La linea di frattura tra Caracas e le forze statunitensi si fa più netta. Nelle ultime ore il Pentagono ha confermato un nuovo strike letale contro un’imbarcazione sospettata di traffico di droga nel Mar dei Caraibi, con tre uomini uccisi. Si tratta almeno del quindicesimo attacco dall’inizio di settembre: una cadenza che, sommata ai movimenti navali e ad addestramenti sempre più evidenti, dà l’idea di una pressione continua sul quadrante venezuelano. Le autorità statunitensi ribadiscono la cornice “anti-narcotici”; sul tavolo, però, ci sono ormai anche i riflessi strategici e diplomatici.
Intanto i Marines del 22nd Marine Expeditionary Unit (SOC), imbarcati sulla assault ship USS Iwo Jima e sul suo gruppo anfibio, operano a ridosso del bacino venezuelano. Immagini satellitari e video di addestramento in mare aperto confermano che l’unità anfibia si muove nell’arco Grenada–Venezuela, con esercitazioni a fuoco a bordo che hanno fatto suonare l’allarme a Caracas. È una presenza che non passa inosservata: capace di proiettare a terra forze e velivoli in tempi rapidi, ma anche di restare “sospesa” al limite delle acque internazionali.
Cosa è cambiato nelle ultime ore
Lo strike statunitense di oggi – tre morti a bordo di un natante colpito in acque internazionali – aggiorna il conteggio di una campagna che Washington descrive come mirata a interrompere le reti marittime del narcotraffico tra Caraibi ed Est Pacifico. È la prosecuzione di una serie di operazioni già documentate nell’ultima settimana, con un ritmo che si è fatto più fitto e con un dibattito interno agli Stati Uniti su legittimità, trasparenza e base giuridica.
Sul piano politico, Donald Trump ha negato di considerare bombardamenti su obiettivi in territorio venezuelano, mentre la campagna in mare continua. Il segnale è chiaro: posture e messaggi restano calibrati sullo “stop ai narcos”, ma l’effetto percepito nell’area – e a Caracas – è quello di una pressione militare crescente.
Il fattore Marines: dove sono e cosa fanno
La USS Iwo Jima (LHD‑7) si muove con almeno un cacciatorpediniere classe Arleigh Burke al seguito; tracciamenti satellitari degli ultimi giorni l’hanno mostrata a ovest di Grenada, direzione coste venezuelane, mentre a bordo si svolgevano drill a munizionamento reale. Per chi osserva il teatro, il messaggio è duplice: da un lato deterrenza, dall’altro prontezza logistica per sbarchi, eliassalti e supporto aereo ravvicinato.
Dal lato “terra”, i Marines del 22nd MEU(SOC) hanno alternato attività a bordo e fasi addestrative in Porto Rico nel corso dell’autunno – tiro, assalti anfibi, integrazione con assetti ad ala rotante – consolidando l’interoperabilità nell’area di responsabilità del U.S. Southern Command. È la stessa unità oggi proiettata con il gruppo anfibio guidato da Iwo Jima.
L’ordine di battaglia: cosa porta con sé il gruppo anfibio
Il pacchetto Iwo Jima–22nd MEU(SOC) schiera tre navi chiave: la Iwo Jima e le unità da sbarco USS San Antonio (LPD‑17) e USS Fort Lauderdale (LPD‑28), per oltre 4.500 tra Marinai e Marines sull’intero dispositivo anfibio. È una combinazione pensata per operazioni dal mare: mezzi da sbarco, convertiplani, elicotteri d’attacco e fanteria di Marina in grado di “agganciare” una costa e mantenerla.
Nel frattempo, l’area caraibica vede un turnover navale che include cacciatorpediniere Aegis e unità di scorta. Il quadro – tra proiezione anfibia e difesa aerea/navale – conferma che non si tratta solo di pattugliamento anti‑droga tradizionale, ma di un dispositivo multi‑ruolo.
Trinidad e Tobago: il nodo politico‑energetico che infiamma Caracas
Il passaggio della USS Gravely a Port of Spain (26–30 ottobre) per esercitazioni con le forze trinidadiane, con Marines del 22nd MEU coinvolti in attività a terra, ha avuto un effetto domino. Da Caracas è arrivata la sospensione “immediata” degli accordi energetici con Trinidad e Tobago, con il richiamo esplicito al grande progetto Dragon sul gas offshore. La mossa ha congelato un dossier strategico per l’intera regione.
Parallelamente, il ministro della Difesa venezuelano Vladimir Padrino López ha alzato i toni verso Port of Spain, invitandola a non “prestarsi” – parole sue – a operazioni che Caracas considera una minaccia alla propria sovranità. È un irrigidimento che spinge il fronte politico regionale a schierarsi e che rende il quadrante più sensibile a incidenti di percezione.
La portaerei che avanza: perché Gerald R. Ford pesa sullo scenario
Sul fianco atlantico, la portaerei USS Gerald R. Ford (CVN‑78) è stata riposizionata verso i Caraibi. L’arrivo del suo Carrier Strike Group aggiunge aerei imbarcati e unità di scorta a una scacchiera già affollata, alterando l’equilibrio tra deterrenza e rischio di escalation. Le tappe del trasferimento e il profilo di missione sono stati ricostruiti negli ultimi giorni da fonti militari e analisi indipendenti.
Una volta nell’area, il valore aggiunto della Ford non sta nel contrasto ai barchini dei narcos – per quello bastano elicotteri e pattugliatori – ma nella pressione strategica su apparati militari avversari: radar, basi, difese costiere. Per Caracas, il solo avvicinamento della portaerei alza la posta.
Il corridoio diplomatico: da Ginevra a Mosca
Sul piano dei diritti umani, l’Alto Commissario ONU Volker Türk ha definito “inaccettabili” gli attacchi letali contro imbarcazioni sospettate, chiedendone l’immediata cessazione e un’indagine indipendente. È un richiamo che pesa, perché tocca il cuore della legalità dell’uso della forza fuori da un conflitto armato riconosciuto.
Mosca si è schierata pubblicamente con Caracas, denunciando “l’eccesso di forza” statunitense e rilanciando la linea della sovranità venezuelana. A New York, intanto, il dossier è entrato nel circuito del Consiglio di Sicurezza su impulso di Caracas, con richieste formali di pronunciamento sulla legalità delle operazioni.
Dove può scattare l’incidente
La prossimità fisica tra un gruppo anfibio con i Marines a bordo e le difese costiere venezuelane è il punto più delicato. Tracciamenti satellitari e fotografie open‑source hanno mostrato Iwo Jima e unità di scorta a ridosso dell’arco venezuelano: basta poco – un allarme radar, un sorvolo mal interpretato, una manovra in acque contese – perché l’attrito tattico diventi caso politico.
A rendere il quadro più nervoso ci sono le regole d’ingaggio di una campagna navale che ha già prodotto oltre sessanta morti in mare in due mesi, con parlamentari USA che chiedono conto della base legale e dell’applicabilità del War Powers alla serie di strike contro natanti. In assenza di un terreno comune sul diritto, lo spazio di manovra diplomatica si restringe.
Al momento in cui pubblichiamo, non risultano bombardamenti in territorio venezuelano annunciati o eseguiti dagli Stati Uniti; la smentita presidenziale resta l’unico elemento ufficiale su questo punto. Restiamo sul campo per raccontarvi, senza filtri, fatti e scelte che toccano il cuore dei Caraibi.
