

Salute e Benessere
Assistenza sanitaria integrativa, Zaffini (Fdi): “Verso riforma, in 5-6 mesi testo in Aula”
“C’è un percorso parlamentare avviato, abbiamo già fatto alcune audizioni con i soggetti istituzionali” per l’indagine conoscitiva sulle forme integrative di previdenza e di assistenza sanitaria nel quadro dell’efficacia complessiva di welfare e di tutela della salute, “le porteremo a termine e incominceremo a ragionare su un testo di riordino. Confido che nell’arco di 5-6 mesi riusciremo a portare in Aula un testo”. Così all’Adnkronos Salute Francesco Zaffini, presidente della Commissione Affari sociali e Sanità del Senato, spiegando gli obiettivi dell’indagine che punta a nuove regole per la sanità integrativa. Ci saranno tante ‘pressioni’ esterne? “Ci sono – chiosa Zaffini – perché dove c’è tanto denaro ci sono tante pressioni”.
“Abbiamo avviato un’indagine conoscitiva sulla sanità integrativa e sulla previdenza complementare, l’abbiamo deliberata all’unanimità dei componenti della Commissione, consapevoli di una serie di problemi – spiega Zaffini – Ma il più evidente di tutti è che in Italia c’è una spesa privata ‘out of pocket’ che incide così pesantemente sulle tasche degli italiani e in modo del tutto incontrollato e non intermediato”, sottolinea.
“C’è da un lato – evidenzia Zaffini – il Fondo sanitario nazionale che pesa oggi intorno ai 127 miliardi di euro, e che ovviamente è intermediato dalla presenza dello Stato nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, dall’altro c’è una spesa privata, parliamo di quella ‘bianca’, che oggi pesa intorno a 40-45 miliardi, ma qualcuno dice che è anche di più, che trova intermediazione per una misura irrilevante intorno al 4-5%. Questa cosa non è possibile – avverte – e non risponde ai parametri degli altri Paesi Ue, ma soprattutto non risponde ai parametri di serietà e correttezza”.
L’utente di prestazioni sanitarie non è un contraente normale – osserva il presidente della Commissione Affari sociali e Sanità del Senato – Se lo lasciamo alla legge della domanda e dell’offerta, è ovvio che chi chiede di acquistare prestazioni sanitarie e lo fa a proprie spese è perché è fragile, ha patologia o pensa di averla, è fragile perché ha un problema di tempo. Se è disposto a pagare qualcosa che il Servizio sanitario nazionale dovrebbe dare, lo fa mosso da un stato di necessità”, precisa Zaffini.
Che soluzione state immaginando e studiando? “L’idea – risponde – è mettere ordine in tutto questo panorama di soggetti che non sono riusciti fino ad oggi ad intermediare in misura almeno del 50% i 45 miliardi di spesa sanitaria privata. Se ci riuscissimo avremo fatto un grande servizio al Paese, perché avremo ottenuto la strutturazione del famoso ‘secondo pilastro’ del welfare. La sanità si muove su un primo pilastro pubblico che è il Ssn, che dovrebbe garantire i Lea”, mentre “il secondo pilastro, quello della sanità integrativa, dovrebbe garantire i Lei, Livelli essenziali integrativi”.
“Ma dentro questo concetto c’è molto – conclude Zaffini – La sanità integrativa non deve fare concorrenza alla sanità pubblica, ma nello stesso tempo deve garantire prestazioni importanti, pensiamo alle cure odontoiatriche”.
Salute e Benessere
Da liste attesa a capitale umano, nella Nadef le sfide della sanità

Il presidente degli Ordini medici Filippo Anelli: "Siamo fiduciosi che le anticipazioni si traducano in atti di governo"

Liste d’attesa, valorizzazione del ‘capitale umano’, potenziamento di territorio e ospedali. Mentre la Nadef (Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza) sta mettendo a fuoco i margini di manovra possibili per la sanità, sono queste alcune delle principali sfide su cui potrebbe concentrarsi la partita per il settore. Uno degli obiettivi era stato esplicitato in più occasioni dallo stesso ministro della Salute, Orazio Schillaci: parlando delle risorse aggiuntive per il Fondo sanitario nazionale, in vista della legge di Bilancio, la cifra di riferimento è stata ripetutamente indicata come 3 o 4 miliardi in più, da destinare in maniera prioritaria al personale del Servizio sanitario nazionale.
Di un altro nodo cruciale aveva invece avuto modo di parlare a inizio mese anche il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani: “Pensiamo anche alle detassazione degli straordinari di medici e infermieri per cominciare a risolvere la questione delle liste di attesa”, aveva spiegato. L’ipotesi che potrebbe concretizzarsi nella prossima Manovra, secondo anticipazioni riportate dal ‘Sole 24 ore’, è una flat tax al 15% sul lavoro extra di medici e infermieri. Mentre il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, nei giorni scorsi puntava i riflettori sul rinnovo dei contratti. Dopo la firma della pre-intesa per il Ccnl 2019-2021 di medici, veterinari e dirigenti sanitari, un’indicazione importante potrebbe arrivare dalla Nadef per il nuovo contratto 2022-2024. A quanto si apprende, poi, nei collegati ci sono due proposte di legge: una su riorganizzazione e potenziamento dell’assistenza territoriale e ospedaliera e una su riordino professioni sanitarie ed enti vigilati.
“Premesso che non abbiamo certezze – commenta all’Adnkronos Salute Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) – però abbiamo molta fiducia che le anticipazioni e le priorità indicate dal presidente Meloni e dal ministro Schillaci circa la sanità si trasformino in atti di governo. Per noi l’obiettivo resta quello di aumentare l’attrattività del Ssn per i medici e le professioni sanitarie – osserva – Per questo servono risorse destinate e vincolate ai professionisti per aumentarne il numero (togliere o modificare il tetto per le assunzioni fissato a quello del 2004), e ridurre la forbice che è troppo ampia tra remunerazioni italiane e quelle degli altri Paesi europei”.
E ancora, elenca il numero uno dei camici bianchi italiani, serve “parificare la remunerazione del processo formativo dei medici in formazione in medicina generale a quello degli specializzandi, al fine di recuperare attrattività verso questa professione e riformare la medicina del territorio, consentendo alle Aft (Aggregazioni funzionali territoriali) della medicina generale di gestire l’assistenza primaria nelle Case di comunità senza perdere la preziosa presenza capillare in ogni territorio del nostro Paese e avviando il lavoro in team con le altre professioni sanitarie”. Anelli aggiunge poi “la rapida chiusura dell’Accordo nazionale per la medicina generale del triennio 2019-2021, per avviare finalmente la contrattazione per la riforma del territorio individuando le relative risorse”. Obiettivi ambiziosi, quelli citati dal presidente dei medici italiani e su cui più volte ha puntato l’attenzione lo stesso ministro della Salute.
“Sul riordino degli enti vigilati – conclude infine Anelli – siamo pronti a dare il nostro contributo anche attraverso la consulta delle professioni sanitarie”. E’ inoltre importante “avviare la riforma della governance del Ssn dando maggior ruolo ai professionisti per individuare gli obiettivi di salute che le strutture sanitarie devono raggiungere”. (di Lucia Scopelliti)
Salute e Benessere
Medicina, disturbi venosi, flebologi a confronto su trattamenti e gestione pazienti

Nuove tecniche di intervento al centro del 32° Congresso Sifl che si è tenuto all'Istituto Neuromed

Nuove tecniche di intervento, studi sulle patologie venose, comprese l’insufficienza venosa, e quelle ostruttive e arteriose che possono aumentare significativamente il rischio cardiovascolare. Sono stati questi i temi principali su cui si sono confrontati gli specialisti della Società italiana di flebolinfologia (Sifl), in occasione del XXXII Congresso nazionale Sifl appena concluso all’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia), dopo una tre giorni di lavori organizzata insieme agli specialisti dell’Unità di Chirurgia vascolare ed endovascolare dell’Istituto.
“L’attività del flebologo non è distante da quella dell’angiologo – afferma Enrico Cappello, responsabile della Chirurgia endovascolare di Neuromed – Questi colleghi non gestiscono soltanto il problema venoso in senso stretto, ma anche pazienti che hanno patologie arteriose e quindi è importante per loro sapere anche quali sono le tecniche attuali nella risoluzione dei quadri arteriosi. Inoltre, negli ultimi anni la patologia venosa e arteriosa ha trovato un terreno di confine nelle ulcere miste e quindi in questi casi i pazienti hanno bisogno di un doppio trattamento sia sull’ambito flebologico che arteriopatico. Tutto questo per arrivare a schemi nuovi e soprattutto trattamenti sempre meno invasivi, risolvendo così la sofferenza dei pazienti”.
“Ringrazio il presidente della Sifl per aver scelto Neuromed a Pozzilli, una piccola località, nonostante fossero candidati grandi centri urbani per ospitare il congresso – sottolinea Francesco Pompeo, responsabile della Chirurgia vascolare ed endovascolare Neuromed e presidente del congresso con Enrico Cappello – Questo deriva dal fatto che Neuromed è un Istituto che abbina la ricerca di base alla parte clinica, quindi una ricerca traslazionale che aiuta nel capire e nel proporre ai pazienti le migliori cure e ai giovani nuove attività di formazione. In questo Istituto è possibile, tant’è che si può ipotizzare nel futuro di farne anche una sede per un’attività didattica specifica nel campo della flebologia, puntando sia sull’attività di ricerca di base molecolare, quindi studiare ad esempio tutta la parte endoteliale, fino alla parte clinica, nonché promuovere l’addestramento degli specializzandi grazie alla possibilità di disporre di un ambulatorio di necroscopia e di simulatori”.
“La patologia venosa è sicuramente molto frequente – evidenzia Maurizio Pagano, presidente Sifl – quindi la gestione delle trombosi, delle ulcere, delle varici e anche dell’insufficienza linfatica, del linfedema sono aspetti da considerare sia da un punto di vista mininvasivo che tradizionale. In questo settore la chirurgia mininvasiva si sta facendo sempre più spazio. Parliamo quindi delle tecniche endovascolari, ma è giusto anche che il paziente venga studiato per bene e non sempre abbiamo la possibilità utilizzare la tecnica endovascolare. La chirurgia tradizionale in alcuni casi va quindi presa in considerazione ed è per questo che deve essere oggetto di studio”.
La flebologia è stata trattata in maniera forse un “po’ troppo empirica in senso generale – rimarca Sergio Gianesini, presidente della Società mondiale di flebologia – questo perché in questi casi non si parla semplicemente di una vena dilatata da togliere. Diverse ricerche mostrano come la patologia venosa aumenti significativamente il rischio cardiovascolare. Quindi parliamo anche di problematiche di cuore, fino all’ictus o all’embolia polmonare. Con questi incontri cerchiamo dunque di considerare non solo l’innovazione tecnologica in questa branca, ma anche lo studio teso all’inquadramento del paziente in maniera olistica e sulla base delle evidenze scientifiche per capire quale sia il miglior trattamento possibile”.
“Da diversi anni il nostro Istituto si è imposto a livello nazionale come uno dei centri che sfrutta al meglio le nuove procedure flebologiche dal punto di vista delle tecniche e dell’innovazione computerizzata – conclude Cappello – Vengono utilizzate tecniche termo-ablative e tecniche microchirurgiche, abbandonando quindi quello che era il vecchio stripping, uno dei cavalli portanti della chirurgia vascolare. In uso poi tecniche vascolari per il trattamento dell’insufficienza venosa cronica. Tutto questo grazie anche ad una équipe che lavora all’unisono e che può risolvere le varie problematiche che hanno questi pazienti, anche in considerazione dei numeri esponenziali delle patologie flebologiche. Il tutto con una tempistica veloce che fa transitare il paziente in ospedale poche ore, per essere poi seguito a domicilio e quindi con costi ridotti per quanto riguarda la spesa sanitaria”.
Salute e Benessere
Influenza, il virus in Europa e nel mondo: i dati di oggi dell’Oms

Virus A circola più del B, che invece prevale in Europa, annunciate le raccomandazioni per la nuova composizione del vaccino 2024

Influenza nel mondo e in Europa, arrivano oggi i dati Oms. “Da febbraio ad agosto 2023 è stata segnalata attività influenzale in tutte le zone e il numero di rilevamenti è stato paragonabile allo stesso periodo di riferimento del 2022. Ma il virus predominante variava tra le aree di trasmissione e i Paesi. A livello globale, i rilevamenti del virus dell’influenza A hanno superato quelli del virus dell’influenza B. Tuttavia, in alcune regioni, l’influenza B ha predominato, tra cui Europa, Nord Africa e Sudamerica tropicale”, il quadro tracciato dall’Organizzazione mondiale della sanità che ieri – dopo una consultazione di 4 giorni – ha annunciato le raccomandazioni per la nuova composizione del vaccino da utilizzare nella prossima ‘tornata influenzale’ 2024 nell’Emisfero Sud, quello australe.
Gli incontri nell’ambito dei quali si decide il ‘cocktail’ di virus per i vaccini successivi si tengono due volte l’anno, e permettono di mantenere aggiornate le indicazioni consentendo alla macchina produttiva e autorizzativa dei farmaci di adeguarsi in tempo utile. Ecco dunque i virus che, secondo l’Agenzia Onu per la salute, dovranno essere inclusi nei vaccini trivalenti basati su uova nell’emisfero meridionale nella stagione influenzale 2024: un virus simile al virus A/Victoria/4897/2022 (H1N1) pdm09; un virus simile al virus A/Thailand/8/2022 (H3N2); e un virus simile a B/Austria/1359417/2021 (lignaggio B/Victoria). Mentre i vaccini basati su colture cellulari o ricombinanti dovranno contenere: un virus simile al virus A/Wisconsin/67/2022 (H1N1) pdm09; un virus simile al virus A/Massachusetts/18/2022 (H3N2); e un virus simile a B/Austria/1359417/2021 (lignaggio B/Victoria).
Per i vaccini quadrivalenti basati su colture di uova o cellule o ricombinanti, l’Oms raccomanda l’inclusione del seguente componente del lignaggio B/Yamagata: un virus simile a B/Phuket/3073/2013 (lignaggio B/Yamagata). “Le raccomandazioni emesse – spiega l’Oms – vengono utilizzate dalle agenzie nazionali regolatorie e dalle aziende farmaceutiche per sviluppare, produrre e concedere in licenza vaccini antinfluenzali per la successiva stagione. L’aggiornamento periodico dei virus contenuti nei vaccini antinfluenzali è necessario affinché i vaccini siano efficaci a causa della natura in costante evoluzione dei virus influenzali, compresi quelli circolanti che infettano gli esseri umani”.
Salute e Benessere
Iss, 2 mln over 65 a rischio isolamento sociale


Anziani italiani ad alto rischio solitudine. Il 15% – ovvero più di 2 milioni della popolazione con 65 anni o più – vive in condizioni prossime all’isolamento sociale. In una ‘settimana normale’ non incontra, né telefona a qualcuno, e non partecipa ad attività con altre persone in punti di incontro o aggregazione. Una situazione di solitudine che influisce sulla salute: quasi il 90% di chi vive una condizione di isolamento ha una percezione negativa dello stato di benessere. Sono i dati della sorveglianza Passi d’Argento (PdA) coordinata dall’Istituto superiore di sanità (Iss), raccolti nel biennio 2021-2022 per offrire una fotografia delle condizioni degli anziani nel nostro Paese, e ribaditi in occasione della Giornata internazionale delle persone anziane 2023, in calendario il 1 ottobre.
L’isolamento sociale arriva a coinvolgere quasi 1 anziano su 3 in certe realtà regionali. Forte la differenza geografica a sfavore delle Regioni del Sud d’Italia (20% contro il 10% nel Nord e 14% al Centro). Una condizione che può incidere notevolmente sulla qualità della vita. La comunità scientifica, studi e letteratura internazionale lo individuano come uno dei fattori di rischio anche per la demenza. Per stimare il rischio di isolamento sociale, PdA fa riferimento sia alla frequentazione di punti di incontro e aggregazione (come il centro anziani, la parrocchia, i circoli o le associazioni culturali o politiche) che al fatto di incontrare o telefonare a qualcuno per fare quattro chiacchiere e si considera a rischio di isolamento sociale la persona che in una settimana normale non ha svolto nessuna di queste attività. Analizzando gli aspetti specifici che definiscono la condizione di assenza di relazioni sociali emerge che il 16% degli ultra 65enni non incontra nessuno e il 76% non partecipa ad attività sociali aggregative di nessun genere.
Il rischio di isolamento sociale coinvolge in egual misura uomini e donne, ma è più frequente tra chi ha un basso livello di istruzione (24% contro il 10% fra persone più istruite) e maggiori difficoltà economiche (28% contro 12% fra chi non ne ha). L’analisi mette in evidenza che, a parità di condizioni socio-demografiche (età, difficoltà economiche, livello di istruzione, presenza di patologie croniche e area geografica di residenza), l’isolamento sociale è significativamente associato a una percezione di cattiva salute (+89), insoddisfazione della propria condizione di vita (+75), a condizioni di disabilità e sintomi depressivi (+200), ospedalizzazione (+49%), perdita di autonomia nella attività strumentali della vita quotidiana (+21%). Inoltre l’isolamento sociale è associato a inattività fisica (+27%) e a una cattiva alimentazione (+21%).
L’isolamento sociale – indica il Rapporto – negli anziani ha anche un impatto significativo sulla società nel suo complesso, aumenta la richiesta di servizi sanitari, di assistenza a lungo termine e di supporto sociale, imponendo una pressione finanziaria considerevole sui sistemi sanitari e sociali. Nell’ambito della partecipazione alle attività sociali la sorveglianza esplora diversi aspetti che si intersecano e si sovrappongono fra loro e che contemplano anche la dimensione economica (svolgimento di attività lavorative retribuite), l’offerta di aiuto o accudimento di familiari, amici o conoscenti oppure attraverso attività di volontariato) e quella culturale (come la frequentazione di corsi di formazione per la propria crescita individuale).
L’attività lavorativa retribuita è poco frequente, coinvolge solo l’8% della popolazione anziana ed è prerogativa di chi ha un titolo di studio più alto: arriva al 10% tra chi ha almeno la licenza di media superiore e scende al 3% tra chi al più la licenza elementare. Il 27% degli anziani intervistati rappresenta una risorsa per i propri familiari o per la collettività: il 18% si prende cura di congiunti, il 13% di familiari o amici con cui non vive e il 4% partecipa ad attività di volontariato. Questa capacità/volontà di essere risorsa è una prerogativa femminile (31% fra le donne contro il 23% negli uomini) ed è minore fra le persone socio-economicamente svantaggiate, per bassa istruzione o scarsa disponibilità economica.
Solo il 4% della popolazione anziana frequenta un corso di formazione (lingua inglese, uso di dispositivi elettronici o percorsi presso università della terza età). Il gap tecnologico può portare a un maggiore isolamento sociale, poiché gli anziani potrebbero perdere l’accesso a servizi online, comunicazioni con familiari e amici, la gestione di appuntamenti medici e il monitoraggio delle condizioni di salute. L’isolamento sociale è un fattore di rischio multifattoriale che può avere un impatto importante sulla salute fisica e mentale, sulla qualità di vita e sui costi sociali. È inevitabile che le politiche e gli interventi di salute pubblica si concentrino sulla prevenzione e sulla gestione dell’isolamento sociale per garantire una migliore salute e benessere agli anziani e per ridurre il costo sociale associato a questa sfida crescente. È sicuramente necessario creare una società inclusiva in cui gli anziani possano continuare a contribuire in modo significativo e trarre beneficio da un ambiente sociale e tecnologico in evoluzione.
Salute e Benessere
Giornata spreco alimentare, l’immunologo ‘tre scelte per ridurlo già a tavola’


Per ridurre lo spreco alimentare, oltre che sulla filiera agroalimentare, “occorrerebbe agire anche sulla condotta domiciliare. Infatti, se appare difficile prevenire le perdite di cibo durante i processi di produzione e lavorazione, risulta sicuramente più semplice agire riducendo lo spreco domestico, educando e sensibilizzando la popolazione verso questi aspetti. In tal senso, almeno tre potrebbero essere le scelte più strategiche da mettere in atto: pianificare la spesa, conservare in maniera corretta il cibo e saper leggere le etichette semmai evitando di considerare già rifiuto quel che ancora può essere legittimamente consumato o da far consumare”. Così all’Adnkronos Salute l’immunologo Mauro Minelli, docente di dietetica e nutrizione umana all’Università Lum di Bari, in occasione della Giornata internazionale di sensibilizzazione sulle perdite e gli sprechi alimentari.
“Certo l’obiettivo da raggiungere è complesso, soprattutto se pensiamo che la responsabilità dei singoli e delle Istituzioni è in qualche modo attenuata dalla complessità dei fattori che contribuiscono a rendere quello dell’alimentazione un problema strutturale di portata globale attorno al quale si intrecciano interessi, speculazioni, cambiamenti climatici, oltre che sprechi vergognosi. Ma questo non impedisce che, nel confuso scenario, ciascuno possa comunque fare la sua parte. E’ solo una questione di volontà”, ribadisce Minelli.
Le considerazioni dell’immunologo sottolineano come “nel tempo del disturbo da dieta cronica, caratterizzato dal controllo quasi maniacale del proprio peso e delle calorie assunte seguendo regimi alimentari spesso improvvisati, capita e non di rado di trovarsi di fronte a reali incongruenze rispetto alle quali ognuno va per conto proprio, senza comunicare. Certo, se mangiar bene e vivere sani è un obiettivo ambito da tutti, sarebbe anche etico e corretto impegnarsi a rispettare il valore del cibo e a garantire come diritto fondamentale l’accesso agli alimenti per tutta la popolazione. Partendo dall’attenzione a non sprecare il cibo, semplicemente evitando di farlo avanzare”.
“Del resto basterebbe dare un’occhiata alle tavolate di feste, banchetti e ricevimenti per rendersi conto che almeno il 50% del cibo finisce per essere di troppo e spesso gettato via”, ricorda.
“Ecco perché un coordinamento maggiore a livello istituzionale tra ristoranti ed esercizi di somministrazione di cibi e bevande e le associazioni di volontariato che assistono i bisognosi sarebbe una conquista di civiltà della quale dovrebbero occuparsi Asl e amministrazioni civiche, in collaborazione con Caritas e mense dei poveri. Alcuni già lo fanno, ma non ancora tutti. Per questo sarebbe auspicabile che associazioni di produttori e di categoria, specie nel settore agricolo, predispongano iniziative ad hoc, organizzando circuiti virtuosi di smistamento del cibo fresco in esubero”, conclude Minelli.
Salute e Benessere
Fumo, esperti: “Più conoscenza dei prodotti innovativi per la riduzione del danno”

Al Summit di Atene: "Possiamo offrire alternativa meno dannosa che crea meno dipendenza"

“Viviamo molto più a lungo che in passato. Come siamo arrivati a questo punto? Grazie alla scienza, alla ricerca, al sapere umanistico e allo sviluppo tecnologico. Abbiamo ridotto i rischi in ogni area delle nostre vite e dovremmo saper fare lo stesso anche con il fumo. Con la conoscenza che abbiamo possiamo apportare enormi cambiamenti alla storia della sanità pubblica” e ridurre il danno da fumo “con prodotti meno pericolosi”. Così David T. Sweanor J.D., presidente del comitato consultivo del Centro per il diritto, la politica e l’etica sanitaria dell’università di Ottawa (Canada), nel suo intervento in occasione della sesta edizione del summit ‘Riduzione del danno da tabacco: nuovi prodotti, ricerca e policy’ che si è concluso in questi giorni ad Atene. Si è trattato di un momento di confronto e dibattito sul tema promosso da Scohre, associazione scientifica internazionale di esperti indipendenti sul controllo del fumo e sulla riduzione del danno, che ha coinvolto oltre 250 esperti provenienti da tutto il mondo.
Sweanor ha poi sottolineato la necessità di spingere i Governi, le agenzie sanitarie e l’industria del tabacco a raccogliere i dati disponibili sulla riduzione del danno da fumo. “La gente – ha spiegato – compra sigarette ogni giorno e ogni giorno abbiamo la possibilità di intervenire offrendo un prodotto meno pericoloso, che non danneggi le persone intorno a noi e che crei meno dipendenza; e possiamo fare in modo che sia disponibile con informazioni più accurate sul rischio relativo”.
“Circa 250 milioni di persone stanno cercando di smettere di fumare sigarette” ha osservato Andrzej Fal, presidente della Società di sanità pubblica polacca, direttore del Dipartimento di allergie, malattie polmonari e medicina interna dell’ospedale clinico centrale del ministero dell’Interno e direttore dell’Istituto di Scienze Mediche presso l’università Cardinale Wyszyński di Varsavia. “Sostenerle – ha proseguito – dovrebbe essere la principale preoccupazione della Cop10 (la conferenza delle parti della Convenzione quadro sul controllo del tabacco-Fctc in programma a Panama a novembre, ndr) ma temo che non sia così. Per fermare la pandemia del fumo e i suoi effetti finanziari e sulla salute, dobbiamo aumentare i fondi per la prevenzione primaria e introdurre una normativa ‘meno danni, meno tasse’”.
Eppure, esempi di politica sanitaria che vanno in questa direzione non mancano. Come ha ricordato Konstantinos Farsalinos, professore aggiunto presso la King Abdulaziz University in Arabia Saudita e ricercatore senior all’Università di Patrasso e presso la Scuola greca di sanità pubblica dell’università dell’Attica occidentale, “oggi la Svezia è l’unico Paese al mondo senza fumo nonostante il tasso di consumo di nicotina sia simile alla media europea (circa il 24%). Tuttavia – ha aggiunto Farsalinos – in Svezia la stragrande maggioranza del consumo di nicotina proviene dal tabacco ‘snus’ (tabacco umido in polvere per uso orale, ndr), mentre in Europa proviene dalle sigarette. E cosa ha fatto l’Unione Europea? Ha vietato il tabacco da ‘snus’. È incredibile, è uno scandalo per la salute pubblica”.
Sulla necessità di informare correttamente i consumatori sulle prove scientifiche, al fine di contrastare la disinformazione sui prodotti senza combustione, è intervenuto Martin Cullip, ex direttore d’azienda e international fellow del Taxpayers protection alliance consumer center, che da oltre un decennio scrive e tiene blog su temi legati al libero mercato e allo stile di vita dei consumatori. “Non possiamo permettere – ha concluso Cullip – che questi prodotti vengano vietati ora, come sembra auspicare l’Organizzazione mondiale della sanità, perché dovremo aspettare circa 60 anni prima di poterli riavere”.
Salute e Benessere
Perrone Filardi (Sic), ‘ridurre Ldl sfida di prevenzione cardiovascolare’

Nelle ‘5 regole da seguire, stile di vita, controlli e un ruolo anche per nutraceutica’

Il nostro Paese è a rischio moderato per le patologie cardiovascolari ischemiche, secondo l’ultima rilevazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ma restano la principale causa di morte, incidendo per il 34,8% sul totale dei decessi (31,7% nei maschi e 37,7% nelle femmine). “La sfida della prevenzione primaria è quella di ridurre i livelli di colesterolo Ldl nella popolazione a basso rischio o a rischio intermedio, asintomatici. Evidenze scientifiche dimostrano che raggiungere questo obiettivo permette di prevenire un numero assoluto di eventi cardiovascolari maggiore rispetto a coloro che si trovano nella fascia a rischio alto o elevato già in terapia farmacologica ipocolesterolemizzante”. Così Pasquale Perrone Filardi, direttore della Scuola di specializzazione in Malattie dell’apparato cardiovascolare, Università Federico II di Napoli e presidente della Società italiana di cardiologia (Sic), in una nota diffusa oggi da Dompé, in occasione della giornata mondiale del cuore.
Nella prevenzione del rischio cardiovascolare, “se volessimo indicare le 5 regole fondamentali da seguire – continua Perrone Filardi – potremmo indicare sicuramente: indagare i livelli di Ldl; valutare la presenza di altre patologie; comprendere se lo stile di vita che si sta seguendo è corretto o deve essere modificato; analizzare ulteriori fattori di rischio modificabili e considerare il nutraceutico più indicato in base alle esigenze e alle evidenze disponibili. Per questo motivo il medico, in prima linea nel promuovere la cultura della prevenzione, rimane il referente principale a cui rivolgersi in collaborazione virtuosa con il farmacista di riferimento”.
Le linee guida internazionali 2019 Esc/Eas, le principali società scientifiche europee del settore, “dedicano molta attenzione al tema della prevenzione primaria – sottolinea Perrone Filardi – soprattutto nei soggetti asintomatici che possono avere difficoltà a percepire la necessità di correggere i possibili fattori di rischio. Le raccomandazioni che ci arrivano evidenziano la necessità di modificare i propri stili di vita ma non solo, sottolineano anche il ruolo che le sostanze nutraceutiche possono ricoprire”.
Lo stile di vita – si legge nella nota – è centrale per valutare il rischio cardiovascolare, alimentazione corretta e movimento (30-40 minuti di attività aerobica al giorno) fanno la prima fondamentale differenza per preservare la salute e proteggere il cuore, ma è altrettanto importante comprendere quando i valori di Ldl rappresentano un campanello d’allarme. “Negli ultimi anni – ricorda Perrone Filardi – pur rimanendo i valori di Ldl indicati nelle linee guida il punto di riferimento per individuare le strategie correttive (terapeutiche e non) da intraprendere, assistiamo a un cambio di paradigma. Si potrebbe affermare che non esiste un valore normale di Ldl, ma esiste un valore commisurato al rischio cardiovascolare che si può individuare rilevando i parametri di riferimento oltre il colesterolo (pressione, peso, presenza di altre patologie, abitudine al fumo e fattori ambientali). Una valutazione personalizzata che rende la prevenzione primaria ancora più strategica”.
Quando la dieta e l’attività fisica non riescono a incidere in modo risolutivo e non si è ancora in una situazione che richiede l’impiego di terapie farmacologiche (quindi con un rischio cardiovascolare lieve/moderato), il ricorso ai nutraceutici può aiutare a ridurre i valori di Ldl. “Nel considerare l’impiego dei nutraceutici per abbassare i livelli di colesterolo tra gli aspetti fondamentali da tenere in considerazione c’è la sicurezza – afferma Giuseppe Derosa dell’Università di Pavia, della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia e responsabile dell’area Diabete della Società italiana di nutraceutica – La sicurezza è data, in parte, dalla storia scientifica di impiego dei componenti nelle concentrazioni indicate dalle normative e infine dallo studio della formula di utilizzo. L’Italia ha una lunga tradizione di eccellenza in questo campo – osserva Derosa – Oggi sappiamo dalla clinica che ci sono diversi componenti attivi sicuri ed efficaci sulla riduzione del colesterolo; a questo riguardo uno studio in corso e che verrà ultimato nei prossimi mesi con una formula a base di berberina, fitosterolo, olea europea, carciofo e fieno greco sta portando a risultati significativi dopo un solo mese di trattamento, a conferma di come una strategia di intervento attento su una popolazione a basso rischio possa incidere sul rischio cardiovascolare”.
Salute e Benessere
West Nile, 4 nuove morti in Italia: casi salgono a 283

Dall'inizio di maggio i decessi sono stati 17 nel nostro Paese
West Nile in Italia, salgono a 283 i casi e si contano altre quattro morti. I dati del bollettino dell’Istituto superiore di sanità, aggiornato al 27 settembre, riporta in tutto 17 decessi: 5 in Piemonte, 8 in Lombardia (+2), 4 in Emilia Romagna (+2). Questi i dati del bollettino dell’Istituto superiore di sanità, aggiornati al 27 settembre.
Il primo caso umano di infezione da West Nile della stagione è stato segnalato dall’Emilia Romagna a luglio nella provincia di Parma. Nello stesso periodo sono stati segnalati 5 casi di Usutu virus (2 Piemonte, 3 Lombardia), 4 identificati in donatori di sangue e 1 caso che si è manifestato in forma neuro-invasiva. Salgono a 52 le province con dimostrata circolazione del virus West Nile, in 10 Regioni: Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna.
Coronavirus
Non solo influenza, la carica dei 262 ‘virus cugini’: chi sono e come gestirli

Quest'anno in Italia sono attesi 10 milioni di casi. Come riconoscerli? Che farmaci prendere? Bisogna fare il tampone Covid? E la mascherina? La guida del virologo Fabrizio Pregliasco

Starnuti, naso chiuso e fazzoletto sempre in mano. Un po’ di mal di gola, magari poche linee di febbre, qualche disturbo a stomaco e intestino. Troppo poco per dire “ho l’influenza”, non abbastanza per dire “ho il Covid” perché il test è negativo. Che cos’è? O meglio, cosa sono? Tanti anni fa il virologo Fabrizio Pregliasco li ha battezzati “virus ‘cugini'”, parenti più o meno stretti dell’influenza vera e propria, in agguato soprattutto nelle stagioni di mezzo come questa. “Fra tipi e sottotipi ne contiamo ben 262”, spiega l’esperto che affida all’Adnkronos Salute un identikit di queste forme simil-influenzali e una guida per gestirle in sicurezza.
La carica dei virus cugini causerà quest’anno in Italia “circa 10 milioni di casi, che si affiancheranno a 5-6 milioni di casi di vera influenza”, prevede Pregliasco, ricercatore del Dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’università Statale e direttore sanitario dell’Irccs ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano. “Una stima che si basa su dati storici – precisa – sull’andamento delle precedenti stagioni”.
CHI SONO I VIRUS CUGINI?, nemici invisibili diversi sia dall’influenza sia dal Covid? “Escludendo Sars-CoV-2 – illustra Pregliasco – a creare problemi respiratori ci sono 263 virus che possono essere messi su una scala in crescendo. Sul gradino più alto, il 263esimo, c’è l’influenza vera e propria”; le altre 262 posizioni sono dunque occupate da virus ‘parenti’. “Sul gradino più basso di questa scala immaginaria – chiarisce lo specialista – troviamo i rhinovirus, i virus del semplice raffreddore. Mentre all’estremo opposto, subito sotto all’influenza, ci sono il virus respiratorio sinciziale dell’adulto e i metapneumovirus che con l’influenza rappresentano i più pesanti dal punto di vista clinico”. Sui gradini intermedi ‘siedono’ “tutti gli altri virus cugini: adenovirus, coronavirus non Covid, virus parainfluenzali, enterovirus”, solo per elencare i principali.
COME SI RICONOSCONO? “Si tratta di virus che danno problematiche molto variabili”, sottolinea Pregliasco. Fra le più comuni “un po’ di raffreddore e di mal di gola, magari anche febbre lieve, a volte qualche disturbo gastrointestinale. Insomma sintomi più sfumati e che durano meno dei classici 5 giorni” di ‘passione’ tipici dell’influenza Doc, “un mischione che spinge molti a dire ‘ho avuto l’influenza’ anche se influenza non era”. Per chiamarla tale, ricorda l’esperto, “come sappiamo bisogna avere un rialzo brusco della temperatura, con febbre oltre i 38 gradi, almeno un sintomo generale (dolori muscolari-articolari) e almeno un sintomo respiratorio”.
COME SI CURANO? “La maggior parte dei virus cugini si tratta con un’automedicazione responsabile, che vuol dire utilizzo di farmaci sintomatici che devono attenuare i disturbi senza però senza azzerarli: questo è un principio chiave dell’automedicazione responsabile”, puntualizza Pregliasco. “Per non fare il gioco del virus dobbiamo alleviare i sintomi senza cancellarli del tutto”, in modo da monitorare l’andamento della malattia e permettere all’organismo di reagire. I ‘pilastri’ di questo approccio sono diversi e numerosi. “Parliamo di principi attivi che vanno dall’antifebbrile al decongestionante nasale, da soli o formulati in mix, ad altri antinfiammatori o farmaci mirati ai sintomi specifici, da assumere – raccomanda il virologo – facendosi consigliare dal medico”.
TAMPONE SÌ O TAMPONE NO? Nella vita di tutti i giorni e fuori dall’ambiente ospedaliero, il dubbio sorge spontaneo e legittimo in quest’era post-pandemia, caratterizzata da una co-circolazione di virus cugini, influenza e Sars-CoV-2. “Per il paziente fragile e per l’anziano – è l’indicazione generale di Pregliasco – il tampone Covid-19 diventa un elemento determinante per poter effettuare una diagnosi differenziale e capire subito se avviare o meno il trattamento con i farmaci antivirali anti-Covid”. Se invece una persona è di base in salute, “il tampone è meglio farlo se deve incontrare anziani e fragili oppure assisterli, quindi se si tratta di caregiver o personale sanitario, per definizione in contatto con queste categorie a rischio”.
LA MASCHERINA VA USATA? SI PUÒ USCIRE O MEGLIO RESTARE A CASA? “Usiamo la mascherina senza più quell’aspetto ideologico del passato”, ribadisce l’esperto. “La mascherina serve per proteggersi, ma soprattutto per proteggere gli altri se siamo sintomatici o se sappiamo di essere positivi al Covid, perché ricordiamoci che in questi casi siamo ‘untori'”. La mascherina torna importante tanto più considerando che, “se stai bene, per il medico diventa problematico prescrivere la malattia e perciò è presumibile che molti vadano al lavoro come si faceva anche in passato, prendendo un farmaco e via”. Per Pregliasco, “l’ideale sarebbe affidarsi al buonsenso. Se proprio si esce, mascherina chirurgica e no allo stigma. Non additiamo chi, per mille ragioni, preferisce usarla. Forse è una persona che sa di essere fragile, magari è un paziente oncologico. Chi vuole deve poter indossare la mascherina in serenità – ammonisce il virologo – senza essere guardato male, come purtroppo spesso accade in questa fase di minimizzazione”. (di Paola Olgiati)
Coronavirus
Covid Italia, Vaia: “Nuovi casi rallentano, impatto su ospedali irrilevante. No a misure straordinarie”

"Continuiamo la nostra attività costante di monitoraggio e sorveglianza, mettendo in campo tutto ciò che è doveroso fare per la tutela degli italiani
“Come ampiamente previsto assistiamo ad un ulteriore rallentamento dei nuovi casi” di Covid in Italia “e rimane assolutamente irrilevante l’impatto sugli ospedali. Non si evince, in questa fase, alcuna necessità di misure straordinarie, che ormai sono alle nostre spalle, mentre continuiamo la nostra attività costante di monitoraggio e sorveglianza, mettendo in campo tutto ciò che è doveroso fare per la tutela degli italiani”. Così il direttore generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Francesco Vaia, commentando il bollettino settimanale.
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