione di quanto stabilito nei recenti accordi di Ohrid di aprile 2023. Continuiamo a lavorare per il dialogo e la pacifica convivenza tra le due comunità, quella serba e quella kosovara, un compito di certo non facile e delicato, ma per noi imprescindibile”.
“La missione Kfor ha un mandato chiaro in cui si riflettono gli interessi delle nazioni partecipanti e che si esaurirà solo quando sussisteranno condizioni tali da assicurare, in modo irreversibile, la sicurezza e la libertà di movimento di tutte le comunità del Kosovo – ricorda all’Adnkronos il Ministro della Difesa Guido Crosetto – In tale ottica, eventuali ulteriori ridimensionamenti e riconfigurazioni della missione saranno possibili esclusivamente in relazione al raggiungimento degli obiettivi e non a una agenda temporale prestabilita. Come dimostrato dall’operato della missione Kfor nell’intero 2023, una presenza militare credibile, numericamente commisurata alla situazione sul terreno ed equipaggiata per fronteggiare eventuali minacce, è comunque necessaria”.
E ribadisce: “Bisogna mettere in campo ogni azione di dialogo per abbassare le tensioni tra Kosovo e Serbia. È necessario uno sforzo corale da parte di tutti i Paesi dell’area in quanto si tratta di un quadrante strategico per la stabilità dell’Europa. L’Italia è impegnata da anni a cercare di portare pace e sicurezza in questa regione e continuerà a fare la sua parte per favorire un allentamento delle tensioni in Kosovo”.
“Le soluzioni che si potranno mettere in campo dovranno essere individuate soprattutto sul piano politico e basarsi, fondamentalmente, su un efficace dialogo tra Pristina e Belgrado. L’obiettivo che ci prefiggiamo – conclude Crosetto – è quello di assicurare le condizioni di stabilità che consentano ad entrambe le parti e alla Comunità Internazionale di individuare soluzioni condivise per una convivenza pacifica e uno sviluppo comune. L’Italia, questo Governo, il mio Ministero, la Difesa, come quello degli Esteri, lavorano, nella regione balcanica e altrove, per mantenere e consolidare i processi di pace”.
(di Silvia Mancinelli)
Esteri
Poletti (Odessa Journal): ”Grazie ai russi, hanno distrutto hotel ecomostro”

Il commento sarcastico del direttore del giornale online: ''Ci hanno fatto un favore, tutta la città odiava quella struttura abbandonata da anni. L'attacco è stato forte, dal mio palazzo sono caduti per la prima volta dei calcinacci''

Era ”un ecomostro” l’hotel di Odessa distrutto nella notte in un raid russo. Una struttura abbandonata ”che da anni doveva essere smantellata” e che ora non c’è più, ”i russi non volendolo ci hanno fatto un regalo”. E’ il commento sarcastico di Ugo Poletti, direttore del giornale online in lingua inglese ‘The Odessa Journal’, che ad Adnkronos afferma che ”da cittadino di Odessa dico che era da anni che si aspettava di demolirlo. Tutta la città di Odessa odiava quel palazzo tanto grande che si vedeva dagli aerei e i russi ci hanno dato una mano a distruggerlo”.
Non ha ragione di esistere, afferma Poletti, l’accusa russa secondo la quale nell’hotel ci fossero armi. ”I russi cercavano un obiettivo che fosse mediaticamente clamoroso e le immagini del fuoco notturno sono notevoli, perché l’hotel aveva ancora mobilio e arredi che sono bruciati facendo grandi fiamme”, spiega l’imprenditore milanese. I russi, però, ”sosterranno che c’erano depositi di armi e munizioni, ma era inutile metterle lì perché la struttura non è accessibile e poco pratica”. Inoltre lì ”non c’era nessuno dei comandi ucraini”.
Poletti spiega quindi che ”l’Hotel Odessa, che era in cima al Molo delle Crociere, era stato costruito agli inizi degli anni Duemila per approfittare del settore delle crociere, che si pensava esplodesse, ma non è mai successo”. La struttura era quindi ”fallita, chiusa da dieci anni, in attesa di essere demolita”, d’altronde ”c’erano già diversi progetti per farlo” e l’attacco ”ha accelerato la procedura”.
Certo, commenta l’autore del saggio ‘Nel cuore di Odessa’ edito da Rizzoli, ”l’attacco della notte è stato forte, massiccio” e ”in anticipo rispetto al solito, hanno iniziato ad attaccare alle 23 e 30 mentre di solito lo fanno tra l’una e le due”. Poletti spiega che ”per la prima volta dal mio palazzo sono caduti calcinacci”, ma ”oggi dopo la paura notturna la città è tornata a vivere come sempre. La gente va al ristorante, al Teatro dell’opera si tengono i concerti”. Certo, la città piange le ”due persone che purtroppo sono morte nell’attacco al deposito di grano del porto” dove si ritiene fossero ”conservate mille tonnellate di grano”.
Nell’attacco, le forze armate russe hanno utilizzato ”19 droni kamikaze iraniani e 14 missili di cui 12 Onyx che sono quasi impossibili da intercettare”, tanto che ”due di questi sono andati a destinazione e hanno colpito il Molo delle crociere, il centro del porto commerciale che è completamente deserto ora”. Poletti spiega che questo molo ”era usato per far approdare le navi da crociera”.
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Infermiera killer in Inghilterra, nuovo processo

L'accusa: tentò di uccidere un'altra bambina
Dovrà affrontare un nuovo processo l’infermiera britannica Lucy Letby, condannata all’ergastolo lo scorso 21 agosto perché riconosciuta colpevole di aver ucciso sette bambini e di aver tentato di ucciderne altri sei nel periodo in cui lavorava al Chester Hospital, tra giugno 2015 e giugno 2016. Lo ha comunicato il procuratore Nick Johnson del tribunale di Manchester. Letby, 33 anni, sarà processata il 10 giugno dell’anno prossimo con l’accusa di aver tentato di uccidere un’altra bambina nel febbraio del 2016 mentre lavorava nell’unità neonatale dell’ospedale. Gli avvocati di Letby hanno presentato ricorso contro la condanna all’ergastolo, ma non è ancora stata fissata una data.
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Migranti, ambasciatore Valensise: “Ragionare con Berlino, non contro”

"Gli interessi, nel fondo, non sono divergenti. L'accoglienza indiscriminata e non regolata è una linea rossa per l'Italia come per la Germania".

Sui migranti “Italia e Germania possono cercare di ragionare insieme, perché gli interessi, nel fondo, non sono divergenti. L’accoglienza indiscriminata e non regolata è una linea rossa per l’Italia come per la Germania”. A guardare avanti, invitando a ritrovare il filo del dialogo dopo le polemiche che hanno diviso Roma e Berlino nei giorni scorsi, è Michele Valensise, già ambasciatore d’Italia a Berlino e presidente di Villa Vigoni.
“La questione delle migrazioni e degli aiuti, in particolare alle vittime dei naufragi, è all’ordine del giorno in Germania da anni. Il provvedimento che ha suscitato le critiche da parte italiana non data oggi ma dall’autunno del 2022 e oggi viene attuato”, ricorda Valensise, sottolineando che “fa parte di una linea consolidata della politica tedesca, nella consapevolezza – anche da parte loro – che la quota di salvataggi operata dalle Ong è minima rispetto a quella operata dagli Stati”.
Come in Italia “anche in Germania – che si trova con due importanti elezioni regionali alle porte, in Assia e in Baviera e con la preoccupazione di tenere a freno le forze che soffiano sul fuoco, come l’Afd – la politica interna ha il suo rilievo”, fa poi notare il presidente del Centro italo-tedesco per il dialogo europeo, parlando con l’Adnkronos. “In Germania si sta sviluppando in quest’ultimo periodo un dibattito molto acceso sui limiti dell’accoglienza, con un sostanziale ripensamento sulla Willkommenskultur, la cultura dell’accoglienza. L’opinione pubblica e varie forze politiche, comprese quelle maggiormente portate alla solidarietà, come per esempio i Verdi, stanno ragionando sui possibili limiti da porre all’ingresso dei rifugiati”.
“In definitiva, i tedeschi hanno esigenze analoghe alle nostre e le polemiche bilaterali vanno inquadrate in questo contesto di sensibilità comune”, sottolinea poi l’ex segretario generale della Farnesina, ricordando come in Germania è diffusa la richiesta di distinguere con maggiore rigore tra chi va accolto perché perseguitato, e i rifugiati economici. “il confronto in atto è aspro, al punto che ieri il segretario generale della Fdp – il partito liberale al governo a Berlino con Spd ed ecologisti – ha detto che il partito dei Verdi costituirà un rischio di sicurezza per il paese se non modificherà la sua impostazione, considerata eccessivamente aperturista nei confronti dei rifugiati”.
“Ci sono preoccupazioni di tipo elettorale, ma anche consapevolezza del fatto che la Germania non ce la fa ad accogliere tutti. Solo dall’Ucraina è arrivato più di un milione di persone, oltre agli arrivi da Balcani, Afghanistan, Siria, Iraq – sottolinea Valensise. Insomma, dovrebbe esserci spazio per ragionare su misure concrete e possibilmente finalmente europee, non solo nazionali”.
Infine, fa notare il presidente di Villa Vigoni, c’è il problema delle migrazioni secondarie e il fatto che da parte tedesca si lamenti che siano troppo consistenti. “Occorre valutarle in maniera obiettiva. Giovedì il ministro degli Esteri Tajani sarà a Berlino: una buona occasione per il governo italiano per uno scambio di idee di sostanza con, non contro, i tedeschi, in particolare con Annalena Baerbock, importante personalità del partito verde. Tenendo appunto presente che per ragioni sia elettorali sia oggettive – di contenimento – i tedeschi hanno un problema analogo al nostro: non possono sopportare un’accoglienza indiscriminata”.
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Le mille avventure di Cirillo, oligarca italiano a Mosca: “Siamo diventati tutti pedine”

Il primo italiano a ricevere la cittadinanza onoraria per decreto di Putin racconta, in un'intervista all'Adnkronos, la nuova vita dell'élite russa. A Mosca arrivano bufala dalla Campania, auto di lusso e vestiti firmati 'Made in Italy' ma le valute straniere sono yuan e rupia

Sciamano. Pilota di aereo e di elicottero. Esploratore polare. Armatore e velista. Rappresentante di mobili. Imprenditore. Cittadino russo onorario dal 2014, per decreto del Presidente Putin, “primo italiano, e tra i primi occidentali, ad avere questo onore”. Con “il chiodo fisso” di diventare “il nuovo Rastrelli, l’architetto italiano che costruì Pietroburgo”. La versione di Lanfranco Cirillo, nell’autobiografia dal titolo non veritiero “L’architetto di Putin”, appena pubblicata da edizioni Piemme, vuole che il palazzo di Gelendzhik, sul Mar Nero, non sia di proprietà del Presidente russo come aveva denunciato Aleksei Navalny all’inizio del 2021, nel documentario che porta a Cirillo la fama non desiderata della cronaca. La residenza “è di proprietà di una società a cui è stata ceduta dal gruppo” che aveva affidato al professionista italiano l’incarico “per la progettazione degli interni” di una “lussuosa foresteria destinata ad accogliere congressi e ospiti di riguardo anche stranieri”, spiega in una intervista all’Adnkronos.
Accusato in Italia di infedele dichiarazione dei redditi e autoriciclaggio, con un mandato di arresto internazionale nei suoi confronti, da un anno e mezzo non si muove da Mosca. Una città dove, racconta, malgrado le sanzioni nel menu dei ristoranti, continua a esserci la mozzarella di bufala arrivata in giornata dalla Campania o il branzino dall’Adriatico. Dove anche dopo l’inizio della guerra contro l’Ucraina sono rimaste la maggior parte delle aziende e i grandi marchi continuano a vendere. “Non è cambiata neanche l’insegna del negozio, o la merce. Solo la proprietà”. Hanno chiuso o ceduto, ma “piano piano”, solo grandi realtà come Enel Russia.
“La merce viaggia, via Turchia. I camion continuano a partire dall’Italia, verso la Lituania, come prima”. Il grande cambiamento è che oramai le valute dei Paesi non amici, il dollaro e l’euro sono introvabili. Le transazioni avvengono in rupie, yuan, rial iraniano. Sono rimasti più del 90 per cento degli italiani. “Fra loro c’è la grande consapevolezza che il mondo sta cambiando e il sentimento che quello che viene raccontato non sia quello che si vive qui”, spiega.
Cirillo è stato architetto da tremila dollari l’ora per i nuovi ricchi di epoca post sovietica, una classe che ha visto nascere, che ha seguito negli anni e che ha conosciuto intimamente. Per seguire i progetti delle loro case aveva fondato una azienda, anzi una Masterskaja, officina del design cresciuta “in modo esponenziale”, in cui hanno lavorato decine di professionisti (marmisti, ingegneri, architetti, esperti di tende o di sanitari). Come sono cambiati gli oligarchi russi dopo l’inizio della guerra? “Il 90 per cento di loro sono stati colpiti da sanzioni, non possono più viaggiare” in Occidente, anche se poi le frontiere non sono sigillate e “il mondo è grande”: le loro nuove destinazioni sono le Maldive, gli Emirati, l’Estremo oriente, il Vietnam. Nell’ultimo anno, i gusti, gli interessi e l’economia “si sono spostati velocemente. Tutto è girato a 180 gradi, da ovest a est”.
Il bando ai viaggi in Occidente è però “una limitazione materiale molto importante”, soprattutto considerando che “il sogno di questi miliardari dall’inizio degli anni Duemila era quello di essere accettati dalla comunità internazionale, non come parvenu, ma come classe europea”. Non c’è più “l’ostentazione di prima. I loro gusti sono molto meno eccentrici, sono più sobri, più moderni”.
E per dare un’idea dell’andamento dell’economia, Cirillo, proprietario anche di 10mila metri quadri di uffici nel complesso di Moscow City, testimonia che “se prima gli affittuari erano occidentali, ora al loro posto sono arrivati i cinesi, gli iraniani. I canoni di affitto rimangono da capitali europee. I piani alti viaggiano su 6-700 dollari al metro quadro l’anno, anche 800. Gli ultimi contratti che sto firmando valgono il dieci per cento in più rispetto al 2022 e gli uffici sono affittati al 95 per cento”.
L’architetto è stato artefice delle residenze di centinaia di russi, della casa del presidente della Lukoil, Vagit Alekperov – che parla di lui come di uno “sciamano”- della sua dacia e della casa del figlio, “di otto abitazioni in vari luoghi della Siberia, una casa in Crimea, che a quel tempo era ancora Ucraina”, del piano con gli uffici del presidente nella sede moscovita del gruppo. Poi, per il presidente di Novatec, di Alfa Bank e di Gazprom. Suoi i marmi e i decori della chiesa del monastero Sretenskij, davanti al palazzo della Lubjanka, la sede dei servizi segreti sovietici e poi di quelli russi, dove regna il Metropolita Tikhon, confessore di Putin e “amico fraterno” di Cirillo. Ha effettuato “qualche lavoro per il Cremlino” di Mosca, “anche se non come primo destinatario dell’appalto, ma semplicemente collaborando con una società jugoslava che aveva avuto l’incarico” e prima dell’arrivo di Putin. “Fornii una parte dei materiali per quel grande lavoro. Circa trent’anni fa. In seguito ho fatto lì altre piccole cose”, ammette.
L’architetto italiano ha anche restaurato il Museo Nazionale di Tamerlano a Tashkent, ha firmato progetti per il palazzo del Presidente uzbeko. Per decine di dacie alla Rublevka, il quartiere residenziale ed esclusivo alle porte di Mosca: “case magnifiche, improbabili, impensabili”. Dopo l’annessione alla Russia della Crimea del 2014, di nuove abitazioni, o della ristrutturazione di vecchi edifici a picco sul mare sul Mar Nero. Cirillo – “oligarca italiano a Mosca” – ha lavorato “per 44 miliardari russi della lista di Forbes. E per la moglie di uno di loro ha firmato un bagno da 1.372.000 dollari, “tutto in madreperla, onice e mobili a scomparsa foderati di marmo, vasca massiccia scavata nel marmo anch’essa, cristalli, tv e sistemi audio-video nascosti dietro gli specchi”. “Era bellissimo, certo. Ma la cosa mi faceva molto ridere e cominciai a prendermi in giro da solo: “Sono un architetto da cesso, dicevo”, ironizza.
Proprio dopo aver ristrutturato il Palazzo sul Mar Nero “non di Putin” ha acquistato 400 ettari di terreno nella regione di Krasnodar dove produce 5-600.000 bottiglie di vino l’anno, che ora vende in Russia e nei Paesi dell’Asia centrale. Bottiglie per supermercati di alta gamma e bottiglie più pregiate per i ristoranti. Non è stato l’unico. Molti russi, testimonia, hanno aperto aziende vitivinicole con enologi e botti italiane, sfruttando i finanziamenti a fondo perduto erogati dallo stato russo. E così, la produzione di vini russi è aumentata mentre diminuisce quella di prodotti italiani. La stessa cosa vale per il grano. Nel 2012 il Paese lo importava, e grazie ai finanziamenti del governo per l’agricoltura, “la Russia ora è indipendente a livello alimentare”.
La prima dacia su cui è stato chiamato a intervenire in Russia, nel 1993, non ancora laureato – dopo aver lasciato l’Università di Venezia, infastidito dal clima di contestazione, si laureerà a Mosca nel 1995 – è quella di Aleksandr generale del Kgb reduce dall’Afghanistan. E nel giro di poco tempo, nuovo ricco dopo nuovo ricco, porta “a Mosca anche 15 camion di merci a settimana”. “Tra il 1994 e il 1995 riuscivo a guadagnare qualcosa come 150 milioni di lire al mese solo con le provvigioni”. “Nei primi anni del Duemila mi ritrovai ad avere anche 20 cantieri aperti contemporaneamente, dai cinquanta ai cento operai per cantiere, e non ne lasciavo mai neanche uno senza la mia diretta supervisione”, evoca nell’autobiografia che ha scritto insieme alla giornalista Fiammetta Cucurnia.
“Nel 2005 c’erano oltre cento architetti che lavoravano nel mio studio. Oltre mille persone operavano nei miei cantieri. Avevamo diecimila metri quadrati di magazzino e non ci bastavano, c’erano 280 mezzi meccanici da trasporto tra camion, automobili, autobus, scavatrici, gru”.
I suoi committenti? Negli anni Novanta “cominciavano a disporre di patrimoni sempre più grandi a cui avevano avuto accesso attraverso percorsi tortuosi e spesso molto misteriosi. Così, più entravo nei circoli di questi Nuovi Russi, più ascoltavo le loro storie e più mi accorgevo che non erano mostri, ma solo persone che si erano trovate senza preavviso in quel mondo di mezzo e volevano cambiare la propria vita, in meglio. Un po’ come me”.
“Forse tutti loro, e anche io, siamo danni collaterali di questa guerra. La campagna antirussa e il rifiuto perfino della cultura russa, dal balletto alla musica alla letteratura, hanno cambiato il mondo. Siamo diventati tutti delle pedine da usare e gettare”, è la sua personale ricostruzione dell’attualità, ricostruzione infragilita da quello che definisce il “presunto avvelenamento” di Navalny – invece certificato da più governi occidentali e dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac).
Esteri
Tank Abrams sono in Ucraina, Zelensky: “Grato ai nostri alleati”

Potrebbero essere utilizzati per riconquistare il territorio controllato dai russi nelle regioni orientali e meridionali

Sono stati consegnati alle forze armate dell’Ucraina i primi dei 31 carri armati Abrams di fabbricazione statunitense promessi a Kiev. A confermarlo il presidente Volodymyr Zelensky. “Buone notizie dal ministro (della Difesa Rustem, ndr) Umerov. Gli ‘Abrams’ sono già in Ucraina e si preparano a rinforzare le nostre brigate”, ha scritto in un post su Telegram. “Sono grato ai nostri alleati per aver rispettato gli accordi! Cerchiamo nuovi contratti per ampliare la geografia delle forniture”, ha aggiunto.
La notizia era stata anticipata nei giorni scorsi dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, durante la visita di Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca. “La prossima settimana, saranno consegnati all’Ucraina i primi tank Us Abrams”, aveva annunciato, aggiungendo che è stato “approvata una nuova tranche di assistenza di sicurezza” da 325 milioni di dollari.
Non è chiaro il numero dei tank consegnati, ma funzionari americani citati dal New York Times hanno assicurato che nei prossimi mesi saranno forniti altri carri armati.
Gli Abrams potrebbero essere utilizzati per riconquistare il territorio controllato dai russi nelle regioni orientali e meridionali dell’Ucraina, dove i combattimenti proseguono da mesi senza grandi progressi. Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare ucraina, ha avvertito che gli Abrams dovrebbero essere schierati “per operazioni molto specifiche e ben congegnate” altrimenti rischiano di essere distrutti. Se vengono semplicemente mandati in prima linea per cercare di sfondare le difese russe, ha detto la settimana scorsa il generale in un’intervista a un blog militare americano, “non sopravviveranno a lungo sul campo di battaglia”.
Esteri
Migranti, Germania e boom richieste asilo: i numeri

La Cdu in pressing su Scholz: "Trovare soluzione o la volontà di aiutare e integrare verrà meno"

Il tema migranti anima anche oggi il dibattito tra Germania e Italia. Berlino indica la necessità di una soluzione europea e ribadisce l’intenzione di sostenere il lavoro delle Ong. All’interno dei confini tedeschi, però, le posizioni sono più articolate e la linea del governo non gode di sostegno unanime. “Non possiamo fissare limiti agli ingressi perché abbiamo leggi europee e il diritto internazionale: non possiamo ridurre il diritto dell’individuo al solo asilo”, le parole di Nancy Faeser, ministra dell’Interno, all’emittente ARD. “Siamo vincolati dalla convenzione di Ginevra sui rifugiati e dalla convenzione europea sui diritti umani. La ministra deve fronteggiare il pressing di Markus Soeder, premier della Baviera: “Il cancelliere” Olaf Scholz “è in silenzio da settimane: dovrebbe ora lavorare sulla questione. Dovrebbe mostrare la sua leadership nella circostanza”.
Diverse città tedesche hanno espresso recentemente preoccupazione per l’afflusso di migranti. Alla fine di agosto 2023, l’ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati ha registrato 204.000 richieste di asilo, con un incremento del 77% rispetto all’anno precedente. Inoltre, a causa della guerra tra Ucraina e Russia, più di un milione di cittadini ucraini – che non sono tenuti a richiedere asilo – hanno cercato rifugio in territorio tedesco.
Non c’è nessuna intenzione di mettere in discussione il diritto di asilo ma “dobbiamo dirigerci verso una politica sostenibile sull’immigrazione”. Friedrich Merz, leader della Cdu, si è unito alla discussione: “Dobbiamo risolvere la situazione. Se non vogliamo abusare della disponibilità della popolazione ad aiutare e a favorire l’integrazione, dobbiamo ridurre rapidamente il numero dei migranti in arrivo in Germania”.
Esteri
Biden ospita nazioni isole Pacifico, ma pesano assenze e presenze filocinesi

Diserta premier isole Solomon che loda cooperazione con Pechino

Joe Biden ospita oggi alla Casa Bianca il vertice dei leader delle nazioni delle isole del Pacifico, nell’ambito di una strategia tesa a contrastare la crescente presenza e influenza della Cina nella regione. Un’influenza che ha spinto il primo ministro delle isole Solomon, Manasseh Sogavare, a disertare l’appuntamento, dopo aver usato il suo intervento all’Assemblea Generale per lodare la cooperazione allo sviluppo di Pechino come “meno restrittiva, più reattiva ed allineata ai bisogni della nostra nazione”.
“Siamo dispiaciuti che abbia scelto di non partecipare a questo summit speciale”, ha replicato dalla Casa Bianca parlando del leader delle isole Solomon che lo scorso anno hanno firmato un accordo di sicurezza con Pechino, provocando allora l’immediata reazione di Washington che si affrettò a riaprire l’ambasciata nel Paese chiusa da 30 anni. Sempre per la stessa strategia, gli Usa hanno aperto un’ambasciata a Tonga e si preparano ad aprirne una a Vanautu. Mentre nel summit che si apre oggi verrà annunciata l’apertura di rappresentanze diplomatiche alle Cook Islands e a Nuie.
Biden e i 18 leader del Forum delle isole del Pacifico affronteranno oggi e domani questioni centrali per lo sviluppo, con l’impegno Usa a maggior finanziamento per le infrastrutture e la cooperazione marittima. Ed ovviamente un maggior sostegno alla lotta ai cambiamenti climatici, con l’inviato speciale per il clima, John Kerry, che oggi presiederà una sessione su ‘Climate and Ocean Resilience’.
Ma bisogna notare che a parte il forfait delle isole Solamon, c’è poi la posizione di Timor est che ha appena varato una partnership strategica con la Cina. L’accordo è stato annunciato in occasione della partecipazione la scorsa settimana del premier Xanana Gusmao alla cerimonia di apertura dei Giochi Asiatici nella città cinese di Hangzhou. “Entrambe le parti aumenteranno il sostegno reciproco e rafforzeranno la cooperazione internazionale”, ha dichiarato Xi.
Già lo scorso anno Jose Ramos Horta, insediandosi come quinto presidente dall’indipendenza dell’isola nel 2002, si era impegnato ad una relazione più stretta con Pechino, in particolare nel campo energetico, agricolo e delle infrastrutture. Come per le isole Solomon, la cooperazione con Pechino di Timor est avverrà nel quadro della Belt and Road Initiative, la via della Seta.
Tra gli obiettivi di Timor est, l’avvio di produzione di gas naturale offshore entro il 2030, un progetto che è stato bloccato nel limbo per decenni. Ma non mancano impegni per maggiori interazioni a livello militare, l’espansione degli investimenti bilaterali e la cooperazione per infrastrutture e produzione alimentare, secondo quanto si legge nella dichiarazione congiunta diffusa sabato.
Biden ha già ospitato lo scorso anno il vertice delle isole del Pacifico, a cui parteciparono 14 leader, durante il quale gli Stati Uniti annunciarono oltre 800 milioni di fondi per aiuti ed assistenza, ribadendo l’impegno per le priorità della regione e la cooperazione per su clima e sicurezza marittima. Presentando il nuovo summit, alla Casa Bianca si sottolinea che di fronte “alla determinazione e influenza” della Cina è necessario “il mantenimento del nostro focus strategico”.
Il primo ministro di Tonga, Siaosi Sovaleni, ha detto che il summit sarà “un’opportunità per noi per condividere le nostre preoccupazioni”, sottolineando che queste sono concentrate principalmente su cambiamenti climatici e innalzamento degli oceani. “L’urgenza di un cambiamento è evidente”, ha aggiunto parlando la scorsa settimana al Palazzo di Vetro il premier di Tonga che agli Usa chiedere di sostenere un maggiore accesso ai finanziamenti per le azioni sul clima.
Anche il segretario generale del Forum delle nazioni isole del Pacifico, Henry Puna, ha espresso l’auspicio che il summit porti ad azioni concrete per il clima, riconoscendo che la regione, fino ad un decennio fa dimenticata a livello strategico, è diventata ora di interesse strategico, competizione e vera “manipolazione”, con un chiaro riferimento alla lotta per l’influenza nella regione tra Stati Uniti e Cina.
Esteri
Migranti Italia, Ue: “Cauzione per evitare Cpr? Va decisa caso per caso”

La portavoce dell'esecutivo Ue per le Migrazioni Anitta Hipper: "In contatto con autorità italiane per capirne di più". Cosa dice il decreto

Sulla norma che prevede la possibilità per un migrante irregolare in Italia, la cui richiesta di asilo sia stata respinta, di versare una cauzione da 4.983 euro per evitare la detenzione in un Cpr, la Commissione Europea è in “contatto con le autorità italiane per capire di più”. Ma, secondo le direttive Ue, “le alternative alla detenzione devono passare il test di proporzionalità. E’ importante avere le giuste salvaguardie per assicurarlo” e la cauzione “deve essere decisa sulla base di una valutazione individuale”. Lo dice la portavoce dell’esecutivo Ue per le Migrazioni Anitta Hipper, a Bruxelles durante il briefing con la stampa.
Il decreto del ministero dell’Interno pubblicato in Gazzetta Ufficiale riguarda l'”Indicazione dell’importo e delle modalità di prestazione della garanzia finanziaria a carico dello straniero durante lo svolgimento della procedura per l’accertamento del diritto di accedere al territorio dello Stato”.
La “garanzia finanziaria” nell’articolo 1 viene definita “idonea quando l’importo fissato è in grado di garantire allo straniero, per il periodo massimo di trattenimento, pari a quattro settimane (ventotto giorni), la disponibilità: a) di un alloggio adeguato, sul territorio nazionale; b) della somma occorrente al rimpatrio; c) di mezzi di sussistenza minimi necessari, a persona”.
Nell’articolo 2 si specifica che “l’importo per la prestazione della garanzia finanziaria è individuato, per l’anno 2023, in euro 4.938,00. L’aggiornamento dell’importo è avviato a cadenza biennale, di seguito alla definizione del costo medio del rimpatrio”.
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Secondo l’articolo 3, “la garanzia finanziaria è prestata in unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa ed è individuale e non può essere versata da terzi. La garanzia finanziaria deve essere prestata entro il termine in cui sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico”.
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Quindi, l’articolo 4 chiarisce che “nel caso in cui lo straniero si allontani indebitamente, il prefetto del luogo ove è stata prestata la garanzia finanziaria procede all’escussione della stessa”.
Esteri
La chef stellata: “Camilla a tavola? Una persona semplice”

La chef britannica Angela Hartnett: "Mangerebbe qualsiasi cosa le venisse proposta, non ama il cibo elaborato"

La Regina consorte Camilla “è una persona semplice, che mangerebbe qualsiasi cosa le venisse proposta”. Parola di Angela Hartnett, una delle poche chef stellate britanniche, che lo scorso anno, poco dopo essere stata insignita dell’Ordine dell’Impero Britannico, ha avuto l’onore di cucinare per la di lì a poco regina. L’importante, spiega in un’intervista al Mirror l’allieva della star di Hell’s Kitchen Gordon Ramsay, è che non si tratti di cibo troppo elaborato: “È stato fantastico cucinare per Camilla. Era davvero rilassata e alla mano, una donna adorabile e un’ottima moglie per il re”, ha aggiunto la cuoca.
Qual è dunque un pasto degno di una regina? “Niente di particolare – risponde la Hartnet – Camilla era come tutti gli altri ospiti per cui ho cucinato: qualunque cosa le si prepara, lei la gradisce. Penso che quando arrivi a una certa età, senza ovviamente essere scortese, e se, come lei, hai tanti impegni, mangerai tutto ciò che è semplice e non elaborato”.
Insomma, Camilla è una persona non diversa dalla gente comune, a detta della chef. E non solo in fatto di cibo: “Abbiamo parlato di Jack Russell, perché lei ne ha uno e anch’io. E quando l’anno scorso ho smarrito la mia Betty, Camilla si è informata se fosse stata ritrovata. E in seguito l’ha anche incontrata”.
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