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Cultura

60^ Biennale di Venezia, pittura e poesia protagoniste del...

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60^ Biennale di Venezia, pittura e poesia protagoniste del Padiglione Venezia di cui Bper Banca è main partner

Si intitola “Sestante domestico” l’allestimento del Padiglione Venezia curato da Giovanna Zabotti in occasione della 60^ edizione della Biennale, tra le più prestigiose manifestazioni internazionali dedicate all’arte contemporanea. Realizzato in collaborazione con Bper Banca, in qualità di main partner, l’allestimento è stato presentato a Ca’ Farsetti alla presenza del primo cittadino della città lagunare, Luigi Brugnaro, e della responsabile direzione comunicazione di Bper Banca, Serena Morgagni.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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A Spazio Field di Palazzo Brancaccio in mostra ‘Women...

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A Spazio Field di Palazzo Brancaccio in mostra 'Women religion war'

Venerdì prossimo Spazio Field apre le porte del piano nobile di Palazzo Brancaccio, a Roma, per presentare al pubblico il progetto artistico di Silvia Mattioli, Women religion war. A cura di Marco Dionisi Carducci, la mostra aperta al pubblico dal 19 aprile al 6 settembre 2024, è il prodotto di uno studio-laboratorio di performance e body art sull’immaginario femminile tra guerra e religione. Temi, questi, di assoluto predominio storico, ma che da sempre hanno relegato la donna su un piano secondario. Attraverso tavole fotografiche, installazioni, performance audiovisive, Silvia Mattioli racconta la sua narrazione raffinata e consapevole. Un eclettismo artistico libero e maturo.

Artista visiva, videomaker, regista, autrice teatrale, davanti agli scatti fotografici di Alberto Guerri, Silvia Mattioli rompe volutamente gli schemi, sovverte quelle regole che le logiche di potere hanno scelto per la donna. Nei suoi set, rievocazione del tableau vivant di cortigiana memoria, i corpi femminili riempiono la scena, ribadendo la propria esistenza (e resistenza), la propria storia, la propria identità, la propria spiritualità. Travestimenti, rivisitazioni, alterazioni in cui il corpo femminile si mette in gioco (in francese jouer è recitare), porgendo allo spettatore una chiave di lettura differente rispetto all’universalismo maschile.

"L’artista si riappropria di canoni espressivi culturali e sociali invalicabili, mediante una narrazione di matrice classica basata sull’immagine, in grado di fornire al pubblico una lettura alternativa e controtendenza, ma anche la netta denuncia della guerra e di ogni tipo di violenza, in primis nei confronti della donna", spiega la nota del curatore Marco Dionisi Carducci. In Women religion war, l'artista concettuale "utilizza l’immagine di un set di cui è attrice e autrice. Le sue storie sono dei tableaux vivant di cortigiana memoria. Quadri viventi senza voce e movimento che nell’Ottocento hanno segnato la nascita del teatro moderno. Le donne ritratte non nascondono, nella narrazione cruda e d’impatto, una loro psicologia. Ne emerge tutto il carattere nella tavola L’eredità del gioco, allusione emblematica sul legame complesso che vincola l’universo femminile al gioco e alla libertà di espressione. Inseguire i propri sogni o restare vittime del giudizio comune? La donna esiste, resiste e sprigiona la propria umanità in contesti storicamente avversi".

"L’autrice si fa erede delle pennellate di Artemisia Gentileschi, pittrice di scuola Caravaggesca, così come dei ritratti femminili cinematografici di Antonio Pietrangeli, le cui sceneggiature per la prima volta hanno dato alle donne un’anima. Anche la luce non risparmia il legame con la tradizione. Luce come mezzo espressivo, tonalità che accompagna e valorizza l’emotività della scena, guidandone la resa narrativa. Nella tavola Cuore viola luce e panneggi ci rimandano alla tradizione Caravaggesca, mentre l’aspetto cromatico quasi inconsapevolmente abbraccia la memoria Rinascimentale che affonda le radici nei lavori del Masaccio", sottolinea Marco Dionisi Carducci.

Nelle scene, immortalate dagli scatti di Alberto Guerri, emerge chiaro "il contrasto tra i temi trattati e gli oggetti, spesso giocattoli - prosegue il curatore - Sono le armi innocue delle donne, che si prendono il palcoscenico della storia senza avere la capacità di far male. Il gioco, in contrasto con la sua origine etimologica, è portavoce della provocazione. Non ha la velleità di cambiare il corso delle vicende, ma di far riflettere. È la forza del cinema, del teatro, nello specifico dell’arte del recitare, che nella lingua francese è jouer (play in inglese). La nobilitazione del gioco ci fornisce gli strumenti per farci domande, come la grande Commedia all’italiana". I ninnoli di plastica reinterpretano la guerra e la religione, "un po’ come fatto dal trio de La Smorfia oltre quarant’anni fa. Nello sketch teatrale prestato alla televisione La Natività ('Annunciazione! Annunciazione!'), Troisi, Decaro e Arena mettono in scena la loro reinterpretazione del sacro giocando con dei giocattoli. Un gioco serio, rivoluzionario, che porterà all’accusa di vilipendio della religione di Stato. La reinterpretazione del mito, come Medusa e Atena; della religione, come la suggestiva e inquietante (si, inquietante) Pietà rossa di carattere Michelangiolesco. L’autrice profana l’iconografia classica nel già definito 'surrealfemminismo', ricostruendo ponderatamente l’immagine della donna mediante fisicità e intelletto".

La mostra allo Spazio Field di Palazzo Brancaccio (via Merulana 248 - Roma), dal 19 aprile al 6 settembre 2024, è ad ingresso libero su appuntamento. Per informazioni scrivere a info@spaziofield.com

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Cultura

Iran-Israele, lo scrittore iraniano Ziarati: “attacco...

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"Propaganda da ambedue le parti per far parlare di altro: Netanyahu ha interesse a spostare la tensione sulla crisi, coinvolgendo la Repubblica Islamica in questa guerra, perché vuole entrare a Rafah, mentre in Iran esattamente nello stesso giorno la polizia morale ha ripreso a dare la caccia alle donne malvelate".

Iran-Israele, lo scrittore iraniano Ziarati:

L'attacco dell'Iran contro Israele ha tutte le caratteristiche di "un'azione di propaganda sia da una parte che dall'altra. Una propaganda che serve, a ciascuna parte, come arma di distrazione di massa. Bibi Netanyahu ha tutto l'interesse a spostare la tensione sulla crisi con l'Iran, coinvolgendo la Repubblica Islamica in questa guerra, perché vuole entrare a Rafah. Mentre, dall'altra parte, in Iran, combinazione, esattamente nello stesso giorno la polizia morale ha ripreso a dare la caccia alle donne malvelate, ad arrestarle, picchiarle, multarle eccetera". E' l'analisi di Hamid Ziarati, scrittore, ingegnere e insegnante iraniano naturalizzato italiano, che - sentito dall'Adnkronos - esaminando alcuni 'numeri' (quelli dei droni e dei missili lanciati contro Israele) dell'attacco di sabato scorso, sottolinea come "a pagare il prezzo più alto di questa propaganda" ci sia "la popolazione civile palestinese e quella iraniana, per non parlare di quello che hanno pagato già gli israeliani, per la follia di pochi disperati il 7 ottobre".

"Io non sono certo un politologo - premette Ziarati, in questo periodo al lavoro su un nuovo romanzo - ma un cittadino che cerca di vedere le cose come accadono". E quanto accaduto sabato "apre un punto interrogativo, perché, a sentire i generali dei Pasdaran e la tv della Repubblica Islamica, loro sostengono di aver colpito più degli obiettivi rispetto agli obiettivi che si erano prefissati. E questa è la propaganda dei Pasdaran in Iran. Dall'altra parte - prosegue l'autore de 'Il meccanico delle rose' e di 'Salam, Maman' - sento le notizie occidentali, dai telegiornali, radio, tv, dicono che il 99% tra i missili e i droni sono stati abbattuti. Poi leggo che in totale sono stati lanciati oltre 300 tra missili e droni. Allora, se la matematica è una scienza esatta - calcola - il 99% vuol dire che ogni 100, uno dei droni o dei missili ha colpito, e su 300 vuol dire che solo tre hanno colpito, eppure dai filmati e dalle notizie che arrivano la situazione sembra molti più grave ".

Hamid Ziarati - che in Iran ha ancora cugini e tanti amici tra artisti, attori, scrittori, registi, mentre ormai tutta la sua famiglia è in Italia da anni - ricorda infine come il suo Paese viva una "pessima situazione economica, con un'inflazione galoppante , che aumenta di giorno in giorno, dal momento che in Iran tutto si acquista e si vende guardando al mattino il prezzo del dollaro. Dunque, chi ci rimette è sempre il popolo che non c'entra niente, non subisce i bombardamenti ma subisce poi la fame. E parlare dei missili iraniani contro Israele, distrae dalla fame e dalla Polizia morale che sta dando caccia alle donne per le strade".

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Giacomo Matteotti, dimenticato e attuale: “Io vi...

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Il libro (Utet) è un'inchiesta pubblica e privata ricostruita con taccuino e macchina fotografica

"La memoria di Matteotti è stata calpestata. Il suo monumento, sul Lungotevere, a me pare lo specchio di questo mancato riconoscimento: è brutto, incomprensibile per chi vi passa, mai illuminato col buio...". Le parole sono di Concetto Vecchio , quirinalista del quotidiano La Repubblica e autore di un libro, 'Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi' (Utet), che è, insieme, inchiesta giornalistica, scrittura cinematografica, biografia politica, ritratto psicologico, storia. Sono parole significative perché identificano il punto di vista con il quale ha scelto di ricostruire, raccontare, e ridare dignità al profilo di un uomo che, nonostante lo spessore, è uscito troppo poco dai manuali scolastici.

Per questo, Concetto Vecchio definisce il libro "un’inchiesta su una dimenticanza", perché Giacomo Matteotti "venne, a lungo, oscurato anche a sinistra, specie dai comunisti, perché da riformista socialdemocratico era stato troppo in anticipo sui tempi, e dirsi socialdemocratico era una sorta di bestemmia nel lungo Dopoguerra italiano".

Individuata la premessa, l'intuizione che ha fatto nascere e crescere l'interesse per il personaggio, è servito poi il metodo per portare a termine un lavoro che, in poco più di 200 pagine, riesce ad andare oltre il timore che Concetto Vecchio confessa nei ringraziamenti del libro, quel "Matteotti mi faceva paura" con cui descrive il suo iniziale 'no' alla proposta del suo editore. E' stato necessario mettersi in gioco fino in fondo per allontanare quella paura. "Da giornalista io vado nei posti matteottiani col mio taccuino e la macchina fotografica, faccio parlare la coppia che ha messo la targa sul muro di via Pisanelli 40, da dove Matteotti uscì per andare incontro alla morte, (“senza chiedere permesso a nessuno”, mi ha detto l’avvocato Marocchi), scovo Franco Nero, l’unico (!) volto di Matteotti al cinema, do voce a Stefano Caretti, il più grande studioso di Matteotti che lontano dai riflettori, e snobbato dalle grande case editrici, ha tenuto viva la memoria del martire, e infine incontro Laura Matteotti, la nipote di Giacomo, che mi racconto di come la morte del nonno fosse un tabù: quelle ultime dieci pagine sono la chiave della indagine, il senso di tutto".

Va letta tutta questa "inchiesta sul trauma pubblico (perché Matteotti venne dimenticato) ma anche privato (che cosa succede nelle famiglie, anche a distanza di generazioni, dopo un delitto politico?)". E il lettore deve abbandonarsi alla prospettiva che gli concede l'autore, senza risparmiarsi, accettando di seguirlo. Si arriva, attraverso pagine in cui trova spazio anche "l’amore con Velia, la moglie, il cui rapporto sfocia nel romanzesco", alla dimensione attuale del profilo di Matteotti. "Risiede nella sua difesa strenua del Parlamento, della democrazia, della scuola pubblica (a Benedetto Croce, a Montecitorio, disse: “Voi state speculando sulle nuvole. Qui non si viene con i libri di estetica ma con dei programmi pratici”): oggi si batterebbe per la sanità pubblica", sintetizza Vecchio.

Il peso del Matteotti antifascista è ben presente. "Capì per primo la forza distruttrice del fascismo, ma fu solo nella lotta, e quindi questo è anche un libro sulla solitudine di un politico", sostiene l'autore. Vecchio, quindi, riferendosi alla cultura, alla competenza, e allo spessore del politico, ricorda: "Proprio perché il più bravo venne fatto uccidere dagli sgherri di Mussolini". Ma la sua storia, nella ricostruzione dell'autore di 'Io vi accuso', "è anche una lezione per la sinistra di oggi, perché Matteotti fu concreto, popolare, si sporcò le mani nella fatica di ogni giorno, conscio che è nella lotta alle disuguaglianze la missione di un socialista". Oggi, conclude, "Matteotti sarebbe ogni giorno in periferia!". (Di Fabio Insenga)

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