Il voto non è solo una scelta civica: racconta condizioni di vita, opportunità e salute. Un’ampia analisi su cittadini della Finlandia segnala un legame netto tra astensione e rischio successivo di morte, senza indicare automatismi di causa-effetto, ma invitando a guardare con occhi nuovi la partecipazione alle urne.
Un’associazione che sorprende e interroga
La ricerca pubblicata sul Journal of Epidemiology & Community Health analizza l’intero corpo elettorale finlandese residente sulla terraferma e con almeno 30 anni alla data delle Politiche del 21 marzo 1999, seguendone la sopravvivenza fino al 2020. In questo orizzonte di oltre vent’anni, gli studiosi osservano che l’astensione è associata a un rischio più elevato di decesso per qualsiasi causa: +73% tra gli uomini e +63% tra le donne. Gli autori insistono: si tratta di un rapporto osservazionale, non della prova che il non voto “provochi” la morte, ma di un segnale robusto che colloca il comportamento elettorale tra i potenziali determinanti sociali della salute, come riassunto anche nel comunicato del gruppo editoriale BMJ diffuso il 4 novembre 2025.
Una volta considerato il livello di istruzione, l’associazione si attenua ma resta significativa: il rischio stimato scende a +64% negli uomini e +59% nelle donne che non hanno votato. È un passaggio cruciale, perché la differenza tra elettori e non elettori risulta perfino più ampia di quella che separa chi ha un titolo di studio di base da chi possiede un’istruzione terziaria. È un campanello che spinge a considerare il voto come forma di capitale sociale, con ricadute concrete sul benessere, come ribadito dagli autori nello stesso articolo e nei resoconti divulgativi.
Dai registri nazionali a ventun anni di osservazione: come sono stati costruiti i risultati
Il disegno dello studio si appoggia ai registri amministrativi finlandesi: 3.185.572 persone (1.508.824 uomini e 1.676.748 donne) incluse, affluenza del 71,5% tra gli uomini e del 72,5% tra le donne nella fascia 30+ anni, monitoraggio dalla data del voto fino al decesso o al 31 dicembre 2020. Nel periodo sono morte 1.053.483 persone, di cui 95.350 per cause esterne (incidenti, violenze, cause attribuibili all’alcol) e 955.723 per altre cause; 2.410 casi con causa ignota sono stati esclusi dall’analisi finale. È una base empirica eccezionalmente ampia, capace di ridurre molti margini d’incertezza statistica pur entro i limiti intrinseci di un’analisi osservazionale.
Gli studiosi segnalano che la relazione tra astensione e mortalità è particolarmente marcata per le cause esterne di morte e, correggendo per età, risulta circa raddoppiata tra chi non vota rispetto a chi vota. La forbice è più ampia tra gli uomini sotto i 50 anni, mentre nelle fasce anziane emergono sfumature legate al genere. Inoltre, tra gli uomini nel 25% più basso per reddito familiare, il rischio di morte associato al mancato voto è del 9-12% più alto rispetto agli altri gruppi di reddito. Questi elementi rafforzano l’idea che l’astensione possa intrecciarsi con vulnerabilità sociali e sanitarie pregresse, non sempre visibili a colpo d’occhio.
Quando la partecipazione entra nel vocabolario della salute pubblica
Negli ultimi anni la letteratura internazionale ha iniziato a trattare la partecipazione politica come determinante sociale della salute: un fattore non clinico che può influenzare comportamenti, relazioni e accesso alle risorse. Gli autori dello studio finlandese lo dicono con chiarezza, richiamando il ruolo della partecipazione come “capitale sociale” e ipotizzando che smettere di votare possa diventare, per i clinici, un possibile segnale precoce di declino significativo dello stato di salute. È un cambio di prospettiva che non pretende soluzioni semplici, ma apre spazi di dialogo tra epidemiologia, servizi sociali e politiche pubbliche.
Questo sguardo non nasce dal nulla. Già in precedenza, ricerche condotte in vari contesti hanno rilevato che chi vota tende a godere di condizioni di salute mediamente migliori rispetto a chi non vota. Una parte della spiegazione potrebbe avere a che fare con le reti sociali, la motivazione, l’energia da dedicare a un gesto che richiede informazione, organizzazione, spostamenti. Alcuni lavori suggeriscono addirittura che rafforzare le condizioni democratiche e le opportunità di partecipazione si associ a esiti sanitari migliori, specie nell’età lavorativa, pur con molte cautele interpretative e differenze territoriali messe in luce dagli studiosi.
Cosa sapevamo già: malattie croniche, astensione e gli ostacoli invisibili che pesano sul voto
Un filone di ricerca precedente, che ha utilizzato campioni individuali e dati di ricovero in Finlandia, ha mostrato come alcune patologie croniche riducano la probabilità di recarsi alle urne: dalle malattie neurodegenerative all’alcolismo e ai disturbi psichiatrici, mentre per condizioni come cancro e BPCO/asthma l’associazione può persino invertire segno. È un mosaico complesso, che cambia con l’età e con l’accumulo di comorbidità, e che conferma come salute e partecipazione possano influenzarsi a vicenda lungo l’arco della vita.
La stessa esperienza finlandese ci ricorda che chi non partecipa alle indagini sanitarie ufficiali — non solo al voto — tende a presentare mortalità e danni correlati ad alcol più elevati rispetto a chi partecipa. È un indizio coerente con la presenza di fattori di vulnerabilità che allontanano da ogni forma di partecipazione civica o di ricerca, e che poi si riflettono sulla salute. Questa convergenza di evidenze non implica causalità meccaniche, ma accresce il peso del tema nelle agende di sanità pubblica.
Lente sulle disuguaglianze: istruzione e reddito non bastano a raccontare tutto
Uno dei risultati più forti dello studio finlandese è il confronto con l’istruzione: la distanza di rischio tra elettori e astensionisti supera quella tra chi ha bassi titoli di studio e chi ha un’istruzione terziaria. È un dato che, posto accanto alla persistenza di divari di mortalità per reddito documentati dalla ricerca demografica finlandese negli ultimi anni, invita a leggere la partecipazione elettorale come un segnale ulteriore — e non riducibile — della posizione sociale di una persona.
Negli stessi anni coperti dal follow-up (1999-2020) altri studi hanno ricostruito come in Finlandia sia tornata ad ampliarsi la forbice dell’aspettativa di vita tra i quintili di reddito, con un contributo rilevante — ma non unico — di cause legate a alcol e fumo. Se mettiamo insieme questi tasselli, il quadro suggerisce che l’astensione possa incrociarsi con uno spettro di svantaggi materiali, culturali e di salute, aggravando fragilità che si accumulano nel tempo e si manifestano anche nell’atto, solo in apparenza semplice, di andare a votare.
Limiti, cautele e un punto fermo: cosa lo studio non dice e cosa ci lascia in eredità
Gli autori sono chiari: è uno studio osservazionale, dunque non stabilisce un nesso causale. Alcuni cittadini potranno aver voluto votare ma non aver potuto farlo per problemi di salute, ostacoli logistici o altri impedimenti; altri, semplicemente, avranno scelto di non partecipare. In più, esiste il cosiddetto “healthy voter effect”, per cui chi gode di salute migliore tende a compiere con più facilità atti che richiedono energia e organizzazione. Il valore della ricerca, pubblicata con DOI 10.1136/jech-2025-224663, sta nell’ampiezza del campione e nella consistenza delle associazioni misurate, che sollecitano politiche pragmatiche per rimuovere barriere alla partecipazione e, prima ancora, per riconoscere tempestivamente segnali di vulnerabilità.
Un’ulteriore chiave interpretativa arriva da studi che hanno analizzato il tempo alla morte come motore del calo di partecipazione nelle età avanzate: più ci si avvicina alla fine della vita, più peggiorano le funzioni fisiche e cognitive e meno si vota, tendenza documentata su dati di popolazione e che sposta l’attenzione dalla sola età anagrafica alla traiettoria clinica individuale. Anche questo tassello, emerso su Electoral Studies nel 2024, aiuta a leggere l’astensione come termometro di condizioni complesse, non come giudizio morale.
Domande veloci, risposte chiare
Lo studio dimostra che il non voto “fa male” alla salute? No. Gli autori parlano di un’associazione, non di causalità. Le persone che non votano presentano, in media, un rischio di morte più alto nel lungo periodo, ma il perché resta aperto: possono incidere salute preesistente, ostacoli pratici, fattori sociali e di reddito. Il valore della ricerca è nell’ampiezza dei dati e nella solidità statistica, che orientano nuove domande per la sanità pubblica e per la politica senza trasformare l’astensione in una colpa individuale.
Quanto è grande il campione e per quanto tempo è stato seguito? La coorte comprende 3.185.572 cittadini finlandesi con almeno 30 anni al momento del voto del 21 marzo 1999. La loro sopravvivenza è stata seguita fino alla morte o al 31 dicembre 2020. In questo arco sono stati registrati 1.053.483 decessi complessivi, con esclusione di 2.410 casi dalla causa non nota, a garanzia dell’affidabilità delle analisi statistiche prodotte.
Quali cause di morte pesano di più nella differenza tra elettori e non elettori? La forbice appare più ampia per le cause esterne — incidenti, violenze e decessi attribuibili all’alcol — rispetto alle altre cause. Inoltre, correggendo per l’età, il rischio relativo risulta circa doppio tra chi non vota rispetto a chi vota. Il divario è particolarmente evidente tra gli uomini sotto i 50 anni, con sfumature che cambiano nelle età più avanzate.
Conta più del titolo di studio? Nel perimetro dello studio, sì: la differenza di rischio tra elettori e astensionisti è più ampia di quella che separa chi ha un’istruzione di base da chi possiede un’istruzione terziaria. Anche tenendo conto dell’istruzione, l’associazione tra mancato voto e mortalità resta significativa, segnale di un possibile ruolo del voto come indicatore di capitale sociale e di accesso a risorse che proteggono la salute.
Che ruolo ha il reddito? Tra gli uomini nel 25% più basso per reddito familiare, il rischio di morte associato al non voto risulta dal 9 al 12% più alto rispetto agli altri gruppi. Questo si inserisce in un quadro più ampio di disuguaglianze documentate dalla demografia finlandese, dove l’aspettativa di vita torna ad allargarsi tra i quintili di reddito, con più cause in gioco e non solo alcol e fumo.
Dentro l’urna, fuori la vita: perché questa storia ci riguarda, adesso
Abbiamo imparato che un gesto apparentemente semplice come votare può raccontare molto di noi: quanto siamo inseriti in una comunità, quante risorse abbiamo per organizzarci, quanta forza fisica e mentale riusciamo a mobilitare in un giorno ordinario. Gli autori propongono di guardare all’abitudine al voto come a un possibile segnale utile anche in ambito clinico, e di interrogarsi su cosa significhi, per la rappresentanza, la sistematica esclusione dei più fragili. È un invito a prevenire, rimuovere ostacoli e costruire ponti tra istituzioni e cittadini.
Raccontare la realtà, per noi, significa tenere insieme numeri e vita vissuta. Dietro quelle percentuali ci sono giorni di lavoro, diagnosi che arrivano, famiglie che si riorganizzano, quartieri che cambiano. Se la partecipazione politica risuona nella salute, o viceversa, è una responsabilità comune prendersene cura: non per scaramanzia, ma per rispetto di ogni storia che, con o senza scheda elettorale, chiede di essere vista.
