Nella notte sono stati trasferiti in Israele, attraverso la Croce Rossa, i resti parziali di tre corpi prelevati a Gaza. Le verifiche biomediche svolte all’Istituto di Medicina Legale Abu Kabir di Tel Aviv hanno escluso che si tratti di persone inserite nell’elenco degli ostaggi da identificare. La consegna è avvenuta via Kissufim, nel quadro del canale umanitario gestito dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), che ha sottolineato il proprio ruolo di intermediario neutrale nel solo trasferimento, non nell’identificazione. La valutazione odierna chiude ore di incertezza e riporta il dossier ostaggi su un terreno di fatti verificabili.
Il passaggio di oggi arriva a 24 ore dalla restituzione, sempre via CICR, dei corpi di due ostaggi israeliani, Amiram Cooper e Sahar Baruch, individuati e identificati in serata. In parallelo, Israele ha riconsegnato 30 salme palestinesi agli ospedali della Striscia, un’operazione registrata a Khan Younis dal Nasser Medical Complex. Sul tavolo restano i casi non ancora risolti: gli apparati di sicurezza considerano ancora in Gaza le spoglie di 11 ostaggi, mentre proseguono le procedure di identificazione presso i laboratori forensi.
Che cosa è accaduto nella notte
Nella fascia serale Hamas ha consegnato al CICR tre cadaveri in condizioni non integre, che sono stati portati oltre la barriera e affidati alle autorità competenti. La catena tecnico‑forense ha seguito il protocollo ordinario: trasporto refrigerato, ricezione da parte delle forze israeliane, trasferimento ad Abu Kabir, prelievi per il confronto genetico e matching con i profili degli ostaggi deceduti. L’esito: nessuna corrispondenza. Il quadro è stato ricostruito stamattina da fonti istituzionali e rilanciato dai principali canali israeliani.
Il passaggio tramite Croce Rossa è stato confermato con una nota: l’organizzazione ha “facilitato la consegna” e ribadito che l’identificazione compete alle autorità. Per il CICR il rispetto dei resti umani deve rimanere fuori dalla contesa politica – un principio riaffermato nei giorni scorsi anche a seguito di polemiche su precedenti recuperi. La cornice resta quella del canale umanitario aperto per permettere il rientro dei corpi e, quando possibile, dei beni personali.
La versione di Hamas e il nodo operativo
Dal lato palestinese, le Brigate al‑Qassam hanno sostenuto di aver inizialmente proposto la consegna di campioni per l’analisi genetica, respinta con richiesta di trasferire i corpi interi; da qui, la decisione di consegnare i tre cadaveri recuperati. Nella stessa comunicazione, Hamas afferma che parte dei resti si troverebbe in aree della Striscia controllate militarmente da Israele, chiedendo a mediatori e CICR mezzi e attrezzature per operazioni di recupero simultanee.
Per chi attende un riscontro, questo dettaglio conta: gli scavi in macerie instabili e in zone operative richiedono tempi lunghi, mappature mirate e una gestione rigorosa della catena di custodia. Nelle ultime 24 ore, inoltre, la Protezione civile di Gaza ha segnalato criticità nel rintracciare dispersi, a testimonianza di un terreno ancora difficile. Tutti elementi che si traducono, per voi lettori, in una verità semplice e dura: ogni recupero necessita di condizioni minime di sicurezza e di un canale tecnico stabile.
Le cifre già verificate dello scambio
Alla data odierna, Hamas ha restituito 17 delle 28 salme di ostaggi previste dagli impegni presi nel quadro della tregua. È un dato che incrocia più riscontri e che aiuta a capire perché la pressione diplomatica resti alta. Parallelamente, undici corpi di ostaggi sono ancora considerati in Gaza: un numero costante nelle ultime ore, tenuto in monitoraggio dai team investigativi e dai referenti ospedalieri che gestiscono gli ingressi e le identificazioni.
Il quadro si intreccia con lo scambio di salme palestinesi: ieri gli ospedali della Striscia hanno ricevuto 30 corpi restituiti da Israele, anche in questo caso con il supporto logistico del CICR. La dinamica è stata documentata a Khan Younis e si inserisce nel flusso di rientri iniziato a fine mese, con consegne scaglionate e procedure di registrazione locali. Non è un particolare di contorno: ogni identificazione – da una parte e dall’altra – riduce l’area del non saputo.
Le famiglie, la scienza forense, il ruolo del CICR
Chi aspetta una notifica oggi sa che la scienza forense decide: autocertificazioni, sospetti e video non sostituiscono la prova genetica. Abu Kabir, in questi giorni, è tornato il centro della verifica: tamponi, comparatori, banche dati aggiornate al minuto, con protocolli che evitano contaminazioni e doppie attribuzioni. È lì che si è chiuso, con esito negativo, il controllo sui tre corpi consegnati nella notte. Questo è il passaggio che conta per dare una risposta vera a chi attende.
Nel mezzo resta il lavoro discreto della Croce Rossa, chiamata a muoversi in un corridoio ristretto: ricevere, trasportare, consegnare. Lo ha fatto anche stavolta, ricordando che il trattamento dei resti umani non deve trasformarsi in un gesto simbolico o di propaganda. È un invito a tenere separati i gesti umanitari dal resto del conflitto e a lasciare spazio, quando serve, alle squadre tecniche capaci di prendersi cura dei morti e dei vivi.
I nomi già identificati, ieri
Nel flusso degli ultimi giorni due nomi hanno trovato una risposta definitiva: Amiram Cooper (84 anni) e Sahar Baruch (25 anni). Le loro salme sono rientrate ieri sera attraverso il canale umanitario, con verifica a Tel Aviv e trasferimento alle famiglie per la sepoltura. Per chi segue da vicino questa vicenda, la conferma ha un peso doppio: dà certezza e, insieme, alza la soglia di attenzione sui casi che mancano.
Non c’è altro da aggiungere qui, se non l’impegno a chiamare le cose con il loro nome: identificazione dove è possibile, ricerche dove manca la prova, silenzio quando non ci sono ancora dati robusti. La cronaca di oggi ci dice che i tre corpi consegnati nella notte non sono ostaggi; che il canale di scambio continua; che undici casi restano aperti. Il resto, in queste ore, sarebbe rumore.
