Diciotto anni dopo quella notte a Perugia, la storia di Meredith Kercher continua a bussare alla porta della coscienza pubblica. La ricostruzione giudiziaria è scolpita nelle sentenze passate in giudicato, eppure le pieghe della vicenda restano vive: dinamica, partecipazione di più persone, oggetti mai collegati in modo univoco. Nelle scorse ore è tornata in circolo un’indicazione nuova: un ex magistrato che seguì il fascicolo ha detto di aver segnalato un nome mai vagliato prima. La Procura, però, ha fatto sapere di non aver aperto alcun nuovo fascicolo. Due linee che non si escludono, ma che impongono prudenza.
C’è anche un presente che corre: l’unico condannato in via definitiva per l’omicidio, Rudy Guede, affronta un procedimento separato e senza legami con il delitto Kercher, con prima udienza fissata a inizio novembre. Sullo sfondo, l’ultimo tassello giudiziario legato a Amanda Knox, con la conferma a gennaio della condanna per calunnia nei confronti di Patrick Lumumba: pena già scontata, ma verdetto divenuto definitivo. Se vi chiedete che cosa sia certo oggi e cosa resti nel cono d’ombra, mettiamo in fila – con calma – ciò che sappiamo, ciò che è stato detto e ciò che non è mai stato dimostrato.
Il punto fermo delle sentenze
Le carte parlano chiaro. Knox e Sollecito sono stati assolti in via definitiva nel 2015. Per l’omicidio di Meredith la condanna riguarda soltanto Rudy Guede, pena espiata e libertà dal 2021. Questo è il terreno solido, il resto sono discussioni.
Il 2025 ha aggiunto un tassello autonomo: la Corte di cassazione ha confermato la condanna di Knox per calunnia nei confronti di Lumumba. Tre anni, già scontati, ma decisione ora definitiva. Le motivazioni che portarono a quella pronuncia del 2024 sono note, la difesa ha ribadito le proprie ragioni, e la sentenza è passata in giudicato. Non sposta la verità sull’omicidio, ma chiude l’ultimo residuo penale rimasto aperto sul suo nome in Italia.
Le novità dichiarate e lo stato reale del fascicolo
Nelle ultime 24 ore, l’ex pubblico ministero che coordinò le prime indagini ha raccontato di avere ricevuto da una fonte “affidabile” un nome mai esaminato prima e di averlo segnalato agli uffici giudiziari. Un elemento che riporta l’attenzione su un punto rimasto sensibile: fu davvero solo una persona ad agire? E se qualcuno ebbe un ruolo marginale, perché non emerse allora? Domande legittime, che meritano però binari rigorosi.
La Procura della Repubblica di Perugia – guidata da Raffaele Cantone – ha chiarito che non è stato aperto alcun nuovo fascicolo sull’omicidio Kercher. Le sentenze definitive restano la bussola, senza “riaperture” formalizzate. Questo significa due cose: le nuove indicazioni, se esistono, potranno al più essere valutate; lo stato del caso, per la giustizia italiana, è cristallizzato. È utile tenerlo a mente per distinguere tra suggestioni, auspicabili verifiche e atti.
Procedimenti paralleli, non collegati al delitto Kercher
Nel frattempo Guede dovrà presentarsi davanti ai giudici di Viterbo per un processo relativo a presunte violenze contro l’ex compagna: prima udienza fissata al 4 novembre. Si tratta di un procedimento estraneo all’omicidio del 2007, ma che riporta il suo nome sulle pagine di cronaca. La contestazione è di natura diversa, l’imputato respinge le accuse, e il dibattimento definirà i fatti. La cronologia è pubblica e confermata.
Negli ultimi mesi si sono succeduti atti e misure cautelari in quell’inchiesta, e già a inizio anno era stato notificato l’avviso di conclusione indagini. Anche questo filone dice qualcosa sul rumore di fondo che avvolge ogni notizia collegata al nome dei protagonisti di Perugia: tende a sovrapporsi al caso Kercher, ma giuridicamente ne è separato. Distinguere i piani non è un esercizio accademico: è la condizione per non confondere i lettori.
Dove ancora si inciampa: le lacune riconosciute nelle carte
Le motivazioni della Cassazione del 2015 segnarono un punto netto: il complesso probatorio a carico di Knox e Sollecito era “contraddittorio” e non consentiva una ricostruzione univoca. In quel documento trovano spazio i nodi che hanno reso fragili alcuni indizi: dalla traccia genetica sul gancetto del reggiseno alle contestazioni sull’idoneità del coltello sequestrato altrove a spiegare tutte le ferite. Non un dettaglio tecnico: è qui che si misura la distanza tra ipotesi e prova.
Un altro crinale è la scena domestica: i segni di effrazione, l’ipotesi di una messa in scena, il ruolo di chi frequentava la casa. L’idea di un furto simulato ha accompagnato più di una fase processuale, ma nelle sentenze definitive non ha trovato un ancoraggio tale da sostenere responsabilità ulteriori. È uno dei punti oscuri che restano tali perché non consolidati da elementi ripetibili e verificabili. Le carte di legittimità lo ricordano, invitando a non forzare letture.
Le domande sulla dinamica e il tema delle “più persone”
Dal primo grado abbreviato di Guede in avanti si è parlato di concorso di persone: una formula che ha alimentato la convinzione, in parte dell’opinione pubblica, che qualcuno potesse aver agito insieme a lui. Eppure, nel tempo, nessun altro è stato condannato per l’omicidio; le assoluzioni piene di Knox e Sollecito hanno sciolto la loro posizione. Rimane la logica domanda sul “come”: una domanda che i giudici hanno ritenuto non colmabile con ciò che era disponibile in prova.
Restano inoltre nodi cronologici che hanno diviso per anni: orari, telefoni, rilevamenti acustici, finestre e vetri. Elementi che, isolati, sembravano dirci qualcosa di chiaro e che, messi insieme, hanno perso forza nella verifica incrociata delle Corti. Se un dato non regge alla ripetizione, non diventa prova. Qui si colloca, in fondo, l’idea stessa di “punto oscuro”: non il mistero romanzesco, ma il limite raggiunto dall’accertamento. E dove l’accertamento si ferma, la cronaca deve fermarsi.
Memoria, rispetto, responsabilità delle parole
Parlare di Meredith significa anche scegliere parole che non feriscano di nuovo chi resta. La famiglia, attraverso il proprio legale, ha chiesto nei mesi scorsi di proteggere il ricordo di una ragazza che aveva appena iniziato la sua vita italiana. È una richiesta semplice, e preziosa: tenere insieme il dovere di raccontare e la prudenza di non trasformare ogni anniversario in un tribunale parallelo. Si può fare, e anzi si deve.
Per noi, questo comporta un impegno pratico: distinguere tra ciò che è certo (le sentenze), ciò che è dichiarato (le interviste, le segnalazioni) e ciò che resta da dimostrare. Se un’indicazione nuova dovesse maturare in atti, lo racconteremo. Finché non accade, l’omicidio di Meredith Kercher rimane un caso chiuso nella sua parte giudiziaria e aperto solo nella coscienza civile, dove la richiesta di verità convive con il dovere di non oltrepassare il confine dei fatti.
