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Sostenibilità

Ciafani (Legambiente): “Basta speculazione politica, il...

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Ciafani (Legambiente): “Basta speculazione politica, il passaggio all’elettrico non può più aspettare”

Il presidente di Legambiente commenta il grave ritardo dell’Italia nella transizione green

Presidente Legambiente Stefano Ciafani

“Il governo Meloni avrebbe dovuto fare di più per il trasporto pubblico, considerando che ha deciso di spendere 11 miliardi di euro (9 a carico dello Stato, 2 a carico di Sicilia e Calabria) per realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera la cui utilità è assolutamente dubbia, per usare un eufemismo”, queste le prime dichiarazioni del presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani sentito dall’Adnkronos per commentare i risultati del rapporto “Pendolaria 2024 – Speciale aree urbane”.

Dal report emerge il grave ritardo del Belpaese nelle infrastrutture di trasporto sui binari, fondamentali per far diminuire l’uso delle auto private e le emissioni di CO2. Alla base di questo gap con le altre ricchezze europee, gli annosi problemi strutturali e gli investimenti troppo scarsi:

“Mentre si spendono 9 miliardi delle casse dello Stato per il Ponte di Messina – continua Ciafani – si lasciano i soliti problemi agli italiani che usano il trasporto pubblico per spostarsi. Per molti prendere un mezzo pubblico per andare al lavoro è semplicemente impossibile, qual è la conseguenza? Che milioni di italiani usano ogni giorno la propria macchina con inevitabili ricadute sull’ambiente e sulla vivibilità delle città”. Parole che trovano riscontro anche nell’indagine “Better Connected” di Heitachi Rail da cui emerge che solo il 15% dei milanesi usa esclusivamente il trasporto pubblico per andare al lavoro. Il tutto considerando che Milano è la città italiana con il trasporto pubblico più diffuso.

Il rapporto di Legambiente, dal canto suo, evidenzia come la legge di Bilancio 2024 abbia gravemente ridimensionato i contributi statali per una mobilità pubblica e sostenibile, in favore di una scelta che “per noi – conclude Ciafani – è assolutamente incomprensibile: puntare sulla cattedrale nel deserto della mobilità”.

Perché Italia le auto elettriche sono poco vendute?

“Il flop delle auto elettriche è dovuto al fatto che siamo partiti con grandissimo ritardo nell’implementare le infrastrutture lungo la penisola. Un discorso che – specifica il presidente di Legambiente – vale per le colonnine nelle aree pubbliche ma anche in quelle private come garage e altre pertinenze private e condominiali”.

Un problema strutturale che l’Italia sta provando a ridimensionare grazie alle risorse del Pnrr: “Oggi in città, soprattutto nelle città più grandi, le colonnine si vedono in ogni quartiere, compaiono anche sulle autostrade, un po’ meno sulle superstrade anche se – nota il presidente di Legambiente – c’è carenza di queste strutture nei comuni medio-piccoli”.

Incentivi a metà

La mancanza di infrastrutture non è l’unica causa del flop dell’elettrico in Italia secondo Stefano Ciafani: “è mancato un sistema di incentivazione paragonabile a quello di altri Paesi europei, che permetta ai cittadini di poter acquistare l’auto elettrica al posto di quella di quella a combustione interna”. Anche qui la situazione è in leggero miglioramento: “All’attuale governo va riconosciuto che i nuovi incentivi fanno uno sforzo in più rispetto a quelli precedenti. Innanzitutto, sono strutturati in maniera più logica e sono modulati in base al reddito prevedendo un tetto massimo di spesa”, dichiara Ciafani che spiega: “Se tu vuoi l’auto elettrica più costosa o comunque oltre una certa soglia di valore è giusto che te la compri da solo, perché evidentemente ne hai le possibilità”.

La strada degli incentivi soddisfa a metà perché si continua a incentivare, seppure in misura minore, anche l’acquisto di auto ibride e a motore termico: “Questo è un errore, una sciocchezza che impedisce di virare con decisione sulle auto elettriche che sono il futuro”.

Polemiche inutili sull’elettrico

Proprio sul passaggio alle auto elettriche si accende il dibattito “green”. Da una parte c’è chi lo ritiene indispensabile per contrastare il surriscaldamento climatico, dall’altra chi sostiene che in questo modo si consegni alla Cina la produzione delle auto e quindi una grossa fetta dell’economia europea.

Per il presidente Ciafani questo contrasto porta a “fomentare polemiche inutili tirando fuori dati sbagliati o decontestualizzati. A inizio anno si è fatto un gran parlare della diminuzione delle auto elettriche vendute in Italia, ma la realtà era ben diversa. Tutti sapevano che i cittadini stavano aspettando che arrivassero gli incentivi del governo Meloni che sono arrivati e arriveranno tra marzo e aprile, eppure si è preferito montare la polemica e nutrire il complotto contro l’auto elettrica”.

L’elettrico è il futuro

Le divergenze sono esplose dopo il Regolamento europeo che impone lo stop alla produzione di auto a motore termico dal 2035. Anche in questo caso, per il presidente Ciafani la polemica va ridimensionata: “Le principali case automobilistiche mondiali hanno deciso di chiudere le linee produttive dei motori endotermici già dal 2030. Non perché siano ambientaliste, ma perché sanno che il mercato sta andando sulla trazione elettrica. Insomma, bisogna smetterla con tutte queste polemiche contro l'Europa e l’auto elettrica che avrà un ruolo fondamentale nell’abbassare il livello di inquinamento e rendere più vivibili le città”.

C’è stato uno squilibrio tra il clamore mediatico rivolto a bici e monopattini elettrici e l’investimento in infrastrutture, piste ciclabili in primis?

“C’è uno squilibrio oggettivo tra la domanda di micromobilità e le infrastrutture presenti nelle città italiane”, osserva il presidente di Legambiente.

“Tutte quelle norme approvate dopo la pandemia hanno migliorato la situazione, anche realizzando corsie ciclabili e non piste ciclabili. Anche se non separate fisicamente dal resto della strada le corsie ciclabili hanno comunque dato un segnale forte, la cui portata non va sottovalutata: in strada si riduce la larghezza della carreggiata al servizio delle automobili e si aumenta quella dedicata a bici e monopattini”.

Per il presidente di Legambiente anche questi segnali giocano un ruolo importante nel percorso di transizione: “Bisogna creare un percorso di educazione alla mobilità, un grande vulnus del nostro Paese dove chi si muove sulle quattro ruote pensa di essere il padrone della strada e mette a repentaglio la vita di dei soggetti più deboli, che sono chi si muove con le due ruote e chi si muove con le sue due gambe, i pedoni”.

Il dibattito su Città 30

L’educazione stradale è il canale che più di ogni altro può rivoluzionare il modo di concepire gli spazi urbani e diffondere le “Città 30”, fortemente sostenute dal presidente di Legambiente. “La riduzione della velocità in città è fondamentale. Lo sanno bene le amministrazioni di centrosinistra e di centrodestra che hanno già adottato questa rivoluzione”, dichiara Stefano Ciafani che non risparmia una stoccata alla polemica sul progetto di “Bologna Città 30”:

“È stata fatta una grande speculazione politico-partitica contro il comune di Bologna all'inizio di quest'anno. Ma è bene ricordare che il Comune di Olbia, guidato da un sindaco di Forza Italia, e con una giunta di centrodestra, ha realizzato la Città 30 già da un anno e mezzo. Lo stesso dicasi per il comune di Treviso, guidato da un sindaco leghista e con una giunta di centrodestra che già dall’anno scorso è Città 30”.

Casi che esistono da mesi, ma sui quali non è stato sollevato alcun polverone a differenza di quanto avvenuto con il Comune di Bologna, guidato da una giunta e un sindaco di centrosinistra. “Bisogna smetterla con queste speculazioni perché la vita delle persone, la sicurezza delle persone, è molto più importante delle scaramucce partitiche”, chiosa Ciafani.

“Salvini, il padre del Decreto Sicurezza, ostacola la sicurezza nelle città”

A questo punto, il presidente di Legambiente aggiunge: “C’è un aspetto veramente curioso di tutta questa controversia. Matteo Salvini da ministro dell’Interno del primo governo Conte approvò dei decreti sicurezza per noi assolutamente insopportabili contro la supposta ‘minaccia migranti’. Trovo assurdo che oggi lo stesso Salvini stia facendo una campagna per rendere più insicure le strade italiane con la direttiva del ministero dei Trasporti contro l'uso degli Autovelox in città, gli attacchi alle “Città 30” e le modifiche al codice della strada che sono in corso di discussione in Parlamento”.

Stefano Ciafani espone tutta la disapprovazione dell’associazione verso quella che definisce “Una sicurezza a giorni alterni, a fasi politiche alterne, agitata in base alle convenienze politiche del momento. Un metodo che noi non sopportiamo e non condividiamo. C'è una strage silenziosa che miete migliaia di morti ogni anno lungo le strade delle città e dei comuni italiani e va fermata rendendo le strade più sicure. Come lo si fa? Introducendo velocità più basse e sistemi di controlli adeguati”.

Vista l’annosa arretratezza del trasporto pubblico italiano, cosa si può fare per contrastare da subito l’inquinamento atmosferico?

“La risposta non può essere una sola”, chiarisce subito Ciafani. “In Italia in base ai dati dell'Agenzia per l'ambiente ci sono 50.000 morti premature ogni anno per PM 2.5, quindi serve una risposta articolata. C'è il fronte delle emissioni causate dal traffico che va affrontato come visto prima, poi c'è la questione relativa al come rendere meno inquinante il trasporto pubblico se non a impatto zero”.

Oltre il trasporto: revisionare il sistema di riscaldamento

Un altro aspetto evidenziato dal presidente nazionale di Legambiente all’Adnkronos riguarda il riscaldamento degli edifici. “Con il superbonus è stato un grandissimo errore in materia di riscaldamento, ovvero finanziare l'acquisto delle caldaie a gas nonostante fosse già disponibile la tecnologia alternativa delle pompe di calore che rinfrescano e riscaldano gli ambienti utilizzando l’energia elettrica”.

Oltre il trasporto: l’agricoltura e gli allevamenti

I costanti record di temperature registrati sul pianeta lanciano un messaggio chiaro: bisogna intervenire subito e su più fronti per contrastare il surriscaldamento climatico.

“Occorre rivedere l’impatto ambientale generato dall’agricoltura e dall’allevamento” aggiunge Ciafani che spiega: “entrambe le filiere immettono ammoniaca nell’atmosfera. Queste polveri sottili denominate PM secondario inficiano pesantemente sulla salute dell’aria e dei cittadini. Bisogna quindi aiutare le imprese ad acquistare nuovi impianti e ad innovare i sistemi produttivi. Per risolvere il problema ambientale, particolarmente grave nel Nord Italia e nella pianura padana bisogna mettere in campo queste soluzioni tutte insieme”.

Quando? Al più presto possibile, conclude Stefano Ciafani “Perché non possiamo aspettare il 2050. Quando avremo decarbonizzato il nostro Paese non avremo più il problema dell’inquinamento atmosferico nelle nostre città. Ma – chiosa il presidente di Legambiente – non possiamo aspettare ancora 26 anni mentre ogni anno, a causa dello smog, muoiono prematuramente 50.000 persone”.

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Sostenibilità

Clima ed energia: obiettivi 2030 ancora alla portata...

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A che punto siamo secondo quanto rilevato da Italy for Climate

jonny-clow-unsplash

Il 22 aprile 2024 si è celebrata la Giornata Internazionale della Terra. Tra le tante iniziative ed eventi organizzati in ogni angolo del Mondo, è stato anche il momento di condividere bilanci e analisi sullo stato attuale in tema di clima ed energia. Con riguardo al nostro Paese, in occasione della Giornata della Terra, Italy for Climate ha pubblicato la quinta edizione del rapporto “10 Key trend sul clima” che analizza le principali tendenze registrate nel 2023 in Italia con riferimento alla lotta al cambiamento climatico e alla transizione energetica. Tra i dati principali, emerge che nell'ultimo anno il nostro Paese ha prodotto uno sforzo davvero considerevole nel tagliare le emissioni di gas serra con una diminuzione del 6,5% rispetto all'anno precedente, percentuale che corrisponde a una diminuzione di circa 27 milioni di tonnellate di gas serra prodotti. Il dato, qualora confermato, significherebbe che il nostro Paese si trova nella condizione di raggiungere ancora gli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2030. Tra i principali fattori che hanno influito sulla diminuzione registrata nel 2023 vi sono il minore utilizzo di carbone per produrre energia, i consumi energetici ridotti anche dovuti a un inverno piuttosto mite, un calo della produzione industriale, ma anche un'accelerazione nelle rinnovabili.

I principali trend sul clima in Italia

Oltre al primo trend che, come detto, riguarda la drastica riduzione delle emissioni, le altre principali tendenze in tema di clima ed energia segnalate da Italy for Climate non sono tutte esattamente positive. A cominciare dal numero di eventi climatici, drammaticamente aumentato nel 2023, che secondo le stime di Ispra risulta essere stato il secondo anno più caldo mai registrato in Italia. Non solo, l'anno passato, sul nostro territorio sono stati registrati 3.400 eventi climatici estremi. In quanto all'energia, secondo le stime Enea è calata del 3% l'intensità energetica del Pil ovvero del fabbisogno energetico necessario a produrre una unità di Pil. In calo, nel valore assoluto, anche i consumi di energia negli edifici (-2,3 Mtep) e nell'industria (-1,2% Mtep). Sempre secondo Enea, il calo delle emissioni globali di cui sopra è dovuto principalmente all'evoluzione del settore elettrico che sempre più si basa sulle fonti rinnovabili (+15 Twh) e meno su quelle fossili (-33 Twh). In particolare, la quota complessiva di energia prodotta da eolico e fotovoltaico è pari al 20%, mentre la quota di tutte le rinnovabili sfiora il 44% della produzione, il tetto massimo mai raggiunto. Meno bene invece gli indicatori sulla dipendenza energetica che vedono l'Italia tra i Paesi europei a più elevata dipendenza, seppur in lieve calo rispetto al 2022. Parlando di riqualificazione degli edifici, una questione di grande portata visto l'impatto che il parco immobiliare ha sul clima, nel 2023 sono state riqualificate oltre 700 mila abitazioni grazie agli incentivi introdotti dal Superbonus, il triplo in più rispetto alla media degli anni precedenti. Inoltre, a fine anno risultano installati 1,3 milioni di impianti fotovoltaici nel settore residenziale. Il mercato dell'auto elettrica seppur lentamente appare in crescita e ad oggi rappresenta il 4,2% del totale immatricolazioni. Dati comunque molto contenuti rispetto alla media europea del 14,6% con punte del 18,4% in Germania. Da segnalare infine il deficit medio nazionale del 60% sulle scorte di acqua nevosa nei principali bacini del Paese, con punte fino a -70% nel bacino dell'Adige e -67% in quello del Po. Proprio la crisi idrica rappresenta uno dei temi che andranno affrontati con maggiore attenzione, rapidità ed efficacia.

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Sostenibilità

“Recycle me”, lo spot di Coca-Cola per la...

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Lo scopo del nuovo spot sostenibile è l’invito all’azione: “Riciclami” è la scritta sulle lattine che ricorderà al consumatore di gettarla correttamente

Lattine di Coca-Cola

Recycle Me” è il nome della campagna pubblicitaria di Coca-Cola Company. Al centro dello spot: la sostenibilità e il riciclo. Lanciata in America Latina, i pubblicitari della campagna hanno pensato di usare il potere del logo, riconosciuto in tutto il mondo, e di modificarlo. La scritta bianca su sfondo rosso si “accartoccia”: raffigura, cioè, il modo in cui assomiglierebbe il logo se le lattine vuote venissero schiacciate per essere gettate e poi riciclate.

“Come parte dell'impegno della Coca-Cola di riciclare tutti i loro packaging entro il 2030, WPP Open X, guidato da Ogilvy New York, ha usato il potere dell'iconico logo della sceneggiatura del marchio per ispirare le persone a rendere il riciclo parte della loro esperienza quotidiana”, si legge su Instagram.

Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da Ogilvy New York (@ogilvyny)

Lo spot pubblicitario

Coca-Cola crede che un futuro migliore si raggiunga attraverso pratiche sostenibili dal punto di vista sociale e ambientale. Nell'ambito dei suoi obiettivi di sostenibilità, si impegna a riciclare tutti i suoi imballaggi entro il 2030. Volevamo sfruttare il potere dell'iconico logo del marchio per ispirare le persone a rendere il riciclo parte della loro esperienza quotidiana con Coca-Cola – scrive Laurent Ezekiel, WPP Chief Marketing Officer & CEO -. Abbiamo iniziato con l'intramontabile abitudine di schiacciare una lattina prima di riciclarla. Quindi abbiamo creato un'immagine estremamente telegrafica e potente con l'invito all'azione RECYCLE ME preso direttamente dal lato della lattina. Naturalmente, non esistono due lattine riciclate esattamente uguali, e nemmeno le nostre stampe e i nostri poster. Sviluppate da WPP Open X, sotto la guida di Ogilvy New York, le pubblicità creative saranno presenti a Buenos Aires, in Argentina, Brasile e Messico, oltre che sui canali sociali”.

Islam ElDessouky, vicepresidente globale per la strategia creativa e i contenuti di Coca-Cola, ha commentato: “Noi di Coca-Cola puntiamo ad avere un mondo senza rifiuti. Stiamo lavorando per innovare i nostri prodotti verso il nostro obiettivo globale di rendere riciclabile il 100% delle nostre confezioni entro il 2025. Inoltre, puntiamo a raccogliere e riciclare una bottiglia o una lattina per ogni bottiglia venduta entro il 2030 e abbiamo l’opportunità unica di utilizzare il nostro marketing per inviare un messaggio potente. ‘Riciclami’ invita tutti noi a riciclare ovunque sia possibile”.

Le iniziative Coca-Cola

Non è la prima volta che l’azienda lancia un’iniziativa del genere. Per l’obiettivo "World Waste Free", missione lanciata da Coca-Cola nel 2018 per contribuire alla lotta contro i rifiuti di plastica, si propose: imballaggi senza etichetta, tappo attaccato alla bottiglia come già avviene per la maggior parte delle bottiglie in plastica oggi e progetto di packaging completamente riciclabile. Nell’ultimo report di sostenibilità, la Company ha precisato di aver raggiunto il 90% dell’obiettivo. Il nuovo è raccogliere e riciclare una bottiglia o lattina per ogni bottiglia o lattina venduta entro il 2030.

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Sostenibilità

Lionello (Unisalento): “Continente europeo più...

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Il professore spiega le tendenze climatiche a margine del rapporto Copernicus

Europa sulla cartina - Canva

In Europa le temperature medie sono aumentate più che in ogni altro continente ma, pur restando allarmanti, i risultati del rapporto Copernicus sono anche la conseguenza di “tendenze intrinseche al cambiamento climatico”.

Lo spiega all’Adnkronos Piero Lionello, professore ordinario di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia presso l’Università del Salento e presidente del network MedCLIVAR (Mediterranean CLImate Variability).

“La considerazione più importante ed essenziale da fare – esordisce Lionello – è che i gas serra si distribuiscono in modo approssimativamente uniforme su scala globale. In pratica, le emissioni dell’Italia non interessano solo il territorio italiano, lo stesso dicasi per quelle europee e così via. Un andamento completamente diverso rispetto, per esempio, alle emissioni di aerosol che tendono ad avere una persistenza breve in atmosfera e quindi un effetto più regionale e più limitato alle zone di emissione”.

Per questo occorre interessarsi non solo alle decisioni di casa propria: “Questo andamento dimostra una volta per tutte come il problema del cambiamento climatico sia una questione globale”.

C’è poi un altro aspetto da considerare: “Durante una transizione, le alte latitudini tendono a scaldarsi di più delle zone tropicali. Allo stesso tempo, a livello superficiale, le masse continentali si scaldano di più delle masse oceaniche. Anche quando ci sono stati eventi caldi interglaciali in passato e le glaciazioni, il cambiamento climatico è stato molto più ampio in queste zone.

Si tratta di tendenze intrinseche al sistema climatico, quindi mi sorprenderei nel vedere il contrario in questa fase di riscaldamento che ha sicuramente una importante componente antropogenica”, spiega il professore che ha contribuito alla redazione del sesto rapporto Ipcc (Intergovermental Panel on Climate Change), pubblicato lo scorso anno.

L’Unione europea si sta muovendo nella direzione e alla velocità giusta o le resistenze di alcune parti politiche rischiano di compromettere il cammino green dell’Ue?

“Quello che si può osservare è una progressiva attenzione a livello normativo e tecnologico da parte dell'Unione Europea nei confronti del cambiamento climatico che ha portato effettivamente a una riduzione delle emissioni. Le emissioni negli ultimi venti, trenta anni nel complesso stanno diminuendo anche negli Stati Uniti”.

Si tratta di un miglioramento sufficiente in prospettiva?

“No. Infatti, nonostante l’impegno di Ue e Usa, le emissioni su scala globale stanno aumentando”. Ancora una volta, quindi, il passaggio cruciale sta nella consapevolezza che ci troviamo di fronte a una sfida comune: “La consapevolezza che il clima sia una questione globale è fondamentale. Il contrasto al cambiamento climatico – prosegue il professor Lionello – non può che passare attraverso strategie condivise a livello internazionale almeno dai principali emettitori che in questo momento sono l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Cina e l’India. Al tempo stesso però è importante essere consapevoli delle differenze tra i problemi ambientali e l’inquinamento”, sottolinea.

Dunque, se è vero che per contrastare il cambiamento climatico serve una sinergia internazionale, bisogna osservare che i singoli interventi dei Paesi sono fondamentali per i cittadini che vivono quei territori: “Da un punto di vista decisionale, è difficile che chi dà priorità al contrasto del cambiamento climatico non dia anche priorità alla lotta all’inquinamento e alla tutela degli ecosistemi. È vero che queste misure devono essere condivise a livello internazionale per contrastare l’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera. È anche vero, però, che le strategie e le decisioni anti inquinamento prese dalle istituzioni hanno effetti molto positivi sull’ambiente e sui servizi ecosistemici che riguardano i cittadini europei”.

Siccità, rischio desertificazione ed eventi atmosferici estremi: ci sono alcune zone dell’Italia a rischio nel prossimo futuro?

“Eviterei catastrofismi privi di fondamento scientifico. Sicuramente i dati testimoniano aumenti delle temperature medie importanti per gli ecosistemi e per l’ambiente in cui viviamo, ma non al punto da rendere inabitabili alcune zone d’Italia almeno nel medio termine. C’è una alterazione del ciclo idrologico, ma non tale da compromettere la sostenibilità delle risorse idriche, soprattutto se gestite in modo opportuno”.

Non ci sono e non ci saranno mai più le mezze stagioni?

“Tendiamo ad attribuire qualsiasi evento meteorologico al cambiamento climatico senza un'opportuna interfaccia scientifica. Spesso ci basiamo sui nostri ricordi, ma i nostri ricordi sono dei fallaci indicatori dei cambiamenti perché tendono a trascurare la variabilità e ricostruire dei paradigmi del nostro passato. Il fatto che questa interruzione della ciclicità delle stagioni venga concepita descritta ormai come ‘evidente’ non ha alcun riscontro nelle evidenze scientifiche”.

Delle prove scientifiche dell’alterazione non mancano, ma vanno trattate nella loro specificità: “Il riscaldamento è evidente; il cambiamento delle precipitazioni in alcuni territori è evidente; gli aumenti delle statistiche delle ondate di calore sono evidenti”, spiega il prof. Lionello, che aggiunge: “Anche l’alterazione del ciclo della stagionalità è evidente: l'inverno arriva un po’ dopo e finisce un po’ prima, l'estate comincia un po’ prima e finisce un po’ dopo. Ma non possiamo farne una deduzione scientifica perché abbiamo ancora pochissimi cicli stagionali su cui basare le nostre osservazioni”.

Il professore ci tiene però a sottolineare: “Molti effetti del cambiamento climatico sono evidenti e hanno natura antropogenica. Nel caso delle stagioni, la statistica è ancora insufficiente per dire che c'è un cambiamento definitivo del ciclo”.

Le variazioni nel Mediterraneo

A margine del rapporto sullo stato europeo del clima 2023 del Copernicus Climate Change Service e dell’Organizzazione meteorologica mondiale, l’appello del professore a valutare con rigore i fenomeni climatici è ancora più utile se si parla del Mediterraneo. La causa è scientifica: “Il Mediterraneo è una zona di transizione tra il clima subtropicale a sud, in gran parte del Nord Africa, e un clima oceanico umido o continentale-temperato a Nord”.

In cosa si traduce questa particolare condizione?

“Nel fatto che ogni piccolo spostamento di questa linea di transizione genera una variabilità. In particolare la variabilità della precipitazione è sempre stata una caratteristica della regione mediterranea, quindi della parte dell'Italia centro meridionale. Ci sono sempre stati lunghi periodi di scarse precipitazioni e lunghi periodi di intense precipitazioni.

Sicuramente stiamo alterando il clima rendendolo più caldo e meno piovoso su gran parte dell'Italia, le evidenze del riscaldamento ci sono tutte e da molti anni.

Le evidenze delle alterazioni dei regimi di precipitazione – conclude il professor Lionello – sono più sottili anche se cominciano a emergere e vanno nella direzione di una diminuzione delle precipitazioni su gran parte dell'Italia e di un aumento degli eventi estremi sul Nord Italia vanno in questa direzione”.

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