Volodymyr Zelensky ha respinto l’idea che esista un “piano di pace in 12 punti” già concordato, chiarendo che al momento circolano solo proposte e riflessioni europee, senza un testo condiviso. Le trattative restano in consultazione, senza nulla di concreto sul tavolo, ha spiegato ai giornalisti, rispondendo alle voci di un’intesa imminente.
La smentita: nessun progetto definito
Il presidente ucraino ha precisato che non ha visionato alcun documento formale e che parlare oggi di un piano chiuso risulta prematuro. Ha anche giudicato “strano” sentir dire che la Russia sarebbe già pronta a sedere a un tavolo, ricordando che nessun leader occidentale, compreso quello degli Stati Uniti, può costringerla a farlo. A riportare i passaggi della sua conversazione con la stampa è stata l’agenzia nazionale ucraina Ukrinform, che ha sottolineato come i contatti proseguano tra consiglieri e delegazioni, ma senza un esito definito, né un calendario negoziale su cui impegnare le parti.
Nelle parole del capo dello Stato emerge un punto che a Kyiv viene ribadito da mesi: qualsiasi percorso diplomatico dovrà prevedere il coinvolgimento attivo di Washington, senza il quale la transizione verso un processo credibile resta impraticabile. È un’impostazione coerente con l’ultimo anno di contatti ad alta intensità, in cui si sono alternati spiragli e brusche frenate, come testimoniano le ripetute smentite su presunti summit “risolutivi” e gli scambi a distanza tra le capitali coinvolte. Anche qui, Ukrinform ha evidenziato il clima di prudente scetticismo che circonda annunci non corroborati da testi o mandati.
L’Europa tra allargamento e riforme: le attese di oggi
Nel frattempo il fronte europeo vive un passaggio cruciale: nella giornata di martedì 4 novembre la Commissione Europea pubblica il Pacchetto Allargamento 2025, con la nuova relazione sui progressi dei Paesi candidati, tra cui l’Ucraina. Anticipazioni di stampa indicano valutazioni complessivamente positive ma con richiami netti sullo stato di diritto, l’indipendenza della magistratura e la tutela della società civile. Una bozza visionata dall’agenzia Reuters segnala la necessità di accelerare sulle garanzie istituzionali, mentre il servizio UNN da Kyiv ha confermato il calendario di pubblicazione odierno.
Questo appuntamento arriva dopo mesi di impegni finanziari e politici. A luglio, a Roma, la Commissione ha annunciato nuovi accordi per 2,3 miliardi di euro destinati alla ricostruzione e alla resilienza del sistema economico ed energetico ucraino; a settembre il primo Rapporto Annuale del Ukraine Facility ha certificato risultati rapidi, con riforme settoriali in linea con l’acquis e sostegno macroeconomico durante la guerra. La presidente Ursula von der Leyen aveva già indicato la prospettiva di un’adesione possibile prima del 2030, qualora le riforme proseguissero con passo e qualità adeguati. Tutti tasselli che, nelle parole di Zelensky, si intrecciano con i colloqui avuti nelle scorse ore con la numero uno dell’Esecutivo UE.
Energia e sostegno: una rete da tenere accesa
Il capitolo energetico resta decisivo mentre il Paese si prepara all’inverno. Nel suo aggiornamento, il presidente ucraino ha spiegato di aver discusso con von der Leyen interventi di coordinamento tra istituzioni e capitali europee, inclusi nuovi fondi per infrastrutture e sicurezza della rete, con contributi che potrebbero rivelarsi “molto significativi”. Le misure annunciate nei mesi scorsi, dal sostegno alle municipalità fino ai progetti per l’efficienza e la produzione rinnovabile, delineano una strategia che coniuga urgenza e transizione, evitando che il sistema elettrico venga piegato dagli attacchi mirati.
Non si tratta solo di tamponare i danni, ma di costruire un assetto più robusto: garanzie per le PMI, linee per le infrastrutture critiche, piani per la decarbonizzazione a lungo termine. La Commissione ha ricordato come, nel 2024, il Facility abbia mobilitato quasi 20 miliardi di euro su vari pilastri, sostenendo salari, pensioni e servizi essenziali e accompagnando riforme che avvicinano Kyiv agli standard dell’Unione. In controluce, resta l’esigenza di proteggere centrali e snodi logistici sotto pressione: una condizione necessaria perché qualsiasi intesa politica, domani, non crolli al primo blackout.
Johannesburg all’orizzonte: un vertice, molti interrogativi
L’eventuale cornice per un contatto tra leader resta il G20 in Sudafrica, fissato a Johannesburg per il 22-23 novembre. Da Mosca, il portavoce Dmitry Peskov ha chiarito che Vladimir Putin non parteciperà di persona, benché la Federazione sarà rappresentata “a un livello adeguato”. Negli Stati Uniti, invece, Donald Trump ha fatto sapere che non volerà in Sudafrica, delegando al vicepresidente JD Vance la guida della rappresentanza americana, come riportato dai media locali sudafricani. È uno scenario che rende più complessa la logistica di qualsiasi faccia a faccia.
Lo stesso governo sudafricano ha dovuto calibrare la sicurezza dell’evento, arrivando a chiedere a Pechino di rinviare esercitazioni navali condivise con Russia e Cina previste a fine novembre, proprio per non sovrapporle ai giorni del vertice. Il dato politico è chiaro: l’agenda del G20 è carica di incroci geopolitici e ogni segnale, anche nella gestione degli spazi marittimi, finisce per pesare sull’ipotesi di incontri informali tra delegazioni in cerca di un varco negoziale.
Helsinki spinge, l’Asia centrale intreccia
In questo contesto, Alexander Stubb, presidente della Finlandia, ha ventilato un possibile incontro tra i leader di Ucraina, Russia e Stati Uniti proprio a margine del G20 sudafricano. In conferenza stampa a Helsinki, citato dal portale Kyiv Independent e dal canale finlandese MTV Uutiset, Stubb ha spiegato di aver parlato con i leader di Kazakistan e Uzbekistan, immaginando un ruolo di questi Paesi come messaggeri tra Casa Bianca e Cremlino. Una diplomazia silenziosa che proverà a farsi strada nelle prossime settimane.
L’ipotesi si lega a un’agenda già fitta: è atteso a Washington il 6 novembre un vertice C5+1 con i leader centroasiatici, mentre contatti bilaterali con Tashkent sono stati confermati da fonti statunitensi. Se questa trama parallela possa davvero trasformarsi in una passerella utile verso Johannesburg resta da vedere, ma descrive il tentativo europeo di tenere aperti più canali possibili, spingendo a intrecciare tavoli regionali e grandi fori multilaterali.
Cosa manca perché si apra davvero un tavolo
A oggi, la distanza è ancora evidente: Sergey Lavrov ha ribadito quest’estate che non esiste un’agenda pronta per un vertice tra Putin e Zelensky, frenando aspettative alimentate da annunci e retroscena. Sullo sfondo, l’Unione Europea alza l’asticella delle riforme pretendendo garanzie irreversibili, mentre la guerra non arretra il livello di violenza sugli obiettivi energetici e civili. È il cuore della questione: senza condizioni minime condivise, ogni summit rischia di essere solo una foto, non l’innesco di un processo.
La porta europea resta comunque socchiusa. Nei mesi scorsi, von der Leyen ha evocato una possibile adesione di Kyiv entro la fine del decennio se il ritmo riformatore sarà mantenuto, e il Pacchetto Allargamento 2025 dirà oggi quanto questa traiettoria sia sostenibile. Ma il messaggio che arriva da Kyiv è netto: prima di qualsiasi architettura di pace, serve blindare la sicurezza del Paese e stabilizzare l’economia, obiettivi a cui concorrono fondi, riforme e protezione dell’infrastruttura critica.
Tre domande che riceviamo spesso
Esiste davvero un “piano in 12 punti” per chiudere la guerra? No. Il presidente Zelensky ha chiarito che non ha visto alcun documento condiviso: circolano proposte europee, ma niente di conclusivo o firmato. Le consultazioni tra consiglieri continuano, e Kyiv insiste sul coinvolgimento degli Stati Uniti per qualunque passaggio diplomatico credibile. Le ricostruzioni emerse sui media non sostituiscono un testo negoziale riconosciuto dalle parti, e per ora siamo lontani da quel traguardo.
Che cosa aspettarsi dal rapporto UE di oggi sull’allargamento? Secondo quanto anticipato, la Commissione riconoscerà progressi dell’Ucraina ma insisterà su riforme della giustizia, lotta alla corruzione e tutele per la società civile. I segnali degli scorsi mesi — dall’Ukraine Facility agli investimenti annunciati a luglio — indicano una rotta europea stabile, pur con cautele. Il verdetto odierno servirà a misurare tempi e condizioni del percorso, senza promesse irrealistiche.
Il G20 di Johannesburg può diventare il luogo di un incontro tra leader? Le incognite sono molte: Putin non sarà in presenza, Trump ha scelto di farsi rappresentare dal vice JD Vance, e gli aspetti logistici restano delicati. C’è un lavoro diplomatico sotterraneo, anche con possibili “messaggeri” dell’Asia centrale, ma al momento non esiste un’agenda condivisa. Parlare di stretta finale sarebbe più desiderio che realtà operativa.
Una rotta che chiede lucidità
In questi giorni densi di attese e smentite, resta una verità semplice: la pace non nasce da una voce di corridoio. Servono testi, garanzie, tempi, controlli; servono impegni economici che reggano, sistemi energetici che non cedano, istituzioni in grado di far rispettare le regole anche quando le sirene smettono di suonare. È questo il filo che teniamo, raccontando i passaggi che contano e separando i fatti dalle illusioni, con l’ascolto lungo di chi osserva ogni dettaglio e ne misura il peso.
Ogni passo è importante, ma non tutti pesano allo stesso modo. Oggi le parole di Zelensky, le attese del rapporto UE, gli incastri del G20 e i movimenti dell’Asia centrale compongono un mosaico incompleto, che chiede pazienza, rigore e onestà. Il nostro impegno è restituirlo così com’è: vivo, complesso, a tratti contraddittorio, ma reale. Perché il lettore merita chiarezza, non promesse che si spengono alla prima smentita.
