Ci sono città che diventano più di un nome sulla carta: si trasformano in una domanda che interroga tutti. Pokrovsk è questo. Strade sventrate, palazzi scuri come ferite e una ferrovia che taglia l’Est ucraino. Qui i combattimenti non sono soltanto metri di terreno, ma tempo guadagnato, linee di rifornimento che reggono, vie di fuga che restano aperte per chi deve mettersi in salvo. La città è oggi contesa, i russi spingono con una manovra a tenaglia, gli ucraini ribattono colpo su colpo e tengono i varchi vitali.
Il peso dello scontro, nel Donetsk, si è spostato proprio su questo nodo. Le cifre raccontano la dimensione dell’assalto: circa 170 mila militari russi ammassati sul settore, ha spiegato Volodymyr Zelensky, e l’obiettivo dichiarato è piegare Pokrovsk per aprirsi il corridoio verso l’ovest dell’oblast. Kyiv ammette infiltrazioni di reparti russi dentro la città, ma nega qualsiasi accerchiamento: «li scoviamo e li cacciamo», il senso del messaggio. Il resto lo fanno le immagini dei quartieri quasi svuotati, devastati da mesi di attacchi.
La città contesa e il nodo logistico
Pokrovsk non è un nome qualunque. È un hub stradale e ferroviario che tiene insieme rifornimenti, evacuazioni, movimenti di truppe. A nord-est si agganciano le direttrici verso Kostiantynivka, più a nord le vie per Sloviansk e Kramatorsk; a ovest il ponte verso il Dnipro. Prima della guerra contava circa 70 mila residenti. Oggi l’impronta urbana resta, ma la città è largamente spopolata e segnata. Se cadesse, cascata di conseguenze su tutta la difesa ucraina dell’est.
Vi chiediamo di farvi una domanda semplice: cosa significa perdere un crocevia? Significa esporre arterie e retrovie, moltiplicare i chilometri da coprire, spostare gli equilibri anche dove non cadono missili. Ecco perché, nonostante la pressione, i difensori insistono nel mantenere i collegamenti e respingere i tentativi di interdire le strade di accesso. È un braccio di ferro sulla geografia, prima ancora che sulle mappe tattiche di giornata.
Le ultime 48 ore
Il segnale più chiaro arrivato in queste ore è l’invio a Pokrovsk di forze speciali ucraine con atterraggio da elicottero Black Hawk. Operazione seguita dall’intelligence militare di Kyiv e pensata per stabilizzare il settore più caldo. Un video diffuso a supporto mostra una squadra che sbarca in campo aperto; la data non è verificata in modo indipendente, ma le fonti militari ucraine confermano l’intervento. Sul terreno, la mappa open source DeepState indica porzioni del settore sud sotto controllo russo, con il resto della città in zona grigia, contesa.
Mosca parla di pinza che si chiude, sostiene di aver eliminato un distaccamento ucraino e mostra filmati di presunte rese. Kyiv smentisce: nessun accerchiamento, «situazione difficile e dinamica», operazione complessa per stanare gli infiltrati lungo corridoi e cortili. Il comandante in capo Oleksandr Syrskyi usa parole misurate: «Pokrovsk la teniamo, continuiamo a distruggere e respingere il nemico». Sul perimetro, le artiglierie battono e i droni tagliano le retrovie per impedire che la tenaglia si saldi.
La posta strategica
Se la città dovesse cadere, per Mosca sarebbe il guadagno territoriale più importante in Ucraina da Avdiivka (inizio 2024). Non solo un trofeo simbolico: da qui i russi puntano a consolidare la spinta verso Kostiantynivka e ad avvicinare Kramatorsk e Sloviansk, i due centri maggiori ancora sotto controllo ucraino nella parte occidentale del Donetsk. Per questo il fronte di Pokrovsk, pur in rovina, resta una cerniera che non può cedere senza travolgere anche il resto del sistema difensivo.
A sud e nei dintorni, l’attrito è continuo: schermaglie, infiltraggi, raid di piccole unità di fanteria, con l’obiettivo di far saltare le consegne e spezzare gli itinerari di rifornimento. È guerra di attrito, che consuma uomini e minuti. Chi regge la linea più a lungo, conquista margini per riposizionarsi. Qui lo spazio vale oro, perché ogni tratto di strada rimasto praticabile è un filo che tiene insieme il comparto orientale.
Dentro la battaglia: uomini, tattiche, numeri
Il dato che spiega la pressione è la massa russa sul settore Pokrovsk: circa 170 mila militari schierati nel Donetsk con priorità sull’area, ha detto Zelensky. In città, le autorità militari ucraine stimano almeno 200 soldati russi penetrati oltre la cintura difensiva, responsabili di agguati e posizionamenti in edifici-chiave. Kyiv ha risposto con reparti scelti, UAV e unità d’assalto, provando a bonificare isolato dopo isolato.
E qui contano i dettagli tattici: ricognizioni su piccole squadre, attese lunghe negli interstizi urbani, attacchi “a coltello” per evitare i varchi sotto osservazione dei droni. Sui monitor degli analisti la fotografia resta la stessa: una parte meridionale in mano russa, il resto grigio, conteso. E una linea di comunicazione che, se resta viva, rende fragile qualsiasi annuncio di “sacca chiusa”.
Civili, corridoi, energia
Questa battaglia non riguarda solo i militari. Riguarda i civili rimasti e chi lavora per portarli via. A Pokrovsk l’evacuazione è diventata un’impresa, e la città appare depopolata rispetto al passato, con interi isolati ridotti a gusci. Tenere aperti i corridoi significa anche questo: permettere un passaggio quando la finestra si apre, proteggere i mezzi, scegliere il momento.
La guerra all’infrastruttura energetica pesa come una zavorra. Le ondate di droni e missili sulla rete elettrica e sugli impianti hanno già fatto salire il bilancio dei civili colpiti rispetto al 2024. Le Nazioni Unite avvertono: con l’inverno che arriva, togliere energia significa togliere riscaldamento, acqua, servizi essenziali. È un fronte parallelo che si somma a quello militare, proprio mentre sull’est del Paese si combatte casa per casa.
Cosa tenere d’occhio adesso
Tre elementi. Primo: la tenuta dei collegamenti che collegano l’asse di Pokrovsk con l’entroterra ucraino. Lì passano rifornimenti, rotazioni, evacuazioni: se restano aperti, la città respira; se si chiudono, la morsa stringe davvero. Secondo: la bonifica dalle infiltrazioni. È un lavoro lento, che richiede specialisti e coordinamento costante tra intelligence, forze speciali e unità d’assalto. Terzo: il respiro del fronte più ampio del Donetsk, perché qui non si gioca una partita isolata ma un equilibrio regionale che riguarda anche Kostiantynivka, Sloviansk e Kramatorsk.
Vi lasciamo con una certezza semplice, priva di enfasi: Pokrovsk resiste. Non per retorica, ma perché la difesa di questo snodo cambia il disegno dell’intero est ucraino. E ogni ora in più, in guerra, è spazio per riorganizzarsi e salvare vite.
