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Economia

Baccini: “Aeroporto Fiumicino top in Europa, ora si pensi a far crescere città”

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“Il risultato del primato raggiunto da Fiumicino con l’assegnazione delle cinque stelle Skytrax e la conferma di miglior aeroporto d’Europa per il quinto anno consecutivo è motivo di orgoglio per tutta la città e non solo. Ora a questa crescita maturata grazie ad un impegno costante ed una gestione oculata di cui va reso merito anche all’ad Marco Troncone, dovremmo pensare a far sviluppare parimenti la città. Con un aeroporto così performante è necessario che la città di Fiumicino tenga il passo e sviluppi servizi e infrastrutture adeguate a ricevere e accogliere la crescente mole di passeggeri che ogni giorno affollano e affolleranno negli anni a venire il Leonardo Da Vinci, soprattutto in vista del prossimo grande evento del Giubileo”. Lo afferma Mario Baccini, candidato sindaco, commentando i dati sulle performance dell’aeroporto Da Vinci diffusi da Adr. 

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Coronavirus

Aeroporti, Borgomeo: “In Italia crescita superiore a Ue”

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Gli aeroporti italiani bruciano le tappe e puntano ad arrivare al pieno recupero dei livelli di traffico pre-covid anche prima dell’obiettivo europeo del 2025. Le premesse ci sono tutte grazie a una crescita nel 2022 superiore alla media Ue e alla buona partenza nel 2023. È questo lo scenario che il presidente dei Assaeroporti, Carlo Borromeo, tratteggia all’Adnkronos. “Le stime diffuse a livello europeo collocano al 2025 il pieno recupero dei livelli di traffico pre-pandemia. Noi – sottolinea – ci attendiamo di raggiungere più velocemente questo risultato, soprattutto considerando che l’Italia ha già registrato volumi di traffico passeggeri superiori alla media UE. Il nostro Paese, infatti, ha chiuso il 2022 con l’85% dei viaggiatori del 2019, l’Europa invece con il 79%. E a gennaio abbiamo recuperato il 96,6% del traffico rispetto alla media dell’89% segnata a livello Ue.  

“Sono stati inoltre diversi gli aeroporti italiani che già nel 2022 hanno superato il 2019. Con l’avvio della stagione estiva 2023 dovremmo assistere – evidenzia ancora Borgomeo- ad un’ulteriore crescita guidata sia dagli aeroporti medi e piccoli a prevalente vocazione turistica sia dal progressivo recupero del traffico internazionale da parte degli aeroporti di grandi dimensioni”. 

Intanto, per Borgomeo, L’esclusione degli aeroporti da Pnrr non è una “partita chiusa”. “Ci sembra di cogliere, a livello delle istituzioni nazionali ed europee, un affievolimento delle posizioni, a nostro avviso sostanzialmente ideologiche, che hanno portato alla tassativa esclusione del trasporto aereo dal Pnrr . Abbiamo,inoltre, fatto un lavoro molto serio e rigoroso definendo la mappa degli investimenti green e digitalche gli aeroporti italiani sono pronti a realizzare, alcuni anche immediatamente. D’altra parte,l’impegno degli scali nazionali sul versante della sostenibilità è molto pronunciato, come dimostrano diverse classifiche che ci vedono ai primissimi posti a livello europeo”. 

“Noi chiediamo risorse pubbliche, del Pnrr o del Fse, non perché vogliamo che gli investimenti siano a totale carico del settore pubblico, ma – puntualizza Borgomeo – per consentirci di accelerare i tempi di realizzazione degli investimenti necessari, che – assicura – comunque faremo. Questi ultimi hanno costi consistenti e non possono essere sostenuti in autofinanziamento dai gestori e neppure “scaricati” sulle tariffe”. 

“È chiaro – rileva ancora il presidente di Assaeroporti- che realizzare in tempi ragionevolmente brevi gli investimenti programmati è decisivo anche nel quadro della competizione internazionale, sempre molto accesa nel comparto del trasporto aereo. La questione riguarda tutti gli scali, grandi e piccoli, anche se ovviamente quelli di minori dimensioni sono meno esposti alla concorrenza internazionale”. 

Guardando poi al varo del nuovo piano nazionale degli aeroporti, “abbiamo auspicato che, contrariamente al passato, questo Piano Nazionale diventi un vero e proprio riferimento per le politiche del settore’”, sottolinea Borgomeo. “Abbiamo apprezzato alcuni punti fondamentali, quali il richiamo alla centralità del trasporto aereo nelle politiche nazionali; la necessaria attenzione ai temi della intermodalità; il giudizio relativo all’importanza della diffusa dotazione di scali, anche piccoli, nel nostro Paese, in vista del prevedibile ulteriore incremento del traffico aereo; la rilevanza data alla costituzione di reti aeroportuali”. 

Ma ci sono anche delle ombre “abbiamo anche avanzato – spiega Borgomeo – qualche riserva sulla classificazione degli scali, formulata senza l’indicazione dei criteri che hanno suggerito la classificazione stessa; sugli incentivi per i quali è previsto un meccanismo poco chiaro e dettato da un approccio al tema che non condividiamo; ed infine sulla prevista esclusione di molti scali anche di dimensioni medio-grandi dal cargo. La naturale – e positiva – concentrazione nello scalo di Malpensa non può determinare automaticamente l’esclusione di altri scali”.  

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Economia

Auto, accordo 2035: e-fuel e biocarburanti, cosa dice l’Italia

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L’accordo tra Ue e Germania per prorogare oltre il 2035 la registrazione di nuovi veicoli con motori a combustione interna non contempla i biocarburanti, a giudicare dalle parole del vice Presidente della Commissione, Frans Timmermans, che ha fatto riferimento solo al “futuro impiego degli e-fuel”. 

I biocarburanti almeno per ora non sono considerati. A differenza degli e-fuel, i biocarburanti sono prodotti diesel realizzati con gli scarti di vegetali (colza, soia, mais) che non sono indicati per l’uso alimentare. I biocarburanti ottenuti alla fine del processo sono il bioetanolo, realizzato attraverso fermentazione, e il biodiesel, che richiede passaggi chimici e che viene sottoposto ad un procedimento di raffinazione. 

I biocarburanti alimentano i motori termici sviluppando l’anidride carbonica contenuta nei materiali vegetali utilizzati all’inizio del processo di produzione: per questo, il loro impatto ambientale viene considerato ridotto. 

“Noi stiamo dimostrando come anche i biocarburanti rispettano le emissioni zero e non c’è neanche bisogno di specificarlo tecnicamente, perché se quella tecnologia risponde a quei target può essere utilizzata”, ha detto la premier Giorgia Meloni nel summit andato in scena a Bruxelles venerdì 24 marzo. 

“Il governo è determinato a proseguire nella strada del buonsenso: a tutela di posti di lavoro, ambiente e attività produttive e per non fare solo un enorme regalo alla Cina è necessario che l’Europa apra anche ai biofuels”, dice oggi il vicepremier Matteo Salvini. 

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Economia

Auto, cosa sono gli e-fuel: come si producono, quanto costano

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Ue e Germania raggiungono l’intesa per consentire la registrazione di veicoli con motori a combustione interna dopo il 2035. L’accordo ruota anche attorno al ruolo degli e-fuel, i carburanti di origine sintetica. 

Cosa significa e-fuel? Cosa sono e come vengono prodotti? Il termine e-fuel è l’abbreviazione di electrofuel, che indica i carburanti sintetici – allo stato liquido o gassoso – ottenuti con un processo che sfrutta l’elettrolisi dell’acqua e la sintesi di anidride carbonica. Il risultato finale è un carburante simile a benzina o diesel, che però sono carburanti fossili. La realizzazione di e-fuel avviene con una produzione ridotta di emissioni, poiché il processo di elettrolisi viene azionato da energie rinnovabili. 

L’iter produce idrogeno e monossido di carbonio destinati ad essere combinati con sostanze catalizzanti. Il risultato, in forma liquida, può sostituire i carburanti tradizionali o essere miscelato con questi ultimi per ridurre l’impatto ambientale. Per arrivare al prodotto finale, però, al momento è necessaria un’enorme quantità di acqua da utilizzare nel corso del procedimento e bisogna considerare i costi legati all’energia che deve essere esclusivamente prodotta da fonti rinnovabili. 

Questi elementi sono destinati ovviamente sul costo che dovrà sostenere il consumatore. Un dato ‘a favore’ è rappresentato dalla possibilità di utilizzare infrastrutture esistenti per lo stoccaggio e la distribuzione degli e-fuel: non sono necessari nuovi impianti ad hoc. 

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Economia

Città, ecco quanto spendono per infrastrutture stradali

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Quanto costano alle città italiane le infrastrutture stradali (TABELLA GENERALE, 1)? A rivelarlo un report realizzato per l’Adnkronos dalla Fondazione Gazzetta Amministrativa della Repubblica italiana, che, nell’ambito del progetto ‘Pitagora’, ha stilato una classifica dei costi sostenuti nel 2021 dai capoluoghi di Provincia (per questa voce di spesa non sono presi in esame i dati delle Regioni in quanto in questo caso non comparabili) per il mantenimento dei loro uffici e delle loro strutture, con tanto di assegnazione di rating.  

Il Centro Ricerche della Fondazione, infatti, analizza tutti i dati finanziari ufficiali dell’ente pubblico in questione e attraverso algoritmi di ricerca scientifica individua potenziali sprechi, ovvero spese critiche nei conti pubblici. Le spese dell’ente in relazione alle singole voci vengono confrontate con il benchmark di riferimento e, a seconda dei livelli di scostamento di spesa individuati, si parla di ‘performance positiva’ (quando la spesa è inferiore o uguale alla media), ‘scostamento lieve’ (quando la spesa è compresa tra la spesa media e il 30% in più), ‘scostamento considerevole’ (quando la spesa è compresa tra lo scostamento lieve e il 100% in più), ‘spesa fuori controllo’ (quando la spesa supera di oltre il 100% la spesa media). Il rating – che si basa esclusivamente su dati contabili oggettivi scevri da qualsiasi valutazione discrezionale – assegna alla migliore performance la tripla ‘A’, mentre alla peggiore viene attribuita la lettera ‘C’. 

16 capoluoghi promossi con AAA per spesa infrastrutture stradali 

Sono 16 i capoluoghi di provincia italiani ‘promossi’ con la tripla AAA (TABELLA) nella gestione delle spese per le infrastrutture stradali. A risultare più ‘virtuosi’ per questa voce di costi dell’ente, ottenendo così il massimo rating, sono Isernia, che ha speso solo 520,64 euro nel 2021, seguita da: Imperia (26.811,14), Nuoro (109.044,99), Carbonia (130.645,99), Enna (183.830,77), Cosenza (220.113,02), Trani (230.681,45), Andria (292.603,89), Palermo (324.078,09), L’Aquila (330.970,30), Caltanissetta (349.666,53), Barletta (417.818,66), Novara (441.121,24), Lucca (613.117,11), Latina (815.939,46), Catania (2.859.964,59). 

Più folto il gruppo di città che risultano fra le più virtuose per questa voce di spesa, ottenendo la doppia AA (TABELLA): Perugia, Asti, Potenza, Cuneo, Biella, Ancona, Vibo Valentia, Vercelli, Reggio Calabria, Crotone, Foggia, Napoli, Salerno, Terni, Siracusa, Livorno, Taranto, Parma, Trapani, Messina, Prato, Firenze, Reggio Emilia, Modena, Frosinone, Chieti, Lodi. Ma anche di quelle che si sono aggiudicate la A singola (TABELLA): Rieti, Caserta, Padova, Sassari, Brindisi, Fermo, Campobasso, Lecco, Catanzaro, Grosseto, Brescia, Alessandria, Piacenza, Massa, Monza, Pistoia, Trieste, Cagliari, Forlì, Bari, Verona, Macerata. 

A 6 capoluoghi rating C in spesa infrastrutture stradali 

Venezia, Bolzano, Verbania, Pordenone, Oristano e Sondrio sono i 6 capoluoghi di provincia meno ‘efficienti’ nelle spese per le infrastrutture stradali. Tanto da meritare il rating C (TABELLA), il più basso nella speciale classifica elaborata per l’Adnkronos dalla Fondazione Gazzetta Amministrativa della Repubblica italiana. 

Ma quali sono questi capoluoghi e a quanto ammontano le spese sostenute per questa voce in questi enti nel 2021? Analizzando la classifica, si evidenziano Venezia, che ha speso ben 33.342.491,51 euro, seguita da Bolzano (12.026.189,42), Pordenone (6.539.949,05), Sondrio (4.521.633,56), Oristano (3.750.143,10), Verbania (3.244.363,39). 

Ottengono un rating intermedio nella classifica: Varese, Cremona, Treviso, Lecce, Udine, Pisa, Pavia, Genova, Bergamo, Rimini, a cui va la B (TABELLA); Rovigo, Siena, Torino, Bologna, Trento, Benevento, Matera, Cesena, Teramo, Viterbo, Arezzo, Savona, Pescara, Avellino, La Spezia, Aosta, con la BB (TABELLA); Gorizia, Ascoli Piceno, Belluno, Vicenza, Ragusa, Roma, Como, Urbino, Ferrara, Milano, Mantova, Ravenna, Pesaro, Agrigento, che ricevono la BBB (TABELLA). 

A Roma record spesa infrastrutture stradali, 131.481.251 euro in 2021 

E’ Roma il capoluogo di provincia che, in valori assoluti, ha la maggiore uscita in spesa per infrastrutture stradali: 131.481.251,60 euro nel 2021.  

Dopo Roma, fra le città con le più elevate spese per questa voce, ci sono, al 2° e 3° posto, rispettivamente, Milano, con 72.962.594,29 euro, e Genova, con 65.084.728,89. Seguono, con importi superiori ai 10 milioni: Torino (51.701.755,17), Venezia (33.342.491,51), Bologna (22.867.563,62), Rimini (18.273.863,65), Napoli (16.853.640,27), Bari (13.021.804,58), Bolzano (12.026.189,42), Verona (10.432.854,58), Bergamo (10.418.757,57). 

A Isernia spesa infrastrutture stradali più bassa, 520 euro in 2021 

E’ Isernia il capoluogo di provincia più ‘parsimonioso’ in fatto di spesa per infrastrutture stradali: 520,64 euro nel 2021, tanto da meritare la AAA.  

A mantenere la spesa bassa per questa voce, al di sotto dei 500.000 euro, dopo Isernia, troviamo, nell’ordine: Imperia (26.811,14), Nuoro (109.044,99), Carbonia (130.645,99), Enna (183.830,77), Cosenza (220.113,02), Trani (230.681,45), Andria (292.603,89), Palermo (324.078,09), Vibo Valentia (327.001,30), L’Aquila (330.970,30), Caltanissetta (349.666,53), Barletta (417.818,66), Biella (439.651,28), Novara (441.121,24), Vercelli (490.221,93). 

 

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Economia

Auto benzina e diesel oltre il 2035, c’è l’accordo Germania-Ue

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(Adnkronos) – Un accordo fra la Germania e la Commissione europea è stato raggiunto nella disputa sul bando alla produzione di nuovi veicoli con motori a benzina e diesel dal 2035. Lo ha annunciato il vice Presidente della Commissione, Frans Timmermans. “Abbiamo raggiunto un accordo con la Germania sul futuro impiego degli efuel (i carburanti di origine sintetica, ndr) nelle auto. Ora lavoreremo per introdurre standard di emissioni di Co2 nelle regolamentazioni delle auto da adottare il prima possibile”, ha affermato.  

“Lavoreremo sull’adozione del regolamento sulle emissioni il prima possibile e la Commissione – ha sottolineato Timmermans – seguirà rapidamente con i passi giuridici necessari ad applicare il considerando 11” del regolamento, che riguarda proprio i combustibili sintetici, conclude.  

In sostanza, ha spiegato il ministro dei Trasporti tedesco, Volker Wissing, potranno essere registrati nuovi veicoli con motori a combustione interna anche dopo il 2035 se rispetteranno le norme sui combustibili a emissioni neutre”.  

In una prima fase, ha spiegato ancora il ministro dei Trasporti tedesco, verrà creata una categoria apposita per i carburanti sintetici, che verrà successivamente integrata nel regolamento. “Vogliamo che sia completato entro l’autunno del 2024”, informa la Rappresentanza della Germania presso l’Ue. La questione, ha aggiunto, “ha sempre riguardato aggiungere al processo nel trilogo”, come viene chiamato nel gergo comunitario il negoziato legislativo tra Parlamento e Consiglio sulle proposte avanzate dalla Commissione, “il punto dell’apertura tecnologica, che è molto importante per l’intera Ue. Così facendo, apriamo importanti opzioni per la popolazione in direzione della mobilità climaticamente neutra e sostenibile”, ha concluso.  

Il regolamento sulle emissioni degli autoveicoli, ora che la Germania ha trovato l’accordo con la Commissione, verrà portato in Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti, lunedì prossimo: il voto è a maggioranza qualificata. Dovrebbe essere adottato dal Consiglio martedì.  

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Economia

Artigiani si ‘arrendono’, Cgia: “In ultimi 10 anni perse 300mila unità”

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(Adnkronos) – Gli artigiani italiani si ‘arrendono’ tanto che negli ultimi 10 anni sono diminuiti di quasi 300mila unità. A rilevarlo è la Cgia che sottolinea: fiaccati dal boom degli affitti, dalle tasse, dall’insufficiente ricambio generazionale, dalla contrazione del volume d’affari provocato dalla storica concorrenza della grande distribuzione e, da qualche anno, anche dal commercio elettronico, gli artigiani stanno diminuendo in maniera spaventosa.  

Negli ultimi 10 anni, infatti, il numero dei titolari, dei soci e dei collaboratori artigiani iscritti all’Inps è crollato di quasi 300mila unità, per la precisione 281.9251. E’ un’emorragia continua che sta colpendo, in particolar modo, l’artigianato tradizionale, quello che con la sua presenza, storia e cultura ha contrassegnato, sino a qualche decennio fa, tantissime vie delle nostre città e dei paesi di provincia rileva l’Ufficio studi della Cgia.  

Basta osservare con attenzione, sottolinea la Cgia, i quartieri di periferia e i centri storici per accorgersi che sono tantissime le insegne che sono state rimosse e altrettante sono le vetrine non più allestite, perennemente sporche e con le saracinesche abbassate. Sono un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane. Le città, infatti, non sono costituite solo da piazze, monumenti, palazzi e nastri d’asfalto, ma, anche, da luoghi di scambio dove le persone si incontrano anche per fare solo due chiacchere. 

La Cgia evidenzia che queste micro attività conservano l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio. Insomma, con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani. Una platea sempre più numerosa della popolazione italiana che conta più di 10 milioni di over 70. Non disponendo spesso dell’auto e senza botteghe sotto casa, per molti di loro fare la spesa è diventato un grosso problema. 

 

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Finanza

Borsa Milano, Piazza Affari oggi travolta dal caso Deutsche Bank

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Ribassi per tutti i principali indici di borsa europei, scossi dal tonfo di Deutsche Bank che ha visto crescere a dismisura il costo dell’assicurazione in caso di insolvenza. Piazza Affari – negativa come tutte le piazze europee – ha chiuso la seduta registrando una perdita del -2,23% a 25.892 punti. Le preoccupazioni per il settore finanziario continuano a mettere sotto pressione il mercato e per il Ftse Mib – con il terzo ribasso consecutivo della settimana – prosegue la serie negativa iniziata mercoledì. 

In salita lo spread tra Btp e Bund tedeschi che sfiora i 190 punti base con un rendimento del titolo decennale al 4%. 

Sul listino principale di Piazza Affari spiccano le forti vendite dei titoli bancari: Banco Bpm registra una flessione del 4,14%, mentre UniCredit chiude a -4,06% a seguito della comunicazione che Goldman Sachs Group ha ridotto la sua partecipazione dal 6,18% allo 0,89%. Bper Banca e Monte dei Paschi di Siena chiudono rispettivamente a -4,04% e -3,26%. Giornata negativa anche anche per il settore petrolifero con Eni che ha perso il 2,26% e Saipem a -2,77%. Maglia nera per Iveco a -5,01%. 

Ottima performance per Diasorin che, dopo una sospensione per eccesso di rialzo, chiude la seduta in netta controtendenza a +3,6%. (in collaborazione con Money.it) 

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Finanza

Borsa, titoli banche giù: Milano perde 2,18%

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Chiusura di settimana fortemente negativa per le borse europee: Milano, la peggiore, a fine seduta segna -2,18% con il Ftse Mib a 25.906 punti. Negative anche Francoforte (-1,67%), Londra (-1,25%) e Parigi (-1,74%) in una giornata con i titoli delle banche sotto i riflettori. 

 

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Coronavirus

I soldi fanno la felicità? Il World Happiness Report 2023 prova a rispondere

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Cos’è che ci rende felici? Una domanda che l’umanità si è sempre posta e a cui molti filosofi fin dai tempi di Seneca e Confucio hanno tentato di rispondere. Ma negli ultimi anni c’è qualcosa di nuovo: si è pensato che la felicità si possa misurare, e quindi in qualche modo anche definire. È infatti da più di 10 anni che l’Onu realizza il World Happiness Report, che traduce in numeri e grafici il livello di soddisfazione di 137 Paesi del Mondo. L’obiettivo non è solo ‘filosofico’, per così dire, ma anche molto pratico e politico: orientare e aiutare l’azione dei governi a realizzare il massimo benessere possibile dei loro cittadini. 

E se è vero che alla fine l’essere umano è tale a ogni latitudine, è anche vero che le differenze culturali e di civiltà hanno portato ad approcci diversi sui temi esistenziali e nella gestione della cosa pubblica. Il Buthan, per esempio, già dal 1972 ha deciso di sostituire il Pil, il Prodotto Interno Lordo con cui siamo abituati a calcolare la ricchezza di un Paese, con il Fil, la Felicità Interna Lorda, che mira a stabilire uno standard di vita e considera come criteri la qualità dell’aria, la salute dei cittadini, l’istruzione e la ricchezza dei rapporti sociali. Risultato: il Buthan è uno dei Paesi più poveri dell’Asia ma anche uno dei più felici del continente, un’evidenza che spinge a chiedersi se i soldi facciano o meno la felicità. 

Cercando di capirci di più, andiamo a vedere cosa dice il World Happiness Report, che ovviamente stila anche una classifica di quelli che sono i Paesi più felici del mondo, in base alle medie delle risposte date dal 2020 al 2022 dagli intervistati, i quali hanno attribuito un voto da 1 a 10 alla soddisfazione della propria vita. Il Report prende questa soddisfazione come ‘standard del benessere’.  

I primi dieci paesi sono: Finlandia (per il sesto anno consecutivo), Danimarca, Svizzera, Islanda, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Nuova Zelanda, Austria e Canada. Tutti Stati che riescono a mantenere alti livelli di benessere soggettivo, e che non hanno perso questa capacità nemmeno durante la pandemia. Il Rapporto di quest’anno si è infatti concentrato sugli effetti della crisi sanitaria e su come i governi e le società hanno risposto alla sfida, ottenendo risultati sorprendenti. 

La Lituania è l’unica nuova entrata nei primi 20, guadagnando ben 30 posti dal 2017, mentre i Paesi meno felici sono Afghanistan, Libano, Sierra Leone, Zimbabwe, Repubblica democratica del Congo e Botswana. L’Ucraina, nonostante la guerra, è 92ma, grazie soprattutto alla solidarietà sociale e alla capacità tutta umana di fare fronte comune alle avversità. 

L’Italia, forse non è una vera sorpresa, non si colloca benissimo nella classifica dei Paesi più felici al mondo. Il Bel Paese infatti è 33mo e, se superficialmente potrebbe sembrare un piazzamento non male, su 137 Stati analizzati, guardando meglio è un risultato decisamente non esaltante. Intanto perché abbiamo perso due posizioni dal 2020.  

E poi perché con un ‘punteggio felicità’ pari a 6,4, non di molto sopra la sufficienza, l’Italia si inserisce in classifica dopo la Spagna e prima del Kosovo, superata dai ‘soliti’ Paesi scandinavi ma anche da Germania (16ma con un punteggio felicità di 6,89), Gran Bretagna (19ma con un punteggio felicità di 6,79) e Francia (21ma, con un punteggio felicità di 6,66). Sopra di noi anche Costa Rica (23ma, con un punteggio felicità di 6,6) e Romania (24ma, con un punteggio felicità di 6,58). 

Il Rapporto esplora sei diversi aspetti che spiegano le variazioni nei livelli di felicità percepito: supporto sociale, reddito, salute, libertà, generosità e assenza di corruzione. 

In generale, emerge che i Paesi con livelli più alti di fiducia nelle istituzioni e negli altri cittadini, di sostegno istituzionale e sociale, di qualità della governance e dei servizi pubblici, di libertà individuale, di rispetto dei diritti umani e di qualità ambientale sono più felici e hanno resistito meglio alla crisi pandemica rispetto ai Paesi con livelli più bassi di questi fattori.  

Conta l’etica di un Paese, ovvero se le persone sono generose e solidali le une con le altre. Contano anche le istituzioni, ovvero se sono affidabili e offrono servizi adeguati ai cittadini, che quindi sono liberi di prendere le proprie decisioni. Contano anche reddito e salute, perché, come si suol dire, se i soldi non fanno la felicità, figuriamoci la miseria, e poi quando c’è la salute c’è tutto. 

Dal Report emerge inoltre che una società in cui cittadini sono più virtuosi è anche più felice, dimostrando che il benessere di ognuno di noi è legato a quello degli altri. Non solo: lo sviluppo di comportamenti virtuosi da parte dei cittadini è favorito e incentivato da un ambiente sociale e istituzionale, ma allo stesso tempo cittadini virtuosi realizzano un ambiente sociale e istituzionale più soddisfacente, creando una spirale benefica. 

Infine, uno degli elementi sorprendenti messi in luce dal World Happiness Report 2023 è che la pandemia ha portato dolore e sofferenza ma anche un aumento del sostegno sociale e della benevolenza, sottolineando così la capacità degli esseri umani di aiutarsi e sostenersi nei momenti di grave difficoltà. Un aspetto che ha contribuito alla resilienza delle persone e dei diversi Paesi di fronte all’emergenza sanitaria. Inoltre, l’esperienza col Covid è servita a molte persone per riflettere sull’importanza delle cose semplici, spesso date per scontate, e ha portato a una maggiore gratitudine. In questo contesto, la salute mentale sta assumendo sempre maggiore rilevanza, andandosi ad affiancare agli altri come fattore rilevante per la soddisfazione di vita. 

In conclusione, il World Happiness Report 2023 evidenzia l’importanza di coltivare relazioni positive con gli altri esseri umani e con il pianeta che condividiamo, partendo da una riflessione su cosa conta davvero per noi come individui e come società. La felicità quindi è un obiettivo, uno stato esistenziale che passa per l’individuo ma che non può prescindere dal benessere collettivo e dalla condivisione. 

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Coronavirus

Mes, Italia, ratifica e riforma: cosa c’è da sapere

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L’Italia non ha ancora ratificato il Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità. Nell’ambito del quadro finanziario dell’Ue, secondo la premier Giorgia Meloni, “ci sono anche altri strumenti che sono anche più efficaci nell’attuale contesto”. Ma cos’è il Mes? Come funziona? Cosa cambia con la riforma? 

Il Mes è il meccanismo per la risoluzione delle crisi creato nel 2012 per gli Stati dell’area euro. Serve a fornire assistenza ai Paesi dell’Eurozona che hanno seri problemi finanziari; raccoglie fondi sul mercato dei capitali e mediante transazioni sul mercato monetario. Non è finanziato da denaro dei contribuenti, capitale a parte: si finanzia sui mercati, emettendo obbligazioni. 

La creazione del meccanismo può essere interpretata come un passo per ‘rimediare’ ad un’anomalia: l’Ue ha una banca centrale, la Bce, che non può essere “prestatore di ultima istanza”. 

Il ruolo del Mes è diventato primario dopo la crisi della Grecia tra il 2010 e il 2011. Il Mes ha sede a Lussemburgo, è un organismo intergovernativo (non un’istituzione Ue) e ha una capacità di prestito massima di 500 mld di euro. Dal luglio 2013 ha sostituito l’Efsf, European Financial Stability Fund, il quale ha assistito Irlanda, Portogallo e Grecia. L’Esm ha fornito assistenza finanziaria alla Grecia, a Cipro e alla Spagna. 

Lo statuto del Mes è ricalcato sul modello delle banche d’affari, come quello del Fmi, e prevede l’immunità per i suoi dirigenti. L’articolo 3 del trattato istitutivo, che rimane invariato nella riforma, prevede che le sue risorse vengano erogate “under strict conditionality” (con condizionalità rigide). 

La riforma, basata su diversi pilastri (backstop del Fondo Unico di Risoluzione, linee di credito dell’Esm, sostenibilità del debito, cooperazione dell’Esm con la Commissione Europea), si è resa necessaria per dare al Mes una serie di nuovi compiti, nell’ambito degli obiettivi approvati dai capi di Stato e di governo dell’Ue nel dicembre 2018, per completare l’unione economica e monetaria e, appunto, l’Esm (Mes). 

Dopo un lungo negoziato, è stata chiusa a fine 2019, ma non era stata approvata fino ad oggi per le difficoltà politiche dell’Italia. 

BACKSTOP – Tra questi obiettivi, c’è anzitutto il backstop , cioè la garanzia di ultima istanza, per il Single Resolution Fund (Srf), o Fondo Unico di Risoluzione: quest’ultimo è un fondo, finanziato dalle banche stesse e non dai contribuenti, che interviene per ‘risolvere’, come si dice in gergo, le banche fallite. Questa garanzia (backstop) dovrebbe essere fornita dall’Esm, con una linea di credito che fa, appunto, da garante di ultima istanza, cioè nel caso in cui l’Srf si trovi a corto di fondi. La sua esistenza dovrebbe contribuire a scoraggiare attacchi speculativi. 

L’Srf potrà fare ricorso al Mes solo in ultima istanza, cioè se avrà esaurito le sue risorse e il Single Resolution Board, che lo controlla, non fosse in grado di raccogliere risorse in altro modo. La decisione sulla concessione della linea di credito dal Mes all’Srf viene presa, sulla base di una richiesta del Srb e di una proposta del direttore del Mes, dal board dei governatori del Mes, che sono alti funzionari dei ministeri delle Finanze dell’area euro. 

La decisione del board avviene per consenso, ma se la Commissione Europea e la Bce ritengono che sia in gioco la sostenibilità dell’Eurozona, allora si può votare a maggioranza qualificata (85% dei voti espressi), secondo una procedura che esiste dal 2012 per gli strumenti di aiuto finanziario. 

LINEE DI CREDITO AGLI STATI – Il Mes ne ha a disposizione di due tipi, le Precautionary Conditioned Credit Lines (Pccl) e le Enhanced Conditions Credit Line (Eccl); la riforma punta a rendere le prime più “efficaci”. 

Le linee del Pandemic Crisis Support creato nella prima metà del 2020 per aiutare gli Stati a combattere la pandemia di Covid-19, e finora inutilizzate, non fanno parte della riforma. 

Le Pccl sono a disposizione di Stati membri dell’area euro con fondamentali economici “solidi”, ma che vengono colpiti da choc avversi al di là del loro controllo. La Pccl funziona come una polizza di assicurazione: in pratica, l’assunzione di base è che il fatto stesso che esista sia sufficiente a placare i mercati; in questo modo, non ci dovrebbe essere neanche bisogno di utilizzarla. 

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