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Primarie in Michigan, Biden e il rischio voto di protesta...

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Primarie in Michigan, Biden e il rischio voto di protesta per Gaza

La comunità arabo americana invita la base democratica a votare 'nessuno' e non per il presidente: "Non vogliamo un Paese che sostiene guerre, bombe e distruzione". Intanto, per i repubblicani, il voto è 'spezzato' in due

Joe Biden - Afp

E' rischio voto di protesta per Joe Biden, oggi, alle primarie nel Michigan. "E' importante creare un blocco elettorale, qualcosa come un megafono con cui dire 'quando è troppo è troppo', non vogliamo un Paese che sostiene guerre, bombe e distruzione, vogliamo sostenere la vita, ogni singola vita uccisa a Gaza", spiega infatti Rashida Tlaib, deputata democratica di origine palestinese eletta nello Stato, è diventata una delle principali voci che esortano la base democratica a votare 'nessuno' invece che Biden, per dare un segnale riguardo alla necessità che gli Stati Uniti appoggino concretamente il cessate il fuoco.

"Non è una campagna anti-Biden, è un voto umanitario, un voto di protesta, un voto per spiegare a Biden e alla sua amministrazione che noi crediamo nel salvare le vite", spiega alla Cnn Layla Elebad, attivista dem del Michigan, sorella di Tlaib, che ha lanciato "Listen to Michigan", una delle campagne, insieme a "Our Revolution" e "Abadon Biden", che nelle ultime settimane stanno facendo campagna elettorale per spingere gli elettori, soprattutto arabi americani, a mostrare nei fatti di essere stati delusi da Biden con il suo sostegno incondizionato ad Israele.

"Se volete che veniamo ascoltati, allora venite qui ai seggi e votate 'nessuno'", ha detto in un video registrato di fronte ad uno dei seggi del voto anticipato e postato sui social media, la prima donna di origine palestinese arrivata al Congresso. Secondo gli organizzatori almeno 10mila persone voteranno 'nessuno', ricordando che nel 2016 furono proprio 10mila voti a dare la vittoria a Trump nello Stato.

I timori dem per la protesta: "Secondo mandato Trump sarebbe devastante"

E proprio a questo rischio che Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan co-presidente della campagna Biden per il 2024, ha fatto riferimento, criticando la campagna per il voto di protesta.

"E' importante non perdere di vista il fatto che ogni voto non dato a Joe Biden sostiene un secondo mandato di Trump - ha detto la democratica, il cui nome circola insistentemente come una possibile candidata alla Casa Bianca in caso di rinuncia di Biden - un secondo mandato di Trump sarebbe devastante, non solo per i diritti fondamentali, non solo per la democrazia, ma anche per la politica estera". "Lui è quello che ha promosso il divieto di ingresso per gli islamici", ricorda ancora Whitmer.

Argomenti che non convincono i fautori del voto di protesta: "Consideriamo il precedente presidente ripugnante, ha impedito ai nostri familiari, amici e colleghi per entrare nel Paese, ma Mr Biden li sta uccidendo", afferma, riferendosi alle armi che gli Usa, nonostante i disaccordi con il governo di Benjamin Netanyahu, continuano ad inviare ad Israele, Hassan Abdel Salam, membro della Abandon Biden National Coalition.

Il voto 'spezzato' per le primarie repubblicane tra oggi e sabato

Mentre nelle primarie di oggi in Michigan i democratici eleggeranno tutti i 117 delegati che andranno alla convention per la nomina del candidato, per i repubblicani 16 delegati saranno eletti durante le primarie, mentre i restanti 39 durante una convention statale del partito che si svolgerà sabato. Con Donald Trump, reduce del successo di sabato in South Carolina, in netto vantaggio anche in Michigan su Nikki Haley, che nonostante l'infilata di sconfitte non molla, sul fronte repubblicano potrà creare una certa confusione questo curioso e complesso sistema 'spezzato' di elezione dei delegati alla convention.

Il fatto è che al momento ci sono due diversi dirigenti locali del partito repubblicano che rivendicano la presidenza, Kristina Karamo e Pete Hoekstra. Anche il comitato nazionale repubblicano riconosce solo quest'ultimo come legittimo presidente, Karamo svolgerà una convention alternativa, e quindi non è chiaro quale due convention effettivamente eleggerà i delegati.

"Se altre persone che credono di rappresentare il partito repubblicano vogliono incontrarsi, dovunque vogliano, possono farlo, ma quella non sarà una convention", ha affermato Hoekstra, con Karamo che rivendica di essere lei alla guida di "un'entità legale". A parte le tensioni interne al partito, la complessa struttura delle primarie repubblicane è una risposta al cambiamento della data delle primarie, da marzo a febbraio, votata dai democratici che guidano lo Stato per applicare la rivoluzione del calendario delle primarie voluta da Joe Biden.

I repubblicani si sono opposti, dicendo che questo nuovo calendario sarebbe stato contrario a quello del comitato repubblicano, arrivando poi a questa soluzione di compromesso di dividere in due tempi l'assegnazione dei delegati, un primo gruppo durante le primarie - che vengono indette dalle autorità dello stato - ed un secondo gruppo nella convention, o caucus, gestita dal partito, nella data tradizionale, il 2 marzo, delle primarie in Michigan.

Il Michigan negli ultimi cicli elettorali si è dimostrato uno Stato chiave, conferendo, per poco più di 10mila voti, la vittoria decisiva, e la Casa Bianca, a Trump nel 2016, mentre nel 2020 ha vinto Joe Biden, ma sempre di misura. Secondo un sondaggio pubblicato da The Hill, se si votasse oggi per la Casa Bianca l'ex presidente vincerebbe con un vantaggio di due punti, con il 46% contro il 44% del presidente, ed un 10 per cento di indecisi.

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Ucraina, Crosetto: “Italia ha fornito tutto quello...

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"Noi veniamo da 40 anni con l'idea che la difesa fosse qualcosa di cui non avevamo bisogno"

Guido Crosetto

"Noi domani avremo una incontro, una call, a cui presumo ci sarà lo stesso Zelensky, per fare il punto" sugli aiuti all'Ucraina. "Mi pare che l'Europa e l'Italia in particolare abbiano fornito in questo periodo tutto quello che riuscivano a dare". Lo ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto, intervenendo all'incontro promosso da PwC Italia in collaborazione con il gruppo editoriale Gedi, dal titolo 'Il ruolo della ricerca militare nello sviluppo economico italiano'.

"Il problema - ha spiegato - è che noi veniamo da 40 anni con l'idea che la difesa fosse qualcosa di cui non avevamo bisogno, che le scorte e gli investimenti per la difesa non servissero, per cui non abbiamo magazzini pieni con cui possiamo aiutare. Quello che potevamo dare fino ad adesso l'Italia lo ha dato quasi integralmente. La parte che non ha ancora dato la darà prossimamente", ha detto il ministro.

"Sono talmente arrabbiato che dico una cosa pubblicamente: l'Italia ha ordinato alcuni sistemi di difesa aerea Samp-T due anni fa, l'industria che ha la commessa mi dice che li consegnerà tra tre anni. Un ordine di Samp-T per la difesa italiana fatto due anni fa, l'industria mi dice che lo consegna tra tre anni", ha proseguito.

"Voi pensate che uno possa fare il ministro della difesa o difendere un Paese con questi tempi? Non riesco a capire come sia possibile metterci tre anni per costruire una qualunque cosa, anche la più complessa che esiste al mondo", ha osservato Crosetto, spiegando che il problema è che "noi abbiamo un'industria che si era tarata su una capacità produttiva in cui lo Stato fa l'appalto, dà i soldi, quando li dà si inizia a costruire e poi quando si riesce, si consegna. Invece viviamo tempi in cui avremmo bisogno delle cose subito". Il problema - ha riferito il ministro - "non è solo italiano, ma europeo. Lo ha anche il ministro francese, con cui stiamo facendo una battaglia a due".

A differenza di quanto accade in Europa, "in Russia, in Cina e in Iran alzano il telefono e l'azienda che prima faceva frigoriferi" viene convertita per la produzione della difesa. "Noi invece ci confrontiamo con regole costruite in tempi di pace e in tempi normali in tempi che non sono di pace e non sono normali".

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India al voto, Armellini: “Grande democrazia? Con...

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L'ex ambasciatore a Nuova Delhi: "Il Paese è cresciuto, ma stretta autoritaria sempre più opprimente"

(AFP)

L'India resta un grande Paese, ma non è detto che resterà una grande democrazia. Alla vigilia della prima tornata elettorale nel gigante asiatico - dove da domani al primo giugno poco meno di un miliardo di elettori andrà a votare in 28 Stati federali e otto territori - l'ex ambasciatore italiano a Nuova Delhi, Antonio Armellini, parla con l'Adnkronos dell'India di Narendra Modi, che si avvia al suo terzo mandato, dopo dieci anni già al governo.

Con il leader del Bjp "l'India è molto cambiata, è cresciuta economicamente, è migliorata al suo interno, il programma di investimenti sulle infrastrutture ha portato risultati ed il sistema finanziario è stato ammodernato", riconosce Armellini. Che tra i 'meriti' cita "la presa sull'elettorato, che si è ampliato e non è più solo quello tradizionale del Bjp", il partito dei commercianti e degli imprenditori.

Parallelamente, osserva l'ex ambasciatore, "la stretta autoritaria del governo Modi è diventata sempre più opprimente, figlia di un controllo e di un meccanismo del consenso molto sofisticati", mentre l'opposizione divisa e frammentata "è in difficoltà nel trasmettere un qualche tipo di messaggio che possa essere recepito dagli elettori".

L'India cresce "ma crescono anche le diseguaglianze", sottolinea ancora Armellini, mentre si avvia a diventare "una democrazia autoritaria sempre più lontana dal modello che ne aveva fatto un unicum nel continente asiatico, una grande democrazia liberale, figlia del pensiero politico del 19mo secolo, che aveva avuto anche Giuseppe Mazzini tra gli ispiratori della lotta per l'indipendenza". "L'India laica, tollerante, multietnica, rispettosa dello stato di diritto non è l'India di Modi, fortemente identitaria - ragiona l'ex ambasciatore - L'India è un grande Paese, ma che resti una grande democrazia è un punto interrogativo".

Quanto alla politica estera di Nuova Delhi, che "ha una percezione di sé come grande potenza sullo stesso piano di Stati Uniti e Cina, il punto da cui partire è che l'India non ha alleanze, ma relazioni, è partner di molti, ma nel proprio interesse". Che è quello di "grande potenza autonomia con due punti di riferimento imprescindibili: il contrasto con la Cina e il conflitto con il Pakistan", spiega Armellini. E chi, "come a tratti cercano di fare gli Stati Uniti, pensa di poterla legare in una vera e propria alleanza, rischia di restare fortemente deluso".

Infine l'ex ambasciatore si dice convinto che Nuova Delhi abbia "una maggiore capacità di attrazione per diventare il punto di riferimento del Sud globale", in particolare rispetto a Pechino, che agli altri Paesi "richiede di schierarsi", laddove l'India ha un approccio meno identitario.

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G7, Tajani: “Tutti insieme dobbiamo dare messaggio di...

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Le parole del ministro degli Esteri al summit di Capri

"Tutti insieme credo che dobbiamo dare un messaggio di pace". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nel corso del G7 Esteri a Capri.

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