Un atto simbolico che diventa terreno di scontro politico. A Torino, la proposta di concedere la cittadinanza onoraria a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati, ha aperto una faglia nella maggioranza di centrosinistra: il Partito democratico ha ritirato le firme, Sinistra Ecologista frena e il Movimento 5 Stelle prova a forzare la mano. In Sala Rossa la temperatura è alta, ma i numeri non ci sono. E quando i numeri mancano, anche i simboli fanno fatica a trovare casa.
Il punto non è solo “se” conferire un’onorificenza, ma come e quando. Una parte della maggioranza chiede tempi più lunghi e una cornice condivisa; i 5 Stelle rispondono che serve coraggio davanti a una giurista finita al centro di un ciclone politico internazionale. Voi lettori lo sentite: qui si intrecciano principi, procedure e tattica. La domanda è semplice e bruciante: è il momento giusto, con questi numeri, per portare il voto in aula?
Che cosa è successo in Comune
La mozione nasce nei banchi del M5S, con Valentina Sganga prima firmataria e Andrea Russi tra i sottoscrittori. In avvio c’era stato anche un sostegno trasversale di alcuni consiglieri dem e di Avs: un segnale di apertura che lasciava spazio a una convergenza larga. Poi, nella conferenza dei capigruppo, il clima si è irrigidito. La richiesta dei 5 Stelle di calendarizzare rapidamente la discussione è stata respinta e il Pd ha ritirato le firme, motivando la mossa con il timore che un voto destinato a non passare trasformi il riconoscimento in una bandierina di parte.
È qui che la vicenda cambia ritmo. Sinistra Ecologista non se ne lava le mani, ma invita a non bruciare l’atto: “Non ci sono i voti, rischiamo di affossarlo”, è la sintesi. I pentastellati replicano che la città dovrebbe schierarsi senza esitazioni al fianco della relatrice Onu. Due idee di timing e due letture politiche che non si parlano più. Risultato: la mozione non entra all’ordine del giorno e resta appesa a un negoziato tutto da ricostruire.
Le regole e i numeri: perché oggi il via libera è fuori portata
Il regolamento delle onorificenze civiche di Torino è chiaro: la cittadinanza onoraria si conferisce con una mozione approvata dai tre quarti dell’assemblea. Tradotto nella matematica della Sala Rossa: una soglia molto alta che costringe a un accordo ampio. C’è di più: basta un voto mancato a far saltare l’operazione e, in caso di bocciatura, l’atto può essere ripresentato non prima di 180 giorni. Non è un dettaglio, è il cuore del perché la maggioranza discute sui tempi.
Se Pd e Avs non marciano compatte, se alcune componenti di maggioranza si sfilano o si astengono, i tre quarti non si raggiungono. Portare la mozione al voto “per principio” significherebbe quasi certamente farla cadere, con l’effetto di bloccarla per mesi. È la ragione per cui tra i dem prevale la linea della prudenza, mentre i 5 Stelle considerano l’atto una prova di coerenza politica. Due strade, oggi, non sovrapponibili.
Chi è Francesca Albanese e perché divide
Per capire la posta in gioco, serve un passo indietro. Francesca Albanese è la relatrice speciale dell’Onu sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati. Negli ultimi mesi è finita nel mirino di governi e diplomazie: gli Stati Uniti l’hanno sanzionata e il suo ultimo intervento al Palazzo di Vetro ha scatenato un botta e risposta durissimo con il rappresentante israeliano, arrivato a insultarla chiamandola “strega”. Lei ha replicato senza arretrare di un millimetro.
Questa cornice spiega perché a Torino l’onorificenza venga letta anche come gesto politico. Per i sostenitori è un riconoscimento al lavoro di una giurista che denuncia violazioni gravi del diritto internazionale. Per chi frena è un atto che rischia di spaccare l’aula senza costruire consenso civile. Il merito della persona si scontra con la temperatura del contesto, e la città — attraverso i suoi rappresentanti — deve decidere se e come lasciarlo entrare nella sfera dei propri simboli.
Le posizioni in campo
Il Movimento 5 Stelle rivendica la scelta: “Atto di verità e coraggio”, sostengono Sganga e Russi. A loro avviso Torino dovrebbe pronunciare una parola netta, proprio perché il clima internazionale è ostile a chi indaga e denuncia. Il Pd, che in un primo momento aveva firmato, oggi si è sfilato spiegando che un voto perdente trasformerebbe l’onorificenza in una contesa identitaria, alimentando polemiche e strumentalizzazioni.
Sinistra Ecologista sta nel mezzo: favorevole sul merito, ma contraria a bruciare la mozione senza i numeri necessari. Sullo sfondo, le altre componenti della maggioranza e delle opposizioni hanno già fatto intuire perplessità o dissenso. In una parola: largo campo, spazi stretti. E in democrazia, quando la regola chiede tre quarti, lo spazio per le forzature è praticamente nullo.
Cosa può succedere adesso
Due piste, oggi. La prima: negoziare ancora, allargando il perimetro del sì e riportando il tema in aula quando la soglia qualificata sarà davvero a portata. La seconda: insistere e andare al voto con il rischio concreto di far naufragare l’atto e bloccarlo per mesi. Noi crediamo che Torino, città abituata a costruire, abbia interesse a evitare mosse che chiudono le porte invece di aprirle.
Intanto, il dibattito resterà acceso. Perché qui non si discute solo di una pergamena: si discute dell’idea di città che vogliamo raccontare con i nostri simboli. Ci fermiamo un istante e lo chiediamo a voi: ha più valore un gesto immediato che non passa, o un riconoscimento costruito con pazienza, capace di unire davvero?
