

Esteri
Belgorod, nuovo attacco in Russia: cosa sappiamo
"Putin è costantemente aggiornato sulla situazione"

Mosca annuncia di aver respinto un nuovo tentativo di attacco ucraino contro i residenti di Shebekino nella regione di Belgorod, al confine tra Ucraina e Russia. Ad affermarlo è stato oggi il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konashenkov, citato dalla Tass. “Questa mattina, le forze armate russe, assieme alle guardie di frontiera ed unità del Fsb (Servizio di sicurezza federale) hanno sventato il tentativo del regime di Kiev di compiere un atto terroristico contro i civili della città di Shebekino nella regione di Belgorod”, ha dichiarato il portavoce. “Formazioni terroristiche ucraine, composte da due compagnie di fanteria motorizzate e tank in appoggio hanno tentato un’incursione in territorio russo”, ha riferito il generale. Tutti gli attacchi delle formazioni ucraine sono state respinti, ha tenuto a precisare.
Il presidente russo Vladimir Putin viene “costantemente” aggiornato “in relazione alla situazione” nella zona di Shebekino, nella regione russa di Belgorod, vicina al confine con l’Ucraina. E’ quanto ha affermato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, in dichiarazioni riportate dall’agenzia russa Tass. Il leader russo, ha detto Peskov, riceve “costantemente rapporti” dal ministero della Difesa, dalle guardie di frontiera, dai servizi d’emergenza e dalle autorità locali. Gli attacchi delle forze di Kiev contro la regione russa di Belgorod al confine con l’Ucraina non influenzano il corso dell'”operazione militare speciale” ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. “Certamente, questo non può avere alcun effetto sul corso dell’operazione militare speciale”, ha detto il portavoce, citato dall’agenzia Tass.
La zona di “Novopetrovka, nel distretto urbano di Valuisky”, nella regione russa di Belgorod, “è sotto il fuoco dell’artiglieria militare ucraina” e “secondo le prime informazioni, due persone, due insegnanti, sono rimaste ferite”. Lo ha denunciato via Telegram il governatore della regione russa di Belgorod, Vyacheslav Gladkov. Sale, intanto, a otto il bilancio dei feriti degli attacchi attribuiti agli ucraini che nelle ultime ore hanno colpito nell’area vicina al confine con l’Ucraina. Gladkov ha riferito via Telegram di “bombardamenti” nella zona Shebekino che hanno danneggiato vari edifici.
Gruppi antigovernativi russi che combattono a fianco dell’Ucraina nella guerra contro la Russia hanno reso noto che stanno conducendo un’altra operazione di combattimento in territorio russo. I combattenti del Corpo dei volontari russi hanno registrato un video in cui affermano di dirigersi verso la città di Shebekino, nella regione russa di Belgorod, al confine con l’Ucraina. Le milizie russe pro Kiev hanno aggiunto di non poter organizzare l’evacuazione dei civili dagli insediamenti confinanti a causa dei bombardamenti di Mosca e hanno esortato i residenti a rimanere nei rifugi e di voler colpire gli uffici che fanno capo al ministero dell’Interno a Shebekino con sistemi di razzi a lancio multiplo.
Anche un altro gruppo anti Cremlino, la Free Russia Legion, ha annunciato per oggi un raid in territorio russo. Uno dei combattenti ha riferito essere vicini al confine russo e di prepararsi ad attraversarlo. “Molto presto, avanzeremo di nuovo sul territorio della Russia per portare libertà, pace e tranquillità. Grayvoron è solo l’inizio”, ha detto il combattente, riferendosi alla città dove si sono verificati gli scontri durante la precedente incursione nella regione di Belgorod.
Esteri
Ucraina-Russia, Kiev: “Droni iraniani realizzati con componenti europei”

Lo rivela un documento inviato da Kiev ai suoi alleati occidentali, ottenuto dal Guardian

I droni kamikaze iraniani utilizzati negli ultimi attacchi alle città ucraine sono stati realizzati con componenti europei, secondo un documento segreto inviato da Kiev ai suoi alleati occidentali con cui il governo ucraino chiede che missili a lungo raggio attacchino i siti di produzione in Russia, Iran e Siria.
Nella relazione di 47 pagine presentata ai governi del G7 in agosto, Kiev afferma che nei tre mesi precedenti ci sono stati più di 600 raid con veicoli aerei senza pilota (Uav) contenenti tecnologia occidentale. Secondo il rapporto ottenuto dal Guardian, 52 componenti elettrici prodotti da aziende occidentali sono stati rinvenuti nel drone Shahed-131 e 57 nel modello Shahed-136, che ha un’autonomia di volo di 2.000 km e una velocità di crociera di 180 km l’ora.
Cinque società europee, tra cui una filiale polacca di una multinazionale britannica, vengono citate come produttori dei componenti identificati. “Tra i produttori ci sono aziende con sede nei paesi della coalizione: Stati Uniti, Svizzera, Paesi Bassi, Germania, Canada, Giappone e Polonia”, sostiene il rapporto, secondo cui l’Iran ha già diversificato la propria produzione utilizzando una fabbrica siriana nel porto di Novorossiysk, ma la produzione di droni si sta spostando in Russia, nella regione centrale tartara di Alabuga.
Esteri
Donald Trump accusato di frode da giudice New York

La richiesta di danni è per 250 milioni di dollari
L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump e i suoi figli adulti sono stati accusati di frode. Il giudice della Corte Suprema di New York, Arthur Engoron, ha stabilito che Trump è responsabile di frode, nell’ambito del procedimento civile intentato dalla procuratrice generale Letitia James contro l’ex presidente.
L’ex presidente avrebbe commesso frodi per anni mentre costruiva l’impero immobiliare che lo ha catapultato alla fama e alla Casa Bianca, fornendo per circa un decennio false informazioni finanziarie gonfiando il valore degli asset fino a 3,6 miliardi di dollari nei confronti di banche e assicurazioni. Il giudice ha anche respinto la richiesta di Trump di archiviare il procedimento giudiziario. La richiesta di danni è per 250 milioni di dollari. Il processo potrebbe durare fino a dicembre.
Esteri
Iraq, incendio durante festa di matrimonio: almeno 100 morti

Dalle prime informazioni sembra che il rogo sia scoppiato a causa dei fuochi d'artificio
Almeno 100 persone sono morte e altre 150 ferite per un incendio divampato durante un matrimonio nel nord dell’Iraq. Centinaia le persone che stavano festeggiando ad Al-Hamdaniya, nella provincia settentrionale di Ninive, quando le fiamme si sono propagate nei locali dove era stato allestito il ricevimento. Non è ancora noto cosa abbia causato l’incendio, ma dalle prime informazioni sembra sia scoppiato a causa dei fuochi d’artificio.
I pannelli infiammabili presenti nella sede potrebbero aver alimentato le fiamme, provocando il rogo e la caduta di parti del soffitto. “L’incendio ha portato al crollo di parti della sala a causa dell’uso di materiali da costruzione altamente infiammabili e a basso costo che crollano in pochi minuti quando scoppia un incendio”, ha dichiarato la direzione della protezione civile irachena, citata dall’agenzia di stampa statale irachena Ina. Non è chiaro se nell’incendio siano morti o siano rimasti feriti anche gli sposi.
Esteri
Ucraina, Russia pronta a guerra fino a 2025

Mosca punta a raggiungere "gli obiettivi prefissati nell'operazione speciale". Zelensky: "Le sanzioni contro la Russia non bastano, ci penseremo noi"

La Russia si prepara a combattere la guerra in Ucraina fino al 2025, almeno. E’ l’obiettivo che il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, fissa in un discorso articolato nella riunione del consiglio con i vertici militari del paese. “Continuiamo ad aumentare la potenza di combattimento delle forze armate, anche attraverso la fornitura di armi moderne e il miglioramento dell’addestramento delle truppe, tenendo conto dell’esperienza di un’operazione militare speciale”, dice Shoigu.
“La coerente attuazione del piano di attività fino al 2025 ci consentirà di raggiungere gli obiettivi prefissati”, afferma il ministro, aggiungendo che le truppe del Distretto Militare Meridionale (Smd) riceveranno quest’anno cinquemila unità di moderno equipaggiamento militare. “Nel distretto militare meridionale quest’anno verranno implementate più di 170 misure organizzative, le truppe riceveranno cinquemila e cinquecento unità di armi ed equipaggiamenti moderni e sarà completata la messa in servizio di oltre cinquecento infrastrutture”.
Shoigu evidenzia che “dall’inizio dell’anno, il numero degli ufficiali nel distretto è aumentato di 11mila persone e il personale militare a contratto di 30mila unità”. Secondo il ministro, nel distretto militare meridionale “il sistema di addestramento al combattimento viene migliorato, i campi vengono modernizzati e sono introdotti nuovi materiali e mezzi tecnici”.
La potenza di fuoco della Russia è una priorità anche per il presidente ucraino. Volodymyr Zelensky afferma che un’analisi della situazione nell’industria militare russa dimostra che la pressione su Mosca dovrebbe essere aumentata.
“C’è stato anche un incontro separato con il Ministero della Strategia e dell’Industria a Stavka – dice il capo dello Stato ucraino – Ho visionato un rapporto dell’intelligence sulla situazione nell’industria militare russa. Possiamo vedere chiaramente quali aree di pressione sulla Russia dovrebbero essere rafforzate affinché le possibilità terroristiche non aumentino. Le sanzioni non bastano. Ci sarà di più. Ci saranno anche altre azioni nostre, ucraine, contro lo stato terrorista. Finché continua l’aggressione della Russia, anche le perdite della Russia dovrebbero farsi sentire”.
Sull’asse Mosca-Kiev, spazio alle news sull’ammiraglio Viktro Sokolov. Il comandante della flotta russa del Mar Nero secondo Kiev sarebbe morto nel raid compiuto nei giorni scorsi sul quartier generale di Sebastopoli. Nelle ultime ore, però, Sokolov è comparso in collegamento video nella riunione presieduta da Shoigu.
Le immagini rimbalzate online hanno ovviamente alimentato dubbi e domande. “Verificheremo”, la posizione del ministero della Difesa ucraino. Intanto, il video viene vivisezionato alla ricerca di elementi che possano fornire indicazioni utili. Il volto di Solokov è immobile durante il collegamento, l’ammiraglio non si muove praticamente mai.
Esteri
Casa Bianca, il cane di Joe Biden ha morso (ancora) un agente

Il pastore tedesco Commander protagonista di 11 morsi in 2 anni
Il cane del presidente Joe Biden ha morso un agente dei servizi segreti. Un’altra volta. Commander, pastore tedesco di 2 anni, secondo la Cnn ha all’attivo 11 morsi rifilati tra Casa Bianca e dintorni. L’ultimo episodio è avvenuto nella serata di lunedì 25 settembre, attorno alle 20. Un agente “è entrato un contatto con un animale della First Family ed è stato morso”, ha detto Anthony Guglielmi, responsabile della comunicazione dei servizi, in una nota alla Cnn. L’agente ha ricevuto le cure necessarie e sta bene. Commander aggiunge un’altra menzione speciale per episodi avvenuti tra la Casa Bianca e il Delaware, dove la famiglia Biden trascorre i periodi lontano da Washington.
Anche un altro pastore tedesco presidenziale, Major, in passato è stato coinvolto in vicende analoghe. Major ha lasciato la Casa Bianca dove Commander è arrivato nel 2021, con risultati evidentemente analoghi. Ad ottobre dello scorso anno, in particolare, il cane sarebbe sfuggito al controllo della First Lady Jill Biden e avrebbe ‘caricato’ un membro dello staff del Secret Service. I servizi segreti non sono formalmente responsabili della gestione dei cani e degli animali domestici con cui, però, inevitabilmente vengono a contatto.
Esteri
Nagorno Karabakh, allarme per i cristiani: “Rischiano lo sterminio”

Alessandro Monteduro (Acs-Italia): "Progetto di distruzione di un'intera popolazione"

I cristiani armeni “rischiano lo sterminio”. È l’allarme lanciato attraverso l’Adnkronos da Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs-Italia), commentando la crisi degli sfollati dal Nagorno-Karabakh dopo l’operazione avviata dall’Azerbaigian il 19 settembre e le condizioni accettate da Erevan per il cessate il fuoco che hanno spinto, spiega, “13.350 rifugiati” in Armenia.
“Aiuto alla Chiesa che Soffre è particolarmente vicina alle vittime di questa ingiustificata aggressione – sottolinea Monteduro – , in particolare ai cristiani armeni. Ancora una volta, un’intera comunità rischia lo sterminio”. Dalla guerra del 2020 per il controllo del Nagorno-Karabakh, “i drammatici segnali che si sono susseguiti nel tempo non lasciavano presagire nulla di positivo, e infatti, a fine settembre di quest’anno, il processo in corso ha subìto un ulteriore, drammatico peggioramento”, sottolinea Monteduro, precisando che a metà settembre 2023 nella regione contesa gli armeni sfollati erano 36mila, mentre altri 120mila vivevano in una condizione drammatica.
“Il blocco del ‘Corridoio di Lachin’ da parte dell’Azerbaigian ha messo in pericolo i cristiani armeni residenti nell’area e soprattutto impedito che giungessero i beni essenziali per i bisogni primari – prosegue il direttore di Acs – Anche le tensioni tra musulmani e cristiani si erano mantenute elevate e avevano comportato, oltre a numerose atrocità, la distruzione di molte chiese e altri luoghi sacri”.
“Le notizie che giungono testimoniano la coerente prosecuzione del progetto di distruzione di un’intera popolazione”, conclude Monteduro, ricordando come già il 20 settembre il presidente azero, Ilham Aliyev, avesse dichiarato conclusa l’operazione avendo ottenuto l’obiettivo, cioè la resa di quelle che ha definito “unità armene illegali”. L’Azerbaigian, ha aggiunto Aliyev, ha riconquistato la piena sovranità sull’area, con l’intendimento di trasformarla in un “paradiso”.
Il 21 settembre l’ambasciatore armeno Andranik Hovhannisyan, rivolgendosi al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, ha fornito qualche informazione sul concetto azero di “paradiso”. L’Azerbaigian sta attuando una “pulizia etnica” e sta commettendo un “crimine contro l’umanità. Questa non è una semplice situazione di conflitto, è un vero e proprio crimine contro l’umanità e dovrebbe essere trattato come tale”, ha affermato il diplomatico.
Esteri
Ucraina-Russia, Medvedev: “Poche alternative a scontro diretto con la Nato”

Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo: "Siamo pronti", l'Alleanza Atlantica "si è trasformata in un'alleanza apertamente fascista simile all'Asse di Hitler"

Alla Russia sono rimaste poche opzioni se non lo scontro diretto con la Nato. Lo ha detto il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev su Telegram, precisando che “sembra che alla Russia siano rimaste sempre meno scelte se non quella di impegnarsi in un conflitto di terra diretto con la Nato, che si è trasformata in un’alleanza apertamente fascista simile all’Asse di Hitler, solo di dimensioni maggiori”.
Medvedev ha elencato diversi eventi che rendono più probabile uno scontro diretto tra Russia e Nato, fra i quali la consegna di carri armati Abrams di fabbricazione statunitense, la promessa di inviare Atacms a lungo raggio in Ucraina e i legami tra le autorità canadesi e Kiev.
“Siamo pronti (per il conflitto) – ha quindi affermato – anche se il risultato avrà per l’umanità un costo molto maggiore rispetto al 1945”, ha concluso Medvedev.
Esteri
Ucraina, enigma Nord Stream: a un anno dalle esplosioni è ancora mistero

Le indagini di tre Paesi hanno tentato, finora senza successo, di ricomporre il puzzle di questo thriller nel Mar Baltico

È passato un anno da quando una serie di esplosioni sottomarine danneggiarono gravemente i gasdotti Nord Stream 1 e 2, acuendo le tensioni geopolitiche già forti per l’invasione dell’Ucraina. Le indagini di tre Paesi hanno tentato, finora senza successo, di ricomporre il puzzle di questo thriller nel Mar Baltico, in un contesto in cui tutte le parti in conflitto – vale a Mosca e Kiev – sembravano avere un movente o avrebbero potuto trarre vantaggio dall’accaduto. Il sabotaggio ad oggi rimane un enigma.
Il 26 settembre del 2022 al largo dell’isola danese di Bornholm si verificarono quattro enormi fughe di gas, precedute da esplosioni sottomarine a distanza di poche ore l’una dall’altra, sui Nord Stream 1 e 2, i gasdotti che collegano la Russia alla Germania e che trasportavano la maggior parte del gas russo verso l’Europa. Le esplosioni vennero subito denunciate dalle autorità occidentali come un pericoloso atto di sabotaggio. Secondo l’Agenzia danese per l’energia, le tre sezioni danneggiate contenevano 778 milioni di metri cubi di gas naturale e la fuoriuscita risultante è stata probabilmente una delle più grandi perdite di gas metano nell’atmosfera.
Le implicazioni del sabotaggio erano significative: un attacco alle infrastrutture critiche di uno Stato membro della Nato minacciava di trascinare in guerra l’Unione Europea e l’Alleanza. Inoltre la tempistica dell’attacco era molto sospetta dal momento che in quella fase l’Europa stava cercando di sottrarsi alla dipendenza dall’energia russa.
L’attacco suscitò scalpore a livello mondiale, ma in realtà non ebbe effetto immediato sull’approvvigionamento energetico dell’Europa. A quel tempo, infatti, la società energetica statale russa Gazprom aveva interrotto la fornitura di gas tramite il Nord Stream 1, mentre il gasdotto gemello Nord Stream 2, completato alla fine del 2021 e per molti anni oggetto di contesa tra Berlino e Washington, non è mai entrato in servizio. Quest’ultimo era un progetto da 11 miliardi di dollari che gli ucraini, così come gli statunitensi, temevano avrebbe concesso alla Russia un’eccessiva influenza sulla sicurezza energetica dell’Europa.
A un anno di distanza non è ancora chiaro chi abbia fatto saltare in aria i gasdotti Nord Stream. Mentre alcuni funzionari sostengono che l’operazione abbia avuto una complessità tale da poter essere portata avanti solo da uno Stato, altri ritengono che la scarsa profondità delle pipeline abbia reso possibile l’intervento di attori non statali. Ciò su cui tutti sono d’accordo è che l’attacco è stato deliberato. “Si tratta di azioni deliberate, non di un incidente”, disse ai giornalisti il primo ministro danese Mette Frederiksen subito dopo l’incidente.
Mosca e Kiev hanno entrambe negato ogni responsabilità. Inizialmente i funzionari statunitensi ed europei avevano incolpato la Russia, ma questa idea è cambiata man mano che le indagini si sono sviluppate.
Nel dicembre 2022, un funzionario europeo affermò al Washington Post che a quel punto non vi erano prove conclusive che suggerissero un coinvolgimento russo, un’opinione che ha trovato conferma poi nei mesi successivi. E questo nonostante alcuni servizi segreti occidentali avessero dimostrato la presenza di navi da guerra russe intorno ai luoghi degli attacchi nelle settimane precedenti le esplosioni.
A febbraio, il giornalista americano Seymour Hersh sostenne in un articolo su Substack basato su una fonte anonima che sarebbero stati sommozzatori della Marina statunitense, operando sotto copertura durante un’esercitazione Nato con la Norvegia nel Mar Baltico, a piazzare esplosivi sui due gasdotti nell’estate del 2022, ricevendo successivamente l’ordine di farli esplodere in risposta all’invasione della Russia. L’Amministrazione Biden ha categoricamente negato l’accusa.
A marzo, funzionari occidentali avevano dichiarato al Washington Post che alcune informazioni – basate su comunicazioni di intelligence – suggerivano la mano di un gruppo filo-ucraino, che forse avrebbe operato all’insaputa di Kiev. Lo stesso quotidiano rivelò – secondo documenti di intelligence trapelati e condivisi sulla piattaforma di Discord – che mesi prima delle esplosioni la Cia aveva appreso da un alleato che l’esercito ucraino aveva pianificato un attacco segreto ai Nord Stream.
Le ipotesi si sono susseguite quasi senza soluzione di continuità. Un ex ufficiale dell’intelligence navale britannica sospettò una nave scientifica russa, la Sibiriakov, mentre il quotidiano danese Information puntò il dito contro la SS-750, un’altra nave russa specializzata in operazioni subacquee dei marine e presente nella zona poco prima delle esplosioni. “L’ipotesi principale è che dietro” il sabotaggio ci sia uno Stato, ha affermato ad aprile il procuratore svedese Mats Ljungqvist, aggiungendo che gli autori sapevano “molto bene che avrebbero lasciato tracce”.
Gli investigatori tedeschi, nello specifico, si sono concentrati invece sul ruolo di un’imbarcazione noleggiata sotto falsa identità e sospettata di essere stata utilizzata per trasportare gli esplosivi utilizzati nell’attacco. Seguendo questa pista, i media tedeschi Der Spiegel e Zdf noleggiarono questa barca a vela lunga 15 metri, la ‘Andromeda’, per ricostruire il viaggio che – secondo loro – un equipaggio ucraino composto da cinque uomini e una donna avrebbe compiuto dal porto tedesco di Rostock all’isola danese di Bornholm. La conclusione cui sono arrivati Der Spiegel e Zdf è che tutte le piste puntano a Kiev, definendo i risultati “politicamente sensibili”.
Il coinvolgimento ucraino sarebbe molto difficile da gestire per gli alleati occidentali di Kiev, mentre per Andreas Umland, analista del Centro studi sull’Europa orientale di Stoccolma, uno scenario che coinvolga la Russia è “il più probabile”. Poiché Mosca aveva interrotto i flussi verso l’Europa come presunta ritorsione per le sanzioni occidentali, il sabotaggio avrebbe potuto consentire di “prendere due piccioni con una fava”, ha ritenuto Umland. Da un lato, liberare Gazprom, azionista di maggioranza dei gasdotti, dalle richieste di risarcimento da parte dei suoi clienti invocando un caso di ‘forza maggiore’. Dall’altro, continua l’esperto, gettare sospetti su Kiev e “distruggere la reputazione dell’Ucraina”.
Germania, Danimarca e Svezia hanno aperto separatamente indagini sull’attacco e continuano a collaborare sulla questione, ma finora non hanno raggiunto risultati concreti. “La natura degli atti di sabotaggio non ha precedenti e le indagini sono complesse”, hanno affermato i tre Paesi in una lettera inviata a luglio al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Esteri
Nagorno, direttore Caritas Armenia: “Numero sfollati salito a 19mila, serve aiuto Ue”


“Abbiamo appena ricevuto la notizia che il numero degli sfollati è salito a 19mila. Queste persone arrivano con problemi psicologici, soffrono di depressione, non hanno vestiti, non hanno niente con loro”. Gagik Tarasyan è il direttore della Caritas armena e racconta all’Adnkronos da Gyumri – la seconda città dell’Armenia dove si trova la sede principale dell’organizzazione che presiede – la fuga degli armeni dal Nagorno-Karabakh dopo “l’operazione antiterrorismo” iniziata il 19 settembre dall’Azerbaigian.
“Certamente” per fronteggiare quest’emergenza, che cresce di ora in ora, “avremmo bisogno dell’aiuto dell’Europa”, dichiara Tarasyan, che in queste ore sta lavorando a un ‘concept note’ da sottomettere alle Caritas internazionali e agli altri partner per chiedere “soprattutto cibo, ma non solo”.
Al lavoro insieme a più di 20 persone mobilitate per la crisi degli sfollati, il direttore elenca le loro necessità più urgenti. “Ripari per la notte, cibo, supporto medico e sostegno psico-sociale”, spiega, precisando che le persone in fuga dal Karabakh hanno bisogno di beni essenziali come pacchi di cibo con pasta, riso, latte, zucchero, patate, carne in scatola e kit igienici.
La Caritas armena denuncia quindi che durante le cosiddette “attività antiterrorismo” le forze armate azere hanno preso di mira anche edifici residenziali, case e civili. L’Azerbaigian ha affermato che avrebbe evacuato anche la popolazione armena proveniente da “aree pericolose” che hanno innescato timori immediati di “pulizia etnica”, aggiunge Tarasyan, rimarcando che il governo di Erevan si è impegnato a fornire alloggio ai rifugiati in arrivo che “non hanno un luogo di residenza predeterminato” in Armenia.
L’esodo ha causato un enorme ingorgo sulla strada che collega l’Armenia al Nagorno Karabakh. Le autorità di Stepanakert, nome armeno del capoluogo della regione contesa, hanno esortato la restante popolazione, composta da oltre 100mila abitanti, a sospendere per il momento le partenze per consentire loro di evacuare prima i feriti e gli sfollati causati dall’offensiva azera. Una dichiarazione rilasciata questa mattina sottolinea che “tutti i cittadini che desiderano trasferirsi dall’Artsakh all’Armenia avranno questa opportunità”.
Esteri
Un presidente sudcoreano a Buckingham Palace, prima volta in 10 anni

Re Carlo e la regina Camilla si preparano ad accogliere Yoon Suk Yeol e consorte

Buckingham Palace si prepara a ospitare il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol e la consorte, Kim Keon Hee. Yoon sarà nel Regno Unito a novembre. Per Re Carlo III e la regina Camilla, appena rientrati dalla visita in Francia, sarà il secondo ospite straniero dopo il presidente sudcoreano Cyril Ramaphosa, accolto lo scorso anno. Yoon, 62 anni, ha accettato un invito di re Carlo, riportano i media britannici, precisando che i dettagli della visita non sono stati ancora rivelati. Potrebbe esserci in agenda un incontro con il premier Rishi Sunak.
Il sovrano, 74 anni, aveva già incontrato Yoon il giorno precedente i funerali della regina Elisabetta, morta l’8 settembre dello scorso anno all’età di 96 anni. Ma risale al novembre 2013 l’ultima visita nel Regno Unito di un presidente sudcoreano (all’epoca Park Geun-hye). Nel 1992 Carlo era stato in Corea del Sud, accompagnato da Diana.
La presidenza sudcoreana ha confermato che dopo il viaggio nel Regno Unito, “significativo” perché il primo dall’incoronazione di Carlo e perché arriva in occasione dei 140 anni dall’avvio di relazioni diplomatiche, Yoon andrà in Olanda su invito di re Willem-Alexander.
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