Stasera raccontiamo una ferita che brucia. Un ragazzo di sedici anni, Giuseppe Di Dio, è morto davanti a un bar di Capizzi, nel Messinese. Un altro giovane di 22 anni è rimasto ferito, non in pericolo di vita. I carabinieri hanno fermato tre persone: un ventenne, ritenuto l’autore materiale degli spari, il fratello di diciotto anni e il padre quarantottenne. Le verifiche procedono serrate, l’area della sparatoria è stata delimitata, l’arma sequestrata.
Vi chiediamo di restare un momento su ciò che conta: un centro dei Nebrodi attraversato da una raffica di fuoco, una vita spezzata e una comunità sotto shock. La ricostruzione converge su un dato: il sedicenne non era l’obiettivo. Chi ha sparato cercava un’altra persona. È un’ipotesi su cui gli inquirenti stanno lavorando mentre ascoltano testimoni e incrociano elementi tecnici. Tre uomini sono in stato di fermo; tocca alla magistratura definire i passaggi successivi.
La dinamica ricostruita finora
Dalla prima cornice dei fatti emerge uno schema netto. Una vettura si ferma in via Roma, nel cuore di Capizzi. Dall’auto scende un giovane che apre il fuoco verso il gruppo all’esterno del locale. I colpi raggiungono Giuseppe Di Dio e colpiscono anche un 22enne che si trovava lì vicino. Il ragazzo ferito viene soccorso e trasferito all’ospedale di Nicosia; le sue condizioni non destano preoccupazioni. Le indagini mettono in fila tempi, traiettorie, posizioni.
L’arma è stata recuperata: una pistola clandestina con matricola abrasa. Un dettaglio che pesa, perché incrocia reati specifici e lascia pensare a una disponibilità non estemporanea. L’oggetto è sotto sequestro e verrà sottoposto a ulteriori accertamenti balistici; la zona del bar, affollata la sera, è stata passata al setaccio per isolare bossoli e residui utili.
Tre fermi: ventenne, fratello diciottenne e padre
I carabinieri hanno sottoposto a fermo un ventenne, un diciottenne e un quarantottenne (padre dei due). Al primo viene contestato l’omicidio del sedicenne e il tentato omicidio del 22enne; agli altri due l’ipotesi di averlo accompagnato e sostenuto nella fase dell’agguato. Nel fascicolo compaiono anche le contestazioni di detenzione abusiva di arma, detenzione di arma clandestina, lesioni personali e ricettazione. Tutti e tre sono maggiorenni.
Il fermo non è una condanna né una misura cautelare definitiva: è un atto urgente che anticipa le valutazioni della Procura, chiamata a chiedere o meno la convalida al giudice nelle prossime ore. Gli accertamenti incrociano testimonianze, repertazioni tecniche e possibili moventi, con un punto già evidente: chi ha sparato cercava un’altra persona e avrebbe colpito di rimbalzo chi non c’entrava.
La vittima e il ferito
Giuseppe Di Dio aveva sedici anni e studiava all’Istituto “Ettore Majorana” di Troina (indirizzo alberghiero). Di lui i docenti parlano come di un ragazzo serio, timido, appassionato. La scuola ha espresso cordoglio pubblico, la comunità si è stretta alla famiglia. Nomi, volti, abitudini: tutto racconta una quotidianità spezzata in pochi istanti. È la parte più difficile da scrivere ma è anche quella che merita rispetto: non ridurremo questa storia a una pratica di cronaca.
Il 22enne rimasto ferito è ricoverato a Nicosia; i medici lo hanno preso in carico, non risulta in pericolo di vita. Anche per lui, e per chi era presente, sarà necessario tempo: la giustizia dovrà stabilire responsabilità, ma c’è un trauma che non va dimenticato. Se abitate in zona e avete visto o sentito qualcosa di utile, parlatene con gli investigatori: un dettaglio, a volte, cambia il quadro.
Indagini e ipotesi al vaglio
L’inchiesta è coordinata dalla Procura di Enna e condotta dai carabinieri, con il supporto del reparto territoriale competente. Al centro c’è l’ipotesi di scambio di persona: il ventenne avrebbe cercato un rivale con cui c’erano attriti pregressi; il sedicenne e il 22enne non erano nel mirino. È un’ipotesi che spiega la sequenza dei colpi e la rapidità dell’azione, ma che dev’essere inchiodata a riscontri oggettivi.
In parallelo si lavora sulla filiera dell’arma: provenienza, eventuali passaggi di mano, compatibilità con altri episodi sul territorio. Ogni tassello – bossoli, tracce, contatti telefonici – serve a definire il perimetro. Non troverete qui numeri gridati o certezze facili: parleremo di ciò che le verifiche sostengono, lasciando fuori il resto. È così che si restituisce serietà a una comunità colpita da un atto di violenza così netto.
La comunità e le istituzioni
Capizzi ha meno di tremila abitanti. Tutti si conoscono. È un paese che la sera si ritrova in centro, che fa della prossimità una forza. Il sindaco ha espresso dolore e sgomento, descrivendo il rischio che ieri sera potesse maturare una strage, e ha chiesto più presenza sul territorio. In giornate così, la politica è chiamata a fare la sua parte: prevenzione, presidi, ascolto reale dei contesti dove un’arma può diventare risposta.
A voi che leggete da casa o dal telefono chiediamo una cosa semplice: non abituatevi. Chiedetevi come si evita che un’arma clandestina arrivi tra la folla di un paese. Chiedetevi che cosa si può fare – famiglie, scuole, istituzioni – prima che un proiettile parta. Noi continueremo a seguire i passaggi formali e i riscontri d’indagine, con la stessa misura che pretendiamo quando si parla di responsabilità penali: niente scorciatoie, solo fatti.
